Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
venerdì 30 ottobre 2009
Geniale!
La parte sud di Manhattan è perennemente avvolta da una nebbia grigia, macabra allusione all'11 settembre, e il sindaco miliardario tutto-legge-e-ordine è un amalgama di Rudolph Giuliani e Michael Bloomberg. Gli appartamenti sono stati convertiti in condomini per cani, e il New York Times offre una "War Free Edition" che, al posto delle notizie sulle guerre in corso, solitamente pubblica la storia a puntate della bella fidanzata di Chase, un astronauta rimasto intrappolato, in orbita intorno alla terra, e condannato a morire mella sua capsula spaziale.
Uno scultore postmoderno chiamato Laird Noteless crea voragini cavernose e fiordi tutt'intorno a Manhattan, come fossero emblemi orribili di Ground Zero.
E una tigre che è fuggita dallo zoo terrorizza la città, ma forse è solo una storia inventata dal sindaco a copertura del fatto che un robot-scavagallerie è impazzito.
Questo ed altro nell'ultimo libro di Jonathan Lethem, Chronic City, appena uscito negli Stati Uniti, e in attesa di essere tradotto.
Forse il libro più ... dickiano dello scrittore di Brooklin!
giovedì 29 ottobre 2009
Suttree
Si sono decisi; dopo trent'anni, l'Einaudi, ha tradotto e pubblicato il capolavoro di Cormac McCarthy, Suttree.
Tragico e ironico, in più di cinquecento pagine, ci racconta l'esistenza di Cornelius Buddy Suttree, fra la città di Knoxville, sulle rive del fiume Tennessee, e la decrepita casa galleggiante dove il protagonista vive e, ogni tanto pesca, per guadagnare il giusto che gli permetta di sopravvivere. E di continare a bere. Intorno a lui - che derelitto non è nato - si muove il mondo, nel sud degli Stati Uniti d'America, fatto dei balordi e degli esclusi; «ladri, derelitti, puttane, bari, ubriaconi, truffatori, accattoni, assassini, pervertiti e tutta un’infinita varietà di debosciati». Fra questi, e su tutti, si staglia la figura di Gene Harrogate, che Suttree ha incontrato in prigione. Un vagabondo «che non ha mai fatto una doccia in tutta la sua vita», un personaggio indimenticabile, ingenuo e amorale allo stesso tempo.
Un altro libro ... di coraggio e di giustizia!
Cormac McCarthy - Suttree - Einaudi - 23 euri
mercoledì 28 ottobre 2009
martedì 27 ottobre 2009
Funzionalmente
L.S. (1729 - 1799)
L'abate, uomo irascibile, piccolo mento, occhi penetranti,
temperamento elettrico, nondimeno pingue, scala il Vesuvio,
raschia al suolo del cratere, onde la fresca lava incorporare
nel suo famigerato gabinetto, insieme a budella, aborti,
vermi in bottiglia. Puzza di spirito, di carne putrida.
Ai caustici, rancidi fumi, si mescola vapore di zolfo.
Medita una categoria di domande mai poste prima d'allora
e agisce, per rinvenir risposta, funzionalmente: funzionalmente
manovra osteoclàste, scalpelli, aghi incandescenti. Dove vola
il pipistrello accecato? Il cervello della mucca mattata,
i muscoli del cane morto, e il polmone della donna annegata,
sotto la campana di vetro respirano ancora, per ore e ore. Eureka!
gridai, sopraffatto da questa inaspettata felicità.
Si amputi la salamandra, si scaccino i mosconi,
si amputi si amputi si amputi, si amputi ancora:
Le ricrescono coda, gambe e mascelle, anche per la quinta volta?
Il lombrico lo si tagli in lungo e in largo in cinque pezzi. Lo si decapiti.
Le conseguenze di tali procedimenti si accertino con estrema cura.
Più ne approfondirete lo studio, più questa creatura Vi parrà
feconda in meraviglie. Ne sprigionerete ignoti aspetti, sì sorprendenti
che d'ora innanzi dovrà esclamarsi: Bello come un lombrico.
Le sue polemiche sono temibili. Spietato rancore in note a piè pagina,
biechi battibecchi. Gli scienziati si spiano l'un l'altro come scorpioni,
pungono all'improvviso e si rosoloano poi ingordi al sole del trionfo.
Riflesso sperimentale: Dei traffici gastrici degli uomini
e di diverse varietà animali. Prendi una spugna, lega la medesima
a un filo, ingoiala, pigliati il succo gastrico del ventre.
Strappa a un gatto dopo il pasto lo stomaco, cuci l'organo,
mettilo a bagno in acqua calda e dimostra quindi sul tavolo
la digestione dei cadaveri. Nulla di più bello e di più nuovo.
Un secolo illuminato. Eppure lo infestano i mosconi.
L'abate è un maniaco. Copula rospi con salamandre:
mostruose congiunzioni. Dalla femmina squartata estrae le uova,
indi ammazza i maschi, ne stilla lo sperma e fa procreare i morti.
Alla vista di cotanto spettacolo s'invola la mia fantasia.
(Lo stesso anno a Parigi, Réamur costruisce una mamma artificiale).
Masturba un cane e ne inietta a una cagna lo sperma.
Posso dire in tutta sincerità, che mai nessuna cosa procurato mi avea
una sì viva voluttà. L'animale figlia. (Presto lo segue anche la prima donna).
Pingue, di temperamento elettrico, dal mento piccolo
tali descrizioni non rivelano un gran che, non più della nostra nausea.
La gelatina fermentata puzza, la melma stagna verdognola nella fiala,
sgorga l'inaspettata felicità, e sui ferri imbrattati
siedono le mosche. Funzionalmente l'uomo persegue la sua impresa,
una specie animale, che marcia allegramente in avanti. Eureka!
Le conseguenze di tali procedimenti si accertino con estrema cura.
H.M. Enzensberger - Mausoleum -
lunedì 26 ottobre 2009
Parresia
(...) La parresia è una tecnica di esistenza molto particolare, in quanto costituisce "una sorta di attività verbale in cui colui che parla intrattiene un rapporto specifico con la verità per mezzo della franchezza, un certo rapporto con la propria vita attraverso il pericolo, un qualche tipo di rapporto con sé stesso e gli altri attraverso la critica (autocritica o critica delle altre persone), e un rapporto speciale con la legge morale, attraverso la libertà e il dovere (... ). Nella parresia, colui che parla fa uso della sua libertà, e sceglie il parlar franco al posto della persuasione, la verità, invece della menzogna o del silenzio, il rischio di morte anziché la vita e la sicurezza, la critica, anziché l'adulazione, e il dovere morale al posto del proprio vantaggio o dell'apatia morale.
Michel Foucault
venerdì 23 ottobre 2009
Bastard Brothers
James Wesley Voight (meglio conosciuto come Chip Taylor) ci regala il suo nuovo disco, ed è un disco di ricordi. Apre una finestra sul suo passato, parlandoci di musica, di cavalli e di ragazze. E della sua famiglia. Ambientate nella città dormitorio di Yonkers, New York, si svolgono le storie, fra il commovente e l'ironico, che raccontano la crescita di Taylor.
Allevato, insieme ai suoi due fratelli, da un padre che svolgeva l'attività di giocatore professionista di golf (sebbene abbia cercato per anni di convincere il suo figlio più giovane che fosse anche un agente dell'FBI!), Jamie troverà la sua strada - come, del resto, i suoi fratelli: l'attore John e lo scienziato Barry - e racconta questa strada in un ciclo di undici canzoni che gettano luce sulla'infanzia e sull'adoloscenza di quello che diventerà uno dei più rinomati e importanti songwriter americani. Un libro di foto e un secondo disco dove le canzoni sono inframmezzate da commenti e ricordi, serviranno a rendere a pieno i ricordi e la storia di Chip Taylor e dei suoi "Bastard Brothers".
'Yonkers, NY'
1. Barry Go On (Put Yourself On The Mountain)
2. Charcoal Sky
3. Gin Rummy Rules
4. Hey Jonny (Did You Feel That Movie)
5. Without Horses
6. No Dice
7. Bastard Brothers
8. Piece Of The Sky
9. Saw Mill River Road
10. Yonkers Girls
11. Yonkers N.Y.
giovedì 22 ottobre 2009
un modo di guardare
"Il Mandralisca si trovò di fronte un uomo con uno strano sorriso sulle labbra. Un sorriso ironico, pungente e nello stesso amaro, di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà. E gli occhi aveva piccoli e puntuti, sotto l’arco nero delle sopracciglia. Due pieghe gli solcavano il viso duro, agli angoli della bocca, come a chiudere e ancora accentuare quel sorriso."
- Vincenzo Consolo -
mercoledì 21 ottobre 2009
Barone Haussmann
G.E.H. (1809-1891)
Bulldozer allora non ve n'erano; quindi con pere di ferro giganti,
piene di piombo, penzoloni dalle impalcature, egli distrusse la vecchia Parigi.
Artiste démolisseur, virtuoso del piccone, Attila
del risanamento; anche la casa in cui era nato
fece smantellare. Il futuro era grande, luminoso, necessario.
La gioia della distruzione è al tempo stesso gioia creativa.
Lui affumica i labirinti dei poveri (ah Bakunin, non era questo
che intendevi!); centomila e più straccivendoli,
miserabili, delinquenti e meretrici si danno alla fuga tallonati
da imprese edilizie, locatori strozzini, speculatori.
La sua energia: sconfinata, il suo appetito: insaziabile.
Collo taurino, spalle larghe, corpulenza,. Prendere posto,
finché ce n'è! Le convinzioni sono qui inopportune.
Burocrate, carrierista, parassita dell'immondezaio statale.
Il potere alla cartella: l'amministrazione è tutto.
Galloni d'argento, fronde di quercia sulla rendigote blu, spada
e tricorno. In sù bizantino: un vecchio roué siede sul trono.
(L'augusta mano si è degnata di ordinare). In giù gallinaceo:
un parvenu. Controllo e assistenza coincidono, l'esecutivo,
centralizzato e industrializzato, diventa tecnologia.
Con le loro biffe e i loro teodoliti sciami di geodeti
tracciano linee di fuga e magistrali: spietatamente prospettiche.
Il parlamento una stamberga di chiacchiere, la Legalità non conta.
La pianificazione crea posto per i cannoni. I boulevards: un sistema
di trincee contro la canaglia che si agguata nei sobborghi.
La ville lumiére è mestiere da specialisti. Ingegneri,
spie, contabili e cartografi accorrete! Impero ed empiria.
Egli personalmente è incorruttibile, cioè campa sul rimborso spese.
Vita privata: convenevole, convenzionale. Gioca d'azzardo in borsa,
frequenta i soliti balli, salotti e soubrettes.
Lussureggianti esposizioni mondiali, vaudevilles. Dallo spirito del piè di porco
nasce il Kitsch: tutto è nuovo, tutto è neo. Sotto palmizi
e drappeggi sfila la moda: replica delle repliche.
La vendetta delle macerie si chiama nostalgia. Innanzi alla polizia
il luogo del delitto tra i sibili del gas palesa il suo selciato madido.
Grandeur a credito, bluff occupazionale, metastasi della spesa pubblica.
Miracoli sgorgano dal ferro e dal cristallo, i sensali ingrassano,
circolano le bustarelle. I fixer dell'alta finanza
procedono a iniezioni di credito. Le entrate raddoppiano,
spumeggia il boom, va banque - le jeux sont faits.
Imperturbabile egli si innalza monumenti: gassometri campisanti campidogli
cloache tribunali obitori e, nella banlieue,
gli obelischi dell'industria che contro il cielo sputano
il loro fumo in colonne. I mattatoi maestosi, i vespasiani
decorati con l'aquila imperiale: profitto e profitti in quantità.
No, le premonizioni non erano cosa sua. A crateri di bomba
somigliano sulle antiche stampe gli scavi edilizi. (Quanto crebbero
da allora, insieme alle grandi città, i mezzi per raderle al suolo!
Quali immagini future esse non richiamano alla mente! Rotterdam
Dresda, Hanoi). Un anno dopo che si è dimesso Parigi brucia.
H. M: Enzensberger - Mausoleum -
martedì 20 ottobre 2009
Un movimento veloce
Jack Kerouac scrive "Big Sur" dopo il successo di "On the Road".
Fama, celebrità e la sua testa che risuona come una campana vuota,
Si prende un passaggio sulla Highway numero uno, fino al Bixby Canyon, dove c'è un ponte che sembra una ragnatela distesa su un burrone. In fondo al canyon gorgoglia un ruscello che scatarra come un vecchio.
E' da quelle parti, in una capanna che apparteneva al suo amico Lawrence Ferlinghetti, che il cosiddetto "re dei beats" se ne va a scrivere, nel 1962, il suo nuovo libro.
Big Sur: una cronaca straziante di alcolismo e di insicurezza che vede Kerouac sostituire il suo alter ego Sal Paradise con Jack Duluoz.
Oggi, per commemorare il quarantesimo anniversario della sua morte, esce un documentatio di 98 minuti su Big Sur. La colonna sonora affidata ad un improbabile collaborazione fra Jay Farrar (Uncle Tupelo, Son Volt) e Ben Gibbard, promana una magia senza pari. Diretto da Curt Worden, il documentario è un collage di brani letti dal "The Sopranos" John Ventimiglia, le immagini raccontano la costa di Big Sur (nebbia che si disperde verso verso il cielo evaporando in nuvole color caffé, onde che creano un anello di schiuma bianca sul litorale) e una parata di teste parlanti: alcune essenziali, altre meno.
Il titolo: One Fast Move or I'm Gone: Kerouac's Big Sur.
In più, il documentario riesce a catturare informazioni rilevanti su Kerouac mettendo in scena amici e colleghi, tra cui il jazzista David Amram, il poeta beat Michael McClure e Carolyn Cassady, la moglie del più caro amico di Kerouac, Neal Cassady.
E mentre alcuni dei collaboratori conferiscono maggiore autorevolezza al progetto, rispetto ad altri, c'è una manciata di scene che riesce veramente ad illuminare il libro di Big Sur e lo stato di Kerouac in quel periodo.
Subito, Tom Waits vomita una gemma, asserendo che "Big Sur mi ha sempre ricordato la cronaca di un uomo che veniva mangiato dalle formiche". Gli fa eco Robert Hunter, ex paroliere dei Grateful Dead, che afferma che il romanzo del 1962 "è un brutto, brutto libro di luoghi brutti della mente, dei luoghi sordidi della psiche."
La colonna sonora è sbocciata dalla registrazione delle prime due canzoni fino ad arrivare a 12 pezzi di musica originale impreziosita dai testi adattati da libro di Kerouac. "California Zephyr" è stata scritta nella capanna dove si era rifugiato Kerouac e canta testi che parlano del viaggio in treno di Kerouac verso la California, suonati su una chitarra acustica aperta come il paesaggio americano che passava davanti al finestrino del vagone dov'era seduto Kerouac. Altre canzoni, come "Low Life Kingdom" sono tipiche composizioni country-rock che Farrar affina ed arricchisce. "All in One"riesce a rinfrescare come un'esplosione di aria costiera, e “Final Horrors” dove il suono blu scuro della musica si sposa perfettamente con il testo che descrive la disperazione dell'alcolismo.
lunedì 19 ottobre 2009
Codici
"Ma ti rendi conto? Bruciano i barboni per noia. Mandano a battere le bambine o le schiave. Per il grano o per un tiro di quella merda che manda in pappa il cervello, sono disposti a tutto. La malavita non esiste più. Oggi esiste la mala-vita. Niente regole, niente onore, niente amicizia, niente rispetto. La violenza è dappertutto ed è insensata. E ti assicuro che ce ne vuole a dirtelo, perché io pure ho ucciso. Ma io saltavo i banconi e lo mettevo nel conto. Se andava male, sapevo che sarebbe toccata a me, o alle guardie che mi inseguivano sparando. (...) Come diceva Bertolt Brecht? È un crimine più grande fondare una banca o rapinarla? Bene, io a quella domanda come tutti sanno ho dato una risposta. Ma guardandomi intorno oggi, sai cosa mi colpisce? Che quarant'anni fa, Milano era più cupa, più sporca. Ma ad avere paura era solo chi aveva il grano. Le porte delle case restavano aperte. Gli operai che tiravano la lima alla Marelli lasciavano i ragazzini alla vicina o in cortile. Oggi chi ha il grano paura non ne ha più. La paura è dei disgraziati. Paura di essere scippati, violentati, accoltellati. E sai cosa trovo ancora più incredibile? Che a dire «al lupo, al lupo», però, sono rimasti sempre quelli che hanno il grano. Oggi uno che fa una rapina prende quindici anni. Chi manda sul lastrico qualche decina di migliaia di famiglie succhiandosi i loro risparmi, va bene se fa un mese ai domiciliari. Il senso della comunità è andato a farsi fottere. E se non c'è comunità, non c'è mito. Guardia o ladro che tu sia."
Renato Vallanzasca a Carlo Bonini in - Il Fiore del male. Bandito a Milano - Tropea
venerdì 16 ottobre 2009
Inattuale ...
Elogio della ghigliottina
di Piero Gobetti
Il fascismo vuole guarire gli Italiani dalla lotta politica, giungere a un punto in cui, fatto l'appello nominale, tutti i cittadini abbiano dichiarato di credere nella patria, come se col professare delle convinzioni si esaurisse tutta la praxis sociale. Insegnare a costoro la superiorità dell'anarchia sulle dottrine democratiche sarebbe un troppo lungo discorso, e poi, per certi elogi, nessun migliore panegirista della pratica. L'attualismo, il garibaldinismo, il fascismo sono espedienti attraverso cui l'inguaribile fiducia ottimistica dell'infanzia ama contemplare il mondo semplificato secondo le proprie misure.
La nostra polemica contro gli italiani non muove da nessuna adesione a supposte maturità straniere; né da fiducia in atteggiamenti protestanti o liberisti. Il nostro antifascismo prima che un'ideologia, è un istinto.
Se il nuovo si può riportare utilmente a schemi e ad approssimazioni antichi, il nostro vorrebbe essere un pessimismo sul serio, un pessimismo da Vecchio Testamento senza palingenesi, non il pessimismo letterario dei cristiani delusione di ottimisti. La lotta tra serietà e dannunzianesimo è antica e senza rimedio. Bisogna diffidare delle conversioni, e credere più alla storia che al progresso, concepire il nostro lavoro come un esercizio spirituale, che ha la sua necessità in sé, non nel suo divulgarsi. C'è un valore incrollabile al mondo: l'intransigenza e noi ne saremmo, per un certo senso, in questo momento, i disperati sacerdoti.
Temiamo che pochi siano così coraggiosamente radicali da sospettare che con queste metafisiche ci si possa incontrare nel problema politico. Ma la nostra ingenuità è più esperta di talune corruzioni e in certe teorie autobiografiche ha già sottinteso un insolente realismo obbiettivo.
Noi vediamo diffondersi con preoccupazione una paura dell'imprevisto che seguiteremo ad indicare come provinciale per non ricorrere a più allarmanti definizioni. Ma di certi difetti sostanziali anche in un popolo "nipote" di Machiavelli non sapremmo capacitarci, se venisse l'ora dei conti. Il fascismo in Italia è un'indicazione di infanzia perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'entusiasmo. Si può ragionare del ministero Mussolini come di un fatto d'ordinaria amministrazione. Ma il fascismo è stato qualcosa di più; è stato l'autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla collaborazione delle classi, che rinuncia per pigrizia alla lotta politica, dovrebbe essere guardata e guidata con qualche precauzione. Confessiamo di avere sperato che la lotta tra fascisti e social-comunisti dovesse continuare senza posa: e pensammo nel settembre del 1920 e pubblicammo nel febbraio del 1922 La Rivoluzione Liberale con fiducia verso la lotta politica che attraverso tante corruzioni, corrotta essa stessa, tuttavia sorgeva. In Italia c'era della gente che si faceva ammazzare per un'idea, per un interesse, per una malattia di retorica! Ma già scorgevamo i segni della stanchezza, i sospiri alla pace. E' difficile capire che la vita è tragica, che il suicidio è più una pratica quotidiana che una misura di eccezione. In Italia non ci sono proletari e borghesi: ci sono soltanto classi medie. Lo sapevamo: e se non lo avessimo saputo ce lo avrebbe insegnato Giolitti. Mussolini non è dunque nulla di nuovo: ma con Mussolini ci si offre la prova sperimentale dell'unanimità, ci si attesta l'inesistenza di minoranze eroiche, la fine provvisoria delle eresie. Certe ore di ebbrezza valgono per confessioni e la palingenesi fascista ci ha attestato inesorabilmente l'impudenza della nostra impotenza. A un popolo di dannunziani non si può chiedere spirito di sacrificio. Noi pensiamo anche a ciò che non si vede: ma se ci si attenesse a quello che si vede bisognerebbe confessare che la guerra è stata invano. Privi di interessi reali, distinti, necessari gli Italiani chiedono una disciplina e uno Stato forte. Ma è difficile pensare Cesare senza Pompeo, Roma forte senza guerra civile. Si può credere all'utilità dei tutori e giustificare Giolitti e Nitti, ma i padroni servono soltanto per farci ripensare a La Congiura dei Pazzi ossia ci riportano a costumi politici sorpassati. Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi. E' doloroso dover pensare con nostalgia all'illuminismo libertario e alle congiure. Eppure, siamo sinceri fino in fondo, c'è chi ha atteso ansiosamente che venissero le persecuzioni personali perché dalle sofferenze rinascesse uno spirito, perché nel sacrificio dei suoi sacerdoti questo popolo riconoscesse se stesso. C'è stato in noi, nel nostro opporsi fermo, qualcosa di donchisciottesco. Ma ci si sentiva pure una disperata religiosità. Non possiamo illuderci di aver salvato la lotta politica: ne abbiamo custodito il simbolo e bisogna sperare (ahimè, con quanto scetticismo) che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi avrà il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni sino in fondo. Si può valorizzare il regime; si può cercare di ottenerne tutti i frutti: chiediamo le frustate perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia perché si possa veder chiaro. Mussolini può essere un eccellente Ignazio di Loyola; dove c'è un De Maistre che sappia dare una dottrina, un'intransigenza alla sua spada?
Piero Gobetti - Elogio della ghigliottina,
in "La Rivoluzione Liberale", anno I, n. 34, 23 novembre 1922, p. 130
giovedì 15 ottobre 2009
Enigma
mercoledì 14 ottobre 2009
Linné
C.v. L. (1707 - 1778)
Una follia diversa dalla nostra: la follia di un classico.
Chiara, asciutta e laconica. A quei tempi era tutto più piccolo.
Lui era quasi un nano, scattante, irrequieto, turbolento,
eppure lo sguardo color d'ambra sotto la greve parrucca
era penetrante e gelido: ogni carattere accidentale
dev'essere ricusato. Collezionare, definire, denominare.
Non v'è oscura somiglianza che non sia stata escogitata
ad onta della scienza. Lame terminologiche immerse nelle carni
di un mondo cieco e palpitante per estrarre il sempreguale.
Inventari, nomenclature, repertori. La natura,
un rettangolo atemporale, un immoto reticolo.
Incisioni colorate a mano, tavole sinottiche e genealogiche.
Nel turbine delle apparenze il linguaggio è un punto fisso.
Una grammatica del misurabile: sottile come un pelo,
profondo come un ombelico, conformato a vulva,
attorno come un padiglione auricolare. Classifica,
minuzioso e "sensato". Notte e giorno al lavoro,
senza perdere un attimo finché rimase a Uppsala.
In un paese parco, nel Settecento più misero,
un'arida gioventù, senza soldi per le suole, vitto
da piatti estranei, letto sempre freddo, sotterfugi
per titoli e talleri. Infine la fuga nell'inabitabile.
Laddove quasi nulla più vive, egli riprende vita.
Lapponia 1745: Visto estate e inverno in un sol giorno,
attraversato nuvole, investigato la fine del mondo,
il giaciglio notturno del sole. Nel freddo sboccia
il suo cuore secco. Cladonia, tundra, antica libertà.
Poi di nuovo i cortigiani, i giardini e le anticamere.
Sogni satanici, fantasticaggini, "sensata" oscurità.
Negli occhi d'ambra lampeggia la follia. Immota.
Infine professore, medico personale della regina (meno felice
nella cura delle malattie di petto), presidente dell'accademia.
Poi la stella polare su fascia nera. Tutto troppo tardi.
Dissensi, diffidenza, umide serate trascorse nelle serre,
poi l'apoplessia. Gli ultimi quattro anni li trascorre
semi invalido, in triste debilitade di corpo e di mente.
Nessuno sapeva che egli, che reperito avea sì tante prove
della divina provvidenza tra i fenomeni naturali, da molti anni
raccogliesse simili esempi nei destini degli esseri umani,
che anche i miracoli e i peccati obbedissero alla tassonomia.
Manie persecutorie. Fisime e ossessioni. Accanto all'histoire admirable
des plantes, la storia naturale delle malattie e delle perversioni:
Nemesisi divina, il libro occulto, conservato in apposita custodia,
pieno di pronostici, auspici, presagi. Letture per Strindberg.
Teologia empirica. Lo scienziato come delatore di Dio.
Tutto ha un suo ordine: piromania lussuria infanticidio tradimento
perfidia e crimine d'avvelenamento. Melandro, professore in teologia,
briga e intriga in concistoro finché d'un tratto, alle sei di sera,
la sua testa ruota avanti e indietro. S'accascia, lo ricoverano, ma il dì
di guarigione ei più non vede. Iddio è un rettangolo atemporale,
le sue rappresaglie un reticolo immoto. Forca fuoco defenestrazione
capo mozzato impiccagione. La signora Psilandeerhjelm,
corriva e licenziosa,
giace con un cortigiano di Stoccolma. Colpita d'infermità al basso ventre,
muore di lì a poco. L'aprono e trovano in luogo del bambino un sasso.
Tutto viene così alla luce. Il peccatore marcisce dal vivo.
Un'esistenza piuttosto uniforme. Le punizioni
colleziona, definisce, denomina. Processo minuzioso e "sensato"
come il meccanismo della riproduzione: stame sepali e polline
seme pistillo e ricettacolo. Systema sexualis: un'ossessione mortale.
La vita non esiste, esistono soltanto degli esseri viventi.
Si rattrappisce il venerando vegliardo e rimugina immoto
d'una divina vendetta che seguirebbe la logica. "Sensata".
Insensata. "Sensata". Nella sua follia non v'è posto per "noi".
Il fiore che porta il suo nome, Linnaea borealis L.,
è insignificante, minuscolo e quasi interamente bianco.
H.M. Enzensberger - Mausoleum -
martedì 13 ottobre 2009
Specchi
"(...) Al contrario, l'occhio basta a qualificare Atena, quella "dagli occhi glauchi", "dallo sguardo di Gorgone", la Glaukopis, la Gorgopis, epiteto che ella deve allo splendore insostenibile del suo sguardo. Come l'occhio degli uomini, quello della vergine guerriera rifiuta gli specchi e, come gli uomini, gli specchi da lei utilizzati non sono da donna.
L'avventura di Perseo ne è testimonianza: lo specchio di Atena è un'arma; lo scudo bronzeo non riflette la bellezza di un viso divino, ma i tratti mostruosi, insostenibili ad uno sguardo diretto, della Gorgone mortifera.
Un po' più tardi, secondo il mito, Atena inventa il flauto, per riflettere nelle sue strane sonorità, l'orrore della morte di Medusa. Ma mentre suona questo strumento. ella scorge, sulla superficie di un fiume, o in uno specchio teso da un satiro premuroso, i suoi tratti gonfi, orribilmente deformati dal soffiare, una faccia gorgonica insomma.
Gli specchi di Atena non restituiscono nulla dell'incontestabile bellezza del suo viso divino.
I riflessi che vi si disegnano, per quanto effimeri ed accidentali, rivelano un altro aspetto della sua natura di vergine terribile, dal corpo avvolto nel metallo, di guerriera dall'impensabile sessualità, impossibile da prendere in considerazione. Il disdegno dello specchio per Atena, si può considerare come un rifiuto della femminilità e come indice della sua virilità.
Lo scudo, che la dea predilige, si oppone, nella rappresentazione mentale dei Greci, allo specchio delle donne. Di bronzo come lo specchio e spesso anche circolare, fornisce all'uomo uno dei suoi specchi, quello del guerriero. In tempo di pace, ai banchetti, è nella coppa da bere che si specchia il cittadino, il proprio riflesso nel vino e sulle immagini dipinte che decorano i vasi. Su ciascuno dei suoi utensili maschili, equivalenti allo specchio delle donne, appare la figura della Gorgone, orribile femmina barbuta, incisa o dipinta, ostentata nel blasone sul bronzo dello scudo o nascosta sul fondo delle coppe, dove la sua smorfia spia il bevitore. Coppa e scudo, proprio questi due termini, serviranno a Plinio come esempio per far comprendere ai suoi lettori eruditi, senza dubbio maschi, come funzionano, a fianco dello specchio piatto, le altre due categorie: quello concavo e quello convesso."
da "Ulisse e lo specchio. Il femminile e la rappresentazione di sé nella Grecia"
di Françoise Frontisi Ducroux, Jean-Pierre Vernant.
lunedì 12 ottobre 2009
Aspettando la traduzione
"Non so di cosa abbia bisogno oggi la Spagna. Tranne che, forse, del senso dell'umorismo". Credo che questa dichiarazione di José Ovejero - applicabile non solo alla Spagna - spieghi al meglio il senso del suo ultimo libro, "La comedia salvaje".
La storia, racconta le peripezie di Benjamin, un seminarista senza troppe convinzioni, goffo, inutile e intelligente. Senza nessuna esperienza ed alieno a qualsiasi ideologia politica, si troverà, dalla sera alla mattina, imprigionato dentro un convento basco insieme ad un gruppo di repubblicani. L'avanzata delle truppe franchiste si estende per tutta la Spagna, e la guerra civile ha già fatto moltissime vittime. Il convento viene bombardato e Benjiamin si salva "per miracolo". Quando riprende i sensi, si ritrova davanti al presidente Manuel Azana che lo sollecita a compiere una missione importantissima. Dovrà contattare il generale Caballenas che, per errore, si trova al comando dei ribelli, e far sì che accetti di scrivere una lettera al filosofo José Ortega y Gasset, proponendogli la presidenza. Insomma, il destino della Spagna è nelle sue mani!
Da qui, Benjamin si metterà in viaggio e, nel suo cammino, incontrerà i personaggi più variopinti, da una parte e dall'altra. Tutti gli punteranno addosso le armi e tutti cercheranno di convertirlo ai loro ideali. Fra gli altri, incontrerà un venditore di frittelle (churros) che ha impiantato il suo negozio davanti ad un muro dove i nazionalisti fucilano i rossi, un curato che giustifica la pederastia, una setta che vuole trasformare la Spagna in un deserto, un ufficiale che vuole incendiare l'Alcazar per mezzo di uno specchio parabolico. Personaggi e situazioni - come il bombardamento effettuato per mezzo di cocomeri - che non sempre sono frutto dell'immaginazione dell'autore.
Un modo di raccontare una storia che non è la Storia ma che colora la tragedia con la commedia, correggendo la storia stessa, e restituendocela.
José Ovejero - La comedia salvaje - - Alfaguara -
Precio: 19,50€
Páginas: 400
ISBN: 978-84-204-2240-4
Fecha: septiembre 09
domenica 11 ottobre 2009
Vetrine Infrante
QUEL CHE RESTA DEL VETRO
di Marco Bascetta
E’ una verità elementare che le vetrine siano state inventate per essere rotte: un diaframma frangibile, visibilmente frangibile, posto tra noi e ciò che ci può servire, o che possiamo desiderare.
Oggetti esibiti, a portata di mano, protetti da un nonnulla. C‘è di che rendere desiderabile l’insulso, il superfluo, persino l’orripilante.
Poiché le vetrine sono state inventate per essere rotte, poiché non invitano ad altro che al saccheggio, poiché sbeffeggiano chi non osa soddisfare il proprio desiderio, poiché rendono patetico, lacrimevole come il famoso nasino schiacciato contro il vetro della pasticceria, ogni sguardo desiderante, per tutte queste ragioni ed altre ancora il fatto veramente straordinario, eccezionale, incomprensibile è che nonostante tutto questo le vetrine restino intatte. Come se un pesciolino indifeso attraversasse indisturbato un mare infestato di squali famelici.
Possiamo dunque avvicinarci ancora di un passo alla morale invetriata in queste parvenze del paesaggio metropolitano.
Le vetrine sono state inventate per essere rotte, ma affinché non lo siano. Con la loro evidente fragilità intatta esse mettono in scena la potenza sconfinata dell’Ordine. Le vetrine sono l’esatto contrario delle banche, ma altrettanto inviolabili.
Tentazione repressa, rispetto delle regole, timore della punizione, ogni vetrina che giunga intatta alla chiusura della serranda, o attraversi addirittura senza danno la notte della metropoli, parla di questo. Più che le merci le vetrine esibiscono l’inviolabilità dell’ordine attraverso cui esse circolano. Le vetrine intatte e piene sono la prova più eloquente della stabilità dell’ordine costituito.
Ecco perché non può darsi alcuna seria aggressione all’ ordine costituito , alcuna sensata protesta che, in un modo o nell’altro, guardi oltre le compatibilità di sistema, nessuna presenza di piazza capace di denunciare una qualche iniquità, nessuna volontà radicale di trasformazione, che possa lasciare intatte le vetrine nella loro fragile, beffarda potenza.
Il casseur è l’interprete appassionato, disinteressato, autentico, di questa elementare verità. Rompere per rompere casseur di nome e di fatto, non ha altri obiettivi, non intende punire nessuno, se ruba lo fa distrattamente, senza interesse e senza passione, non si batte nè contro “il consumismo” né a suo favore, ha “rotto”, semplicemente, percepisce che se quelle vetrine rimanessero intatte non sarebbe successo nulla. Il casseur capisce il linguaggio della vetrina e lo parla a sua volta, intende il linguaggio dell’Ordine e lo contraddice. Certo non è la rivoluzione, ma senza di lui non ci sarebbero rivoluzioni.
Sul Kurfuerstendamm, negli anni ’60, sui larghi marciapiedi del corso berlinese, troneggiavano famose cubiche vetrine, infinite volte distrutte, infinite volte ricostruite. Non servivano ad esporre la merce, erano una sorta di barometro dell’ordine sociale.E’ una verità elementare che le vetrine siano state inventate per essere rotte: un diaframma frangibile, visibilmente frangibile, posto tra noi e ciò che ci può servire, o che possiamo desiderare.
Oggetti esibiti, a portata di mano, protetti da un nonnulla. C‘è di che rendere desiderabile l’insulso, il superfluo, persino l’orripilante.
Poiché le vetrine sono state inventate per essere rotte, poiché non invitano ad altro che al saccheggio, poiché sbeffeggiano chi non osa soddisfare il proprio desiderio, poiché rendono patetico, lacrimevole come il famoso nasino schiacciato contro il vetro della pasticceria, ogni sguardo desiderante, per tutte queste ragioni ed altre ancora il fatto veramente straordinario, eccezionale, incomprensibile è che nonostante tutto questo le vetrine restino intatte. Come se un pesciolino indifeso attraversasse indisturbato un mare infestato di squali famelici.
Possiamo dunque avvicinarci ancora di un passo alla morale invetriata in queste parvenze del paesaggio metropolitano.
Le vetrine sono state inventate per essere rotte, ma affinché non lo siano. Con la loro evidente fragilità intatta esse mettono in scena la potenza sconfinata dell’Ordine. Le vetrine sono l’esatto contrario delle banche, ma altrettanto inviolabili.
Tentazione repressa, rispetto delle regole, timore della punizione, ogni vetrina che giunga intatta alla chiusura della serranda, o attraversi addirittura senza danno la notte della metropoli, parla di questo. Più che le merci le vetrine esibiscono l’inviolabilità dell’ordine attraverso cui esse circolano. Le vetrine intatte e piene sono la prova più eloquente della stabilità dell’ordine costituito.
Ecco perché non può darsi alcuna seria aggressione all’ ordine costituito , alcuna sensata protesta che, in un modo o nell’altro, guardi oltre le compatibilità di sistema, nessuna presenza di piazza capace di denunciare una qualche iniquità, nessuna volontà radicale di trasformazione, che possa lasciare intatte le vetrine nella loro fragile, beffarda potenza.
Il casseur è l’interprete appassionato, disinteressato, autentico, di questa elementare verità. Rompere per rompere casseur di nome e di fatto, non ha altri obiettivi, non intende punire nessuno, se ruba lo fa distrattamente, senza interesse e senza passione, non si batte nè contro “il consumismo” né a suo favore, ha “rotto”, semplicemente, percepisce che se quelle vetrine rimanessero intatte non sarebbe successo nulla. Il casseur capisce il linguaggio della vetrina e lo parla a sua volta, intende il linguaggio dell’Ordine e lo contraddice. Certo non è la rivoluzione, ma senza di lui non ci sarebbero rivoluzioni.
Sul Kurfuerstendamm, negli anni ’60, sui larghi marciapiedi del corso berlinese, troneggiavano famose cubiche vetrine, infinite volte distrutte, infinite volte ricostruite. Non servivano ad esporre la merce, erano una sorta di barometro dell’ordine sociale.
(Da Anarchi.ca)
giovedì 8 ottobre 2009
Hollywood contro Francisco Franco
Succede ancora.
Succede ancora che nell'anno 2009, un film sulla guerra civile spagnola riesca a vincere il premio di miglior documentario al Festival del cinema indipendente di New York. Un film spagnolo che riapre, anche, la ferita mai cicatrizzata, inferta dalla Commissione per le Attività Anti-americane ai "10 di Hollywood".
"Hollywood contra Franco", diretto da Oriol Porta - alla sua prima esperienza come regista - racconta, attraverso la vita e l'esperienza di Alvah Bessie, l'impatto che la guerra civile spagnola ebbe sul cinema hollywoodiano, il quale divenne, a sua volta, una sorta di estensione del campo di battaglia.
Alvah Bessie (New York, 1905 - San Francisco, 1985) combatté nella Brigata Lincoln e, in qualità di sceneggiatore, fu anche uno degli "Hollywood 10", indagato dalla Commissione di McCarthy per le Attività Anti-Americane.
La narrazione, è costruita attraverso la testimonianza del figlio, Dan Bessie, e le voci di Susan Sarandon, Walter Bernstein, Arthur Laurents, Patrick McGilligan e dello storico Roman Gubern.Dan Bessie aveva sei anni quando il padre tornò dalla guerra, ed è cresciuto "in una comunità in cui la storia della Spagna è stata molto presente" ha spiegato durante la presentazione del film. La Spagna era "la cosa più importante" nella vita di suo padre, come egli stesso scrisse poco prima della morte: "Sono molto fiero di aver partecipato alla guerra civile spagnola".
Utilizzando un mix di narrativa personale, di filmati d'archivio e di interviste, si inframmezzano estratti cinematografici, a partire da Blockade ("Marco il ribelle", in italiano), con Henry Fonda - l'unico film realizzato durante il conflitto - a Casablanca, a "Per chi suona la campana", fino a "Le nevi del Kilimangiaro"; film che soffrono, tutti, dell'atteggiamento "amichevole" degli Stati Uniti.
Hollywood contra Franco (Documentary -- Spain - U.S.)
An Area de Television production in association with TVC, TVE, ICAA, ICIC. (International sales: Area de Television, Barcelona.) Produced by Lisa Berger, Cristina Mora. Executive producer, Oriol Porta. Directed by Oriol Porta. Written by Porta, Llorenc Soler, Isabel Andres.
With: Walter Bernstein, Dan Bessie, Moe Fishman, Roman Gubern, Arthur Laurents, Patrick McGilligan, Susan Sarandon, Lluis Soler.
(English, Spanish dialogue)
mercoledì 7 ottobre 2009
Un altro mondo
Bernardino de Sahagun - (1499 - 1590)
A ottant'anni il lume dei suoi occhi si fiacca.
Lettera del Consiglio delle Indie al Vicerè. Editto
del Consiglio Supremo dell'Inquisizione agli arcivescovi
di Mexico e Oaxaca. Trattasi di opere miscredenti
e inutili, che distornano dalla fede e la minacciano.
I manoscritti vengono dispersi. La scuola
decade. Il vaiolo stermina gli Indios.
A volte egli stesso si chiede che vita è stata la sua:
quella di un corvo sul campo di battaglia, o quella di un custode.
A stento va decifrando, su copie illegali,
ciò che un tempo i suoi alunni scrivevano e schizzavano.
Gi arcaici segni, rigidi ed estranei. Un altro mondo,
cristallino come un preparato di resina colata.
E le sue labbra articolano a rilento. Legge:
Il presagio
Fu dieci anni prima dello sbarco spagnolo,
fu il primo segno. Come una lingua di fuoco
fu in cielo, come una fiamma, come faville
nel crepuscolo. Ardeva ampia alla base,
aguzza in alto. Ogni sera, per un anno intero.
E quando appariva, s'udiva un gran clamore,
tutti gridavano, tutti si tappavano la bocca
con la mano, tutti atterrivano,
tremavano, attendevano, temevano.
La vita la trascorre domandando. Ammira
le macerie. Le vittime del massacro (provetti filosofi
e astrologi, ineffabili, arguti, eleganti,
esperti in ogni sorta di arte meccanica)
s'ingeggna a renderle loquaci. Tutto ciò
non è che una scienza, rigorosa e novizia.
Metodologia non ne esiste. Il primo è lui.
Inventa l'inchiesta: test e questionari,
interviste, cross-checking, lavoro d'équipe.
I suoi alunni se li addestra da sé: glossari, grammatiche
e regole di trascrizione. Scala anche i vulcani.
Ma non è ciò che vede ad avere valore.
Ai superstiti chiede, agli ultimi Aztechi,
un monte cos'è? Loro dettano, gli altri scrivono:
Il monte
E' una cosa alta, a punta; sopra appuntita,
s'appunta in cima, si innalza eretta;
si fa conica, rotonda; un monte tondo, basso;
con tante rocce, roccioso; erto, fesso, roccioso;
di terra; con alberi; erboso; con erbe; con acque;
arido; dentato; con gole; con caverne;
dentro ci sono gole, blocchi di pietra.
Io salgo, io mi arrampico sul monte. Io vivo
sul monte. Io sono nato sul monte. Nessuno
può diventare monte. Nessuno si tramuta
in un monte. Infine anche il monte si sbriciola.
Nahuatl: ogni cosa ha un gusto diverso, altri colori,
nomi, articolazioni. Dal dio del sole al calbrone:
un altro mondo. (Cosa significa l'espressione
"Un altro mondo"?) Storia universale delle cose
di Nuova Spagna. L'interessa in costoro (e quindi in noialtri)
non certo quel che si può paragonare
ma tutto ciò che egli non comprende.
Una scienza che considera gli esseri umani
come Qualcosa d'Altro. E' questo incomprensibile
che atterrisce e al tempo stesso è l'unica speranza.
Il primo antropologo ha una paura infernale
di quelli che interroga, delle loro (e nostre) vittime,
bugie, idolatrie. Per trecent'anni il suo lavoro
giace proibito e muffo nel buio dell'archivio.
La caverna
Lì si allarga, lì si allarga e sprofonda,
si apre, si restringe. E' un posto stretto,
un posto di ristrettezza. Lì è impervio, scabro.
E' un posto terribile, un posto di morte,
un posto di buio. Lì si rabbuia, si oscura.
La sua bocca è spalancata, la sua gola.
E' una gola vasta, una gola stretta.
Io prendo domicilio nella caverna.
Io entro. Io ci sono. Io sono nella caverna.
Quando approdò, giovanissimo frate questuante,
cappuccio bruno e cordone bianco, a Veracruz,
il bagno di sangue era già stato. Ora tutto giace
in terra sparpagliato e non v'è cosa eretta.
Smantellate le piramidi, devastati gli acquedotti,
è impossibile poggiar piede su terra messicana
senza calpestare degli indigeni i cadaveri.
Il massacro è di "per sé comprensibile".
Va dedotto, nel suo complesso, di tutto punto,
della seconda natura, dell'avidità e lo zelo,
mediati, non vi pare, ci capiamo credo fin troppo bene,
dalla condizione di classe e dall'economia.
Qualora l'espressione "Un altro mondo" significhi qualcosa,
significa un qualcosa che non possiamo dedurre.
H.M. Enzensberger - Mausoleum -
martedì 6 ottobre 2009
Le cose cambiano
Un buon viaggiatore del tempo, una cosa dovrebbe essere in grado di fare: quella di saper individuare il momento esatto in cui ... le cose cambiano.
Sapere, con un margine di incertezza che tende a zero, quale sia il momento esatto in cui si può cambiare la storia, al secondo. Se vai ad ammazzare Hitler, non puoi rischiare che poi ti ritrovi Herman Goering alla guida del terzo reich! Va fatto prima che si possa verificare un tal genere di ramificazione, e devi ammazzare Hitler e il nazismo in un sol colpo!
Così, parimenti, se vuoi scegliere quale momento della tua vita cambiare, dev'essere quello giusto, quello che ha fatto sì che le cose - da quel momento, e solo da quel momento e solo a partire da quel momento - prendessero la piega sbagliata.
Ecco, i diciassette racconti che il basco Iban Zaldua ha messo insieme, nel suo libro "Avvenire - diciassette racconti quasi politici", si muovono quasi tutti alla ricerca di questo tipo di nodo. Fulminanti, fin dal primo, breve e folgorante, dove il ruolo di nodo è assolto da un divano dell'Ikea, e avanti così, racconto dopo racconto, a costruire una geografia che assomiglia a quelle mappe fatte di nodi, fra la preistoria e un film come "I Banditi del Tempo".
Senza rinunciare né all'ironia né ai riferimenti alla realtà del suo paese, Zaldua non intende affatto rassicurare, raccontandoci di un mondo che è assai più facile peggiorare, renderlo peggiore di quanto non sia, magari per un capriccio!
Storico di formazione, e di professione, ci ripropone - in fondo - il solito vecchio problema, lo stesso che ci pone la bella serie televisiva Flashforward: se il destino sia prestabilito, oppure no. Qui ci sono diciassette risposte!
Iban Zaldua - Avvenire - diciassette racconti quasi politici -
Gran Via - 176 p., 14,50 euri
lunedì 5 ottobre 2009
Fra i topi e King Kong
Si può riscrivere la storia, magari non troppo, però con un pizzico di ... vendetta in più. E' quello che, più o meno, ci raccontano Quentin Tarantino e i suoi bastardi senza gloria! Prendendo a pretesto l'improbabile "Quel maledetto treno blindato" di Enzo G. Castellari, Tarantino ci ricama sopra un film (con tanto di mini-film iniziale da manuale) intessuto dal solito gioco di citazioni, dai Blues Brothers a Quella Sporca Dozzina, senza dimenticare le tre dita di "Rosolino Paternò, Soldato" di Nanni Loy. Nel mentre, ne approfitta anche per inchiodare alle sue responsabilità un critico cinematografico, esperto di cinema tedesco, che però s'è perso gli ultimi tre anni di programmazione. La cosa gli sarà fatale! Il film va avanti splendidamente per quasi due ore e mezzo, senza perdere un colpo, fino al logico finale.
sabato 3 ottobre 2009
Vetrine
Credo di non avere alcun diritto a sentirmi, né tantomeno ad essere, stanco! Però succede, a volte, che un qualcosa, o un concorso di avvenimenti, cospirino a dare una sensazione del genere. Mi rifiuto di ammettere che accada perché ... l'età c'è. Ma tant'è!
Certo che uno farebbe bene a restarsene a casa, oppure a dirigere altrove i suoi passi in queste splendide giornate d'ottobre. E invece, ti dici che magari c'incontri qualcuno dei pochi che ti farebbe piacere rivedere, oppure, anche, ci puoi trovare qualche buon libro che ti è sfuggito. Insomma, cose del genere. Certo l'ambientazione del Saschall non è delle migliori, per usare un eufemismo, e così è andata a finire che dopo un breve giro me ne sono andato bofonchiando sul fatto di come non siano cambiati, anzi! E di come l'unico intento che perseguono sia quello di continuare ad esistere, a pubblicarsi i loro librini, e cose di questo genere. Una testimonianza, insomma, per usare di un linguaggio che assai più si confà ala loro dimensione "liturgica". Certo, non ho di che stupirmi. Non mi sono stupito a suo tempo, a proposito delle "veline" che facevano circolare per "mettere in guardia" da tutti quei compagni che potevano in qualche modo essere di nocumento, e di disturbo, alle loro tranquille attività. Non mi sono stupito oggi, quando non ho visto nessun accenno all'arresto di Alfredo Bonanno avvenuto in Grecia. No, non mi stupisco pù da tempo - e magari è un male - del fatto che qualsiasi cosa, struttura, percepita come potere abbia come scopo principale la propria sopravvivenza. La loro sopravvivenza, e i loro libri. Di questi libri, ce n'è perfino uno, "di storia", dove l'autore non ha trovato di "meglio" che darmi di "situazionista", per inchiodarmi ad una qualche mia presunta deviazione. Lo considero un complimento, anche se a fare di questi complimenti, poverini, gli sono rimasti solo i Cardella.
I Cerrito - che nemmen loro poi erano granché - gli sono morti.
Adesso però bussa alla porta - li ho intravvisti - una nuova generazione, anche più sgamata, che saprà sicuramente coniugare anarchia, mercato e interessi personali; e con ancora assai più disinvoltura. Sono già all'opera, e diffcilmente potranno essere fermati.
A loro, sicuramente, non li arresterà nessuno!
giovedì 1 ottobre 2009
storie!
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