venerdì 31 agosto 2007

Ci vado! Per un po'



Il 18 Ottobre 1827, verso le cinque di sera, un piccolo bastimento levantino stringeva il vento per cercare di raggiungere prima di notte il porto di Vitylo, all'ingresso del golfo di Corone. Questo porto, l'antico Œtylos d'Omero, è situato in una delle tre profonde incisioni che frastagliano, sul mare Ionio e sul mare Egeo, quella foglia di platano alla quale è stata tanto giustamente paragonata la Grecia meridionale. Su questa foglia si stende l'antico Peloponneso, la Morea della geografia moderna. La prima di queste dentellature, a ovest, è il golfo di Corone, che si apre tra la Messenia e la penisola di Mani; la seconda è il golfo di Maratonisi, che incide ampiamente la costa della severa Laconia; la terza è il golfo di Nauplia, le cui acque separano la Laconia dall'Argolide.
...
Jules Verne - L'arcipelago in fiamme - 1884

Legalità



Novembre 1926:
“ L’esecutivo guidato da Gramsci, convocò a Montecitorio il Gruppo parlamentare comunista. Contro l’imperversare delle violenze squadristiche e la montante reazione, l’Esecutivo decise di proclamare uno sciopero generale di protesta e dispose perché i deputati comunisti si recassero nelle principali città d’Italia per le disposizioni urgenti. I deputati della Sinistra comunista, e particolarmente Repossi e Fortichiari, si dichiararono pronti a partire, ma ritenevano che il partito non fosse in condizione di agire così all’improvviso e mentre era in fase di riorganizzazione. Essi, d’altra parte, si dicevano certi che il governo avrebbe proceduto senz’altro contro i delegati dell’Esecutivo. Gramsci confidava invece nell’immunità parlamentare e non ammetteva che il governo potesse sprezzare questa legge. I deputati comunisti partirono da Roma, compresi Repossi e Fortichiari diretti a Milano, pur dicendosi certi di uno scacco clamoroso. A Milano essi erano attesi dalla polizia. A poca distanza dalla ferrovia vennero fermati e condotti alla sede della questura. Qui ricevettero comunicalzione "legale" della decisione "legale" del parlamento che toglieva ai deputati antifascisti l'immunità parlamentare. Vennero perquisiti e portati al carcere di S.Vittore.
La fiducia di Gramsci nella legalità aveva ricevuto piena soddisfazione!
In pochi giorni quasi tutti i funzionari del partito, oltre ai deputati, quasi tutti i compagni più in vista o comunque noti alla polizia e ai fascisti, si ritrovarono nelle carceri di tutta Italia. ”

mercoledì 29 agosto 2007

42° a Roma



"Si può andare in qualunque città e ognuno resta quello che è, il genovese un genovese, il fiorentino un fiorentino. A Roma invece, dopo tre giorni, si diventa tutti romani!"

(Da "Il Sorpasso")

Capitolo Zero



Il libro uscirà a settembre, per Marco Tropea. L'autore è Paco Ignacio Taibo II. Il titolo è "Pancho Villa: Una Biografia Narrativa". Il traduttore italiano è Pino Cacucci. Il "capitolo zero" introduce, giocando fra vero e falso, fra realtà storica e leggenda, la personalità e la vita di Doroteo Arango Arámbula, meglio conosciuto come Pancho Villa. E' sempre stato una sorta di ossessione, per Taibo nei suoi romanzi, il generale. Una specie di fantasma che spuntava nella pagina che meno ti aspettavi. Adesso la cosa, con la pubblicazione di questo libro, rischia di estendere il contagio..
Ecco il capitolo zero!

Questa è la storia di un uomo i cui metodi di lotta si dice siano stati studiati da Rommel (falso), da Mao Tse Tung (falso) e dal Subcomandante Marcos (vero). Che reclutò Tom Mix per la Rivoluzione messicana (abbastanza improbabile, ma non impossibile), che si fece fotografare a fianco di Patton (non è molto divertente, George a quell’epoca era un tenentello di poca importanza), che aveva avuto una relazione con María Conesa , la vedette più importante della storia del Messico (falso, ci provò ma non ci riuscì) e che uccise Ambrose Bierce (assolutamente falso). Che compose La Adelita (falso), però lo dice il Corrido de la muerte di Pancho Villa, che peraltro gli attribuisce anche La Cucaracha, altra cosa che non fece.
Un uomo che fu contemporaneo di Lenin, di Freud, di Kafka, di Houdini, di Modigliani, di Gandhi, ma che non sentì parlare mai di loro, e se lo fece, perché a volte gli leggevano il giornale, sembrò non dare a questi personaggi alcun importanza, perché erano estranei al territorio che per Villa era tutto:una piccola frangia di pianeta che va dalle città di frontiera texane a Città del Messico, città che peraltro di sicuro non gli piaceva. Un uomo che si era sposato, o che aveva mantenuto strette relazioni semiconiugali , 27 volte, e che ebbe almeno 26 figli (secondo le mie incomplete verifiche), al quale però sembra non piacessero troppo matrimoni e i preti, ma piuttosto le feste, il ballo, e soprattutto i compari, gli amici.
Un personaggio con fama di beone che comunque assaggiò appena l’alcol in tutta la sua vita, condannò a morte i suoi ufficiali ubriachi, distrusse damigiane di bevande alcoliche in varie città che conquistò (lasciò le strade di Ciudad Juárez a puzzare di liquore quando ordinò la distruzione della bevanda nelle cantine), a cui piacevano i frullati di fragola, le arachidi caramellate, il formaggio fuso, gli asparagi confezionati e la carne cucinata sulla fiamma finchè non diventava come la suola di una scarpa.
Un uomo che ha almeno tre “autobiografie”, nessuna delle quali però scritta dalla sua mano.
Una persona che sapeva a malapena leggere e scrivere, e che però quando divenne governatore dello stato di Chihuahua fondò in un mese cinquanta scuole. Un uomo che nell’era della mitragliatrice e della guerra di trincea usò magistralmente la cavalleria e la combinò con gli attacchi notturni, l’aviazione e la ferrovia. Ancora resta memoria in Messico dei pennacchi di fumo del centinaio di treni della División del Norte che avanzavano verso Zatecas.
Un individuo che nonostante si definisse un uomo semplice, adorava le macchina da cucire, le motociclette e i trattori.
Un rivoluzionario con la mentalità da rapinatore di banche, che mentre era generale di una divisione e di trentamila uomini, trovava il tempo per nascondere tesori in dollari, oro e argento in grotte e soffitte, o in tombe clandestine. Tesori con cui poi comprava munizioni per il suo esercito, in un paese che non produceva pallottole.
Un personaggio che iniziando dal furto organizzato di vacche creò la più spettacolare rete di contrabbando al servizio di una rivoluzione.
Un cittadino che nel 1916 propose la pena di morte per coloro che commettevano frodi elettorali, insolito fenomeno della storia del Messico (Ahi Calderón…)
L’unico messicano che fu a punto di comprare un sottomarino, che fu cavaliere di un cavallo magico di nome Sette Leghe (che in realtà era una cavalla) e realizzò il desiderio della futura generazione del narratore, scappare dalla prigione militare di Tlatelolco.
Un uomo che odiavano così tanto, che per ammazzarlo spararono 150 colpi alla macchina su cui viaggiava.
A cui, tre anni dopo averlo ucciso, rubarono la testa, e che è riuscito a ingannare i suoi persecutori perfino dopo morto, perché anche se ufficialmente si dice che riposi nel Monumento alla Rivoluzione di Città del Messico (quella fosca mole di pietra sgraziata che sembra celebrare la fine della rivoluzione, schiacciata da una lastra di 50 anni di tradimenti) continua ad essere sepolto a Parral.
Questa è la storia, dunque di un uomo che raccontò e di cui altri raccontarono molte volte le storie, in tali e tante differente maniere che a volte sembra impossibile decifrarle.
Lo storico non può fare altro che osservare il personaggio con ammirazione”.

martedì 28 agosto 2007

La Nostra Canzone



E' il decimo disco di Joe Henry, "Civilians", e dopo il mezzo passo falso di "Tiny Voices" ha il merito di riportare il cantautore americano al suo meglio. Una collezione di storie che colpiscono al cuore, allo stomaco a volte.
"Le canzoni hanno la giusta percentuale di fumo, il numero giusto di specchi e quel tipo giusto di chiarezza. E credo che mai, in tutti gli altri dischi che ho fatto, io abbia sentito le cose in questo modo."
Joe Henry, a 46 anni, è cresciuto dell'altro. Ha vito un "Grammy" per aver prodotto "Don't Give up on Me" di Solomon Burke ed ha prodotto gli ultimi dischi di Ani DiFranco, Elvis Costello e Allen Touissant. Il disco che aspetto di più, quello di Mary Gauthier (pronuncia Go-Shy) che uscirà il 18 settembre, è anch'esso prodotto da Joe Henry. Ha anche lavorato con Loudon Wainwright III e con Ramblin' Jack Elliott e John Doe alla colonna sonora di "I'm Not There", un film di Todd Haynes su Bob Dylan.
Tutte queste diverse influenze hanno cospirato a creare "Civilians". Le chitarre di Bill Frisell, il mandolino di Greg Leisz, il piano di Van Dyke Parks e i cori di Loudon Wainwright III e Chris Hickey alzano il valore del disco fino a farlo diventare inestimabile.

"Pray for you, pray for me.
Sing it like a song.
Life is short
But by the grace of God
The Night is Long"

Ripete ossessivamente il ritornello della "title track", una marcia, nera come la notte, che sembra uscita dalla penna del miglior Tom Waits. Avvolgente e trascinante come quella Katrina a cui sembra voler pagare il suo tributo. Una notte di New Orleans, spettrale e mortale.

Quindi "Civil War", dolce e cullante, pianistica. La voce si muove su territori personali.

"I don't know you to wear a hat
But I came home late, and there it sat
You rose to show what hats are for
We're living through a civil war."

Poi, "Time is a Lion", dove decisamente il blues la fa da padrone con il suo ripetere che "Time is lion, and you are a lamb". Willie Mays, il protagonista di "Our song" è un icona del baseball americano. Per Joe Henry questa canzone è il capolavoro dell'album. "Non è un caso che la canzone si trovi proprio a metà del disco" - ha detto - "E' il mozzo della ruota. Una volta che l'ho scritta, ha influenzato il modo in cui ascoltavo qualsiasi altra cosa".
E tutte le altre cose sono pietre preziose, dalla dylaniana "You can't fail me now" al rock di "Scare me to the death", dalla delicata "Wave" ricamata su un merletto di chitarra e mandolino. Dalle musicalmente colte "Love is enough" e "I will write my book" - dove il piano di Van Dyke Parks la fa da padrone -, quasi classiche nel loro incedere quasi jazz, a "Shut me up" dove gli echi di Dylan e Robertson sono piacevolmente evidenti. "God only knows" chiude alla grande un disco che si continuerebbe a riascoltare ancora, e ancora.

La nostra canzone
di Joe Henry

Ho visto Willie Mays a Scottdale, ad un "Home Depot"* alla fine della 14th strada, che cercava una porta da garage da comprare.
Sua moglie dietro di lui, era tranquilla ed entrambi fieri del fatto che avessi lasciato loro spazio, ma ero abbastanza vicino da sentirlo dire che

Questo era il mio paese, questa era la mia canzone, ad un certo punto qualcosa ha cominciato ad andar male ed è finito peggio.
Questo era il mio paese, questa terra spaventosa e arrabbiata, ma è un mio diritto se il peggio di essa può in qualche modo fare di me un uomo migliore

Il sole è inesorabile e nessuno sceglierebbe di vivere in questa città ma abbiamo sperperato così tanto della nostra buona volontà che non c'è altro posto dove andare
Ci mettiamo in fila per i film con l'aria condizionata e per la possibilità di vederci ritratti più giovani e più coraggiosi ed umili e liberi
Questo era il nostro paese, questa era la nostra canzone, ad un certo punto qualcosa ha cominciato ad andar male ed è finito peggio.
Questo era il nostro paese, questa terra spaventosa e arrabbiata, ma è un mio diritto se il peggio di essa può in qualche modo fare di me un uomo migliore

Ho cominciato qualcosa che non posso finire ed è vero che lascio la casa, una benda sulle mie ferite e sui miei tagli, ma credo di aver avuto anche dei benefici
Da mia madre ho preso i suoi bei piedi e la fabbrica fa tutti i lavori di riparazione alla mia casa, i miei figli sono stati liberati sulla parola e abbiamo fatto pace
Mi sento al sicuro così lontano dal cielo dalle torri e dalla loro vista-oceano, da qui vedo il futuro che arriva e presto ci saranno anche spiagge

Ma quello era lui, ne sono quasi sicuro, il più grande lanciatore di tutti i tempi, fermato dal peso dei sogni infiniti, i suoi e i tuoi e i miei
Questo era il mio paese, questa era la mia canzone, ad un certo punto qualcosa ha cominciato ad andar male ed è finito peggio.
Questo era il mio paese, questa terra spaventosa e arrabbiata, ma è un mio diritto se il peggio di essa può in qualche modo fare di me un uomo migliore

Nota:
* Home Depot sono dei supermercati dove si compra il "fai-da-te"

venerdì 24 agosto 2007

I morti seppelliscano i morti!



Sarà per il fatto che con la storia hanno sempre avuto problemi, ma l'unica cosa su cui non sono riusciti a mettersi d'accordo, a proposito di Bruno Trentin, è l'età. Chi ha detto settantasette, chi ottanta, chi ottantuno. Si vede che a documentarsi si viola la privacy del morto!
Per il resto è tutto un peana, da destra a sinistra, per l'uomo che ha salvato la patria svendendo la scala mobile.
Non aggiungo altro, tranne due ricordi ed una considerazione.
I ricordi attengono alla stessa giornata, a Firenze, nell'autunno del 1992.E' il 22 settembre. In piazza San Marco, un vecchio operaio si avvicina al futuro salvatore della patria e comincia a prenderlo a schiaffi, piangendo. Viene subito bloccato dal servizio d'ordine, ma un bel paio sul muso è riuscito a mollargliene. E' solo un preavviso. Qualche ora dopo, in piazza Santa Croce, al comizio che chiude il corteo, il sindacalista vorrebbe spiegare la firma apposta in calce al protocollo del 31 luglio. Gli verrà impedito da un fitto lancio di bulloni. Seguirà la solita reazione isterica, dal palco, contro la violenza e per la patria.
Fosse morto allora, di infarto, ne avrebbe guadagnato in immagine!
La considerazione la traggo dalla lettura della sua biografia sommaria, dalla data in cui sarebbe entrato nel sindacato. La fine degli anni '40. Curioso! Più o meno lo stesso periodo in cui mio padre si dimetteva dalla FIOM a Siracusa. S'era reso conto che svendevano. Di già!

un sogno ...




Lexon Avenue Mural, scritta da Langston Hughes nel 1930.
Questa poesia - ricordo - la lessi per la prima volta, molti anni fa, su una di quelle "riviste per giovani" che, verso la metà degli anni sessanta, ebbero una vita non troppo breve e non troppo effimera. Credo si chiamassa "Big", la rivista.
Allora avevo l'età in cui si cercano le poesie, si leggono le poesie, si scrivono le poesie. E questa poesia, per un qualche motivo, mi è rimasta scolpita nella mente. Tanto che mi ha fatto piacere ritrovarla nel libro di Howard Zinn, "Storia del popolo americano. Dal 1492 a oggi" da poco ripubblicato in edizione economica.

Lexon Avenue Mural
di Langston Hughes

Che fine fa un sogno differito?
Si rattrappisce
come uva secca al sole?
O si guasta come una piaga
e poi va in suppurazione?
Puzza come carne marcia?
O si indurisce incrostandosi
come un dolce sciropposo?

Forse crolla soltanto su sé stesso
come un carico tropppo pesante.

Oppure esplode?

giovedì 23 agosto 2007

Kipple



Kipple. Non cercatela, questa parola, sui dizionari. Non esiste, perlomeno non ancora. L'ha inventata Dick, in uno dei suoi romanzi, e Ridley Scott è riuscito a metterla in scena nella versione "infedele" di quel libro trasposto sullo schermo. Blade Runner. Ed è il palazzo dove John Isidore, lo "speciale", vive circondato dalle sue "creature", ad essere diventato dominio del Kipple!

"Abitava da solo, in questo palazzo cieco e sempre più fatiscente, tra mille appartamenti disabitati. Un edificio che, come tutti quelli simili, cadeva, di giorno in giorno, in uno stato sempre maggiore di rovina entropica. Con il tempo tutto ciò che c'era nel palazzo si sarebbe fuso - una cosa nell'altra - avrebbe perso individualità, sarebbe diventato identico ad ogni altra cosa, un pasticcio di Kipple ammonticchiato dal pavimento al soffitto di ogni appartamento. E dopo di ciò lo stesso palazzo, senza che nessuno ne curasse la manutenzione, avrebbe raggiunto uno stato di equilibrio informe, sepolto dall'ubiquità della polvere."
(da - Ma gli androidi sognano pecore elettriche?)

Il Kipple, un neologismo che sembra comprendere tutto il mondo, così come diventa, come sta diventando, come è destinato a diventare - tutta la vita, tutte le vite di ciascuno - in un processo lento e inarrestabile. Nasce e si associa, il Kipple, in qualche modo, con lo spopolamento del pianeta. Uno spopolamento che si attua anche, e soprattutto, grazie al processo migratorio.
Un apparente paradosso, dove quelli che arrivano - come da altri mondi - vengono ... a lasciarci soli!

"Il Kipple è fatto di oggetti inutili, inservibili, come la pubblicità che arriva per posta, o le scatole di fiammiferi dopo che hai usato l'ultimo, o gli involucri delle caramelle o l'omeogiornale del giorno prima. Quando non c'è più nessuno a controllarlo, il Kipple si riproduce. Per esempio, quando si va a letto e si lascia un po' di Kipple a giro per l'appartamento, quando ci si alza il mattino dopo se ne ritrova il doppio. Cresce, continua a crescere, non smette mai."

mercoledì 22 agosto 2007

Eroi dall'Inferno



Un bel tipo, Mike Davis! E non tanto per i suoi splendidi saggi, avvincenti come bei romanzi di "scienza-avventura" (come lui ama definirli), quanto per la qualifica di "sociologo da strada" che gli deriva dalla sua propria storia. Macellaio prima, poi camionista sulle autrostrade americane, ha cambiato mille volte mestiere, fino ad avere una cattedra di Teoria Urbana presso l'Università della California, dove è nato, a Fontana, nel 1946.
Di suo, dovrebbe uscire a settembre, per Einaudi Stile libero, una "Breve storia dell'autobomba. Dal 1920 all'Iraq di oggi: un secolo di esplosioni", dove restituisce il merito della scoperta di cui tratta il libro, all'anarchico Mario Buda, che fece esplodere, nel settembre del 1920, un carro trainato da cavalli e imbottito di dinamite e pezzi di metallo, in piena Wall Street. Ora non so, quanto di questo libro abbia a che fare con il progetto di cui, più volte, ha dichiarato di occuparsi. Una storia del terrorismo rivoluzionario mondiale dal 1878 al 1932. Date molto specifiche!
Il 1878 coincide con l'inizio dell'"età classica del terrorismo". Proprio a partire dal 1878, i bakuninisti di varie nazionalità e i loro "cugini", i Narodniki russi, assumono l'assassinio come una potente arma nella lotta contro l'autocrazia. Il calendario di quell'anno è straordinario. A gennaio, Vera Zasulich ferisce il generale Trepov, il sadico carceriere dei Narodniki. In aprile, Alexander Solovev attenta allo zar e da inizio alla caccia "al re" che culminerà con l'assassinio di Alessandro II, da parte della "Volontà del popolo" nel 1881. A maggio e a giugno rispettivamente, gli anarchici Holding e Nobiling attentano a Berlino alla vita del vecchio Kaiser, servendo da pretesto a Bismarck per reprimere i social-democratici tedeschi. In autunno Moncasi tenta di uccidere re Alfonso XII di Spagna e Passanante, nascondendo un pugnale avvolto in una bandiera rossa fa lo stesso con il re d'Italia. L'anno si conlude con l'isterica enciclica del papa Leone XII sulla "mortale pestilenza del comunismo". Il terrorismo segue al "funerale" delle speranze deluse per le insurrezioni fallite in Russia, Andalusia e nel Mezzogiorno italiano. Il terrorismo, in altre parole, era una risposta al doppio fallimento del Balnquismo urbano e del Garibaldinismo rurale.
Così il 1932 vide l'ultimo tentativo, da parte degli anarchici italiani, di uccidere Mussolini. Il Fascismo e lo Stalinismo riescono dove gli altri regimi hanno fallito, portando sull'orlo dell'estinzione il movimento rivoluzionario.

Dice Davis, in un'intervista: "L'ispirazione per questo progetto mi è venuta leggendo la magnifica "Storia dell'Internazionale Comunista" di Pierre Broue, del 1997. Come Victor Serge e Isaac Deutscher, Broue scrive nell'idioma quasi estinto dell'opposizione di sinistra. La sua storia è un appassionante rappresentazione coinvolgente, a volte quasi insopportabilmente intenso, della tragedia shakesperiana di una generazione rivoluzionaria decimata da Stalin ed Hitler. Egli ci consegna la memoria, il coraggio e la grandezza di uomini e donne straordinari. Broue mi ha stimolato a guardare a gruppi anche più fuori moda e politicamente scorretti: gli angeli vendicatori che affrontavano re e capitalisti, con in mano la bomba o il pugnale. Paria emarginati dalla sinistra, anche dall'anarchismo "rispettabile". Voglio comprendere l'architettura morale del loro universo, così come voglio capire la ripercussione dei loro atti. Così facendo, fra l'altro, ora sono inevitabilmente tirato dentro la periferia del dibattito circa quella sinistra categoria: terrorismo ..."

Il luogo dove nasce il "terrorismo classico" è il Muro dei Federati, contro il quale, a Pére Lachaise, vengono fucilati gli ultimi Comunardi. "La tua storia, borghesia, è scritta su questo muro. Non è un testo difficile da decifrare" - scrive in un poema Eugéne Pottier. Il massacro di trentamila operai parigini, con l'approvazione pressoché totale delle classi medie, è stato lo spartiacque morale nella storia europea del lavoro. Insieme ad altre susseguenti atrocità, come le esecuzioni di massa in Russia, l'omicidio degli internazionalisti a Cadice nel 1873, la soppressione violenta dell'ondata di scioper del 1877, e l'impiccagione di Haymarket. Tutto questo convinse molti rivoluzionari che il terrore andava combattuto col terrore. E anche se la vittoria poteva sembrare impossibile, la vendetta era meglio che niente!
Allo stesso tempo, i rivoluzionari erano frustrati dalle condizioni sociali immature che impedivano un lotta di classe di ampio respiro. L'artigianato europeo era in agonia ed ancora non c'era, tranne che in Inghilterra, un proletariato industriale moderno. Gli sioperi venivano schiacciati o finivano catastroficamente, come quello raccontato da Emile Zola in "Germinal". In questo contesto, la strategia, consigliata da Marx, di organizzarsi con pazienza e accumulare le forze, sembrava esaperantemente lenta per chi, come i giovani artigiani, doveva scegliere fra la fame, l'emigrazione e il crimine.
Ma non serve semplificare, dicendo che l'anarco-terrorismo del 1880-1900 era la "danza di morte" dell'artigianato europeo. Parimenti, l'approccio "criminologico" allo studio dell'anarchismo ha fatto bancarotta. Anzi, si può affermare che la violenza ha rappresentato non tanto una "criminalizzazione" del movimento operaio, quanto piuttosto c'è stata una politicizzazione senza precedenti degli strati criminali del proletariato urbano.
C'è un terrorismo simbolico-morale, di cui si fanno carico sia dei personaggi solitari, come Ravachol o Bresci, col supporto di pochi amici, sia cellule autonome con una ventina di membri. Su questa scala non si intraprendono lunghe campagne. La sequenza tipica è quella dell'atto di vendetta, la morte del vendicatore, poi un'ulteriore vendetta per la sua morte. A volte il ciclo si ripete.
Ravachol vendica i lavoratori massacrati a Fourmies con una serie di bombe contro pubblici ministeri e giudici. Dopo che viene giustiziato, Meunier fa saltare in aria il ristorante Very, Leauthier pugnala il primo borghese che incontra per strada (si rivelerà essere un ministro Serbo) e Vaillant lancia una bomba alla Camera dei Deputati. Quando Vaillant viene ghigliottinato, viene vendicato da Henry che fa saltare in aria il Café Terminus ed una stazione di polizia. L'arresto di Henry fa infuriare il critico d'arte Feneon che piazza una bomba nel Café Foyot, che per ironia della sorte ferisce l'anarchico Tailhade (il quale, nondimeno, approva l'azione). Infine, Caserio pugnala a morte il presidente della Francia, Sadi Carnot.
Il terrorismo espropriatore consta di due sottocategorie. Da una parte, le celebrate bande di anarco-fuorilegge come "I lavoratori della notte" di Jacob e la Banda Bonnot, a Parigi, e i desperados di Severino Di Giovanni a Buenos Aires.Dall'altro, più anonimi, sebbene non meno leggendari, i gruppi che rapinavano banche a beneficio delle loro organizzazioni politiche o sindacali. Il più famoso esempio è quello della cellula composta da socialisti rivoluzionari di sinistra, anarchici e bolscevichi, guidati dal misterioso "Pietro il Pittore", che compirono il "Tottenham Outrage" nel 1910, l'"Houndsditch Murders'" nel 1910 e che, nel 1911 durante il "Sidney Street Siege" , riuscirono a sfuggire, sparando con le loro Mauser, a Winston Churchill e alla Guardia Scozzese. Ma anche Ascaso e Durruti, i "Butch Cassidy e Sundance Kid" dell'anarchismo spagnolo, che passarono per Cuba, Messico ed Argentina nei primi anni 20.



Il terrosimo difensivo si presenta in condizioni di semi-guerra civile, quando lo stato ed i padroni attuano l'omicidio sistematico dei leader politici e sindacali e, nel frattempo, mantengono una facciata di democrazia elettorale. Era la situazione a Barcellona, dal 1917 al 1921, e in Germania fra il 1919 e il 1923, dove Max Hoelz guidò una banda di anarco-comumisti che rapinava banche, rapiva i proprietari, saccheggiava le case dei padroni e liberava prigionieri politici
Non sempre le azioni terroristiche si sono risolte in un effetto boomerang contro il gruppo che le ha compiute. Alcuni storici della prima rivoluzione cinese, ad esempio, accreditano agli anarchici degli "Eastern Assassination Corps" il merito di aver accelerato la decomposizione del potere della dinastia Qing. Nello stesso periodo, l'assassinio a Lisbona, nel 1908, del re portoghese da parte dell'anarchico-repubblicano Carbonari, spianò la strada alla rivoluzione dell'ottobre 1910. E ci si può rammaricare del fatto che gli anarchici italiani non riuscirono ad uccidere Mussolini, o che il KPD (il partito comunista tedesco) dopo il 1933 fosse dogmaticamente contrario all'omicidio politico.
Però, considerando il più "riuscito" singolo atto terroristico nella storia europea: l'esplosione della cattedrale Sveta-Nedeia a Sofia nel 1925. Un gruppo misto di comunisti e agrari di sinistra riuscì a piazzare una bomba durante il funerale di un generale, ucciso pochi giorni prima in un agguato anarchico. Sebbene non fosse presente il re Boris, la maggior parte della classe dirigente bulgara si raccolse nella cattedrale. L'esplosione uccise undici generali oltre la sindaco di Sofia, al capo della polizia e ad altre 140 personalità. E' stato l'unico caso di "terrorismo classico" portato a termine da un membro del Comintern. E il risultato fu il disastro: un nuovo regno del terrore che decimò la sinistra bulgara ...

martedì 21 agosto 2007

Miniere



Miniere, miniere di carbone.
Quanto c'è, sulla terra, di più simile all'inferno.
Dallo Utah alla Cina.
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Lo sciopero dei minatori di carbone del Colorado cominciò nel settembre del 1913. Quando lo sciopero ebbe inizio, i minatori furono immediatamente sfrattati dalle baracche che occupavano nelle cittadine minerarie. Aiutati dall'Unione dei Lavoratori Minerari, piantarono tende sulle colline vicine e continuarono, da questi accampamenti, lo sciopero e il picchettaggio. I poliziotti privati assunti dagli uomini di Rockfeller, che si erano rivolti all'agenzia investigativa Baldwin-Felts, cominciarono ad organizzare incursioni negli accampamenti, sparando con mitragliatrici e fucili.
L'elenco dei minatori morti si allungava, ma gli scioeranti resistettero. Respinsero un treno blindato in uno scontro a fuoco, riuscirono a tenere lontani i crumiri, portati da fuori per far fallire lo sciopero.
Il governatore del Colorado convocò la Guardia Nazionale, i cui stipendi vennero coperti da Rockfeller.
Dapprima, i minatori pensarono che la Guardia fosse stata inviata per proteggerli e l'accolsero applaudendo e sventolando bandiere. Presto scoprirono che era venuta per reprimere lo sciopero. Nell'aprile del 1914 due compagnie della Guardia Nazionale vennero schierate sulle colline che sovrastavano la principale tendopoli degli scioperanti, quella di Ludlow. La mattina del 20 aprile cominciarono a sparare sulle tende con le mitragliatrici. I minatori risposero al fuoco. Vennero uccisi i capi dello sciopero. Lou Tikas, il capo degli scioperanti greci, il siciliano Pasquale Costa insieme alla moglie e ai due figli, Frank Rubino, William Snyred e il figlio, la signora Chavez e i suoi due figli, la signora Malsovich insieme ai suoi sette bambini. Le donne e i bambini scavarono fosse sotto le tende per cercare di ripararsi dai proiettili. Al tramonto, le guardie cominciarono a scendere dalle colline per appiccare il fuoco alle tende. La gente che cercava di fuggire veniva mitragliata, tredici persone furono falciate dalle raffiche. Il giorno successivo un guardiasigilli della compagnia dei telefoni, attraversando i resti fumanti della tendopoli, sollevò un lettino di ferro che copriva una buca all'interno di una delle tende: c'erano i cadaveri carbonizzati e contorti di undici bambini e due donne. L'episodio passò alla storia come il massacro di Ludlow.
La notizia si diffuse rapidamente. A Denver, l'Unione dei Lavoratori Minerari lanciò un "Appello alle armi".
"Raccogliete tutte le armi e le munizioni che potete". Trecento scioperanti armati si misero in marcia da altre tendopoli, diretti a Ludlow. Tagliarono i fili del telefono e del telegrafo, e si preparano a dare battaglia.
I ferrovieri si rifiutarono di trasportare i soldati dalla caserma di Trinidad a Ludlow.
A Colorado Springs, trecento minatori del sindacato abbandonarono i luoghi di lavoro e, armati di revolver, carabine e fucili da caccia, si diressero verso il distretto di Trinidad. Nella stessa Trinidad, i minatori, dopo aver partecipato al funerale dei morti di Ludlow, raggiunsero un edificio vicino dove erano state raccolte delle armi. Presero i fucili e salirono sulle colline, devastando le miniere e uccidendo le guardie che le sorvegliavano e facendo esplodere i pozzi. A Denver, ottantadue soldati di una compagnia che doveva raggiungere Trinidad si rifiutarono di partire.
La stampa riportò: "Gli uomini hanno dichiarato che non avrebbero preso parte ad una sparatoria contro donne e bambini. Hanno coperto di fischi e insulti i trecentocinquanta che sono partiti".
Nel mentre cinquemila persone manifestavano sotto la pioggia sul prato antistante il campidoglio di Denver, chiedendo che gli ufficiali della Guardia Nazionale presenti a Ludlow fossero processati per omicidio, e denunciando il governatore come complice del massacro.
Il sindacato dei sigarai di Denver approvò con una votazione l'invio di cinquecento uomini armati a Ludlow. Le donne del Sindacato dei lavoratori dell'abbigliamento annunciarono che quattrocento di loro si erano offerte volontarie, come infermiere, per aiutare gli scioperanti.
Due giorni dopo, mentre i minatori erano in armi sulle colline del distretto minerario, il New York Times scriveva - "Il presidente dovrebbe distogliere la sua attenzione dal Messico quanto basta per prendere misure forti nel Colorado".
Il governatore del Colorado chiese truppe federali per ristabilire l'ordine, e il presidente Woodrow Wilson lo accontentò! A quel punto, lo scioperò si esaurì. Sessantasei uomini, donne e bambini erano stati uccisi e nemmeno un membro della milizia o una guardia mineraria erano stati incriminati.
Il Times aveva alluso al Messico. La mattina in cui a Ludlow vennero scoperti i cadaveri nella buca scavata sotto la tenda, le navi da guerra americane stavano attaccando Vera Cruz. La bombardarono, la occuparono e uccisero cento messicani perché il loro paese aveva arrestato alcuni marinai americani e aveva rifiutato di sparare ventuno salve di cannone, in segno di scusa verso gli Stati Uniti.

lunedì 20 agosto 2007

Notizie ...



Sono troppo pigro per tentare l'esperimento, però sono costretto ad ammettere che ogni tanto mi sento come invogliato a mettermi a raccogliere, da qualche parte, le notizie "gustose" che, qua e là, affiorano dai giornali. Sarebbe tanto più facile, oggi, con il web!
Ma poi desisto e la do vinta alla pigrizia, senza però rinunciare a riportarne un paio quaggiù dentro, di notizie. Come quella, spassosissima, del settantenne che lascia in macchina la madre novantottenne per andare a ballare con la badante della stessa. O certo, spesso sono notizie che hanno il sapore della bufala (l'età del protagonista, da ieri, è cambiata tre volte, abbassandosi da 78 fino a 70 anni), però non credo che alcun giornalista sarebbe stato in grado di partorire il "non ci trovo nulla di male" proferito in risposta alla notizia di essere stato denunciato per abbandono di incapace.
Poi c'è la notizia di una "locomotiva lanciata a bomba contro l'ingiustizia", anche se non so se Claudio Fracchia sia biondo, visto che ha quarant'anni e quindi non è propriamente giovane; ma la polo VolksWagen che ha lanciato a più riprese contro gli avventori, seduti al tavolino di uno dei caffé storici di Torino, è quanto di più vicino alla storia del macchinista ferroviere cantato da Guccini!
Storie d'estate. Come quella che sto leggendo, a puntate, scritta da Paolo Rumiz su Repubblica, che parla di Annibale e del suo viaggio in Italia, fra aneddoti e suggestioni e scoperte. Decisamente affascinante!

venerdì 17 agosto 2007

Quando il passato ... resta!



Giuseppe Bonfatti, un partigiano come tanti. Nei primi giorni dell'ottobre del 1943, insieme ad altri giovani di Viadana (Mantova), crea la "Libera Associazione Giovanile". In seguito ad un lancio di volantini antifascisti è arrestato insieme ad altri compagni . Processato, viene condannato a cinque anni di confino e internato nel campo di concentramento di Fossoli di Carpi, da cui però fugge. Riesce a stabilire un collegamento col gruppo che di lì a poco diverrà la Prima Brigata Partigiana di "Giustizia e Libertà". Forma a Buscoldo un raggruppamento di "sappisti" che poi si fonderà con un altro gruppo di Cavallara. Bonfatti ne prende il comando. Il 19 novembre del 1944 gli arriva l'ordine di eliminare il tenente Omobono Fertonani, comandante delle brigate nere di San Matteo delle Chiaviche. Bonfatti gli tende un agguato, ma Fertonani non è solo e la sorpresa fallisce. Riesce comunque a lanciare da lontano una bomba a mano che ferisce leggermente il fascista, quindi si dà alla fuga. All'imboscata fa seguito un imponente rastrellamento e trentacinque partigiani vengono arrestati e condotti a Fossoli. Qualcuno parla e fa il nome di Giuseppe Bonfatti. Una squadra delle brigate nere di Sabbioneta, comandata da un certo Faina, mette in atto un'azione di rappresaglia contro la casa della famiglia di Bonfatti, dove erano la madre e le sorelle, dandola alle fiamme, picchiando le donne e uccidendo gli animali. Bonfatti giura di vendicarsi.
L'8 novembre 1990, in un bar del centro di Viadana, Bonfatti chiede di Giusppe Oppici, uno dei volontari che gli ha bruciato la casa. Oppici è un fascista incallito, uno di quelli che, ad esempio, litiga quando perde a carte. E tutte le volte che si arrabbiava, gli amici lo prendevano in giro dicendo - "guarda che prima o poi torna il Bonfatti e ti mette a posto", senza sospettare che la cosa si sarebbe avverata.
Riconosciutolo, Bonfatti lo invita con una scusa ad uscire dal bar. In mano ha un giornale, dentro al quale ha incartato un piccone lungo sessanta centimetri. Appena fuori dal bar, comincia a colpirlo alla testa con violenti fendenti, urlando - "Sono tornato per fartela pagare". Oppici crolla a terra. Il Bonfatti continua a colpire fino a quando non gli spacca la scatola cranica. Poi posa il piccone accanto al corpo e si avvia tranquillamente verso la piazza. Alla gente che accorre, si rivolge dicendo - "chiamate i carabinieri. Che mi vengano a prendere, quel che dovevo fare l'ho ormai fatto!" Poco dopo viene fermato. Assolutamente calmo, si dichiara "prigioniero di guerra" e, in caserma, quando gli chiedono il motivo per cui ha ucciso, tira fuori una "dichiarazione ad uso pensione di guerra" rilasciatagli dal comune di Viadana che attesta, fra l'altro, come gli sia stata incendiata la casa, per rappresaglia, da un gruppo di Brigate nere fasciste. E conclude - "sono tornato apposta dal Brasile per ammazzarlo". Ritiene di aver compiuto un atto di guerra partigiana, seppure con quarantacinque anni di ritardo!

giovedì 16 agosto 2007

Piccoli freddi e grandi imbrogli



"Il grande imbroglio", è la traduzione del titolo originale ("The Big Fix") di "Moses Wine Detective". Piccolo grande film, quasi misconosciuto, che si opponeva, a modo suo e a partire dal titolo, a quel "Il Grande Freddo" (The Big Chill) che da subito risultava troppo algido (per l'appunto!), e "costruito" come macchina per far soldi sul cadavere (che non si vede mai) di Kevin Costner.
Richard Dreyfuss si muove perfettamente a suo agio nei panni di un ex-sovversivo americano, mai pentito, finito per qualche strano scherzo del destino a fare l'investigatore privato. Sarà proprio il suo passato a strapparlo ad un destino di indagini su tradimenti e corna e lo costringerà a guardare negli occhi una realtà che non è quella che si vorrebbe essersi ... realizzata!
Il "situazionismo" fa capolino nella pellicola. Uno dei leader della rivolta studentesca, entrato in clandestinità e ricercato dall'FBI, è diventato ricco e lavora, sotto falsa identità, come dirigente di una delle maggiori società pubblicitarie americane. Era successo che, da latitante, vivacchiava lavorando nei bar. Consegnava panini e bibite negli uffici. Entrato in quest'ufficio, aveva visto i vari lavori appesi alla parete, i tentativi di creare degli slogan convincenti per vendere questo o quel prodotto. Qualcuno la aveva visto ridacchiare divertito dalla pochezza delle formule e gli aveva chiesto se lui sapeva fare di meglio. Sapeva farlo, ovviamente!
C'è una scena molto commovente che, a pare mio, vale da sola tutto il film. Il protagonista, per districarsi e cercare una traccia che possa condurlo alla verità, è costretto a visionare dei vecchi filmati in bianco e nero della rivolta di Berkley e, guardandoli, l'emozione cresce in lui, finché non riesce più a trattenere le lacrime. No, non era uno dei leader della rivolta il "piccolo" Richard Dreyfuss, ma in quella scena, in un attimo, entra nella schiera dei "grandi".

martedì 14 agosto 2007

Cuori Feriti



"Tom Russell è Johnny Cash, Jim Harrison e Charles Bukowski rollati dentro una sola persona. Provo una grande affinità verso le canzoni di Tom Russell, per come riesce a scrivere del Cuore Ferito dell'America"

Con queste parole, Lawrence Ferlinghetti ha dato il titolo al disco che raccoglie e riassume in un pugno di canzoni il tributo a Tom Russell. Da Johnny Cash a Doug Sahm, compreso lo stesso Ferlinghetti che recita "Stealing Electricity".
In più, lo stesso Tom Russell canta quattro canzoni, fra cui l'inedita "The Death of Jimmy Martin", dedicata a Jimmy Martin, morto nel 2005.

Ieri sera, il mio amico Federico mi ha fatto sapere, in diretta da Londra, che Tom Russell ha composto una canzone dedicata a Mother Jones, "The Most Dangerous Woman in America".
Peccato che fossero finite le magliette!

Ad ogni modo, questa è la tracklist del nuovo disco:

Johnny Cash – Veteran’s Day
Dave Alvin – Blue Wing
Joe Ely- Gallo del Cielo
Iris Dement – Acres of Corn
Dave Van Ronk – The Outcaste
Laurie Lewis – Manzanar
Doug Sahm – St Olav’s Gate
Suzy Bogguss – Outbound Plane
Ian Tyson & Nanci Griffith – Canadian Whiskey
Doug Sahm – Haley’s Comet
Jerry Jeff Walker – Navajo Rug
Ramblin’ Jack Elliott – The Sky Above
Lawrence Ferlinghetti – Stealing Electricity
Eliza Gilkyson – Walking on the Moon
Barrence Whitfield & Tom Russell – The Cuban Sandwich
Tom Russell - Who’s Gonna Build Your Wall?
Tom Russell - Home Before Dark
Tom Russell - The Death of Jimmy Martin

E questa è:

La Morte di Jimmy Martin
di Tom Russell

Un segugio si aggira correndo per la pineta
Il rumore dei suoi guaiti mi strappa l'anima
Una ghiandaia ha intonato un canto funebre
a tempo di ragtime.
Barbara Allen si è rivoltata nella tomba tutta la mattina
C'erano rose che crescevano dalla sua testa
Hey, stanotte Dio è andato a bruciare Nashville
Jimmy Martin è morto
Ah, il grande Jimmy Martin giace morto

Hai dieci decimi di vista ma stai girando in tondo come un cieco
Tu, minchione da Grand Ole Opry
Con i tuoi falsi giudizi e il tuo ipocrita snobismo
Ed il tuo Dio maledetto e senza cuore
Hai disprezzato Hank Williams ed hai emarginato Jimmy Martin,
Ragazzi che cantavano con lingua di fuoco
Hey, dio sta andando a bruciare il tuo Grand Ole Opry
Ascolta le urla degli ipocriti e dei bugiardi
Si sentono più al sicuro ora che Jimmy non c'è più.

Corri, Pete, corri, il tuo padrone ti chiama
Ti sta aspettando laggiù
Hey, non voltarti indietro, Nashville sta bruciando
Pete, Jimmy Martin è morto
Il grande Jimmy Martin è morto.

No, non chiamatemi cantante country
Per me c'è del veleno in codeste parole
E' dal 1973 che non sento una buona canzone country
Il re del bluegrass è morto per i vostri peccati
La puttana di Babilonia dorme nel vostro letto
E Dio, stanotte, è andato a bruciare Nashville
Jimmy Martin è morto
Il grande Jimmy Martin è morto.

Un segugio si aggira correndo per la pineta
Il rumore dei suoi guaiti mi strappa l'anima ...

lunedì 13 agosto 2007

Un Conto Personale



Ci sono dei film che riguarderesti sempre, ogni qual volta se ne dà l'occasione, ogni volta che ne hai il tempo e non hai altro da fare. Pigramente, smetti di cambiare canale e ti lasci andare a ri-guardare "Lo Squalo" per l'ennesima volta. Come ieri sera. E ancora una volta cerchi di disvelarne il meccanismo, provi ad estrapolare il nucleo della storia, almeno quello che per te è il nucleo! Quel che nella storia ti affascina, il pezzo del film che aspetti tutte le volte di poter rivedere.
Credo che sia così, più o meno, per tutti i film che si amano. Una parte, o due al massimo, più o meno lunga, che nella tua testa risolve, spiega tutto il film. Come in un gioco di citazioni da antologizzare. E ne "Lo Squalo" è il gioco dell'amicizia virile che si costruisce fra i tre uomini, a partire dal viaggio in barca. Durante la caccia. E non sono gli interessi comuni, a far da collante e a ricomporre i dissidii, bensì il lavoro comune. Il lavoro collettivo, insieme all'alcool e alla musica. Non c'è niente da fare, bisogna cantare insieme, dopo aver bevuto e mostrato ciascuno le proprie cicatrici. E i tatuaggi. Perché i tatuaggi, come le cicatrici, sono i segni indelebili della memoria. Anche il tatuaggio che si prova inutilmente a cancellare, come il nome della "Corazzata Indianapolis" che Quint/Robert Shaw reca sul braccio. Il suo conto personale con lo squalo. Perché il conto, quello vero, col nemico, è sempre e soprattutto un conto personale

Carte



"Io sono l'ultimo testimone.
Conservo documenti per un'epoca
che non li comprenderà più, o che vivrà
così lontana da quanto è accaduto
che dirà che ero un falsario"

Karl Kraus - "Gli Ultimi Giorni Dell'Umanità"

sabato 11 agosto 2007

Morte per lavoro




Non mi è simpatico Francesco Caruso, non certo per le sue ultime dichiarazioni a proposito della qualifica di assassini attribuita a Treu e Biagi (chissà perché non ha menzionato D'antona?). Forse non mi è troppo simpatico per il fatto che - come mi aspettavo - non ha tardato a voler ridimensionare (fino a chiedere scusa) le sue affermazioni che tutti, da Libero al Manifesto, hanno bollato come a dir poco demenziali.
E che cazzo, uno quando afferma delle cose dovrebbe preventivare la possibilità di non ritrattare, né del tutto né in parte!
Non mi è simpatico per forse troppi motivi, tutti tranne quelli espressi dai giornali. Per non parlare di quelli espressi dai rappresentanti delle forze politiche, in primis quella che lo ha fatto eleggere deputato in parlamento. Qualsiasi studente di giurisprudenza che ha, non dico studiato, letto un giurista di destra come Carl Schmitt, sa che non si governa senza sporcarsi le mani di sangue. Non lo sanno - a quanto pare - giornalisti e uomini politici, compresi quelli che amano fregiarsi dell'appellativo di comunisti. Ignoranti senza giustificazione?
Davanti ad un Francesco Caruso che, solo per un attimo, ha avuto il coraggio di dire la verità, gli hanno voluto ricordare - tutti in coro - che non si può. Non si può dire la verità semplice, ricordare le chiare responsabilità, non si può soprattutto quando si è in parlamento, oppure si è giornalisti. Non attiene loro, la verità!

giovedì 9 agosto 2007

La Parola Amica



Una vecchia e buona amica. Tale l'ho considerata Carla, per tutti questi anni. Grazie alla condivisione di molte cose, e fuori e dentro il luogo di lavoro. Ma evidentemente non è mai abbastanza. Non basta aver viaggiato insieme, aver parlato, essersi arrabbiati o aver pianto insieme. Non basta quando interviene un gesto, una parola che cancella tutto, come un colpo di pistola. E ti lascia a ricordare solo quello che serve a spiegare lo sparo.
Non ce n'era alcun motivo. bastava che mi chiamasse per telefono e mi chiedesse di cambiarle il toner per la stampante. Invece di farmi telefonare da altri ed intimare, la seconda volta, di farlo. Perché no, perché lei, diversamente dagli altri, non poteva andare a prenderlo da sé: ché non poteva lasciare la postazione! Quella stessa postazione che ho trovato deserta quando sono andato a fare quanto richiestomi, senza nemmeno sapere da chi doveva essere occupata quella postazione. Non c'era alcun bisogno di cambiare il toner, fra l'altro. Ho chiesto e mi hanno detto chi era l'interessato. Sono andato a cercarla, e l'ho trovata che conversava amabilmente con la dirigente autrice della seconda telefonata. Come chiarimento ho ricevuto - "io mi faccio un culo così!". Ho risposto uno scarno "ne prendo atto" e sono andato via senza aggiungere altro. Né allora né mai più. Ridendo amaramente, dentro di me, al suo ruolo di sindacalista delle "rdb"! Allontanandomi, via dalle sue piccole contraddizioni e dalle sue contraddittorie piccolezze. Libero.
"L'amicizia confonde". Era l'incipit di un vecchio film. "Corbari", con un improbabile Giuliano Gemma nel ruolo del partigiano "re di Faenza" (come l'ha incoronato Luca Mirti nella sua bellissima canzone "Iris e Silvio"). E l'amicizia confonde, è vero. Sovente ti chiude gli occhi, o ti spinge a guardare da un'altra parte. La frase, nel film, era riferita ad un "amico" che cercava di impedire al protagonista di intervenire per salvare un ebreo dai fascisti, e so benissimo che la cosa non è comparabile con gli avvenimenti che hanno suscitato in me il riaffiorare del ricordo di quella frase, ma l'amicizia confonde! E i nodi vengono al pettine. Sempre.
E sono venuti al pettine, giorni fa, quando in un solo attimo mi sono reso conto che chi consideravo mia amica da qualcosa come venticinque anni era solo una piccola squallida stronza. Basta poco, un atteggiamento che si ripete più volte, come in un crescendo - e prima hai sempre cercato di distogliere l'attenzione, chissà perché? - e una frase infelice, detta al momento sbagliato, col tono di voce sbagliato, con la luce sbagliata negli occhi. No, non sono "questioni di lavoro"! E' la vita, quella con cui bisogna misurarsi, giorno dopo giorno. Giorno per giorno. E le amicizie finiscono, come tutte le cose. E meglio se finiscono così. Male, così come finiscono male i "grandi amori". Ed è bene che finiscano male anche le amicizie che hai ritenuto essere vere. Solo le piccole vicende durano in eterno, e in eterno si ripetono, sempre uguali a sé stesse. E forse quest'enunciato (che riprendo da Tronti, scritto a proposito del libro della Rossanda) è una sorta di condanna. Una condanna all'infelicità, o ad una felicità sempre e comunque sporadica, precaria, da cogliere per quanto possibile nel tempo e nello spazio che ti consente, che ti regala. Si può essere d'accordo o non d'accordo, circa l'ineluttabilità della fine, ma continuo a ritenere che sia meglio decretare la fine di qualcosa, anche la sua "mala fine", piuttosto che trovarsi a commisurarlo a quel che era, e non è più. O che forse non è mai stato, anche se questo non importa.

mercoledì 8 agosto 2007

treni ...



Ci sono vari modi di leggere i giornali e di fruire delle cosiddette notizie tele-trasmesse. Tutti perdenti. Probabilmente ha ragione Sbancor quando dice che questo è un paese dove, per conoscere la realtà, bisogna leggere i romanzi. Fatto sta che certe notizie sembrano non avere diritto di cittadinanza alcuna, e in televisione e sulla carta stampata. Qualcosa riesce a trasparire solo sul web, come la notizia che ci sarà un aumento del prezzo del pane e della pasta nell'ordine del 20% circa. Sembra siano finite le scorte, e che il prezzo del grano duro (che in gran parte importiamo) sia andato alle stelle! Curioso, in questa estate del 2007, scoprire che con ogni probabilità aveva ragione l'ingegner Bordiga, a proposito del fatto che "Mai La Merce Sfamerà L'Uomo"! Ma tant'è. Molto meglio preoccuparsi e fare preoccupare della guida in stato d'ebbrezza, e relativa campagna di stampa, adesso affiancata dal problema degli incendi nei boschi. Argomenti principali in questa calda estate dove la sedicente sinistra può sfoggiare tutto il suo bagaglio culturale e proporre così una soluzione da fini giuristi a tutti i problemi che affliggono il paese: la galera! No, meglio non leggerli i giornali, forse. Che si perde sempre!
Però, a volte ......
... A volte ci sono delle parole, di rado dette, assai più spesso scritte, sebbene sempre più sparute e più rare, che sortiscono l'effetto di chiamare in causa, di spingere. Parole, frasi, che ti fanno quasi alzare in piedi, di scatto. E ci riescono perché ti inducono a parlare, a dire, a completare la "trama". Erri De Luca è uno fra quelli che ci riesce più spesso, e meglio. Ti far venire voglia di ricordare. Di scambiare i ricordi. Il tuo per il mio! Ti senti in obbligo, per quanto hai ricevuto, aggratis; e devi - è la legge del dono - ricambiare, apportare qualcosa che possa arricchire quella scheggia di passato che ha guadagnato un'esposizione pubblica. E allora ti viene naturale togliere la polvere a quanto ritenevi smarrito da qualche parte, dentro.
A dare la stura è stato uno scritto (non riesco a trovare altro modo per definirlo): "Sul treno il Novecento in libertà", apparso sul manifesto, per una sorta di rubrica letteraria estiva, a proposito de "I rifugi della sinistra". Credo valga più di una lettura. Per quanto mi riguarda, è servito a riportarmi indietro, sui treni di quegli anni. Treni lunghi, sui quali anch'io ho guadagnato la libertà della fuga. Dove anch'io ho imparato "la classe", la prima e la seconda, e la comunanza del "volete favorire" fatto di pane e salame, di vino e di arance.
Molto più lungo il mio, di viaggio, col mare in mezzo per sovrammercato. Come quella volta che da Messina, il traghetto dovette arrivare fino a Vibo Valentia, per poi trasbordarci su un autobus che ci ricongiungesse alla stazione, e al treno. Reggio Calabria era in rivolta per "Reggio capoluogo"! Ma furono quattr'ore di mare. E dopo un viaggio come quello, salutavi con affetto e trasporto chi ti guardava, magari con l'invidia di te che eri arrivato e lui continuava da Firenze Santa Maria Novella a Dusseldorf! Per poi rifarlo a Natale, a Pasqua, in estate, alle prossime elezioni. In otto, in uno scompartimento. A raccontarsi storie, a commentare le storie raccontate. Come quelle che racconta, e continua a raccontare, Erri De Luca.
Grazie.

martedì 7 agosto 2007

uno dei mods...



Peccato però che fosse vestito da rocker, Ricky Shayne! Anche se nel film, "La Battaglia dei Mods" (un "musicarello" del 1966, diretto da Franco Montemurro), erano vestiti da rockers anche i rockers.
Il film, già il film. Curioso, ma devo ammettere che il film sui mods, girato su un copione scritto da Ennio De Concini che cercava in qualche modo di dare un respiro ampio ad una storia che traeva ispirazione e motivo da una ... canzone.
Così dalla battaglia iniziale si dipanava una sorta di viaggio iniziatico da Liverpool fino a Roma, passando per Parigi e Genova. Un viaggio "banale" nella ricerca, già stantia in quegli anni, del ... padre da "uccidere". Eppure, quel film del 1966, visto nel 1967 all'età di 14 anni recava in sé qualcosa... Poche cose, certo, oltre la canzone ed il personaggio che amavo quando avevo quell'età; e tuttora conservo affetto per entrambi.
Poche cose, dicevo, destinate a segnarmi. Una ragazza con un caschetto di capelli neri ed un pacchetto di "Gitanes", tirato fuori dentro un vagone delle ferrovie francesi. Poi un Enzo Cerusico claudicante nei vicoli di una Genova malfamata, ed una chitarra regalata come pegno di gratitudine. Una chitarra, eredità e percorso, con la scritta tracciata sopra, a parlare della guerra di Spagna e delle Federacion Anarquista Iberica. Altri padri, non da uccidere ma da assumerne l'eredità che aveva più il sapore di una cambiale da onorare!
A tentare di riannodare il passato con il futuro. Con la musica, con le immagini, con le parole.
Con la vita.
A tentare di non smettere mai. Anche attraverso questa strana cosa chiamata "blog" che rischia di assomigliare sempre più ad una sorta di "guida per riconoscere i miei santi"!

lunedì 6 agosto 2007

La volontà del popolo (ancora!)



"La guardia è stanca." - Con queste parole, pronunciate nella notte del 5 gennaio 1918, un giovane marinaio anarchico di nome Anatoli Zhelezniakov (o Anatol Jeleznakoff) sciolse l'Assemblea Costituente e scrisse il suo nome nella storia della Rivoluzione Russa.
Quando nel 1917 il regime zarista era collassato, Zhelezniakov serviva su una dragamine che aveva base a Kronstadt. Dopo la rivoluzione di febbraio, gli anarchici insieme ad altri militanti avevano occupato la villa di P.P.Durnovo (governatore di Mosca durante la rivoluzione del 1905) e l'avevano trasformata in una comune rivoluzionaria, con stanze per leggere e discutere ed un giardino come campo da gioco per i bambini. L'occupazione rimase indisturbata fino al 5 giugno 1917, quando un certo numero degli occupanti provò ad impadronirsi della macchina tipografica di un giornale borghese. Allora Pereverzev, ministro della giustizia del governo provvisorio, ordinò agli anarchici di abbandonare immediatamente la casa.
Il giorno successivo, cinquanta marinai, fra cui Zhelezniakov, arrivarono da Kronstadt per difendere i loro compagni che, nel frattempo, si erano barricati nella villa per resistere all'attacco del governo. Per le successive due settimane rimasero trincerati, sfidando il governo e il soviet di Petrograd. Ma dopo l'assalto, da parte di alcuni anarchici, ad una vicina prigione, per liberare i detenuti, il ministro Pereverzev ordinò un attacco alla villa, durante il quale perse la vita un operaio anarchico e venne catturato Zhelezniakov che, dopo un processo sommario, fu condannato a 14 anni di lavori forzati. Un gruppo di marinai andò a Palazzo Tauride per parlare con Pereverzev. Non avendolo trovato, sequestrarono Victor Chernov (socialista rivoluzionario ministro dell'Agricoltura e futuro presidente di quell'Assemblea Costiuente cui Zhelezniakov, sei mesi più tardi, avrebbe intimato il suo ordine di disperdersi). Fu solo grazie a Trotsky che Chernov evitò di essere linciato.
Poche settimane più tardi, Zhelezniakov evase e riprese le sue attività rivoluzionarie. Organizzò una dimostrazione di massa dei marinai di Kronstadt all'ambasciata americana, per protestare contro la condanna a morte di Tom Mooney e la minaccia di estradare in California Alexander Berkman, entrambi accusati di essere implicati nel "Preparedness Parade bombing" del 22 Lugio 1916 a San Francisco.

Nell'ottobre del 1917, Zhelezniakov lavorò insieme ai bolscevichi per abbattere il Governo Provvisorio. Dal momento che l'equipaggio del suo dragamine lo aveva eletto delegato al Secondo Congresso dei Soviet del 25 Ottobre 1917, la notte stessa assaltava il palazzo d'inverno alla testa di un contingente di marinai. Dopo l'ottobre rivoluzionario venne nominato comandante del distaccamento a guardia del Palazzo Tauride.
"Bandoliere piene di cartucce drappeggiavano le loro spalle in modo civettuolo e le granate pendevano inopportunamente dalle loro cinture" - così li descrive un testimone oculare!
E sarà in questo ruolo che, su ordini bolscevichi, compirà la sua missione storica di sciogliere l'Assemblea Costituente.
Durante la guerra civile che ne seguì, Zhelezniakov combattè nell'Armata Rossa in qualità di comandante di una piccola flotta, prima, e di un treno corazzato, dopo. Prese parte alle campagne contro i cosacchi del Don e contro i generali Krasnov e Denikin. Quando Trotsky riorganizzò l'Armata Rossa, mettendo al comando ufficiali zaristi e abolendo il sistema di auto-governo, Zhelezniakov protestò vigorosamente, così come fecero molti altri rivoluzionari che si opposero al ritorno dei vecchi metodi militari. Per tale motivo venne messo fuorilegge.
Ad ogni modo, Zhelezniakov tornò a Mosca illegalmente e discusse la cosa con Sverdlov, presidente del Comitato Esecutivo dei Soviet, che gli spiegò che c'era stato un equivoco e gli offrì un'alta posizione militare. Zhelezniakov declinò l'offerta e si recò ad Odessa per riprendere la guerra contro i Bianchi. L'anno successivo, nel 1919, i Bolscevichi gli rinnovarono la proposta. Stavolta Zhelezniakov accettò e venne designato comandante della campagna contro Denikin. Zhelezniakov combattè fino al 26 Luglio 1919, ucciso da una granata dell'artiglieria dei Bianchi. Aveva 24 anni.

venerdì 3 agosto 2007

Strade



"Mi sono calcato il cappello all'indietro e mi sono incamminato verso ovest da Redding attraverso le foreste di abeti lungo la costa vagabondando di città in città con la chitarra appesa sulle spalle. Ho cantato nei bassifondi di quarantadue stati: la Reno Avenue di Oklahoma City, la Lower Pike Street di Seattle, il tavolo del giudice di Santa Fé, le baraccopoli infestate da mosche intorno alle discariche di rifiuti delle città. Ho cantato negli accampamenti che chiamano ‘Little Mexico’, nella parte lercia dei verdi pascoli della California. Ho cantato sulle chiatte di ghiaia della costa Est e lungo la Bowery di New York guardando i poliziotti dare la caccia agli ubriaconi di rum.
Mi sono chinato lungo la curva del Golfo del Messico e ho cantato fra il sale e il catrame di Port Arthur, fra gli operai dei pozzi e delle raffinerie di Texas City, fra i fumatori di marijuana di Houston. Ho seguito gli itinerari di fiere e rodei per tutta la California settentrionale, Grass Valley, Nevada City. Ho seguito le piste delle albicocche e delle pesche intorno a Marysville e le colline sabbiose dei vigneti di Auburn bevendo il vino fatto in casa dagli amici contadini. Ovunque, ho messo il cappello in terra e cantato per gli spiccioli. A volte sono stato fortunato e mi sono trovato dei buoni lavori. Ho cantato alle radio a Los Angeles, e ho avuto lavoro da zio Sam per andare nella valle del fiume Columbia e registrare ventisei canzoni sulla diga del Grand Coulee. Ho inciso due album di dischi chiamati Dust Bowl Ballads per la Victor. Ho perso di nuovo la strada ed ho attraversato altre due volte il continente sulle carrozzabili e sui treni merci. La gente mi ha ascoltato nei programmi nazionali CBS e NBC ed ha pensato che fossi ricco e famoso, ed invece non avevo neanche un soldo in tasca al momento di riprendere il cammino."

Woody Guthrie - Bound For Glory

giovedì 2 agosto 2007

Una partita a poker ... con Katrina



Si chiama Katrina (su youtube)
di Ralph Kline

Stanotte mi sono sdraiato, per dormire
Prego il signore affinché custodisca la mia anima
Ascolto il vento, rispondermi
La tua anima è tutto quel che hai, tutto quel che hai

Lei arriva stanotte, a vedere le nostre carte
Nessun Jack, o Regina, o Re può batterla
Anche con un Full è meglio passare
Lei lo sa, la sua Scala può vincere
Stanotte, è lei che comanda

Lei fa girare il vento, e fa cadere la pioggia
Chiuderà la partita con onde rabbiose
Non prova nessuna vergogna, mentre distribuisce il dolore
Si chiama Katrina, il suo nome è Katrina

Noi lanciamo i dadi, lei farà girare la ruota
Noi valutiamo le probabilità, lei vincerà il piatto
Lei guarderà le nostre mani, e poi darà le carte
Una partita, e lei è venuta per uccidere
Il dolore, e lei è venuta a distribuirlo

Con la luce del mattino, sapremo deridere la sua ira
E quelli che lei ha risparmiato cammineranno in lutto
Pagheremo il tributo, dopo averlo calcolato
E poi, sentiremo la sua risata
Sentiremo Katrina ridere
Per sempre, la sentiremo ridere

mercoledì 1 agosto 2007

Deserti ...




Mi ero disposto per bene, sul divano. Pistacchi e tequila! Pronto a godermi gli sviluppi che l'intricata trama di "Jericho" mi avrebbe riservato. E invece no, niente. La seconda settimana senza.
La morte del quasi-novanticinquenne (si è spento serenamente all'età di novantacinque anni.... E, cazzo, s'aveva anche a lamentare!) Michelangelo Antonioni ha suscitato alla direzione di rai due l'esigenza insopprimibile di riservargli un omaggio. E così mi ritrovo a guardare "Zabriskie Point", dopo non ricordo quanti anni dall'ultima volta che l'ho visto. Lo guardo, prestandovi maggior attenzione, mentre lo filtro con le "conoscenze" acqusite solo molto tempo dopo la mia prima visione del film. Guardo il protagonista, rimasto giovane. Per sempre. Morirà in carcere, qualche anno dopo il film. Rimarrà ucciso, strozzato da una di quelle macchine da palestra, per il sollevamento pesi fatto da sdraiati, in condizioni misteriose. Era in carcere in seguito ad una rapina, allo scopo di finanziare un'organizzazione di estrema sinistra.
Guardo il protagonista, Mark Frechette, e lo vedo somigliante a mio figlio. Ma forse è solo la somiglianza...a certi sogni.
Il film, dicevo, il film visto con occhi nuovi seppure invecchiati. Mi soffermo a leggere sui titoli di testa, e mi accorgo che la sceneggiatura è firmata per metà da americani e per metà da italiani. Fra gli americani, Sam Shepard. Non lo sapevo allora. Ma anche se l'avessi letto, a quei tempi, non sapevo una sega di chi fosse Sam Shepard!
La scena iniziale, mi afferra per le palle e mi trascina nel passato. Quello vero, non certo quello che la memoria riesce a lenire, con la sua misericordia, quarant'anni dopo! Ed è un bene.
Certo non c'erano divisioni fra bianchi e negri, in Italia, anche perchè, sicuramente, non c'erano "bianchi e negri" in Italia! Ma c'erano sicuramente la noia e i discorsi idioti. E l'accusa di individualismo, e pure borghese!
Fu uno dei miei primi impatti, con l'università e il movimento, ovviamente attraverso gli occhi di una ragazza. Tutto secondo copione. Accadde all'opera universitaria, in piazza san Marco, dove le matricole erano state convocate per comunicare loro che non avrebbero avuto diritto al pre-salario (cinquecentomila lire l'anno!). Fu lì che mi incazzai per la prima volta, a Firenze. E una ragazza, piccola dolce e molto carina, mi venne a dire che non serviva a niente. Che bisognava organizzarsi, ecc. ecc.. L''individualismo borghese, e tutto il resto. Era di "servire il popolo", credo. Ricordo che mandai una lettera individuale, all'opera universitaria, in cui li invitavo a ricontrollare la mia situazione. Diversamente - minacciavo - avrebbero avuto mie notizie attraverso la "procura della repubblica". La tattica mi era stata suggerita dal "barone situazionista napoletano", di cui ho parlato un'altra volta. Poco tempo dopo mi arrivò una lettera di scuse, da Staderini, il presidente dell'opera universitaria (curioso come ci si riesca a ricordare, a tanti anni di distanza, dei nomi...insignificanti). Ebbi il presalario! E Staderini, finché il presalario non venne pagato, ogni notte venne tempestato da decine di telefonate che gli rammentavano quanta fame avevano gli ospiti della "Casa dello studente". Indivualisti, forse borghesi anche se non credo, sicuramente organizzati a modo nostro, come sono sempre stato (mi si perdoni l'anacoluto).
La ragazza la rividi solo un paio di volte. Poi più!
Forse perché mancava una colonna sonora come la "Tennessee Waltz" del film... Forse!