sabato 11 ottobre 2025

Il “Soggetto vuoto” e “l'Enciclopedia Fantastica di Borges” !!

Il proletariato come potenza della non identità
- di Vladimir Safatle -

«Ciò che ancora manca, è l'audacia rivoluzionaria che scaglia contro l'avversario la dichiarazione provocatoria:
"Non sono niente e sarò tutto!"». (Karl Marx)

Genealogia del proletariato
Nell'orizzonte dell'emergere dei soggetti politici, qual è la posizione attuale del proletariato? Per comprendere meglio questo punto, bisogna insistere sul fatto che c'è una situazione che definisce l'emergere del proletariato, vale a dire, la sua espropriazione assoluta. Infatti, così come esso è stato definito nella Costituzione Romana, quella proletaria, è l'ultima delle sei classi censuarie; una classe composta da coloro che si caratterizzano, pur essendo liberi, ma non avendo alcuna proprietà, o non avendo abbastanza proprietà, venendo considerati cittadini con diritto di voto e obblighi militari. Il loro unico possesso è la capacità di procreare e avere figli. Così, ridotti alla più elementare condizione biopolitica, alla condizione di riprodurre la popolazione, i proletari rappresentano ciò che non viene contato. Da qui un'importante affermazione di Jacques Rancière: «In latino, proletari significa "persona prolifica" – una persona che fa figli, che semplicemente vive e si riproduce, senza nome, senza essere annoverata come parte dell'ordine simbolico della città» [*1]. Alla fine del XVIII secolo, proletario designava ciò che è «malvagio, vile» o, in francese, veniva usato come un sinonimo di "nomade", senza luogo. È nel bel mezzo della Rivoluzione francese, e specialmente dopo la Rivoluzione del 1830, che il termine verrà gradualmente arricchito di una sua connotazione politica, al fine di designare così coloro che hanno il proprio salario giornaliero pagato solo in base al loro bisogno fondamentale di autoconservazione, siano essi contadini o operai; e che dovrebbero essere oggetto di azioni politiche condotte in nome della giustizia sociale. In tal senso, i proletari non sono ancora il nome di un soggetto politico emergente, bensì il nome di un punto di intollerabile sofferenza sociale, un «significante centrale dello spettacolo passivo della povertà» [*2]. Un chiaro esempio in tal senso, è dato dall'uso che del termine ne fa Saint-Simon. È tra i sansimonisti che la dicotomia tra proletari e borghesi viene descritta per la prima volta, sia pure in quello che rimaneva come un orizzonte di possibile conciliazione degli interessi. E in questo senso - più che coniare l'uso sociale del termine - il successo di Marx consiste nel collegare il concetto di proletariato a una teoria della rivoluzione o, piuttosto, a una teoria della lotta di classe, la quale è espressione della «storia della guerra civile, più o meno nascosta, nella società esistente» [*3]. Ecco perché Marx parlerà dei sansimonisti, e di altri socialisti, come «critico-utopici»: «I fondatori di questi sistemi, comprendono bene cosa sia l'antagonismo delle classi, così come comprendono l'azione dei fattori responsabili della dissoluzione della stessa società dominante. Ma essi, tuttavia, non percepiscono nel proletariato alcuna iniziativa storica, alcun movimento politico che gli sia proprio» [*4]. A modo suo, Marx condivide con Hobbes la medesima comprensione della vita sociale, vedendola come una guerra civile immanente. Tuttavia, poiché non si tratta di pensare alle condizioni per la formazione della società come un'associazione di individui, ma di smettere di pensare alla vita sociale come a partire dall'elevazione dell'individuo a cellula elementare, questa guerra non sarà l'espressione delle dinamiche competitive tra individui privi di relazioni naturali tra loro. Sarà una guerra di classe, all'interno della quale una delle classi apparirà come la somma di tutti coloro che non hanno nient'altro a loro disposizione. Di qui una guerra che non può che portare, non alla vittoria di una classe su un'altra, ma alla distruzione del principio stesso che costituisce le classi, vale a dire il lavoro e la proprietà in quanto attributo fondamentale degli individui. Ciò spiega perché Marx deve essere chiaro: «La rivoluzione comunista è diretta contro quello che è il tipo precedente di attività, essa abolisce il lavoro e sospende il dominio di tutte le classi, sopprimendo le classi stesse, e dal momento che questa rivoluzione è condotta dalla classe che la società non considera tale e che non riconosce come classe, essa allora esprime, per sé, la dissoluzione di tutte le classi, di tutte le nazionalità, ecc., all'interno della società odierna» [*5]. Bisogna capire meglio che cosa significhi dire che il proletariato esprime la dissoluzione di tutte le classi, e la dissoluzione di tutto ciò che costituisce le classi. In primo luogo, ricordiamoci che una tale guerra civile, tra proletari e borghesia che porta alla rivoluzione, è il risultato di una contraddizione il cui motore è la borghesia stessa. Marx non si stancherà mai di affermare che la borghesia è una classe rivoluzionaria: «La borghesia, non può esistere senza rivoluzionare incessantemente gli strumenti di produzione, e di conseguenza i rapporti di produzione, e insieme a essi tutti i rapporti sociali» [*6]. Sarà essa a mostrarci come tutto ciò che è solido si dissolva nell'aria. Tuttavia, la borghesia è una sorta di agente involontario della storia. «Assomiglia allo stregone che non riesce più a controllare i poteri infernali che ha convocato» [*7], ed è essa a «produrre i propri becchini» [*8]. In altre parole, la sua azione è contraddittoria poiché, nel processo di autorealizzazione, la borghesia produce una figura che le si opporrà e che la distruggerà. In questo modo, la borghesia diventa lo scenario in cui si realizza un'impressionante operazione di auto-negazione, che non è solo l'auto-negazione degli interessi di una classe, ma è l'auto-negazione della vera e propria “produzione della vita” vigente fino a quel momento, con le sue relazioni tra i soggetti, tra la società e la natura, tra il soggetto e sé stesso. Una simile abnegazione è guidata dalla produzione di eccesso. La borghesia produce crisi descritte come a«epidemie di sovrapproduzione», le quali distruggono gran parte delle forze produttive già create: «La società possiede quella che è una civiltà in eccesso, dispone di troppi mezzi di sussistenza, di troppa industria, e di troppo commercio». Un eccesso, questo che: «getta nel disordine l'intera società, e minaccia l'esistenza della proprietà borghese». Infatti, un così tanto eccesso di produzione, di commercio e di civiltà conduce a una svalutazione tendenziale della produzione stessa; svalutazione che può essere superata solo attraverso la distruzione violenta di un gran numero di forze produttive, o con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso di quelli vecchi. Ha una struttura monopolistica, la quale può comportare solo un'abolizione della proprietà privata «per i nove decimi della società». Tuttavia, un tale disordine, prodotto dalla borghesia e dalla sua escalation globale, non costituisce solamente l'annuncio della distruzione. Ma finisce per essere anche la produzione involontaria di nuove relazioni, che in germe costituiscono la forma di quello che sarà un altro mondo: «È solamente questo sviluppo universale delle forze produttive, a portare in sé uno cambiamento universale degli uomini, in virtù del quale, da una parte, il fenomeno della massa "espropriata" si realizza simultaneamente in tutti i popoli (concorrenza universale), rendendo ciascuno di essi dipendente dalle corrispondenti trasformazioni rivoluzionarie degli altri e, infine, istituendo degli individui storico-universali, empiricamente universali, al posto degli  individui locali » [*9]. Il disordine, produce così un fenomeno universale di espropriazione e di cambiamento. Ma una simile espropriazione universale, non è solo un fenomeno negativo, poiché, a sua volta, essa produce nuove forme di interdipendenza e di simultaneità. La borghesia apre lo spazio all'avvento di quelli che saranno individui storico-universali caratterizzati da una comune espropriazione e da una simultaneità di tempi fino ad allora completamente dispersi. Essa produce le condizioni per l'avvento di un'universalità concreta che sospenderà e supererà lo stato attuale delle cose. È questo il modo in cui produce i suoi becchini.

L'indeterminatezza sociale del proletariato
Questo dimostra come, secondo Marx, la rivoluzione possa essere fatta solo dalla classe di coloro che sono spossessati di qualsiasi significato, e profondamente privi di identità. Una classe formata da «individui storico-universali, empiricamente universali, piuttosto che da individui locali» [*10], appare essere ben poco in linea con la visione dei lavoratori che lottano per il riconoscimento delle loro tradizioni, e dei loro stili di vita. Al fine dell'apparizione degli individui storico-universali, è necessaria una certa esperienza della negatività, che, a partire da Hegel, è stata condizione per la fondazione di una vera universalità. Il proletariato soffre una esperienza del genere, a causa della completa espropriazione di sé stesso, descritta da Marx in termini quali: « Il proletario è senza proprietà (eigentumslos); il suo rapporto con le donne e con i bambini non ha più nulla a che fare con le relazioni che ci sono nella famiglia borghese; il lavoro industriale moderno, la moderna sussunzione al capitale, in Inghilterra, in Francia, in America e in Germania, lo hanno spogliato di ogni suo carattere nazionale. Il diritto, la morale, la religione sono per lui dei pregiudizi borghesi che nascondono i vari interessi borghesi» [*11]. Come si può vedere, il proletariato non si definisce solo sulla base di un impoverimento estremo, ma a partire dal completo annullamento dei legami con le forme di vita tradizionali. Tali legami, non si recuperano in un processo politico di autoaffermazione; non si tratta di permettere ai proletari di avere una nazione, una famiglia borghese, una morale e una religione. Tali normatività, sono state negate in quella che è stata una negazione senza ritorno. Tuttavia, una simile negazione non porta il proletariato ad apparire come se fosse «quella massa indefinita, destrutturata e sballottata, che i francesi chiamano la bohème» [*12], e che Marx definisce "sottoproletariato" [*13]. Vale qui la pena di approfondire questo punto, poiché sono stati in molti a cercare, a partire da Bakunin, di trasformare il concetto di "lumpemproletariat" nel vero concetto di forza rivoluzionaria espresso da Marx [*14]. Come avviene per il concetto di proletariato, anche il concetto di sottoproletariato non descrive immediatamente un agente economico, ma piuttosto una sorta di soggetto politico, o meglio, una sorta di anti-soggetto politico. Ricordiamo la strana estensione che il termine assume nel 18 brumaio: «Accanto a mariuoli rovinati, dai mezzi d’esistenza e dall’origine equivoca, accanto ad avventurieri corrotti, feccia della borghesia, vi si trovavano vagabondi, soldati in congedo, forzati usciti dal bagno, galeotti in rottura di bando, birbe, furfanti, lazzaroni, tagliaborse, ciurmadori, bari, ruffiani, tenitori di postriboli, facchini, letterati, sonatori ambulanti, straccivendoli, arrotini, stagnini, accattoni, in una parola, tutta la massa confusa, decomposta, fluttuante, che i francesi chiamano la "bohème"» [*15]. È difficile, non leggere tutta questa serie, descritta da Marx, con i suoi letterati e affilatrici, senza ricordare l'Enciclopedia Fantastica di Borges. Perché ciò che totalizza questa serie, non è la presunta analogia tra tutti quelli che sono i suoi elementi di sradicamento sociale. A tal riguardo, ricordiamo che Marx, ne "La lotta di classe in Francia", si spinge fino a descrivere l'aristocrazia finanziaria come se essa fosse «la rinascita del sottoproletariato ai vertici della società borghese». C'è un sottoproletariato al livello più basso dello strato sociale, e uno al livello più alto, e quelli al livello più alto sono perfettamente radicati nell'imbroglio funzionale del capitalismo finanziario. Infatti, ciò che li accomuna è una certa concezione dell'improduttività, una differenziazione tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, ma si tratta di una differenziazione concepita dal punto di vista della produttività dialettica della storia. E questo dal momento che il sottoproletariato è una massa destrutturata, la cui negatività non si presenta come una contraddizione rispetto alle condizioni dello stato attuale di vita. In questo senso, si tratta della rappresentazione sociale della categoria della negatività improduttiva. Per questo motivo, viene rappresentata una massa eterogenea, che può guadagnare omogeneità purché trovi un termine unificante che le dia stabilità all'interno della situazione politica esistente. Tale termine, nel "18 brumaio", non è altro che Napoleone III, «il capo del sottoproletariato». Colui che dà omogeneità a tale eterogeneità sociale, nella storia stessa, ripetuta come una farsa, che deve confessare di essere una farsa per poter continuare a esistere. Tuttavia, bisogna insistere sul fatto che il modello di stabilizzazione prodotto da Napoleone III, è una sorta di stabilizzazione nell'anomia. Per mezzo di Napoleone III, l'eterogeneità del sottoproletariato rimane radicalmente passiva, rimane come un'azione antipolitica, perché si adatta alla gestione dello sradicamento sociale, e così i suoi crimini romanzati non si trasformano in alcuna azione di trasformazione. In effetti, questa destrutturazione anomica, e l'indeterminatezza del sottoproletariato, è tipica di coloro che conservano ancora la speranza di un ritorno all'ordine, o che non sono capaci di concepire nulla al di fuori di un ordine che essi stessi sanno essere completamente compromesso. Tutto ciò fa sì che la sua azione politica non sia altro che una "parodia" di una trasformazione, una "commedia", se non addirittura una "mascherata": tutti termini, questi, usati da Marx nel 18 Brumaio per parlare di rivoluzioni che sono, in realtà, dei tentativi di stabilizzazione nel caos. Il sottoproletariato, rappresenta una negatività che non può essere integrata nel processo dialettico, poiché esso rappresenta il congelamento della negatività in quella che è come una sorta di cinismo sociale. In questo caso, invece, il proletariato è caratterizzato dall'assenza di qualsiasi aspettativa di remunerazione. Il proletariato, invece, è un'eterogeneità sociale che semplicemente non può essere integrata senza che la sua condizione passiva si trasformi in attività rivoluzionaria. Per questo motivo, essendo privato della proprietà, della nazionalità, dei legami con i modi di vita tradizionali e della fiducia nelle norme sociali stabilite, può trasformare la propria impotenza in una forza politica volta a una trasformazione radicale delle forme di vita. A tal fine dobbiamo comprendere che l'affermazione della condizione proletaria non va confusa con una qualche forma di richiesta di riconoscimento di stili di vita disprezzati, chiaramente organizzati nella loro particolarità. Al contrario, l'affermazione di una tale condizione proletaria genera la classe di questi soggetti senza predicati che, come si dice nella "Ideologia tedesca", potranno essere soddisfatti pescando di giorno, pascolando nel pomeriggio e facendo critica di notte, senza (e questo è il punto principale) tuttavia essere pescatore, pastore o critico; cioè senza permettere al soggetto di determinarsi interamente nei suoi predicati [*16]. Ciò significa che l'attività di pesca, di pastore e di critica non può essere, allo stesso tempo, identificazione del soggetto. È come in Hegel, dove la posizione del soggetto, la sua esteriorizzazione, mostra che ad animare  il movimento dell'essenza ci sia qualcosa di radicalmente anti-predicativo [*17]. Il che non potrebbe essere diverso, se pensiamo al proletariato come a questa classe «che esprime, di per sé, la dissoluzione di tutte le classi all'interno della società odierna» [*18]. La classe di chi dissolve tutte le classi in modo da rappresentare così  «la perdita totale dell'umanità» [*19], e che non trova più una figura nell'immagine attuale dell'uomo. In questo senso, possiamo dire che - come nella teoria hegeliana del soggetto (anche se Marx ha squalificato tale assimilazione dal momento che vedeva in Hegel un'elaborazione meramente astratta del problema) -  il proletariato supera la sua alienazione solo nel confrontarsi con il carattere profondamente indeterminato del fondamento e conservando  qualcosa di questa indeterminatezza [*20]. Il suo ruolo di redenzione (Erlösung) può essere svolto solo a condizione di assumere la sua natura di dissoluzione (Auflösung). Come dirà Balibar, l'avvento del proletariato, in quanto soggetto politico, è l'apparizione di un «soggetto visto come vuoto» [*21] e che non è affatto privo di determinazioni pratiche. Questa manifestazione di un vuoto rispetto alle attuali determinazioni identitarie. ci porta a comprendere che l'auto-riconoscimento è possibile solo a condizione di una critica profonda di ogni tentativo di ristabilire delle identità immediate tra il soggetto e i suoi predicati. Se è così, allora possiamo dire che la lotta di classe in Marx non è semplicemente un conflitto morale, motivato dalla difesa delle condizioni materiali finalizzata a una stima simmetrica tra soggetti disposti a farsi riconoscere, nella prospettiva dell'integralità delle loro personalità. L'abolizione della proprietà privata, deve necessariamente accompagnare l'abolizione di un'economia psichica basata sull'affermazione della personalità come categoria identitaria. Insistiamo su questo punto, ricordando un passaggio importante del Manifesto del Partito Comunista: «I proletari possono impossessarsi delle forze produttive sociali solo abolendo il modo di appropriazione che corrisponde a esse, e quindi il modo di appropriazione che è esistito finora. I proletari non hanno nulla di proprio da salvaguardare; La loro missione è quella di distruggere tutte le garanzie e le sicurezze della proprietà privata esistite finora» [*22].

   Rendiamoci conto del carattere paradossale di questo passaggio. I proletari, possono impadronirsi delle forze produttive solo abolendo ogni forma di appropriazione finora esistita. Il modo di appropriazione dei proletari è un modo a oggi tuttora inesistente, impensabile finora poiché non si tratta di un semplice passaggio dalla proprietà privata alla proprietà collettiva. È piuttosto l'appropriazione da parte di coloro che non hanno nulla di proprio da salvaguardare, di chi non ha e avrà nulla di proprio. Una simile appropriazione, non è solo la distruzione della proprietà, ma è anche la distruzione della propria proprietà. Per questo motivo, in Marx, la lotta di classe non può essere intesa come se fosse solo una mera espressione di quelle che sarebbero solo delle forme di lotta contro l'ingiustizia economica, poiché essa è anche un modello di critica del tentativo di trasformare l'individualità, visto nell'orizzonte ultimo di tutti i processi di riconoscimento sociale. E questo non potrebbe essere diverso, se si ricorda che, almeno all'interno della tradizione dialettica, la "persona" rappresenta una categoria storicamente derivata dal diritto di proprietà romano (dominus), categoria che, poiché conserva ancora le tracce della sua origine, veniva vista da dei filosofi come Hegel come se fosse già in sé un'«espressione di disprezzo» [*23]; e questo a causa della sua natura meramente astratta e formale, derivante dall'assolutizzazione dei rapporti di proprietà [*24].  E in Marx, troviamo chiaramente questa critica già presente in Hegel. Così come Marx insisteva, ad esempio, sul fatto che la nozione di libertà presupposta dalla "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", del 1793, era in gran parte basata sull'assolutizzazione del singolo proprietario. Da qui un'affermazione come quella secondo cui: «Il limite entro il quale [un cittadino] può muoversi, per non danneggiare l'altro, è determinato dalla legge, nello stesso modo in cui il limite tra due appezzamenti di terreno è determinato dal palo della recinzione. Si tratta della libertà dell'uomo visto come monade isolata rinchiusa in sé stessa (...) L'applicazione pratica del diritto umano alla libertà, equivale al diritto umano alla proprietà privata». [*25]. La libertà, per Marx, passa attraverso la liberazione del soggetto dalla sua condizione di individuo che si relaziona con un altro individuo, come ad esempio avviene per due appezzamenti separati dal palo della recinzione. Saremo fedeli allo spirito del testo di Marx solo se affermeremo che, attraverso la lotta di classe, un'esperienza sociale post-identitaria può aver luogo. Possiamo anche dire che "proletariato" è la denominazione politica della forza sociale della de-differenziazione identitaria, il cui riconoscimento può disarticolare completamente le società organizzate, basate sull'ipostasi dei rapporti di proprietà generali [*26]. Per questo motivo, il proletariato non può essere immediatamente confuso con la categoria del popolo. Manca la tendenza immanente all'identità, e alla configurazione limitante, che è quella che definisce un popolo. Il proletariato funziona assai più come una sorta di anti-popolo, e questo nel senso di quel potere sempre vigile che rimane a ricordarci la provvisorietà delle identità, degli stati e delle nazioni, così come ci ricorda il costante impulso di integrazione di quella che inizialmente viene affermata come un'eccezione incalcolabile. E questo è un modo per accettare proposizioni come quella che afferma che: «Il tutto sarebbe molto semplice se ci fosse solo l'infelicità della lotta che oppone ricchi e poveri. La soluzione al problema è stata ben presto trovata. È sufficiente sopprimere la causa del dissenso, vale a dire, la disuguaglianza della ricchezza, dando a ciascuno una parte uguale di terra. Ma il male è ben più profondo. Allo stesso modo in cui il popolo non è realmente il popolo, ma i poveri, i poveri, a loro volta, non sono veramente i poveri. Sono solo il regno dell'assenza di qualità, dell'efficacia della prima disgiunzione che porta il nome vuoto della "libertà", della proprietà impropria, del titolo del contenzioso. Essi stessi sono l'unione distorta del sé che non è realmente proprio, e del comune che non è veramente comune» [*27]. In questo senso, la felicità, nel concetto forgiato da Marx, risiedeva nella sua capacità di sovrapporre logica politica e descrizione sociologica, permettendo così la creazione di un rapporto profondo tra i lavoratori realmente esistenti (i quali costituivano un'importante maggioranza sociale) e i proletari [*28]. Tuttavia, il mantenimento di un simile rapporto, non è una condizione necessaria affinché il concetto marxista di "proletariato" continui a mostrare la sua operatività. Nell'attuale situazione storica di riconfigurazione della società del lavoro, possiamo però ripensare questo rapporto in modo da trovare altri spazi per la manifestazione delle rivendicazioni proprie di una certa ontologia del soggetto come viene presupposta dalla costruzione marxista.

- Vladimir Safatle - Pubblicato su Comunizar -

NOTE:

1 RANCIÈRE, Jacques; “Politics, identification and subjectivation” in: RAJCHMAN, John; The identity in question, Nova York: Routledge, 1995, p. 67

2 STALLYBRASS, Peter; “Marx and heterogeneity: thinking the lumpemproletariat” In: Representations, vol 0, n. 31, p. 84

3 MARX, Karl e ENGELS, Friedrich; Manifesto Comunista, São Paulo: Boitempo, p. 50

4 Idem, p. 66

5 MARX, Karl e ENGELS, Friedrich; A ideologia alemã, op. cit., p. 98

6 Idem, Manifesto Comunista, p. 43

7 Idem, p. 45

8 Idem, p. 51

9 Idem, A ideologia alemã, p. 58

10 MARX, Karl; A ideologia alemã, Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, p. 58

11 MARK, Karl; Manifest der Kommunistischen Partei in http://www.marxists.org/deutsch/archiv/marx-engels/1848/manifest/1-bourprol.htm

12 MARX, Karl; O 18 brumário de Luis Bonaparte, São Paulo: Boitempo, 2011, p. 91

13 Ver, por exemplo, THOBURN, Nicholas; “Difference in Marx: the lumpenproletariat and the proletarian unamable”; Economy and Society Volume 31 Number 3 August 2002: 434–460

14 Como vemos, por exemplo, em STALLYBRASS, Peter; “Marx and heterogeneity: thinking the lumpemproletariat” In: Representations, vol 0, n. 31, p. 84 e LACLAU, Ernesto; La razón populista, op. cit.

15 MARX, Karl; O 18 do brumário, op. cit., p. 91

16 MARX, Karl; A ideologia alemã, op. cit., p. 56

17 Como dirá Alain Badiou: Marx sottolineava già che la singolarità universale del proletariato è di non avere alcun predicato, di non avere nulla, e soprattutto di non avere, in senso forte, alcuna 'patria'. Questa concezione anti-predicativa, negativa e universale dell'uomo nuovo attraversa il secolo"(BADIOU, Alain; O século, Aparecida: Ideias e letras, 2007, p. 108).

18 MARX, Karl; A ideologia alemã, op.cit., p. 98

19 MARX, Karl; Crítica da filosofia do direito de Hegel – introdução, São Paulo: Boitempo, 2005, p. 156

20 Sobre este ponto da filosofia hegeliana, tomo a liberdade de remeter ao meu SAFATLE, Vladimir; Grande hotel abismo: para uma reconstrução da teoria do reconhecimento, São Paulo: Martins Fontes, 2012.

21 BALIBAR, Etienne; Citoyen sujet et autres essais d’anthropologie philosophique, Paris: PUF, 2011, p. 260. "Questa è un'idea presente anche in Jacques Rancière, per il quale: "i proletari non sono né gli operai né le classi lavoratrici. Essi sono la classe degli innumerevoli, che esiste solo nell'affermazione stessa attraverso la quale essi si considerano come coloro che non sono contati"” (RANCIÈRE, Jacques; La mésentente: politique et philosophie, Paris: Galilée, 1995, p. 63).

22 MARX, Karl e ENGELS, Friedrich: Manifesto Comunista, op. cit., p. 50

23 HEGEL, GWF; Fenomenologia do Espírito – vol. II, Rio de Janeiro: Petrópolis, 1992, p. 33

24 Tale articolazione tra "persona" e "proprietà" servirà come base per una lunga tradizione di riflessione che giungerà alle recenti discussioni sulla "proprietà di sé" come attributo fondamentale della persona (a questo proposito, si veda, tra gli altri, COHEN, G.A.; Dominio di sé, libertà e uguaglianza, Cambridge University Press, 1995). Sebbene si tratti di un dibattito di varie sfumature, è certo che la tradizione dialettica di Hegel e Marx tende a leggerlo nel modo delineato sopra.

25 MARX, Karl; Sobre a questão judaica, São Paulo: Boitempo, 2010, p. 49.

26 Che questa forza di dedifferenziazione propria del concetto di proletariato abbia acquisito evidenza grazie ai marxisti francesi, come Badiou, Balibar e Rancière, dimostra come qualcosa del decentramento proprio del concetto lacaniano del soggetto sia giunto alla politica attraverso gli ex allievi di Louis Althusser. Tuttavia, tale decentramento ha la sua matrice nella nozione di "negatività" propria del soggetto hegeliano. Così, per la suprema ironia della storia, qualcosa della concezione hegeliana del soggetto finisce per tornare sulla scena attraverso l'influenza sorda all'opera nei testi degli ex allievi di questo antihegeliano per eccellenza, cioè Louis Althusser.

27 RANCIÈRE, Jacques; Le mésentente: politque et philosophie, Paris: Galiée, 1995, p. 34

28 Como nos lembra LACLAU, Ernesto; La razón populista, op. cit., p. 308

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