Frantz Fanon, Sionista
- di Norman Levine -
Il finire degli anni '60, è stato un periodo quando la parola "rivoluzione" si trovava sulla bocca di tutti. Allora, si era all'apice delle proteste contro il Vietnam, l'apice delle proteste studentesche, l'apice delle proteste nere, l'apice del movimento di guerriglia palestinese, e si avevano ancora vividi ricordi dell'eroismo e del fervore delle rivoluzioni cinese, algerina e cubana. In questo periodo, negli Stati Uniti, Frantz Fanon veniva ritenuto come il portavoce più eloquente di quella che era allora la frustrazione e la furia degli oppressi di tutto il mondo. Fanon, nato in Martinica nel 1925, aveva studiato medicina in Francia, specializzandosi in psichiatria. Quando la rivoluzione algerina si stava sviluppando, venne mandato in un ospedale in Algeria, dove la sua simpatia si rivolse ai ribelli. Nel 1952 divenne redattore di El Moudjahid, il giornale clandestino ufficiale del Fronte di Liberazione Nazionale algerino, e fu forza attiva nella decolonizzazione algerina. Mantenne questa posizione fino al 1961, allorché si ammalò, per poi morire di cancro nel dicembre di quell'anno, negli Stati Uniti. Dopo la sua morte, i libri di Fanon divennero la bibbia dei dissidenti radicali. In "Pelle nera, maschere bianche”, "Anno V della rivoluzione algerina" e "Per una rivoluzione africana", egli descrisse qual era lo stato psicologico dell'algerino, o dell'africano, sotto un sistema coloniale. Le sue parole ebbero pertanto una grande rilevanza. Tuttavia, la sua opera principale è stata "I dannati della terra", un libro letto e citato da Eldridge Cleaver, Bobby Seale, Angela Davis, George Habash e Amir Arafat. In quelle pagine, Fanon si è affermato come il principale diagnosticatore della mentalità colonizzata, e come un profeta della violenza; una violenza purificatrice, una violenza che poi è risorta come violenza decolonizzatrice e che ha riconquistato la dignità dell'uomo nero. Fanon, era il Marx del panafricanismo, un esempio in quella che è stata l'evoluzione della coscienza nera. Ma quello che non è mai diventato noto, tuttavia, è il fatto che Fanon abbia scritto per gli ebrei, e degli ebrei, quasi quanto abbia fatto per gli africani. Dal momento che egli - pur considerando unica l'esperienza coloniale nera - non la considerava tuttavia come se fosse quella l'unica esperienza coloniale. C'era un parallelo tra ebrei e neri. Entrambi erano popoli colonizzati. Il razzismo era stata la loro situazione comune, il loro destino comune. Fanon vedeva il sionismo come se fosse essenzialmente un movimento del Terzo Mondo; vale a dire, come una rivoluzione nazionale vittoriosa, grazie alla quale è stata decolonizzata una nazione, e attraverso la quale è stata potuta rivendicare la propria identità culturale, all'interno di una struttura territoriale sovrana. L'apprezzamento di Fanon per la decolonizzazione ebraica verrà qui discusso secondo quattro categorie: 1) l'ontologia del colonialismo; 2) il razzismo differenziale; 3) Al Fatah; e 4) la testimonianza del silenzio.
L'ontologia del colonialismo
La tradizione filosofica francese - in particolare quella che i rifà a Sartre - ha contribuito a plasmare Fanon. È stato l'esistenzialismo francese, a dare a questo rivoluzionario algerino la base filosofica per le sue idee. Nelle sue "Riflessioni sul razzismo", in "San Genet", e in "L'essere e il nulla", Sartre esplora la condizione dell'esistenza umana quando viene totalmente dominata dall'altro. Fanon, avrebbe preso in prestito il paradigma sartriano, ma poi vi avrebbe aggiunto un contenuto razziale bianco-nero. Il fatto che questo nazionalista algerino, che vedeva la violenza come se fosse l'unico mezzo per liberare l'Algeria dal colonialismo francese, abbia un grande debito con il pensiero francese, dimostra chiaramente come Fanon non si sia però mai completamente separato dalla sua eredità culturale occidentale. Egli voleva liberare l'Africa, ma non isolarla completamente dalle idee occidentali! Il mondo dell'antisemitismo era - per Sartre - un mondo manicheo, diviso tra il bene e il male. In altre parole, era un mondo di polarizzazione assoluta. Da una parte c'era il mondo esterno, l'antisemita. Dall'altra parte c'era l'ebreo. E quindi l'ebreo era un uomo dominato: «L'ebreo è colui che gli altri uomini considerano ebreo: è questa la semplice verità da cui dobbiamo partire. In questo senso, il democratico ha ragione contro l'antisemita, perché è l'antisemita che fa l'ebreo.» [*1]. In un universo manicheo, l'ebreo era totalmente dominato da una società ostile. Divenne così l'oggetto della società. L'immagine dell'ebreo che il mondo esterno ha creato per sé stesso, è stata invece imposta all'ebreo come una sua immagine di sé. Quando l'ebreo incarnava l'immagine che la società aveva di lui, come se fosse la sua propria personalità, l'esterno diventava interno. Era esattamente questo, il meccanismo psicologico che Fanon descrisse in seguito come la base del colonialismo bianco-nero. Il mondo manicheo di Sartre, era inflessibile e impenitente; era definitivo. «Non c'era reciprocità, non c'era scambio tra il mondo esterno e l'Io. Il mondo antisemita esterno si è confrontato con l'Io, e l'Io è stato superato. Non c'era via d'uscita.» [*2]. Il modello di colonialismo razzista di Fanon è stato preso in prestito a partire dal modello di oppressione di Sartre. [*3] Ma dal momento che questo modello di oppressione veniva applicato all'ebreo, Fanon, nell'accettarlo, doveva accettare anche il fatto che l'ebreo era stato vittima del colonialismo bianco e cristiano. Riconobbe così che gli ebrei erano stati un popolo colonizzato, in Europa. Accettò anche il fatto che il colonialismo antisemita e il colonialismo bianco-nero erano analoghi nella forma, sebbene i loro contenuti avevano dovuto essere differenziati. Nel suo libro, "Pelle nera, maschere bianche", Fanon ci ha offerto la sua migliore analisi della psicologia del colonialismo. Piuttosto sartriano, Fanon ha aggiunto, appena, la modalità della pigmentazione della pelle: «L'uomo nero non ha alcuna resistenza ontologica, agli occhi dell'uomo bianco. Da un giorno all'altro, all'uomo di colore sono stati assegnati due quadri di riferimento all'interno dei quali doveva situarsi. La sua metafisica, o meno pretenziosamente, i suoi costumi e le fonti su cui essi si basano, vennero allora cancellati, poiché erano in conflitto con una civiltà che lui non conosceva, e che gli si imponeva.» [*4] Il mondo coloniale bianco-nero era manicheo, proprio come lo era per l'ebreo. A causa della dominazione assolutista della società bianca, i neri sono stati derazzializzati e inferiorizzati. Sono perciò diventati l'oggetto del bianco, ossia, lo stereotipo bianco del nero venne incorporato dall'uomo nero e visto come costituente del proprio ego. L'essere neri, per i bianchi, è sempre stato sinonimo di sessualità e, perciò, i neri si sono vissuti come dei giganti sessuali. Questo è stato un processo di de-ontologizzazione. Fanon ripeteva questo tema nelle sue opere: «Non mi viene data alcuna possibilità. Sono troppo determinato dall'esterno. Sono schiavo non della "idea" che gli altri hanno di me, ma del mio stesso aspetto». [*5] Era questa l'essenza del colonialismo: la dominazione totalitaria dall'esterno. Il nero non aveva un ego: era l'esterno che funzionava in lui come un ego.
Razzismo differenziale
Fanon, pensava all'ebreo come si pensa a un "fratello". Africani ed ebrei erano la stessa cosa, dal momento che entrambi avevano sperimentato la medesima oppressione razzista e coloniale. Ampie prove di una tale fratellanza, di una identica esperienza nazionale, emergono dai suoi scritti. In "Pelle nera, maschere bianche", dice: «Il razzismo coloniale non è diverso da qualsiasi altro razzismo. L'antisemitismo mi colpisce frontalmente: sono infuriato, sto morendo dissanguato in una terribile battaglia, vengo privato della possibilità di essere un uomo. Non riesco a dissociarmi dal futuro che viene proposto al mio fratello. Ogni mio atto mi impegna in quanto uomo. Ogni mio silenzio, ogni mia vigliaccheria, mi rivela come uomo.» [*6]. E poche pagine dopo, nella stessa opera, aggiunge: «Un oltraggio! L'ebreo e io: dal momento che non ero contento di essere razzializzato, allora sono stato umanizzato. Mi sono unito all'ebreo, mio fratello nella miseria... Poi, più tardi, mi resi conto che invece intendeva semplicemente dire che un antisemita è inevitabilmente anti-nero.» [*7] Gli ebrei non erano solo un popolo colonizzato, ma anche le vittime di un sistema coloniale che equivaleva alla barbarie del Sudafrica e dell'Algeria. In difesa della rivoluzione africana, Fanon era d'accordo con il suo amico, Aimé Césaire: «Quello che lui (l'umanista borghese del XX secolo) non perdona a Hitler, non è il crimine in sé, il crimine contro l'uomo bianco, ma è l'imposizione agli europei di procedure colonialiste europee che fino ad allora erano state riservate agli arabi d'Algeria, ai coolies dell'India e ai neri dell'Africa.» [*8] Fanon ha ribadito lo stesso tema – il nazismo come colonizzazione intra-europea – in "Pelle nera, maschere bianche": «Mi sembra di sentire ancora Césaire: "Quando accendo la radio, quando sento che i neri sono stati linciati in America, dico che siamo stati ingannati: Hitler non è morto; quando accendo la radio, quando sento che gli ebrei sono stati insultati, maltrattati, perseguitati, dico che siamo stati ingannati: Hitler non è morto; quando infine accendo la radio e sento che in Africa il lavoro forzato è stato inaugurato e legalizzato, dico che siamo stati certamente ingannati: Hitler non è morto.» [*9] Nel mentre che era vero che sia i neri che gli ebrei erano stati dominati da una società ostile, il contenuto del controllo esterno non era lo stesso. Il mondo esterno totalitario non aveva cercato di imprimere una medesima immagine all'autocoscienza nera ed ebraica. Fanon scoprì che c'era invece un razzismo differenziale. «Il nero simboleggiava il pericolo biologico; l'ebreo, il pericolo intellettuale». [*10] Essenzialmente, la società esterna ritraeva l'uomo nero come un gigante sessuale. La negrofobia, ha avuto origine da una base istintiva e biologica. Il mondo esterno aveva trasformato l'essere nero in un male perché, in una società puritana e istintivamente repressiva, quella società aveva una reazione fobica contro tutto ciò che vedeva come primitivismo biologico. In una società razionalizzata, burocratica, distintamente non libidica, l'ambiente ostile temeva di essere superato dal biologico. Così, una società deve segregare e poi escludere totalmente la fonte della minaccia libidica. La negrità, cioè la potenza sessuale sfrenata, deve essere imprigionata. L'antisemitismo, invece, ha un contenuto diverso. L'ebreo era visto come un sovversivo religioso e culturale, e l'ebraismo veniva visto dall'Occidente cristiano come l'eterna negazione, poiché l'ebreo serviva a ricordare loro che forse il messia cristiano non era altro che una farsa. Lo stereotipo ebraico, si è evoluto nel Medioevo: l'ebreo era satanico, uno stregone, posseduto da strani poteri al fine di sovvertire la fede e la purezza cristiana. Attraverso le diverse epoche culturali dell'Occidente, l'immagine dell'ebreo in quanto infiltrato è rimasta costante. Infine, nell'era del capitalismo, l'ebreo è stato ritratto come il mago della finanza, come colui che controllava surrettiziamente i meccanismi economici dell'Occidente. Il mondo esterno ha poi costruito un'immagine dell'ebreo dipinto come un cospiratore e così facendo, a causa della sua impotenza coloniale, l'ebreo è stato spinto a incarnare questa immagine di sé stesso. Paranoico, il mondo esterno sognava di sterminare queste minacce immaginarie. Ma, proprio come c'era il razzismo differenziato, c'era tuttavia anche il genocidio differenziato. L'uomo nero è stato castrato poiché la società lo vedeva come una potenza sessuale sfrenata. La corporeità nera è stata violata, perché era - in quanto personalità concreta - il seduttore delle donne bianche; il che era una minaccia. L'ebreo invece fu ucciso. Poiché il popolo ebraico era una minaccia, poiché la sovversione ebraica era collettiva, la punizione doveva essere generale e generica. Ciò che dev'essere sradicato nell'ebreo, non è tanto la sua personalità quanto la sua esistenza: «Nessun antisemita, per esempio, avrebbe mai concepito l'idea di castrare l'ebreo. Egli viene ucciso, o viene sterilizzato. Ma i neri sono castrati! Il pene, simbolo di mascolinità, viene annientato, cioè negato. La differenza tra i due atteggiamenti è evidente. L'ebreo viene attaccato nella sua identità religiosa, nella sua storia, nella sua razza, nelle sue relazioni con i propri antenati, e con la sua posterità. Quando si sterilizza un ebreo, quella che se ne taglia è la fonte; ogni volta che un ebreo viene perseguitato, a esserlo è l'intera razza, che viene perseguitata nella sua persona. Ma è nella sua corporeità che il nero viene attaccato. È in quanto personalità concreta che egli viene linciato. È come essere reale, che lui è una minaccia. La minaccia ebraica è stata sostituita dalla paura della potenza sessuale dei neri.» [*11] In questa situazione, per Fanon, la resistenza non era tanto un diritto naturale intrinseco, quanto piuttosto l'unico mezzo per riconquistare la sanità mentale, la dignità e l'attività. Per un colonialista, la resistenza equivaleva all'autoconservazione. «E questa cancrena dialettica viene esacerbata dalla consapevolezza e dalla determinazione di milioni di neri ed ebrei a combattere contro questo razzismo di cui sono vittime». [*12]
Contro Al Fatah
Nel Patto Nazionale Palestinese (1968), l'articolo 20 afferma: «La Dichiarazione Balfour, il Documento di Mandato, e tutto ciò che si basa su di essi sono considerati nulli. La pretesa di un legame storico o spirituale tra gli ebrei e la Palestina non corrisponde alle realtà storiche, o ai costituenti della statualità nel suo vero senso. L'ebraismo, nel suo carattere di religione della rivelazione, non è una nazionalità con un'esistenza indipendente. Allo stesso modo, gli ebrei non sono un popolo con personalità indipendenti. Piuttosto, sono cittadini degli Stati a cui appartengono.» [*13] In breve, Al Fatah negava che gli ebrei formassero un unico popolo, una nazione. Fanon, il filosofo dei movimenti di liberazione nazionale, si trovava così in assoluta contrapposizione con quella che era la posizione di Al Fatah. Per Fanon, gli ebrei erano, di fatto, un popolo: «Diciamo che le concessioni che abbiamo fatto sono fittizie. Filosoficamente e politicamente, non esiste un popolo africano. C'è un mondo africano. E anche un mondo delle Indie Occidentali. D'altra parte, si può invece dire che esiste un popolo ebraico; ma non una razza ebraica.» [*14] Fanon riconobbe la nazionalità degli ebrei perché essi la condividevano un'esperienza storica comune, una religione e una cultura comuni. Sebbene sparsi in diverse regioni della civiltà occidentale, gli ebrei condividevano un'esperienza comune all'interno della società cristiana. Erano un popolo colonizzato, un'oppressione basata sull'esclusività religiosa. La loro religione li univa, e la loro cultura e i loro costumi, derivati dalla loro religione, li univano. Pertanto, agli occhi di Fanon, gli ebrei possedevano tutti gli elementi di un movimento di liberazione nazionale. Erano una nazione. Erano stati un popolo colonizzato. Come ogni popolo oppresso dalle colonie, per coloro che erano dominati dall'Altro era necessario resistere, fare la guerra, e questo perché era solo attraverso la violenza che si poteva riconquistare la dignità degli schiavi. La violenza era necessaria e giustificata, ha detto Fanon agli algerini, perché era solo in questo modo che si poteva riconquistare la propria identità culturale. La guerra del 1948 in Palestina è stata una guerra ebraica di autodeterminazione nazionale. Fanon disse allora agli ebrei che, come risultato della conquista della Palestina, essi avrebbero sperimentato una rinascita personale e nazionale: «C'è da supporre, a titolo di esempio, che gli ebrei che si stabilirono in Israele produrranno in meno di cento anni un inconscio collettivo diverso da quello che avevano prima del 1945 nei paesi che furono costretti a lasciare.» [*15]
La testimonianza del silenzio
Il pro-sionismo di Fanon appare chiaro e lampante. Ma manca qualcosa. Ciò che manca è una dichiarazione categorica a sostegno di Israele. Ciò che invece abbiamo è la prova schiacciante del silenzio. Quando Fanon morì, nel 1961, egli era già stato testimone della Guerra d'Indipendenza del 1948, della Guerra di Suez del 1956, della difficile situazione dei rifugiati palestinesi nei campi e dell'emergere dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Egli non ha mai condannato la creazione originale di Israele, né tantomeno ha condannato Israele per aver attaccato l'Egitto nel 1956, in alleanza con i francesi e con gli inglesi, sebbene si fosse capito che l'attacco francese all'Egitto era stato fatto in parte come una punizione, e come la prevenzione di ulteriore assistenza agli algerini, i quali erano in una situazione di ribellione contro la Francia. Fanon non ha mai sostenuto che l'esistenza dei rifugiati palestinesi, o il massacro di Dir Yasin, fossero esempi del genocidio israeliano. Fanon aveva definito gli Stati Uniti come una società razzista nei confronti degli arabi. Egli ha deplorato il colonialismo sovietico, così come ha fatto con il colonialismo americano e occidentale, ma non si è mai riferito a Israele come a una potenza colonizzatrice nel Vicino Oriente. Inoltre, Fanon non ha mai affermato che l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina fosse un movimento di liberazione nazionale! La voce della decolonizzazione algerina, non ha mai abbracciato il movimento palestinese vedendolo come una ribellione decolonizzatrice. Fanon era un uomo che si coinvolgeva, si impegnava. Era un convinto sostenitore di Lumumba. Nel 1958, partecipò a un Congresso africano ad Accra, promuovendo la creazione degli Stati Uniti d'Africa, in accordo con Nkrumali, e fu grato a Nkrumah per aver riconosciuto il governo provvisorio dell'Algeria. Nel 1960 tornò ad Accra, questa volta stabilendo le basi per un accordo attraverso cui i rifornimenti avrebbero potuto fluire verso l'Algeria insurrezionale. Pertanto, il suo silenzio su Israele non è stato accidentale, o negligente, ma è stato premeditato. Il fatto che in tempi così orrendi, egli non abbia parlato del Vicino Oriente durante un periodo di umiliazione e di sconfitta araba, dimostra solo che non voleva condannare Israele, poiché riconosceva in Israele il risultato legittimo dell'autodeterminazione nazionale ebraica. Il pan-africanismo costituiva il nucleo dell'ideologia di Fanon. Tuttavia, il suo pan-africanismo era politico, piuttosto che culturale. Voleva che l'Africa si unisse, ma non come se fosse un monolite culturale, bensì come un'entità politica, guidata da un'unica politica: liberare il continente nero dalla dominazione coloniale. Consapevole che la cultura africana era intrinsecamente nazionale, Fanon ridicolizzò tutti i tentativi di renderla continentale o trans-continentale. [*16] La lotta algerina, sarebbe stata l'avanguardia della rivoluzione pan-africana. L'insurrezione algerina sarebbe stata il modello per tutte le ribellioni decolonizzatrici africane. Nei termini di questa weltpolitik, l'esistenza di Israele non veniva vista come un ostacolo. Il sionismo, visto nel contesto del suo pan-africanismo, non era un nemico strategico dell'indipendenza africana; e Fanon non aveva motivo di temere il sionismo. Inoltre, egli era consapevole del fatto che anche il mondo musulmano, così come quello africano, stava vivendo una rinascita politica e culturale. Ma, proprio così come non poteva esserci una cultura dell'essere neri, non poteva esserci nemmeno una cultura dell'arabismo. Il mondo musulmano non era sovranazionale, e piuttosto avrebbe assunto una cristallizzazione culturale all'interno di quelle che erano entità nazionali. Non essendo mai stato una vittima di contrapposizioni razziste, Fanon non nutriva alcun odio per i bianchi che fosse basato sul mito dell'unità razziale delle persone non bianche. Era consapevole del fatto che, nella storia passata, gli arabi erano arrivati in Africa in quanto colonizzatori: «I libanesi, nelle cui mani si trova la maggior parte delle piccole imprese commerciali della costa occidentale, sono destinati all'obbrobrio nazionale. I missionari ritengono opportuno ricordare alle masse che, assai prima dell'avvento del colonialismo europeo, i grandi imperi africani vennero dilaniati dall'invasione araba. Non c'è alcuna esitazione nell'affermare che è stata l'occupazione araba a spianare la strada al colonialismo europeo; si parla comunemente di imperialismo arabo e si condanna l'imperialismo culturale dell'islamismo. I musulmani sono di solito tenuti fuori dalle posizioni più importanti. In altre regioni, avviene il contrario, e sono i cristiani nativi a essere considerati nemici consapevoli e obiettivi dell'indipendenza nazionale.» [*17] Non c'era alcuna parentela istintiva e biologica tra africani e arabi. Fanon non credeva che le persone di pelle nera, cioè quelle che non avevano la pelle bianca, formassero degli alleati naturali e intuitivi. «Allo stesso tempo, in certi giovani Stati dell'Africa nera, i parlamentari, o anche i ministri, sostengono senza alcuna ironia che il pericolo non è affatto una rioccupazione del loro paese da parte del colonialismo, quanto piutttosto una possibile invasione da parte di "quei vandali degli arabi che provengono dal Nord"». [*18]
Per Fanon, il Terzo Mondo non significava che le persone dalla pelle nera fossero intrinsecamente armoniose e non faziose. "Terzo Mondo" era solo un termine per designare le persone che condividevano lo sforzo politico comune volto a espellere il nemico comune. Il Terzo Mondo era costituito da coloro che volevano liberarsi politicamente dalla schiavitù europea; oltre tutto, esistevano solo organismi culturali nazionali. Sebbene Fanon fosse innanzitutto un panafricano, pur riconoscendo le divisioni nazionali nel mondo musulmano, pur comprendendo che gli arabi dalla pelle scura e gli africani neri non formavano alleati razziali intrinseci, egli tuttavia applaudì il movimento arabo per l'autodeterminazione. I movimenti nazionalisti del Vicino Oriente, furono per lui ulteriori esempi della de-europeizzazione. Ma anche ne"I dannati della terra", scritto nel 1961 dopo le guerre del 1948 e del 1956, in cui sostenne il movimento arabo, non condannò mai Israele come un ostacolo all'indipendenza musulmana.[*19] In nessun modo suggerì mai che l'esistenza di Israele fosse un ostacolo alle legittime richieste del nazionalismo arabo. In breve, Fanon non ha mai sostenuto che ci fosse un conflitto inevitabile, o necessario, tra le aspirazioni nazionali arabe e quelle ebraiche. Infine, è abbastanza chiaro che Fanon non nutrisse alcun risentimento relativo a nessuno dei rami della nazione ebraica, sia a quelli che si trovavano in Algeria, in Israele o in qualsiasi altro luogo. Nel suo libro sul"L'Anno V della rivoluzione algerina", respinse l'accusa che gli ebrei algerini fossero stati sleali durante l'insurrezione. Riconobbe che c'era stata una piccola percentuale di loro, che era diventata filo-francese a causa del timore che le loro attività e proprietà venissero rilevate dagli algerini. Un piccolo gruppo si identificava con l'establishment coloniale, poiché il loro status sociale e la loro dignità personale erano intrecciati con la dominazione francese. [*20] Tuttavia, la maggior parte degli ebrei algerini sostenne la guerra d'indipendenza algerina. I francesi, cercando di dividere gli algerini dagli ebrei, perseguirono una politica di sfruttamento delle paure degli ebrei, e questo nella speranza di mettere gli ebrei contro gli algerini. [*21] Nonostante questa doppiezza, gli ebrei contribuirono sostenendo con il denaro i ribelli, e i funzionari pubblici ebrei protessero le forze di guerriglia algerine. Gli ebrei erano legalisti, e Fanon sperava che avrebbero aiutato a costruire uno stato multinazionale. Infatti, egli cita una dichiarazione fatta dall'Esercito di Liberazione Nazionale nell'autunno del 1956 agli ebrei d'Algeria:«Il popolo algerino, sente oggi il dovere di rivolgersi direttamente alla comunità ebraica per chiederle solennemente di affermare la sua intenzione di appartenere alla nazione algerina. Questa scelta, chiaramente dichiarata, dissiperà ogni malinteso e sradicherà i semi dell'odio piantati dal colonialismo francese.» [*22] Nel 1956, l'anno della guerra di Suez, e in seguito, Fanon non nutrì mai alcun risentimento contro gli ebrei o contro lo Stato ebraico. A proposito della crisi di Suez, scrisse: «Alla Francia rimaneva solo una terza e ultima operazione a cui fare ricorso. La spedizione di Suez mirava infatti a colpire la rivoluzione algerina quando era al suo apice. L'Egitto, accusato di dirigere la lotta del popolo algerino, è stato bombardato in maniera criminale». [*23] Sebbene Israele, nel 1956, si fosse alleata con la Francia, il vero nemico era la Francia. Per il Vicino Oriente, la vera fonte del problema è sempre stata a Washington, a Parigi o a Londra. [*24] Pertanto, Israele non rappresentava una minaccia per l'indipendenza algerina o africana. E quindi, Israele non rappresentava una minaccia per il nazionalismo arabo. Le prove sono conclusive. Fanon riconobbe gli ebrei in quanto nazione. Così come era stato per gli algerini, anche gli ebrei erano una nazione colonizzata. Secondo la logica di Fanon, tutte le nazioni dominate avevano bisogno di uno Stato, e avevano bisogno di una ribellione per poter acquisire l'autonomia territoriale e, di conseguenza, il ringiovanimento culturale. Fanon non ha mai condannato lo Stato sionista, né durante la sua creazione, né tantomeno nel corso della sua storia futura, finché la sua vita ha abbracciato quella storia. I suoi scritti hanno legittimato il sionismo in quanto movimento di liberazione nazionale. Egli non ha mai ritirato il proprio impegno per il sionismo, visto come autentica espressione della decolonizzazione e del rinnovamento ebraico.
- Norman Levine - Articolo del 1972 per il periodico Judaism -
- fonte: História e Desamparo -
NOTE:
[1] Jean-Paul Sartre, Antisemita ed ebreo, tradotto da George J. Becker (New York: Schocken Books, 1969), p. 69.
[2] Jean-Paul Sartre, Saint Genet, traduzione di Bernard Frechtman (New York: New American Library, 1963), p. 34. Sul punto di vista di Sartre sul conflitto arabo-israeliano, vedi ACID, 21 novembre 1969, pp. 4A-5 A.
[3] Frantz, Fanon, Pelle nera, maschere bianche, traduzione di Charles Lam Markman (New York: Grove Press, 1967), p. 220.
[4] Ivi, p. 110.
[5] Ivi, p. 116.
[6] Ivi, pp. 88-89.
[7] Ivi, p. 122.
[8] Frantz Fanon, Verso la rivoluzione africana, traduzione di Haakon Chevalier (New York: Grove Press, 1967), p. 166.
[9] Fanon, Pelle nera, maschere bianche, p. 90.
[10] Ivi, p. 165.
[11] Ivi, pp. 162-163.
[12] Fanon, Verso la rivoluzione africana, p. 36.
[13] Y. Harkabi, "La posizione dei palestinesi nel conflitto arabo-israeliano e il loro patto nazionale (1968)", New York University Journal of International Law and Politics, III (primavera 1970), p. 239.
[14] Fanon, Verso la rivoluzione africana, p. 18.
[15] Fanon, Pelle nera, maschere bianche, p. 188.
[16] Frantz Fanon, I dannati della terra, traduzione di Constance Farrington (New York: Grove Press, 1966), p. 173. Sul punto di vista di Fanon sulla mancanza di un'unità culturale panafricana, si veda David Caute, Frantz Fanon (New York: Viking Press, 1970).
[17] Fanon, I dannati della terra, p. 130.
[18] Ivi, p. 132.
[19] Ivi, pp. 172-173.
[20] Frantz Fanon, A Dying Colonialism, traduzione di Haakon Chevalier (New York: Grove Press, 1965), pp. 153-154. Per maggiori dettagli sulla vita personale di Fanon, vedi Simone de Beauvoir, The Force of Circumstances (New York: G. P. Putnam, 1964).
[21] Fanon, Verso la rivoluzione africana, p. 59.
[22] Fanon, Un colonialismo morente, p. 156.
[23] Fanon, Verso la rivoluzione africana, p. 61.
[24] Ivi, pp. 147-148.
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