mercoledì 20 gennaio 2016

Naufragi

Apostolides

La menzogna paga. Paga e vende, almeno così spera l'industria culturale. Non stupisce, quindi, il fatto che si tenti di fare, su Guy Debord, la medesima operazione che anni fa si cercò di portare a termine nei confronti dello stesso Karl Marx, volta a calunniare, infamare ed infangare la persona al fine di svilirne le idee e cancellare ogni aspirazione all'emancipazione che, in questo quadro, non diventa altro che una patologia. E' "Debord, il provocatore di naufragi", di Jean-Marie Apostolidès, il libro incaricato di svolgere questo sporco lavoro - e che ha ovviamente ricevuto gli elogi degli stalinisti de "l'Humanité" - ritenendo magari che sia passato abbastanza tempo da poterla fare franca.
E invece è andata male. Puntualmente, sono apparsi sui muri di Parigi una serie di manifesti anonimi a svolgere quella dovuta critica che ha poi trovato espressione compiuta nello scritto di Gianfranco Sanguinetti, qui di seguito pubblicato.

Denaro, sesso e potere: a proposito di una falsa biografia di Guy Debord
- di Gianfranco Sanguinetti -

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Fra tutte le epoche, la nostra è la prima nella storia universale a pretendere di avere soltanto quei nemici che si è fabbricata da sola, a sua misura e per il proprio uso spettacolare. Questo nuovo secolo, nel proiettare su tali simulacri di nemico tutte le sue proprie infamie e tutte le sue peculiari crudeltà, finge di opporvisi risolutamente: finge perfino di combatterli con le armi, il tempo necessario a convincere gli elettori, per poi alla fine far trionfare le proprie "buone" qualità su questi "nemici", tanto malvagi quanto finti, che hanno il volto di Bin Laden o dello Stato Islamico.

Affinché possa combattere solamente i nemici artificiali che mette in scena, il nostro mondo deve impegnarsi a far sparire e distruggere per sempre, perfino nel ricordo, i suoi veri vecchi nemici dichiarati, in modo da evitare così al nuovo secolo qualsiasi rischio di contagio indesiderato. E' lo stato di emergenza permanente che lo richiede: questo stato di emergenza, dichiarato contro la società, sostiene di esserlo contro quel nuovo nemico oscuro e non ben definito che lo spettacolo stesso ha fabbricato, il terrorismo artificiale. Esso è stato creato e messo in scena per convincerci che lo Stato combatte il "male" per il nostro "bene", e per persuaderci che chi combatte il "male" assoluto è quindi già di per sé il "bene" assoluto. Il Ministero della Verità cura giorno per giorno la "correzione della storia", che si tratti di quella del Bataclan o di altro, aggiornandola settimanalmente con maggiori dettagli, senza curarsi di eventuali contraddizioni, che poi verranno corrette di nuovo.

Per farla finita con ogni residuo di opposizione reale, bisogna quindi che questo dominio dia degli esempi, che bruci delle streghe, che giustizi, anche in effigie, ogni nemico diverso da quello ufficiale, il quale viene designato giorno dopo giorno. Bisogna non solo distruggere ogni vero oppositore, ma anche tutti quelli che sono esistiti precedentemente, e dei quali è necessario sbarazzarsi, demolirli oppure infangarne la memoria ed il modello. Bisogna che le nuove generazioni vengano spinte alla disperazione e perdano ogni aspirazione alla rivolta ed al cambiamento, occultare i precedenti e il ricordo stesso. Bisogna prevenire ogni possibile emulazione. Bisogna spingere al suicidio tutti i Walter Benjamin. Stilare delle liste di proscrizione. Le vere rivolte, così come i veri rivoltosi, devono essere annientate per sempre, eliminate, censurate, calunniate, messe alla gogna, vista la necessita assoluta di mettere in scena soltanto il feticcio dei falsi nemici che si sono voluti fabbricare.

E' proprio ad una tale necessità fondamentale ed urgente che risponde l'ultimo lavoro di Jean-Marie Apostolidès, appena editato da Flammarion: un volume di oltre 500 pagine, più altre 90 pagine di note, praticamente un chilo, a 28 euro, dal titolo "Debord Le Naufrageur", pubblicato in una collana che si autodefinisce Grandes Biographies.

Va detto subito che questo libro, oltre ad essere mortalmente noioso, non è affatto una biografia, come dimostrerò, e che gli ho concesso solamente tre ore di lettura - poiché si converrà che non è necessario bere 500 litri di vino per decidere se sia buono o cattivo, o per stabilire che non si tratta neppure di vino, come in questo caso.

Il compito che l'autore dichiara esplicitamente di essersi dato, è quello di "Rivelare un'immagine diversa, 'negativa' di Debord", per poi assicurarci orgogliosamente che questa "non è un'impresa scontata, che va da sé" [*1]

Che "vada da sé" o meno, io sostengo che non è mai esistita una vera biografia che si sia data come compito e come fine quello di rivelare un'immagine "negativa", o "positiva", della vita della persona di cui si occupa, dato che questo è piuttosto il compito della propaganda. In quest'autore, il negativo non ha alcuna nobile connotazione dialettica: per lui negativo significa volgarmente: infamante, moralmente disonorevole. Per quanto banale sia. Ecco tutto.

Una biografia è un lavoro da archivista, da filologo, da erudito e da storico, e non è mai un lavoro da tifoso, favorevole od ostile. Non si tratta di una partita di calcio. Ed è ancor meno un lavoro da psicoanalista, sempre arbitrario. A partire dal Rinascimento sono stati stabiliti i termini secondo i quali si affronta la storia di un uomo: che cos'ha detto? Che cosa ha fatto? [*2]

Il principe dei biografi moderni, Roberto Ridolfi, che ci ha lasciato delle opere definitive su Machiavelli, Guicciardini e Savonarola, aveva perfino stabilito che sicuramente "l'amore e le affinità aiutano a intendere... Se fosse promulgata (ma speriamo di no) una costituzione della repubblica letteraria, essa dovrebbe fare obbligo ai biografi di ritrarre soltanto uomini a loro in qualche parte affini o congeneri: si eviterebbero in tal modo una quantità di libri fiacchi e falsi". [*3]

Ora, con il libro di Apostolidès, ci troviamo davanti al paradigma stesso di un cattivo lavoro, "fiacco e falso", e voglio precisare: cattivo nelle intenzioni, cattivo nel metodo e quindi ancora più cattivo nel risultato.

Cattivo nelle intenzioni, in quanto non è affatto una biografia di Debord, ma è piuttosto un articolo prolisso da giornalismo d'inchiesta contro Debord, in cui vengono prodotte solo delle "testimonianze" a carico, in cui non viene detto niente della sua opera, della sua arte e del suo tempo, del suo cinema, del suo coraggio, pressoché solitario a quei tempi. Perciò questo libro non ha alcun valore per gli storici, e soprattutto non è un documento. E l'uso che l'autore fa dei documenti è del tutto disonesto, in quanto sceglie solo quelli che potrebbero essere a carico. Qui il vero diventa immediatamente un momento del falso, come a provare ancora una volta ciò che Debord ha detto a coloro che sapevano intenderlo. Per non parlare della vigliaccheria che lo porta a cercare di assassinare in maniera così maldestra un uomo morto. I cadaveri, si sa, attraggono gli avvoltoi. E quindi questo libro puzza di morte. L'autore è animato da quello che Spinoza definiva "le passioni tristi", ed in questo egli si trova perfettamente in sintonia con i tempi neocon in cui viviamo, tempi nei quali d'altronde sembra essere perfettamente a suo agio: e infatti questo libro è stato scritto per questo tempo, non per durare. Sarà presto dimenticato.

Peggiore nel metodo, in quanto giudica un periodo passato con lo sguardo e con i "valori" di oggi. Mentre il primo dovere di un biografo è quello di calarsi completamente nel contesto storico, e coglierne i meccanismi, le dinamiche e le problematiche conflittuali che hanno spinto i protagonisti all'azione: ad esempio, non ho trovato niente che dimostri il coraggio ed il valore dei situazionisti in generale, e di Debord in particolare, che sono stati i soli, ai loro tempi, a combattere lo spettacolo dominante delle opposte menzogne della sinistra e della destra, quelle della "libertà" occidentale insieme a quelle della "uguaglianza" orientale, mentre per parte loro tutti gli Apostolidès se ne andavano in giro a riverire il papa, Lenin, Trotsky, Mao o Castro.

Il lavoro di archivio che qui viene svolto è del tutto erroneo e tendenzioso, quello filologico assume piuttosto l'aspetto di un'inchiesta di polizia, l'erudizione è di parte e corta, la storiografia e l'onestà mancano.

Avrei voluto parlare qui solamente dell'opera, e non del suo autore: ma mi è impossibile, dal momento che è la sua opera a non parlare altro che di lui, dello spirito, dell'intenzione e dello scopo con cui ha portato a termine il suo lavoro, durato dieci anni, dopo quarant'anni di letture, come ci rassicura egli stesso.

Pessimo quindi nel risultato, in quanto il personaggio che ne emerge non assomiglia per niente a Debord, che posso dire di aver conosciuto bene. Infatti questa presunta biografia ci illumina assai di più sulle ossessioni, sulle meschinità e sulle bassezze del suo stesso autore che su quelle che pretende di scoprire in Debord. Al di là di questo non vede né cerca niente, ed al di qua non si vede altro che la sua deplorevole ostilità, il suo risentimento e la sua ciarliera animosità. La quale legge male - attraverso occhiali ideologici, deformanti ed acritici, propri del nostro tempo ignorante - le vicissitudini, il senso, la posta in gioco ed i valori dell'epoca in questione, valori che d'altra parte noi rifiutavamo. E' del tutto antistorico giudicare il secolo precedente, o la posizione radicalmente conflittuale che ci animava, alla luce sinistra del "politically correct" o della "gender theory". Se Apostolidès leggesse la ricca corrispondenza di Machiavelli, dove si tratta pesantemente di questioni di donne e di pederasti, di pedofili e di prostitute, ecc., della vita così come in realtà è, rimarrebbe scandalizzato, e scriverebbe un grosso tomo per avvertirci del fatto che Machiavelli non è stato affatto "un grand'uomo". Lo si lascia volentieri alle sue opinioni adipose e appiccicose, ma tali opinioni ci parlano solamente di lui.

Si deve dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Bruto quel che è di Bruto: bisogna riconoscere che senza la teoria dello spettacolo elaborata da Debord questo mondo rimarrebbe del tutto incomprensibile ed incerto, come coloro che lo dominano vorrebbero che fosse, e come effettivamente rimane per Apostolidès. Ma non per quelli che hanno pesanti responsabilità militari o economiche. Se un capo di Stato Maggiore non capisce velocemente che cosa si nasconde dietro lo Stato Islamico, la cosa ha delle conseguenze più gravi di quelle dovute al fatto che a sbagliarsi sia un professore universitario. E per capirlo è utile, perfino essenziale, conoscere la teoria dello spettacolo. Dopo cinquant'anni, la teoria dello spettacolo rimane la Stele di Rosetta indispensabile per decodificare i geroglifici del mondo attuale. Ma tutto ciò è al di là degli interessi del professore.

La Società dello Spettacolo, insieme a 1984 di George Orwell ed Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, è uno dei tre libri che continuano ad essere essenziali per la comprensione del 21° secolo.

Di contro, a proposito di cose che interessano al professore, vi sono in questo libro delle falsificazioni evidenti che saltano agli occhi: per esempio è assolutamente falso che Debord abbia mai violentato la sorella: si amavano e basta, ecco il crimine! E allora? La polvere e le ragnatele che avvolgono la testa e l'anima ossessionate dell'autore, lo imprigionano in un moralismo ipocrita ed in una disonestà politicamente corretta che sono sparsi per tutto il libro. Non ho contato - in quanto non ho letto tutti i riferimenti, ma ne ho visti abbastanza - tutte le falsificazioni, gli errori fattuali, di ermeneutica, e perfino di data, né il grande arbitrio interpretativo, imbevuto di salsa psicoanalitica nella quale l'autore inzuppa il suo discorso noioso, ripetitivo, offensivo, condito con il deodorante pseudo neutrale della ricerca universitaria.

Infatti, questa sedicente biografia ci informa soprattutto circa quello che il mitografo narratore ritiene significativo in Debord, ed è proprio soltanto di tali inezie utili a dimostrare la sua tesi preconcetta che ci parla. Tutto il pensiero, l'opera e l'azione di Debord, e dei gruppi che ha animato, così come il contesto storico generale nel quale e contro il quale si agiva, tutto questo scompare completamente. Ignora perfino lo Scandalo di Stasburgo e la sua influenza determinante nell'innescare l'esplosione del maggio '68. La lotta, e le sue problematiche, la sua serietà, in questo libro sono assenti. L'autore ignora completamente anche l'influenza e tutto quello cui hanno dato seguito le teorie e le pratiche situazioniste: la prima opera di street art e di guerrilla art è stata la nostra installazione della statua di Charles Fourier, in Place Clichy, nel 1969; egli ignora le creazioni di situazioni magnificamente riuscite degli Yes Men; i gruppi russi di Voina e delle Pussy Riot, che facevano riferimento a Debord e ai situazionisti, il gruppo ceco di Stohoven, Banksy, la Kommunikation guerrilla, gli Hacktivistes e mille altre varianti, che qui non cito, che hanno messo in pratica questa eredità. Per non dire dell'influenza esercitata sulla teoria critica, su certe forme di détournement e di lotta di classe e di sabotaggio praticati nelle fabbriche, in Italia ed altrove. Ecco in che cosa l'Internazionale Situazionista è stata un'avanguardia. Tutto ciò, per il professore, non esiste: dov'è la sua erudizione?

Infine, secondo l'autore, tutto quello che Debord ha fatto è dovuto al fatto che non aveva avuto una presenza virile, a causa della perdita del padre, con cui confrontarsi: cosa che, secondo lui, ha impedito che diventasse un uomo. E' rimasto sempre immaturo, non è mai uscito dall'infanzia. Ecco tutto, ed ecco la tesi centrale del libro. Se è per questo, Debord è un orfano in buona compagnia, fra l'altro di Nietzsche, Platone, Aristotele, Schopenhauer, Rimbaud, Baudelaire, Dostoevskij, Swift ed io stesso, si parva licet componere magnis: Leopardi a tal riguardo, osservava che se "Scorri le vite degli uomini illustri, e se guarderai a quelli che sono tali, non per iscrivere, ma per fare, troverai a gran fatica pochissimi veramente grandi, ai quali non sia mancato il padre nella prima età." [*4]

A più riprese Hegel si è fatto magnificamente beffe di quella che definiva "la meschinità psicologica" o "la pedanteria psicologica, questo cosiddetto esame psicologico che sa spiegare ogni azione": "il punto di vista psicologico sulla storia, volto a diminuire e a degradare la grandezza delle azioni degli individui... Ignora l'aspetto sostanziale degli individui. E' il punto di vista psicologico del cameriere per il quale non ci sono eroi, non perché questi non sono eroi, ma perché quelli sono soltanto camerieri". E ancora: "Quale maestro di scuola non ha dimostrato, a proposito di Alessandro Magno e Giulio Cesare, che essi agirono spinti dalle passioni, e che per questo erano degli uomini immorali? Da cui ne consegue che lui, il maestro di scuola, è un uomo migliore di loro... Nella storiografia, i personaggi storici serviti da simili domestici psicologici ne escono male: vengono livellati, e messi sullo stesso piano morale; perfino qualche grado più in basso rispetto a quei sottili conoscitori di uomini." "Questa coscienza giudicante è quindi a sua volta bassa... Inoltre, è ipocrisia..." [*5]

C'è qui da notare come lo stesso autore si sia già prodotto nel 1999 in un libro elogiativo, seppure sbagliato, dal titolo Les Tombeaux de Guy Debord.

Il percorso obbligato di queste menti ristrette, invariabilmente intellettuali, è sempre lo stesso - è per così dire come scritto nel loro DNA, ed è facile capire in che cosa consista. Funziona così: 1) partono dalla celebrazione e dall'adulazione sfacciata; 2) si costruiscono un re mitologico; 3) cercano di trovare una collocazione nella sua corte o nel suo seguito; 4) alla fine, quando il rischiodiminuisce, vogliono uccidere il re, azionano la ghigliottina e commettono il regicidio, per cancellare le proprie bassezze e la loro ignominia di cortigiani o di parassiti. Con Debord è avvenuta la stessa cosa. Oggi, è significativo il silenzio degli apologeti di ieri: dove si sono nascosti? E' bastato un Apostolidès perché si sciogliessero come neve al sole? Ecco, alla fine, un beneficio che proviene da questo libro. Meglio la loro scomparsa silenziosa, piuttosto che la loro precedente caciara. E' vero, il vento è cambiato: è cominciato il tempo del Terrore. E per loro, quello della vigliaccheria non finirà mai.

Come ho già detto, in questo libro sono del tutto assenti le grandi avventure, le passioni e le forti amicizie, la generosità virile, le persecuzioni, il disprezzo per il rischio, l'arte, il gioco, la poesia, gli imprevisti, il coraggio, l'invenzione, la creazione, il divertimento e la fantasia. In breve, tutto quello che manca nella vita del professore è assente anche nel suo libro, com'è normale che sia. Ecco un'ulteriore prova del fatto che quest'opera è una proiezione, un ritratto dell'autore, dei suoi problemi con le donne,il denaro e il potere, dei suoi molteplici rancori e umiliazioni, del suo piccolo desiderio di rivalsa, e non è per niente il ritratto di Debord. L'autore si scandalizza per il fatto che Gérard Lebovici ed io stesso, oltre naturalmente a Michèle Bernstein, abbiamo sostenuto finanziariamente Debord: secondo lui Debord ci avrebbe truffato. La sua piccineria gli impedisce di concepire delle motivazioni più alte: a questo punto si potrebbero accusare tutti i grandi artisti di aver frodato tutti i loro mecenati. Non considera il fatto che questi grandi hanno dato all'umanità infinitamente di più rispetto a quanto hanno preso, e che è l'umanità intera ad essere in debito con loro. L'unica vera frode concreta che vedo qui è proprio il libro di Apostolidès.

Dal momento che l'autore ci concede la grazia di non nascondere mai, in nessuna pagina del suo libro, l'intenzione di denigrare - il solo momento in cui gli riconosco di essere rigoroso e sincero - egli riduce a volgarità tutto ciò che tocca, e questo ancora una volta ce la dice lunga su di lui: in questo libro, dovunque si guardi, non si vedono altro che delle cose profondamente sordide, meschine, oscene. Henry Miller aveva smascherato questo genere di spirito: "l'oscenità esiste soltanto nella mente di chi la detesta e la proietta sugli altri" [*6].

Quindi per l'autore ci sono solo questioni di denaro, di sesso e di potere. Le tre grandi questioni che l'ossessionano, allo stesso modo in cui ossessionano i nostri contemporanei perché ne sono privati.

Ai nostri tempi queste cose esistevano, naturalmente, ma non erano affatto separate dalla vita, come attualmente. Le si vivevano direttamente. E Debord diceva che non si poteva ammettere nessun altro problema rispetto al denaro se non quello della sua eventuale mancanza. C'era solidarietà e ci si aiutava: un'altra cosa inconcepibile per questo professore. E' così ossessionato da considerarci degli stupratori di ragazze, poiché, se eravamo i mostri che lui dipinge, quale altra maniera avremmo mai avuto per poterne sedurre tante? Strano che nessuna se ne sia lamentata: hanno tutte atteso pazientemente che il professore giustiziere rendesse loro giustizia?

Se questo professore dovesse parlare dell'Odissea, vedrebbe solo i pidocchi sulla testa di Ulisse: perché non vede le cose che sono superiori alla sua dimensione, e le riduce tutte quante alla propria misura. Credo che un simile professore, da solo, se gli fosse possibile, vorrebbe rovinare la reputazione dell'Università di Stanford: dimostra infatti qui tutto il suo cinismo distruttore di tutto ciò che prima rispettava: sembra afflitto da un complesso di Tersite. E ricordandoci continuamente dove egli insegna - come se questo fosse un'autorizzazione ed un lasciapassare per tutti i suoi abusi - non si fa alcuno scrupolo a trascinare nel suo cupio dissolvi anche l'Università che gli dà da mangiare. Il suo cinismo non si vergogna di ingannare il suo pubblico ed i suoi studenti: se fosse in suo potere ingannerebbe tutta la posterità, dalla quale si aspetta ciecamente la gloria, se non per il resto, almeno per questo libro. Ecco un vero e proprio provocatori di naufragi [N.d.T.: naufraugeur in francese ha questo senso: è una figura quasi mitologica di chi anticamente si pensava provocasse naufragi, con fuochi che mandavano le navi sugli scogli, per poi rubare la mercanzia].

Come se scrivesse su Wikipedia, il professore aggiunge, con pedanteria ed in maniera puntigliosa, note con riferimenti per dare una parvenza di serietà al suo ritratto arbitrario ed ai suoi acidi vomiti. Ma le sue note non gli servono altro che a dimostrare con la frode le sue ipotesi abusive, e gli sfugge tutto il resto. Si sa, con dei riferimenti selezionati accuratamente si può dimostrare tutto ed il contrario di tutto, e rendere verosimile ciò che è falso. Il fine dell'autore appare essere il rovescio dell'antica regola "Omnes homines honorare". Sembra come spinto da una forza irresistibile a disonorare con la saliva della sua lingua infetta tutti quelli, e tutto quello, di cui parla a ruota libera. Abbassando tutti gli altri, crede forse di poter elevare sé stesso? Anche in questo caso, fallisce, dal momento che la favola che ci racconta non ci parla d'altro che di lui e della sua disgrazia.

In realtà si tratta di un vero e proprio libro pornografico, ma di una pornografia a buon mercato, degna di una rivista scandalistica, una pornografia che non avrebbe alcun posto nella mia collezione d'arte erotica, che pure contiene non pochi pezzi di pornografia eccellente. E' un libro fabbricato nello stile morboso di una pagina di Facebook: ecco in cosa consiste la sua "modernità". Con il suo occhio da cameriere, guarda attraverso il buco della serratura della casa dei padroni. Per questo nuovo Erostrato, i miei archivi di Yale diventano nient'altro che un altro buco della serratura da cui spiare, con occhio da poliziotto, dal momento che vede solo quello che cerca, tutto il resto gli sfugge, e ciò che cerca non ha niente a che vedere con la libertà, la critica, la lotta, né con la poesia, né con qualsiasi altra cosa che non sia la sua piccola furia infamante.

Avevo già avuto modo di citare questo Apostolidés in una lettera a Mustapha Khayati del 10 dicembre del 2012, poi pubblicata su Internet da altri. Eccola:

«...Fra questi apologeti [di Debord] troviamo delle vere e proprie perle, ad esempio in un certo Apostolidès, il quale, nella foga di farmi scomparire, tocca delle vette filologiche mai raggiunte neppure dal KGB: per dimostrare che Censor non è Sanguinetti, bensì Debord, dopo aver stabilito che la versione francese è più "elegante" di quella italiana (!?), ci toglie ogni dubbio con la seguente acuta lezione: "Si noteranno le affinità fra i due nomi, Censor e Debord: ciascuno possiede due sillabe, le identiche vocali ed uno stesso numero di lettere".

La "affinità" per cui avevo scelto lo pseudonimo di Censor è invece quella con Bancor, la divisa monetaria sovranazionale inventata da Keynes, ma anche lo pseudonimo dell'allora governatore della Banca d'Italia, Guido Carli. Siamo ben lontani dalla furiosa finezza dimostrativa di un Apostolidès, infelice orfano di Papa Pio XII, di Mao e di Lenin che dimostra solamente la sua ricerca spasmodica di un culto spettacolare della personalità ».

E aggiungevo:

« Questa prima ondata di "storici" improvvisati si è allegramente bruciata e sacrificata sull'altare dell'elogio cortigiano, che - come Guy si compiaceva di ricordare, citando Swift - è il figlio del potere istituito. Se avesse avuto sentore di questo monumento funebre, credo che piuttosto avrebbe concluso, con Schopenauer: "Che di qui a poco i vermi consumino il mio corpo, è un pensiero che posso tollerare, ma che lo facciano i professori con la mia filosofia, questo mi fa orrore" ».

Questo genere di persone per quanto possano insegnare in una rinomata università, sono incapaci di concepire una vera, rigorosa e seria analisi storico-critica: per loro c'è solo il servo encomio od il codardo oltraggio. Questo professore in ogni caso rimarrà un fulgido esempio di tutto ciò che un ricercatore onesto e rigoroso dovrebbe evitare, un esempio concreto, da indicare ad ogni studente, dell'infelice unione di queste due disonestà che qui si realizzano senza vergogna, in un pezzo di cronaca poliziesca, che si vorrebbe travestire da opera storica. Ci si può chiedere anche che cosa sia mai diventata, con simili professori, oggi l'Università? Uno sporco affare come tanti altri, per obbligare gli studenti ad indebitarsi e a rendersi schiavi e sottomessi fin dall'inizio della loro vita adulta. Oppure, negli Stati Uniti, ad arruolarsi nell'esercito per potersi pagare gli studi.

Questo libro è un'opera che manca irrimediabilmente di convinzione e di forza, quindi di energia e di freschezza. Somiglia piuttosto ad un lavoro salariato, fatto su commissione, un maldestro tentativo di mettere alla gogna Debord e tutto un movimento, qualcosa di assai diverso da una leale, legittima e onesta critica. La cosa in ogni caso mi rassicura, perché significa che i situazionisti, malgrado tutti i loro difetti, continuano ad essere un esempio di insubordinazione ed un incubo che turba ancora il sonno di un'epoca lontana dalla loro, la quale non sopporta di avere nemici diversi da quelli che si fabbrica da sola.

Ciò di cui mi rammarico, dal momento che amo la legge del contrappasso di Dante, è il fatto che questo professore sia troppo insignificante perché i posteri si occupino di lui, ma se mai troverà un biografo, spero che sia semplicemente onesto, in modo da raccontarci tutta la mediocrità ed il ridicolo del proprio oggetto di studio. Ma chi potrebbe mai essere interessato ad una simile biografia? Come dice Virgilio a Dante (Inferno, III, 47-51), a proposito delle anime deboli e vili, gli ignavi,

« ...e la lor cieca vita è tanto bassa,

che ’nvidïosi son d’ogni altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa;

misericordia e giustizia li sdegna:

non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»

Infine, per motivi di equità, riconosco, nondimeno, di aver apprezzato in questo libro una piccola nota nella quale l'autore si rammarica del fatto che io gli abbia rifiutato il permesso di pubblicare le mie fotografie, cosa che è vera, e di cui mi rallegro, dal momento che mi vergognerei di ricevere i ringraziamenti di una persona simile in una simile opera.
 
Vedo invece dei ringraziamenti del tutto abusivi e perfidi rivolti ad alcuni miei amici che non hanno sostenuto, né aiutato, in alcun modo l'autore di questo libro, e del quale non sono in nessuna maniera responsabili. Ciò dimostra ancora una volta la disinvoltura con cui l'autore inganna, con tutti i mezzi e senza scrupolo alcuno, i suoi lettori.

Esattamente quarant'anni fa, Debord mi aveva indicato, divertito, quel passaggio di Memorie d'Oltretomba, che rimane molto attuale: "Ci sono tempi in cui bisogna dispensare il disprezzo con parsimonia, a causa del gran numero di bisognosi."

Questo a mo' di giustificazione della parsimonia qui dimostrata.

- Gianfranco Sanguinetti - Praga, 31 dicembre 2015 -

SANGUINETTI.DEBORD.1972YN

NOTE:

[*1] - Intervista ad Apostolidès su Liberation del 23/12/2015

[*2] - Cfr. Francesco Guicciardini, Benedetto Varchi, Giorgio Vasari, Ludovico Ariosto e cento altri.

[*3] - Roberto Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, Belardetti, Roma 1960.

[*4] - Giacomo Leopardi - Pensieri, II.

[*5] - G.W.F. Hegel - Filosofia del diritto; Fenomenologia dello Spirito; La Ragione nella Storia; Lezioni sulla Filosofia della Storia.

[*6] - L'oscenità e la legge della riflessione (Obscenity and the Law of Reflection, 1945), trad. Vanni Scheiwiller, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1962.

(traduzione di Franco Senia, revisione di Gianfranco Sanguinetti)

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