Per qualche strana e perversa ragione, i marxisti non riescono a smettere di proporsi come manager del capitalismo, migliori degli stessi capitalisti. Un impulso malato che ha infettato praticamente la quasi totalità della sinistra che si è messa alla ricerca di una "strategia di sviluppo economico praticabile" basato sulla schiavitù salariale, e non certo alla sua abolizione: come se Frederick Douglas, nel XIX secolo, si fosse messo ad esigere - anziché l'abolizione della schiavitù - che gli schiavi potessero avere la domenica libera, come mezzo praticabile per stimolare lo sviluppo economico degli Stati Uniti!
Richard D. Wolff, economista di solito un po' confuso legato al movimento "occupy", ha proposto, con un intervento su "Truthou", una riduzione della settimana lavorativa senza alcuna riduzione dei salari. L'idea - che poteva essere interessante e a cui poteva essere data larga diffusione, grazie alla "celebrità marxista" di Wolff - è stata quasi subito storpiata ed inquinata da tutta una serie di proposte capitaliste che parlano di "comprimere" la settimana lavorativa in meno giorni di lavoro. Wolff, nella sua proposta, sostiene la necessità di una riduzione del totale di ore lavorate a settimana, da 40 a, diciamo, 32, 24, o perfino 16 ore. Diversamente, i capitalisti sono venuti fuori con una serie di proposte che parlano della loro "riduzione della settimana lavorativa", in cui il numero di giorni lavorati si ridurrebbe da, diciamo 5 giorni, a 4, o perfino a 3 giorni la settimana. Ma, come sempre, bisogna leggere la clausola scritta a lettere minuscole in fondo al contratto. Non c'è riduzione delle ore lavorate, c'è solo un cambiamento nel mondo in cui queste ore vengono lavorate.
In una prima proposta, si lavorano lo stesso numero di ore in meno giorni; nella seconda, le ore lavorate sono 80 "spalmate" su due settimane, in turni sfalsati per ottenere un giorno libero extra, ogni due settimane; poi c'è la terza variante - che qui è già passata, ma senza la riduzione delle ore lavorate - in cui si lavora meno ore la settimana, però nell'arco di una vita lavorativa più lunga, che arriva fino a 70 anni di età per chi lavora.
Per quella strane e perversa ragione di cui si diceva sopra, Wolff prende sul serio le proposte capitalistiche e le tratta come se fossero delle alternative reali al fine di ridurre le ore di lavoro, senza che a questo corrisponda una diminuzione dei salari.
Ma la riduzione dell'orario di lavoro, ben prima di cominciare a ridurre i salari, deve ridurre i profitti. Questo perché i profitti provengono dal plusvalore, ed il plusvalore viene creato per mezzo dell'estensione della durata del tempo di lavoro oltre il periodo necessario al lavoratore a riprodurre il valore del suo salario. Quindi una riduzione delle ore di lavoro porta i salari ad essere una parte relativamente maggiore del prodotto sociale. Vale a dire, i salari reali crescono, e i profitti reali crollano. Da economista, Wolff dovrebbe sapere che una riduzione del lavoro costringe anche i prezzi a scendere. Lavorare meno porta a guadagnare meno, a livello nominale; ma porta anche a spendere meno, e costringe i capitalisti a diminuire i prezzi. Ossia, se riduci le ore di lavoro, fai scendere i prezzi nominali e, di conseguenza, i profitti.
Come le ore di lavoro tendono a zero, i salari tendono a zero. Quindi i prezzi tendono a zero e i profitti tendono a zero.
Se questo non fosse vero, l'abolizione del lavoro salariato non porterebbe all'abolizione del capitale. Inoltre, se la riduzione dell'orario di lavoro non avesse funzionato in questo modo, non sarebbe stata esercitata alcuna forza che avrebbe costretto il capitale ad aggiungere macchinari per compensare le ore lavorative ridotte.
La pressione che porta ad introdurre sempre più tecnologia, e sempre migliore, si rivela critica per l'impatto economico della riduzione delle ore di lavoro, perché "accelera" l'impulso allo sviluppo del capitalismo e quindi il suo collasso finale.
Wolff invece arriva a vedere solo il risultato immediato della diminuzione delle ore di lavoro: la diminuzione dei salari. Non riesce ad andare oltre, per vedere il seguito: l'impatto di questa diminuzione sui profitti e l'impatto sulla produzione capitalista.
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
lunedì 29 settembre 2014
La domenica dello zio Tom
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento