martedì 9 settembre 2014

Il tempo è scaduto

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Crisi e Critica
- Il limite interno del capitale e le fasi di avvizzimento del marxismo -
di Robert Kurz

Un frammento

Nota: Il 10 febbraio del 2010, Robert Kurz inviò per email alla redazione di EXIT! un testo, accompagnato dalle seguenti parole: "Insieme alla prima parte del progetto del libro più piccolo, Crisi e Critica, stralciato dal precedente progetto Lavoro Morto, per discuterlo nel prossimo incontro. Si può rimuovere dalla prefazione e dall'introduzione tutto ciò che si considera necessario". Dopo l'incontro, il testo è stato fatto oggetto di piccoli aggiustamenti da parte della redazione e non è stao mai modificato dal maggio del 2010. Come viene spiegato nella prefazione del suo ultimo libro, Denaro senza Valore, Robert Kurz aveva deciso di scrivere una serie di libri a partire dal progetto originale del libro di grandi dimensioni, Lavoro Morto. L'unico che ha potuto realmente terminare, è stato Denaro senza Valore, che è apparso nelle librerie pochi giorni dopo la sua morte. Crisi e Critica sarebbe stato un altro libro di questa serie. Dei 36 capitoli previsti - inclusi l'introduzione e l'epilogo - Robert Kurz ha avuto il tempo di scriverne 10.

* Prefazione * Introduzione * 1. La teoria della crisi nella storia del marxismo * 2. Il capitale va molto bene. Ignoranza situazionista della crisi come mancanza di dimensione storica del tempo * 3. Mitizzazione della teoria del crollo * 4. I cavalieri dell'apocalisse * 5. Psicologismo per i poveri * 6. Bisogna criticare il capitalismo solo per mancanza di funzionalità? * 7. Crisi ed emancipazione sociale * 8. Excursus: la dissociazione-valore fa del feticcio il creatore di un mondo di marionette? *  9. La crisi come rapporto soggettivo di volontà *

Altri capitoli previsti ma non scritti:

10. Il capitalismo come eterno ritorno dello stesso * 11. Empirismo storico: l'ammirevole flessibilità della logica di valorizzazione * 12. Ritorno alla brutta normalità? * 13. La crisi come mera "funzione di aggiustamento" delle contraddizioni della circolazione? * 14. Excursus: l'indebolimento e l'abbandono parziale "critico del valore" da parte della teoria radicale della crisi * 15. Sempre nuovamente il "problema della realizzazione" * 16. La crisi dev'essere piccola o grande? Il concetto ridotto del sistema * 17. Il percorso del biocapitalismo? * 18. Riduzionismo ecologico * 19. Capacità di sopravvivenza del capitale individuale ovvero un capitalismo di minoranza? * 20. Il carattere dell'economia postmoderna delle bolle finanziarie * 21. Excursus: critica riduttiva del mercato finanziario, anti-americanismo e antisemitismo strutturale * 22. L'ultima risorsa ovvero la fede nel miracolo di Stato * 23. Un'illusione democratica * 24. La questione della proprietà erroneamente collocata * 25. Keynesismo di sinistra ovvero la riduzione della teoria del sub-consumo * 26. La guerra come soluzione per la crisi? * 27. La crisi sposta solo i rapporti globali di potere? * 28. Il sesso della crisi * 29. La mancanza della critica categorica * 30. Sintesi sociale e socialismo * 31. Excursus: "Forma embrionale" - un grave malinteso * 32. Cos'è un mediatore? Criteri di immanenza sindacale * 33. Carnevale di "lotte" e pacifismo sociale da ideologia a alternativa * 34. Come Herr Biedermeier aggiusterebbe bene tutto * Epilogo *

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3. Mitizzazione della teoria del crollo

Il vecchio concetto chiave della "teoria del crollo", che sarebbe da tempo obsoleto, è stato più volte recuperato nel corso delle polemiche circa il concetto di crisi della critica della dissociazione e del valore, come se questo risolvesse la faccenda. Facendo finta che per una tale questione non serve nemmeno darsi pena di fornire una qualche motivazione in riferimento ai contenuti (20). Tutto indica che la maggioranza di coloro che si vantano di una simile certezza conoscono gli approcci storici alla cosiddetta teoria del crollo solo per sentito dire, quando è il caso; ed è apparentemente su questa carta che scommettono e pretendono di strumentalizzare un preconcetto privo di qualsiasi autorità su qualcosa che dovrebbero conoscere meglio.
Il termine "teoria del crollo" è naturalmente un'attribuzione proveniente da fuori, in quanto il concetto originariamente utilizzato da Marx, di limite interno, in ultima istanza assoluto, che nella pratica comincia a manifestarsi alla fine del XX secolo, corrisponde molto meglio alla riflessione sulla teoria della crisi basata sulla critica della dissociazione e del valore, e anche alla sua auto-comprensione così come è stata formulata nella maggior parte dei casi. Tuttavia la metafora del "crollo", brandita in forma peggiorativa dai suoi detrattori, venne accolta dai rappresentanti di quest'elaborazione teorica con una certa indifferenza ed opportunamente illustrata con l'immagine di un "collasso" (21) e perfino con una certa vena ironica nei confronti della resistenza mostrata da parte di tutti i campi residuali del marxismo. La comprensione volgare suggerisce che il "collasso" deve avvenire in un modo istantaneo, come un individuo che cade morto, immediatamente, all'insorgere di un infarto grave del miocardio. Per attenerci all'immagine: un sistema sociale globale che si forma e si sviluppa per più di 200 anni, avrà certamente un collasso differente da quello di un individuo; è diverso il lasso di tempo nel corso del quale il soggetto globale della valorizzazione, per così dire, cade a terra. Come il capitalismo ha percorso nei primordi della Modernità un periodo di costituzione ricca di rotture e di convulsioni, così ora percorre un periodo di dissoluzione interna che, tuttavia, a causa della sua dinamica progressiva a livello endostorico, ha un orizzonte storico temporale assai più ridotto; ma questo rimane, in un certo modo, storico. All'ascesa lenta e dolorosa corrisponde, perciò, una caduta relativamente rapida, anche se questo non si presenta necessariamente come tale nella percezione immediata da parte de mondo vivente.
E' esattamente questo a spiegare la differenza, nell'ambito del nuovo culmine della crisi, tra il tempo attuale, o individuale, e il tempo storico. Sebbene una parte considerevole della sinistra lo ha inteso nel senso dell'esistenza di una possibilità della vita eterna del capitalismo "in sé", e ne ha così esteso arbitrariamente il suo orizzonte temporale storico, per la teoria di un limite interno - tornata attuale in termini storici - il quadro temporale del capitalismo coincide con la prima metà del XXI secolo (un breve spazio di tempo quando lo si compara con la totalità della storia interna a questa formazione), senza che abbia possibilmente la necessità di indicare una data precisa. In tal senso, il tempo storico del capitalismo è scaduto. Se la teoria radicale della crisi si conferma nella pratica, per gli storici del futuro (se ancora esisteranno) il raggiungimento del limite interno si contrae di fatto in una cesura che, nel tempo storico, si presenta, per così dire, come un punto, anche se può contenere una generazione umana. Dal punto di vista della realtà della vita contemporanea, tuttavia, può sembrare che si tratti di un processo temporalmente indefinito, o perfino illimitato, che potrebbe anche essere interpretato in modo del tutto differente. Ridurre la metafora del "collasso" all'orizzonte della percezione attuale, è chiaramente un elemento della tattica discorsiva degli oppositori della teoria radicale della crisi, anche quando questi non sembrano avere piena coscienza di ciò (22).
Astraendola dalla problematica della metafora, la teoria del limite interni storicamente raggiunto viene boicottata, al dià di qualsiasi fondamento, in base al suo contenuto, soprattutto grazie all'espediente di associarla, senza indugi e in modo meramente esterno, alle teorie storiche del crollo proprie del marxismo del movimento operaio; e, nella maggior parte dei casi, senza nemmeno darsi pena di chiamarle con il loro nome (non ne esisteranno altre, diverse da quelle formulate dalla Luxemburg e da Grossmann molto tempo dopo la polemica innescata originariamente da Bernstein). Sfuggendo così alle differenze decisive nella derivazione teorica. I vecchi approcci di una cosiddetta teoria del crollo falliranno proprio perché pretendevano di vedere il possibile limite storico solo nelle forme di mediazione interne alla circolazione, o nella mancanza di profitti per la classe capitalista, ma non nella scomparsa della sostanza stessa del lavoro, "valida", imposta dal livello di produttività. Sul terreno dell'ontologia del lavoro del marxismo tradizionale, questo ragionamento più approfondito di fatto non era possibile; ed aveva anche un momento di condizionamento nel processo di sviluppo dello stesso capitale, le cui possibilità di valorizzazione dell'energia umana astratta non si erano ancora esaurite.
Ma il tratto caratteristico della nuova teoria radicale della crisi consiste nella rottura con l'ontologia del lavoro, sotto l'effetto ora maturato dell'esaurimento di queste possibilità, esaurimento questo che solo rende possibile la teoria concretizzata di un limite interno nel senso di "desustanzializzazione del capitale" o "svalorizzazione del valore". Mentre, da un lato, questo contesto viene oggi negato positivisticamente in modo puramente empirico, come abbiamo visto sopra, dall'altro lato, sorge controfattualmente la concettualità di un esaurimento successivo della sostanza del lavoro nel quadro delle vecchie teorie del crollo, che di questo non sapevano niente (23). Il termine "collasso" viene anch'esso mitizzato in riferimento alla storia delle teorie, per poter seguitare a non ammettere la differenza fondamentale tra le formulazioni anteriori sul tema, e la nuova teoria della crisi della critica della dissociazione-valore.
Questa mitizzazione si estende alla valutazione che conferisce un'importanza suppostamente elevata ai concetti di "collasso" in tutto il marxismo tradizionale. Michael Heinrich scrive a questo proposito: "Nella storia del movimento operaio, è stata molto divulgata la concezione per cui le crisi economiche finirebbero per portare al collasso del capitalismo e che il capitalismo si starebbe incamminando verso la sua 'crisi finale'. Dal Capitale è stata dedotta una ' teoria marxiana del collasso '. Negli anni novanta del secolo scorso, questa vetusta idea è stata rivitalizzata ... soprattutto da Robert Kurz" (Heinrich 2004). Quest'attribuzione è del tutto controfattuale e rovescia lo stato teorico-storico delle cose, il quale si presenta esattamente in forma inversa: l'espressione "teoria del collasso" fu, a dire il vero, un'invenzione peggiorativa di Eduard Bernstein, con la quale si proponeva di compromettere i suoi avversari in seno alla social-democrazia, e che, con buone ragioni, dovute al suo posizionamento ideologico, si opponeva violentemente a questo e non voleva avere niente a che fare con questa denominazione.
Michael Heinrich non è l'unico ad ignorare in tutta coscienza il fatto che le successive teorie riduttive del crollo, di Luxemburg e di Grossmann, sono state assolutamente minoritarie e sono state respinte dal marxismo tradizionale, tanto socialdemocratico quanto leninista e, non ultimo, dalle correnti di estrema sinistra di quel tempo, ed in una forma tanto veemente e generica quanto quella con cui viene oggi rigettata la teoria della crisi da tutto il consesso del marxismo residuale e del post-marxismo. L'unico modo in cui "l'idea di collasso" veniva "assai divulgata" nel vecchio movimento operaio era proprio come concetto negativo di lotta contra tale "idea". Questo viene evidenziato anche da una formulazione di Anton Pannekoek, il quale, alla fine della critica delle teorie minoritarie del crollo di Luxemburg e di Grossmann, scrive contro di esse in tono inequivocabile: "E', quindi, quello che nella lettura marxista più antica è stato sempre trattato come uno stupido malinteso degli avversari, e nei confronti del quale si usava il nome di 'grande baccano'". Quello che, in Heinrich, appare come un consenso suppostamente ampio nella "storia del movimento operaio", nella realtà è apparso per quella stessa maggioranza come uno "stupido malinteso degli avversari".  Paul M. Sweezy, nella sua Teoria dello Sviluppo Capitalista, che negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso ebbe varie edizioni americane e tedesche, ci fornisce in retrospettiva una caratterizzazione molto simile dal punto di vista di quella che chiama "controversia del collasso": "Nel movimento socialista tedesco, la paura della rivoluzione era diventata caratteristica tanto degli 'ortodossi' quanto dei 'revisionisti'... A tal fine era necessaria ... una teoria che fosse capace di garantire la stabilità del capitalismo. Perciò, tutte le teorie del crollo dovevano essere combattute...".
E' assolutamente impossibile che Heinrich non sappia tutto questo. Evidentemente, si è scommesso che questa sua attribuzione erronea sarebbe stata bene accolta dalla fauna di sinistra, per mancanza di conoscenza della storia delle teorie e delle controversie, per poter così squalificare una nuova elaborazione teorica, critica della dissociazione e del valore, facendola apparire come propriamente "marxista del movimento operaio". Questo tentativo torna indietro come un boomerang, in quanto riproduce proprio la posizione del movimento operaio, e del tradizionale marxismo di partito, di fondamentale rifiuto della "idea di un collasso", e porta così involontariamente all'evidenza le tracce di tutta la faccenda.

- Robert Kurz – 2012 -


(20) - Almeno su questo punto, l'ultimo professore emerito di sinistra e l'ultimo studente di sinistra, sono d'accordo con la famigerata Mont Pèlerin Society, una mafia ideologica nella quale si era riunita tutta la crema del neoliberismo. Nella sua ultima conferenza, a New York, già nel bel mezzo del crack dei mercati globali, quest'associazione accademico-politica, ora caduta nel ridicolo, ha dato una prova inconscia della sua coincidenza con una sinistra non meno afflitta dalla crisi: "Sarà questa la crisi definitiva del capitalismo? - chiese uno dei partecipanti, per poi darsi da sé solo la risposta: no. Antonio Martino, ex ministro italiano degli affari con l'estero e della difesa, sottolineò quest'impostazione dicendo che già Karl Marx aveva vaticinato il crollo imminente del capitalismo, l'inganno su questa materia ha 150 anni, al contrario, per esempio, di quello che è stata la previsione di molti liberali che già nel 1980 avevano previsto la fine dell'Unione Sovietica e la svolta della Cina verso un'economia di mercato..." (Neue Zürcher Zeitung, 9.4.2009). Invece, la sinistra si trova in prima linea in termini di ignoranza, nella misura in cui non è riuscita a presentire la fine di un'epoca, e ancora oggi non riesce a capire.

(21) - "Il collasso della modernizzazione" (Kurz, 1991), è il titolo di un libro che, dalla prospettiva della nuova teoria della crisi, collocava il collasso di fatto occorso al "socialismo reale" nel contesto di una crisi generale ancora imminente del mercato mondiale. Ma la corrente principale, politicamente anchilosata, della sinistra non sapeva né voleva assumere un quadro teorico di crisi così delineato. Infatti, davanti ai fatti puri e semplici, si parlò prima (anche nel discorso borghese ufficiale) di un "collasso" del sistema che, però, era da imputare a cause notamente soggettive (difetti dell'economia pianificata dalla burocrazia di Stato). Questo non avrebbe dovuto in ogni caso applicarsi al capitalismo mondiale, cosa che si faceva chiudendo sistematicamente un occhio a proposito del suo collegamento interno con la "modernizzazione ritardata" dell'Est.

(22) - La falsa immediatezza temporale viene invertita e rivolta contro la teoria radicale della crisi, per esempio dalla mistificante ideologia "anti-tedesca": "Non pretendiamo neppure di mettere in discussione l'eventualità che ci possa essere il collasso, probabilmente già fra una settimana (!) - ma il fatto che giudizio categoriale per cui questo possa accadere in tempi prossimi (o qualsiasi altro tempo) ... non poggia assolutamente su niente" (Initiative Sozialistisches Forum 2000). Nella misura in cui il possibile "collasso" qui non solo viene, per così dire, ridotto ad un evento storico quotidiano, ma viene consegnato alla responsabilità di una contingenza assoluta, si ritengono liberi da qualsiasi necessità di una base nell'ambito della teoria dell'accumulazione. Questa mistificazione è dovuta all'invocazione enfatica, da parte degli "anti-tedeschi", della ragione illuminista, per le cui categorie rimane impensabile un limite interno, determinato in termini storici, delle sue proprie basi sociali.

(23) - Per Ingo Stützle, come rappresentante del marxismo residuale di Berlino, la teoria della crisi fa "...un'affermazione assurda a proposito del fatto che il marxismo del movimento operaio non poteva tener conto di nessuna teoria della crisi 'come dev'essere', dal momento che questo avrebbe messo in discussione l'identità 'delle operaie e degli operai'. Questo fatto sottolinea una volta di più la difficoltà nel chiarire quello che la teoria di Kurz avrebbe di particolare o anche di trovare qualcosa che possa essere presa sul serio" (Stützle 2001). E' evidente quello che per Stützle è assurdo: l'identificazione dei rappresentanti del marxismo del movimento operaio con il "lavoro", non riconosciuto come categoria funzionale e sostanza del capitale, ma ontologizzato, che impedisce che la dimensione della teoria della crisi di Marx, che si riferisce ad una riduzione assoluta della sostanza del lavoro "valida" in termini capitalistici, possa esser fatta tornare fertile; questo senza parlare del fatto che una tale qualità della dinamica capitalista, puramente e semplicemente, ancora non era stata raggiunta in termini storici. Se, per Stützle, rimane incomprensibile la differenza decisiva fra una teoria della crisi basata sull'ontologia del lavoro e l'atra, che critica l'ontologia del lavoro, questo è un suo problema.

fonte: EXIT!

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