Intervista di Michael Cunningham a Ursula K. Le Guin, su genere, generi, regole e narrativa
apparsa su Electric Literature, il 7 agosto 2014
Michael Cunningham: Gli scrittori, più o meno per definizione, si trovano sempre a scrivere dentro un periodo storico, anche se il periodo acquisisce un nome solo più tardi. Non credo che i vittoriani pensassero a sé stessi come vittoriani. Ok, i modernisti pensavano a sé stessi come modernisti, ma comunque ... A volte mi chiedo in che periodo ci troviamo, nel 2014. Per quanto mi riguarda, "post-modernismo non lo trovo molto soddisfacente.
Anche se non ho un nome con cui chiamarlo - confido che la storia glielo darà - ritengo che l'aspetto più importante di questo periodo sia quello che io chiamo "ampliamento".
Ampliamento nel senso di una convinzione collettiva molto più grande circa chi abbia il diritto di raccontare storie, quali storie valgono la pena di essere raccontate, e chi, fra i narratori, debba essere preso sul serio. Penso ad "ampliamento" non solo nei termini di razza e genere, ma anche nei termini di quello che per molto tempo è stata etichettata come "narrativa di genere".
Ritengo che alcuni dei più innovativi, profondi, e meravigliosi romanzi scritti oggi si trovi accantonato negli scaffali della sezione fantascienza delle librerie. Quella sezione probabilmente continere libri più affascinanti di quella nella sezione della ... come chiamarla? ... narrativa principale ...
Potresti parlare di questo? Della rottura delle barriere fra i libri "di genere" ed i libri che generalmente si trovano impilati sui tavoli, appena entri, di Barnes & Noble? Questo è particolarmente importante per me, che da sempre provo a portare i lettori ad avventurarsi nella narrativa di genere, ed ancora incontro un sorprendente grado di resistenza. La frase, "Io non leggo fantascienza" viene pronunciata da un sorprendente numero di beneducate ed erudite bocche.
Ursula K. Le Guin: Beh, hai detto molte cose che avrei detto anch'io, e sono felice di sentirle dire da uno scrittore la cui fama non si lega ad un "genere" ma a quella che ancora chiamiamo letteratura.
E, naturalmente, è questo il problema che persiste: il mantenimento di una divisione arbitraria fra "letteratura" e "genere", il rifiuto di ammettere che ogni opera di narrativa appartiene ad un genere, o a più generi.
Ci sono molte differenze reali fra fantascienza e narrativa realistica, fra horror e fantasy, fra storia d'amore e mystery. Differenze nello scriverli, nel leggerli, nel criticarli. Vive les differences! Sono quello che dà a ciascun genere il suo particolare aroma e sapore, il suo particolare interesse per il lettore - e per lo scrittore.
Ma quando le caratteristiche di un genere vengono controllate, sistematizzate ed enfatizzate dagli editori, o dai critici, allora diventano limitazioni, piuttosto che possibilità. Smerciabilità, ripetitività, prevedibilità si sostituiscono alla qualità. La forma letteraria degenera in una formula. Scrittori pagati un tanto a rigo nella catena di montaggio della fabbrica delle stronzate. Hollywood divora e rigurgita le stronzate, e ben presto il genere viene giudicato secondo il suo minimo comune denominatore... E allora abbiamo la situazione che si è verificata dal 1940 fino alla fine del secolo: "il genere" usato non come descrizione utile, ma come giudizio negativo, come un rifiuto.
"I generi" venivano tutti ignorati e solo la narrativa realistica era considerata letteratura, nella mente degli uomini che controllavano la critica e l'insegnamento. Il realismo è certamente un genere letterario enorme e meravigliosamente capiente, e ha dominato la narrativa sin dal 1800, e anche prima. Ma il dominio non è sinonimo di superiorità. Il fantasy è altrettanto immenso del realismo, e molto più vecchio - sostanzialmente coevo alla stessa letteratura. Eppure il fantasy è stato relegato all'asilo per 50 o 60 anni.
Di questi tempi, mi piace ricordare Edmund Wilson, il re dei bigotti realisti, che gridava "Ooh, quei terribili Orchi!" e credo che egli abbia fatto di questo un punto critico arguto e convincente.
Come puoi vedere, porto un po' di risentimento, e qualche cicatrice, proveniente dagli anni del bigottismo anti-genere. La mia narrativa, che va liberamente in giro fra realismo, realismo magico, fantascienza, fantasy di vario genere, finzione storica, narrativa per adolescenti, parabola, ed altri sottogeneri, fino al punto che molta di essa è ingenerificabile, tutta insieme è stata gettata nel cestino della fantascienza oppure etichettata come sotto-letteratura per bambini.
E le etichette rimangono attaccate. Come hai detto, un bel po' di persone hanno ancora pregiudizi sul genere. Incontro ancora matrone che mi dicono gentilmente che il loro bambini amano i miei libri ma che loro naturalmente non li hanno letti, e persone che sono sicure che io sappia che loro non leggono quella robaccia che parla di astronavi. No, no, loro leggono Letteratura - realismo. Come Cinquanta sfumature di grigio.
Ma le pareti che io ho martellato così a lungo sono crollate. Sono macerie. Mi piace il tuo termine, "ampliamento", riferito a quello che sta succedendo. Sono d'accordo sul fatto che "postmoderno" sia una parola veramente floscia. Ma credo davvero di non volere un'etichetta per il posto nuovo in cui ci troviamo. Le etichette diventano gabbie. Mi piace vedere persone come Michael Chabon e Kij Johnson e David Mitchell e Jo Walton — e soprattutto, il vecchio José Saramago! - danzare in giro per paesaggi letterari, usando liberamente frammenti di genere per costruire le loro meravigliose storie, trovando forme inclassificabili per una narrativa irresistibile. E vedere la reputazione letteraria di grandi non-realisti come Jorge Luis Borges ed Italo Calvino, conservarsi o crescere - insieme allo status dell'Autore dell'Orribile Orco, e di alcuni oscuri scrittori di quella robaccia che parla di astronavi, come il mio ex-compagno di classe a Berkley, Philip K. Dick. Vive la Révolution!
Michael Cunningham: E' stato scritto a proposito dell'opera di Samuel R. Delany che, "Immaginando un nuovo genere e l'orientamento sessuale che ne risulta, la storia ci permette di riflettere sul mondo reale, pur mantenendo una distanza straniante".
La storia in questione era, "Sì, e Gomorra", ma si potrebbe dire lo stesso di altri lavori di Delany, e certamente anche di alcuni dei tuoi, soprattutto de "La mano sinistra delle tenebre".
Non c'è bisogno di focalizzarsi sui vantaggi di rivendicare un diritto, nella narrativa, per re-immaginare i generi, anche se questo sarebbe certamente interessante. Potresti anche parlare, se vuoi, delle libertà che si offrono quando uno scrittore si libera da quello che suppongo si possa chiamare il mondo "naturale" - cioè, dal pianeta Terra, dai suoi abitanti e dalle sue convenzioni.
Ursula K. Le Guin: Penso che Delany utilizzasse il concetto, molto utile, di Darko Suvin di "straniamento cognitivo" per compiere quello che forse è il gesto caratteristico della fantascienza: Dare al lettore un nuovo posto dal quale guardare al vecchio mondo. O, come ha detto Suvin, uno specchio nel quale puoi vedere la tua nuca. Stendhal, cupo realista, si vantava del fatto che i suoi romanzi fossero "uno specchio sul lato della strada" che riflettevano la realtà. Ma un tale specchio non può mostrati il mondo, o te stesso, da un punto di vista dal quale non hai mai guardato prima, come fa la fantascienza.
La cosa da ricordare, per quanto esotica o futuristica o aliena sembri la fantascienza, e che tu in realtà stai guardando al tuo mondo e a te stesso. La fantascienza seria considera il mondo reale e l'essere umano tanto quanto lo considera la narrativa realista. Dopo tutto, l'immaginazione può solo prendere parti della realtà e ricombinarli insieme. Non siamo Dio, la nostra parola non è il mondo. Ma le nostre menti possono imparare un bel po' sul mondo, giocando con esso, e l'immaginazione trova un campo di gioco infinito nella narrativa.
Nel corso degli anni '60 divenne importante per molti di noi, soprattutto donne e gay, cercare un'idea migliore su che cosa consistesse esattamente il "genere". "Lui Tarzan, Io Jane", non sembrava più essere abbastanza adeguato. Lo specchio della fantascienza si presentava a me ( Theodore Sturgeon, e Samuel R. Delaney, Vonda McIntyre, Joanna Russ, e molti altri ) come un ottimo modo per ottenere un differente punto di vista. Lo straniamento cognitivo poteva aiutare a sviluppare nuove cognizioni, una comprensione più ampia.
E questo, come hai detto, offre ad uno scritto una libertà desiderabile. Per me, però, non si tratta di una liberazione o di una fuga dal nostro mondo. Il nostro mondo è tutto quello che ho per farci le mie storie, la mia gente è la sola gente che conosco. Ma costruendo mondi e genti, posso ricombinare e giocare con quello che abbiamo e siamo, posso domandare cosa accadrebbe se fosse così anziché cosà - Cosa accadrebbe se nessuno avesse un genere fisso, come sul pianeta Gethen? Cosa accadrebbe se i matrimoni, anziché di una coppia e due persone, consistessero di quattro persone e di quattro coppie omo ed eterosessuali, come sul pianeta O? Se nessuno, in un mondo, avesse mai mosso guerra, come differirebbero in quel mondo le persone e la vita quotidiana, rispetto alla nostra, e in quali maniere?
In tal senso, molta della mia fantascienza è antropologica. Mio padre era un etnologo, che ha imparato dagli indiani della California che la California potrebbe essere abitata in una maniera molto diversa da come noi l'abitiamo - molti modi differenti. Io spedisco persone immaginarie su pianeti immaginari per imparare altri modi in cui noi potremmo abitare il nostro, di pianeta. Sento una certa urgenza nel dovere ottenere una tale informazione, dal momento che noi stiamo abitando il nostro pianeta in una maniera sempre più distruttiva ed insensata.
Michael Cunningham: Sei ancora interessata alle distinzioni fra fantascienza, narrativa speculativa e fantasy? Ho letto interviste, in passato, nelle quali discutevi di queste cose, e mi piacerebbe avere un tuo commento circa il tuo pensiero attuale in quest'area, a meno che tu non sia più particolarmente interessata a questo.
Ursula K. Le Guin: E infatti è così, Michael. Mi sono sentita obbligata per così tanti anni a protestare, a sproloquiare intorno a queste distinzioni - quelle autentiche ed utili - che venivano equivocate come giudizi di valore. Ora la sentenziosità è venuta meno, e questo è grande. Non devo più preoccuparmi, non devo sproloquiare. Meno male!
Michael Cunningham: Tengo un corso universitario che si chiama "Leggere narrativa per mestiere", e il tuo racconto, “The Ones Who Walk Away From Omelas” è stato fin dall'inizio nel programma. Io e i miei studenti, abbiamo discusso di quel racconto all'inizio del semestre, durante una riunione di classe che io chiamo "Le Regole".
Ricordo loro per tutto il semestre che non ci sono regole, al più ci sono pochi principi generali che sembrano funzionare, per gli scrittori di narrativa, qualche volta. E, ok, qualche volta funzionano più spesso di quanto non funzionino.
La tua storia viene offerta a loro come un esempio di quanto lontano si possa spingere uno scrittore rispetto ai principi generali, e produrre ancora una notevole, coinvolgente, commovente storia.
Spero che non ti dispiaccia se ti dico che la tua “The Ones Who Walk” è una dello poche storie che riscuote sempre un grande successo, con ogni studente, ogni semestre.
Discutiamo molti aspetti di quella storia, con in primo piano il suo disprezzo per quello che suppongo di poter chiamare "buon comportamento della scrittura". Tu ti rivolgi direttamente al lettore. Ricordi al lettore che la storia è un'invenzione, e che lo scrittore di solito prova ad immaginare cosa potrebbe essere più efficace rispetto al lettore, anche se si "suppone" che questo sforzo venga celato. Rifuggi dai personaggi centrali. E la storia presenta un vero e proprio dilemma morale, uno di quelli più o meno insolubile, in un ambito nel quale gli scrittori si "suppone" che rimangano almeno in apparenza neutrali, filosoficamente e politicamente. O, piuttosto che essere sovversivi filosofici e politici; nascondere il pensiero sotto i personaggi e gli eventi.
Vuoi parlare di questo racconto? SU come ci sei arrivata, come lo hai sviluppato, se hai avuto dubbi circa la sua eterodossia dopo averlo finito?
Ursula K. Le Guin: Onestamente, l'ortodossia non mi riguarda. Seguo solo le regole che mi portano dove voglio andare. Se non c'è alcuna regola, me ne faccio una mia (e mi ci attengo scrupolosamente).
I due libri per i quali mi sono davvero preoccupata di essere andata troppo lontano rispetto alle aspettative dei critici e dei lettori sono stati: La mano sinistra delle Tenebre (era totalmente sbagliato, mi ha preso la mano fin dall'inizio) e Lavinia (in parte era giusto, ahimè, però sembra che stia trovando i suoi lettori), Ma non ricordo preoccupazioni circa Omelas.
Mentre lo scrivevo mi divertivo moltissimo a sfidare tutte le convenzioni, a ballare una danza metanarrativa sulla tomba dello Scrittore che si Auto-Nasconde.
L'ho spedito alla mia agente, Virginia Kidd, che avrebbe potuto vendere Il Capitale ad un Tea Party del Congresso in Texas. Lo ha venduto bene e da allora è stato costantemente ristampato. Insegnanti di tutti i campi - letteratura, filosofia, sociologia, economia - lo uso come stimolo per la discussione. Esso pone una questione morale spaventosa (che si sono posti sia William James che Dostoevskij, e che è direttamente pertinente alla nostra società) che non offre una soluzione diretta. Questa cosa fa arrabbiare molti studenti e li rende infelici e insoddisfatti, per cui se ne lamentano, allora gli altri studenti vogliono spiegare loro ...
"Il buon comportamento della scrittura" è una bella frase. Mi fa pensare a quando ero una matricola al Radcliffe College (ora sussunto ad Harvard) nel 1947. Il preside del College informò paternamente noi ragazze che eravamo lì per imparare a vivere con raffinata eleganza.
Già. Uhuhu. Un mucchio di pazze, sgraziate, appassionate, adolescenti intellettuali di sesso femminile fameliche di imparare ogni cosa che Harvard ci avrebbe insegnato - ed eravamo lì per imparare a comportarci bene? Come delle signore? Come apparecchiare una bella tavola e come versare il tè?
Fortunatamente, Harvard ci ha dato una superba formazione, facendo sì che almeno qualcuna di noi cominciasse ad imparare come e quando rovesciare il tavolo e la teiera. E perché.
Michael Cunningham: C'è qualche domanda che vorresti il tuo intervistatore ti facesse, e ancora non ha fatto?
Ursula K. Le Guin: Non ricordo che qualcuno mi abbia mai chiesto qualcosa circa l'importanza relativa degli esseri umani e degli esseri non-umani nella mia narrativa e nella mia poesia. Ad esempio, il posto piuttosto grande che animali ed alberi occupano nei miei scritti. I romanzi spesso consistono di relazioni umane, ma io spesso estendo queste relazioni fino ad includere altre creature, comprese foreste, dragoni e topi. Nella mia poesia c'è un sacco di geologia - rocce. Mi sembra di muovermi facilmente fuori da un universo umano-centrico. Forse mi diverto ad evadere? Non lo so ...
fonte: Electric Lit
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