La rottura ontologica: Prima dell'inizio di una differente storia del mondo
di Robert Kurz
Il dibattito sulla globalizzazione sembra essere arrivato ad un punto di esaurimento. Tuttavia, questo non è perché il processo sociale soggiacente si sia esaurito - anzi il processo è nella sua fase incipiente. Piuttosto, le forme di interpretazione hanno perso prematuramente energia. La corporazione degli economisti e dei politologi ha già riempito intere librerie con discussioni a proposito della conseguente dissoluzione dello stato nazione e della regolamentazione politica, come quadro di riferimento. Eppure tutta questa diffusa serie di discussioni è rimasta del tutto senza conseguenze. Più le analisi hanno mostrato, nel modo più chiaro possibile, che le nazioni e la politica sono diventate obsolete, e più ostinatamente i discorsi politici e teorici hanno cercato di mantenere i concetti di nazione e di politica. Gli argomenti sviluppati per affrontare il problema appaiono stanchi e poco convincenti.
Il problema è che non ci sono alternative immanenti a tali concetti, perché sono proprio i concetti come lavoro, denaro, e mercato che rappresento le definizioni pietrificate della moderna ontologia capitalista - e ne rappresentano anche le sue categorie. Dobbiamo porci a capire ontologicamente, non antropologicamente o in maniera trans-storica, ma invece proprio come contingenza storica, che i concetti ontologici, o le categorie, della socialità indicano campi storici distinti; in termini marxiani: una forma di società o un modo di produzione ed un modo di vivere. Il sistema moderno della produzione di merci costituisce un'ontologia storica di questo tipo. Dentro tale campo esiste, ad ogni punto dato del tempo, una moltitudine di alternative e di argomenti. Questi, tuttavia, restano confinati, e si muovono all'interno delle medesime categorie storico-ontologiche. La critica, e la sospensione delle categorie stesse, appare come non pensabile. Sebbene sia possibile criticare una certa politica per poterla sostituire con un'altra, dentro la moderna ontologia è impossibile criticare la politica in sé e rimpiazzarla per mezzo di un altro modo di regolamentazione sociale. Per fare questo, manchiamo delle appropriate forme di pensiero, e quindi anche di tutti i concetti. Solo il contenuto determinato della politica è plasmabile, ma non lo sono le forme categoriche, le modalità, di tale contenuto. Lo stesso avviene con le categorie di nazione, Stato, diritto, lavoro, denaro e mercato, così come per individuo, soggetto e relazioni di genere (mascolinità e femminilità sociale). In qualsiasi punto, qualunque di queste forme categoriali può essere modificata, ma solo in senso quasi aggettivale. Però la categoria in sé e il suo corrispondente modo sociale non diventano mai oggetto di una sostanziale negoziazione.
L'intuizione analitica per cui il processo di globalizzazione rende obsolete nazione e politica, non può perciò essere elaborata con i mezzi ed i metodi che ci offrono le moderne scienze sociali. Oggi non si tratta più di sostituire uno specifico contenuto con un altro diverso, un nuovo contenuto dentro la stessa forma sociale - come dire, la sostituzione della costellazione politica dominante con un'altra. Simili strategie vorrebbero, per esempio, che la potenza mondiale degli Stati Uniti potesse essere sostituita da un nuovo blocco di potenze euro-asiatiche, oppure che la politica economica neoliberista potrebbe essere superata per mezzo del ritorno ai paradigmi keynesiani. Invece delle questioni della globalizzazione, la modalità politica e la forma nazionale in quanto tali.
Tutto questo significa che l'analisi contemporanea asserisce assai più di quanto sappia. Con la sua intuizione circa la perdita della capacità regolatrice da parte dello Stato-nazione e della politica, l'analisi stessa, senza volerlo, va a sbattere contro i limiti della moderna ontologia. Ma quando cade una categoria, anche tutte le altre devono seguirla e cadere come tessere del domino. Per la formazione storica del moderno sistema di produzione di merci, può esistere solo una totalità nella quale una condizione di base ne presuppone un'altra e le diverse categorie si determinano a vicenda. Ed è per questo che avviene che la perdita dell'autorità politica incida sull'economia, e tanto meno che questa perdita permetta che l'economia cominci a girare libera. Al contrario, la politica costituisce il modo di regolazione del moderno sistema di produzione di merci, il quale non può funzionare economicamente, senza una tale regolazione. La stessa globalizzazione, che spazza via la cornice nazionale e distrugge così la politica come modo di regolazione, è condizionata, a sua volta, dal fatto che il lavoro astratto, come forma di valore produttivo, ed il plusvalore generato dall'attività umana all'interno dello sviluppo delle forze produttive, viene sempre più rimpiazzato dal capitale fisso. L'ammortamento di valore che ne consegue spinge il management verso una razionalizzazione transnazionale delle attività economiche. Nello stesso modo in cui il capitale oggettivo 'scientifizzato' sostituisce il lavoro, il capitale viene desostanzializzato e la valorizzazione del valore raggiunge i suoi limiti storici; l'ammortamento della nazione e della politica non è altro che un prodotto di questo processo. Una volta che la struttura categorica delle forme di produzione, riproduzione e regolazione sarà stata diluita, anche le forme di individualità, di soggetto, e la loro determinazione androcentrica di genere, anche queste saranno diventano obsolete. Ciò che a prima vista sembra essere una crisi particolare della politica e dei suoi limiti nazionali, in realtà è una crisi della moderna ontologia. Una tale crisi categoriale richiede, come risposta, una critica categoriale. Però, un tale progetto manca sia di appropriate forme di immaginazione sia di concetti adeguati. Finora, la critica è stata immanente alle categorie dominanti, rapportandosi solamente al contenuto determinato, e non alle forme ontologiche e alle modalità del sistema moderno di produzione di merci - da qui, l'attuale paralisi di pensiero e di prassi. L'amministrazione planetaria di questa crisi ontologica non può più trattenere la dissoluzione nella barbarie di tutta una società globale che si definisce in termini capitalisti. Al contrario, diventa invece parte integrante della discesa nella barbarie. Quello che qui si richiede è una rottura ontologica - da cui il discorso globale, comunque, si tiene lontano, compresa la sinistra radicale. Quello che predomina, al suo posto, sono le idee regressive che cercano di invertire il movimento della ruota della storia, proprio al fine di evitare questa assolutamente impensabile rottura ontologica. Mentre i sostenitori della linea dura dell'amministrazione della crisi vogliono separare la maggioranza dell'umanità dalle loro condizioni di esistenza, la più parte dei sedicenti critici della globalizzazione cerca di sfuggire dal vero oggetto della loro critica rifugiandosi idealmente nel passato; ricadono nei paradigmi, reazionari e senza speranza, della nazione, della politica, della regolazione keynesiana, o viaggiano anche più lontano, indietro nel tempo, verso gli ideali di società agresti romanticizzate. Parte integrante di questa tendenza regressiva, è la follia religiosa che imperversa in tutte le sfere culturali superando qualsiasi altra manifestazione comparabile avvenuta nelle rotture passate della storia della modernizzazione.
Al fine di essere capaci di pensare chiaramente e mettere in discussione la moderna ontologia in quanto tale, sarebbe necessario capire tale ontologia come storicamente determinata. Solo pensandola in tal modo, il suo superamento diviene possibile. La crisi ontologica del ventunesimo secolo può essere risolta solo se la storia della costituzione di ciò che è apparentemente naturale, la storia delle categorie a priori della moderna produzione di merci dal XVI al XVIII secolo, viene non solo di nuovo illuminata, ma fondamentalmente rivalutata. Questo compito, però, viene bloccato da un apparato ideologico, il quale è costitutivo della modernità in quanto totalità categorica della sua riproduzione sociale. La fondazione di questo momento ideativo - e, nel suo carattere ontologicamente affermativo, già apparato ideologico - è costituito dalla filosofia illuminista. Tutte le moderne teorie sono derivate in egual misura da quelle radici, il liberalismo come il marxismo, così come i movimenti reazionari-borghesi del contro-illuminismo e dell'antimodernità. Per questa ragione, tutte queste teorie sono ugualmente incapaci di formulare la critica radicale che viene richiesta e realizzare la necessaria rottura ontologica. I passati conflitti, in tutto il mondo, tra liberalismo, marxismo e conservatorismo hanno sempre affrontato questioni sociali, politiche, giuridiche o ideologiche. Comunque, non hanno mai affrontato le forme categoriali e i modi ontologici della socialità. In questo senso, liberali, marxisti, conservatori e destra radicale potrebbero tutti essere ugualmente patrioti, politici, soggetti, universalisti androcentrici e statisti, entusiasti della finanza o dei diritti dei lavoratori, eppure continuerebbero tutti a distinguersi fra loro solo per delle sfumature nei rispettivi contenuti. Questo a causa del terreno comune per quanto riguarda il loro modo di pensare illuminista, in quanto le ideologie della modernizzazione che sembrano apparentemente conflittuali rivelano, nel contesto della crisi dell'ontologia moderna, di essere un unico e solo apparato ideologico, nel senso di una persistenza comune con la stessa ontologia a qualsiasi prezzo.
L'intuizione che può essere racimolata occasionalmente nel discorso postmoderno a partire dal 1980 - che sinistra, destra e ideologie liberali sono diventate intercambiabili - indica come le fondamenta nascoste siano comuni a tutte nello stesso modo e che il neoliberismo - in quanto ideologia della crisi - correntemente determina, con solo qualche minima variazione, la totalità dello spettro politico delle linee dei partiti. Il pensiero postmoderno, ad ogni modo, si è accorto di questa interscambiabilità in modo esclusivamente fenomenologico e superficiale, e quindi senza mettere in discussione la soggiacente ontologia della modernità. Il postmodernismo ha provato invece a sgattaiolare oltre il problema ontologico, cercando semplicemente di respingere tutte le teorie che vedono l'ontologia della modernità come una richiesta dogmatica e totalitaria - come se il problema fosse intrinsecamente teoretico, e non, nei fatti, un problema che emerge dalla realtà del modo sociale di riproduzione. In questo modo, le categorie di base del moderno sistema di produzione di merci non vengono certamente criticate, ma vengono invece solo rimosse dalla messa a fuoco dello sguardo critico, senza però che siano eludibili nella pratica sociale. Il postmodernismo, inoltre, risulta così essere parte integrante dell'apparato ideologico totale e, malgrado le sue asserzioni del contrario, un derivato della filosofia illuminista. Il pensiero illuminista esplicitamente impianta, espande, consolida e legittima ideologicamente le categorie dell'ontologia moderna, le quali prima del XVIII secolo erano ancora instabili. Per tale ragione, la rottura ontologica necessaria dev'essere accompagnata dalla critica radicale dell'Illuminismo e di tutte quelle forme di filosofia, teoria ed ideologia, che dall'Illuminismo sono emerse. Nel rifiutare le sue fondamenta, rigettiamo anche tutto il resto. La rottura ontologica consiste precisamente in questo. Tuttavia, l'Illuminismo non ha solo sviluppato le categorie del lavoro, del valore, della merce, del mercato, della legge e della polizia, dello stato legale, dell'universalismo androcentrico, del soggetto, insieme alla nozione di individualità astratta come riflesso concettuale di una ontologia sociale della modernità che era scaturita da un processo storico cieco; l'Illuminismo ha messo simultaneamente tutte queste cose dentro un contesto logico e storico cosicché da renderle sacrosante.
Anche le prime forme sociali agrarie possedevano le loro rispettive ontologie storiche: l'antico Egitto e la Mesopotamia, non diversamente dall'antichità Greco-romana, la Cina imperiale, la cultura islamica ed il Medioevo cristiano. Ma tutte queste ontologie erano, in un certo senso, autosufficienti. Erano definite da sé stesse, non avevano bisogno di essere valutate contro una qualche altra ontologia, e non stavano sotto pressione per auto-giustificarsi. Anche lì esistevano in ogni caso delle relazioni con culture straniere dello stesso periodo, e quegli "altri" erano di solito definiti negativamente come "barbari", "non-credenti" o "pagani". Tali definizioni, ad ogni modo, non si basavano su sistemi storico-filosofici, ma rappresentavano solamente dei limiti incidentali. Il sistema moderno di produzione di merci, al contrario, aveva bisogno di fondare la propria ontologia in maniera riflessiva - riflessivamente, comunque, non nel senso di un progetto critico ma piuttosto nel senso di un progetto di legittimare sé stesso come sistema. Infatti, è stata la coazione a giustificare il nuovo, fondamentale per poter soggiogare e sottomettere gli individui, ad aver prodotto la filosofia della storia dell'Illuminismo. Le richieste mostruose del capitalismo, il quale mira direttamente a trasformare il processo della vita nella sua totalità, in funzione immediata della sua logica di valorizzazione, non si possono più basare su un concatenamento di tradizioni slegate. Da un lato, era necessario conferire all'ontologia specificatamente moderna la dignità di una relazione naturale oggettiva. Cioè, era necessario trasformare esplicitamente un'ontologia storica in un'ontologia trans-storica e antropologica dell'essere umano in quanto tale. Dall'altro lato, questo determinava il bisogno di stabilire una relazione logica fra questa moderna, ora trans-storicamente motivata, ontologia e tutte le altre precedenti formazioni storiche, e con tutte le altre culture concorrenti non-capitaliste (ancora prevalentemente agrarie). Il risultato non poteva essere che quello di stampare un marchio di inferiorità sul passato. Questo non solo rappresentava una nuova visione del mondo, ma anche una rivalutazione da zero di tutti i valori. Nelle società agrarie, le persone consideravano sé stesse come figli dei propri genitori, non semplicemente in senso ontogenetico, ma anche in senso filogenetico e storico-sociale. I più vecchi venivano celebrati, allo stesso modo in cui lo erano gli antenati e gli eroi mitici del passato. L'età d'oro veniva collocata agli inizi, e non nel futuro; l'ideale insuperabile parlava della mitica "prima volta", e non del "risultato finale" di un processo che comportasse fatica. La filosofia illuminista della storia non rifletteva in modo critico su questa visione del mondo. Invece, ne distoglieva lo sguardo. Antenati ed "uomini primitivi" venivano considerati come bambini non emancipati in senso storico-filogenetico, che solo nella moderna ontologia arrivavano all'età adulta. Tutti i periodi storici precedenti apparivano dapprima come errori dell'umanità, per poi più tardi diventare fasi precedenti, imperfette ed immature, della modernità, la quale, a sua volta, andava a rappresentare il culmine e il punto finale di un processo di maturazione - la "fine della storia" in senso ontologico. La storia veniva allora sistematicamente definita, per la prima volta, come sviluppo - dalle forme ontologiche più semplici a quelle più alte e migliori. Ovvero, come il progresso dallo stato primitivo a quello attuale dell'essere umano, nel contesto della modernità produttrice di merci. Da un lato, le categorie ontologiche specificamente storiche della modernità venivano stabilite trans-storicamente, come se ci fossero sempre state. Anche lo stesso concetto di ontologia appariva essere sinonimo di circostanze antropologiche, trans-storiche o a-storiche. Per tale ragione, diventava impossibile cercare altre ontologie storiche e determinarne la loro propria specificità. Al contrario, l'Illuminismo proiettava le sue categorie moderne, che lo costituivano e lo legittimavano, su tutto il passato e su tutto il futuro. Le sole domande che venivano fatte seguivano tutte lo stesso principio: cos'era il "lavoro", la "nazione", la "politica", il "valore", il "mercato", il "denaro", il "soggetto", e così via, nell'antico Egitto, fra i Celti, o nel Medioevo cristiano; oppure, al contrario, come saranno le stesse categorie nel futuro e come verranno modificate? Adottando questa ontologizzazione delle categorie moderne, il marxismo, anch'esso era capace solo di formulare la sua "alternativa socialista", in senso aggettivale, come semplicemente un'altra accentuazione tematica della regolazione dentro la stessa forma sociale e storica. Dall'altra parte, dalla prospettiva di una simile proiezione, le società passate apparivano inevitabilmente come categorialmente imperfette. Così come erano, infatti, le altre ontologie storiche venivano definite (e di conseguenza trasfigurate) come categorialmente "immature", non avendo ancora sufficientemente sviluppato la moderna ontologia. Similarmente, tutte le società contemporanee che non erano ancora completamente determinate dalla moderna ontologia venivano infilate nello stesso schema; venivano viste ugualmente come sottosviluppate, immature ed inferiori. Costituitasi in questo modo, la filosofia illuminista della storia serviva essenzialmente come l'ideologia che legittimava sia la colonizzazione esterna che quella interna. Nel nome di quella filosofia della storia e dei suoi schemi, la sottomissione della società ad un sistema della valorizzazione del valore - così come il lavoro astratto veniva associato ad intollerabili richieste disciplinari - poté essere propagata come necessità storica e come parte di un cambiamento in meglio. Anche il concetto di barbarie, preso in prestito dalle civiltà agrarie, emergeva come una definizione peggiorativa della precedente, o contemporanea, umanità non-capitalista: "barbarie" diventava sinonimo di una mancanza di civiltà nel senso della circolazione capitalista (la soggettività del mercato e la forma giuridica) e, come tale, di una mancanza di sottomissione all'ontologia moderna. Ancora non abbiamo a disposizione alcun concetto per caratterizzare le tendenze distruttive, violente e destabilizzanti che minacciano il contesto sociale. Già Marx ha usato criticamente il concetto di "barbarie" in relazione alla storia della formazione del sistema di produzione di merci, riferendosi sia alla "accumulazione primitiva" che alla storia della disintegrazione della modernità in crisi del capitalismo. La rottura con l'ontologia moderna di cui abbiamo oggi bisogno, richiede che andiamo oltre Marx e che sveliamo come barbarico (e quindi ne distruggiamo le fondamenta) il nucleo della macchina sociale capitalista, per poter distruggere il lavoro astratto e la sua struttura interna di disciplina e di amministrazione umana reificata che viene generalmente fraintesa come civilizzazione.
Questo compito della rottura ontologica rimane comunque complesso e difficile da afferrare, dacché la filosofia della storia prodotta dall'Illuminismo paradossalmente lo ha legittimato non solo come affermativo, ma anche come critico. L'apparato ideologico istituito dall'Illuminismo, blocca la necessaria rottura ontologica proprio perché esso è stato capace di muoversi dentro questo paradosso per molto tempo. Il criticismo borghese liberale si era sempre focalizzato esclusivamente sulle condizioni sociali che impedivano che si imponesse l'ontologia moderna. Rispetto alla colonizzazione, sia interna che esterna, c'era un domanda posta dai resti di quello che le formazioni agrarie avevano lasciato. Tra questi resti c'erano non solo le precedenti relazioni di dominio, sotto forma di dipendenza personale, ma anche alcune condizioni di vita che venivano penalizzate dalle moderne esigenze di lavoro astratto. Per cui, la maggioranza delle feste religiose delle società agrarie vennero abolite per fornire un percorso sgombro per la trasformazione della temporalità della vita in temporalità funzionale alla valorizzazione del capitale. L'Illuminismo criticava le più vecchie forme di dipendenza personale esclusivamente per legittimare le nuove forme di dipendenza reificata del lavoro astratto, del Mercato e dello Stato. Questa critica conteneva aspetti repressivi perché era legata alla propaganda di una diligenza astratta, di una disciplina e di una sottomissione alle nuove esigenze del capitalismo, oltre a distruggere, insieme alle vecchie forme di dominio, le conquiste umani universali delle relazioni agrarie. In realtà, il male più vecchio veniva sostituito da un male nuovo, e sotto molti aspetti anche peggiore. Era stato comunque possibile per l'ideologia liberale dell'Illuminismo sostenere che le moderne relazioni, ancora emergenti, fossero una liberazione dal fardello feudale e potessero essere presentate come una luce che illuminasse le oscure superstizioni del Medioevo. Veniva condannata la violenza feudale, mentre il lavoro astratto della modernità torturava le persone con una violenza senza precedenti, secondo un'espressione usata da Marx. Il concetto di critica, in generale, veniva identificato con la critica della società agraria da parte del liberalismo illuminista, in quanto modernità capitalista con le sue atrocità, fatte apparire come progresso, anche se nel mondo reale esse rappresentavano qualcosa di molto diverso per le grandi masse delle persone.
Nel corso della fine del XIX secolo, e ancor di più nel XX, il concetto di criticismo si è sempre più spostato verso le relazioni interne capitaliste, dopo che la società agraria era praticamente già scomparsa insieme alle sue strutture di dipendenza personale. Ovviamente, questo non era questione della moderna ontologia e delle sue categorie, ma solo del superamento di vecchi contenuti e strutture, per mezzo di nuove strutture ancora fondate sullo stesso terreno ontologico. Il sistema della produzione di merci - che è il capitalismo - di per sé non si trova in una situazione statica, ma piuttosto vive in un processo dinamico che si sviluppa sempre nella stessa maniera e sotto le stessa categorie formali. E' una lotta costante fra il nuovo ed il vecchio, ma è solo sempre la lotta fra il nuovo capitalista ed il vecchio capitalista. Ai fini di una comprensione liberale della critica, il vecchio capitalista ha preso il posto di quello che era ontologicamente vecchio, cioè, delle non più esistenti relazioni sociali agrarie feudali. La rottura ontologica fra il proto-moderno ed il moderno è stata sostituita dalla rottura strutturale permanente interna alla modernità ed alla sua ontologia. Questa dinamica interna opera sotto l'etichetta di "modernizzazione". Da quel momento in poi, il criticismo è stato formulato nel senso di una modernizzazione della modernità. Questo processo di modernizzazione permanente dentro le categorie ontologiche della modernità stessa subisce un'ulteriore legittimazione per mezzo di un'opposta, complementare, ed immanente critica, la quale viene a sua volta legittimata in maniera romantica o reazionaria. Il "vecchio", supposto come buono, viene scagliato contro il nefasto "nuovo", senza tuttavia sottoporre l'ontologia moderna alla minima critica. Non si tratta nemmeno di una difesa dell'ontologia premoderna attualmente ancora presente nella società agraria. Piuttosto, il movimento, reazionario o conservatore, dell'anti-modernità, è anch'esso un'invenzione della modernità ed un derivato dello stesso Illuminismo. Si tratta di una critica borghese dell'esistenza borghese, la quale, dalla fine del XVIII secolo, è stata caricata di immagini di società agrarie idealizzate, e di un sistema di valori pseudo-feudali - similmente ad un opposto liberalismo, che si è caricato di ideali e valori della circolazione capitalista (libertà dei soggetti autonomi integrati nel mercato, e così via). Così, gli ideali pseudo-agrari venivano formulati già dall'inizio come se venissero da dentro le categorie dell'ontologia moderna, e non contro di essa. Proprio come il romanticismo ha aiutato la nascita delle moderne individualità astratte, il conservatorismo e la sua versione più radicale, il pensiero reazionario, diventano propagatori del moderno nazionalismo e della sua legittimazione etno-ideologica, razzista ed antisemita. Nell'etica protestante del lavoro e nel darwinismo sociale, c'era sempre una comunanza fra conservatori e reazionari con il liberalismo che suggeriva le loro radici comuni dentro il pensiero illuminista. Quanto più sbiadiva il collegamento del pensiero conservatore e reazionario con la società agraria idealizzata, tanto più si faceva chiara la sua posizione dentro l'ontologia moderna, e la sua necessaria dinamica. In tale contesto, la corrente romantica e reazionaria seguiva lo stesso sentiero del liberalismo - ma con una polarità invertita. Così come la critica liberale si era opposta al vecchio capitalista, nel contesto di una permanente modernizzazione della modernità interna al capitalismo - agendo dunque come avvocato del nuovo capitalista -, allo stesso modo la controcritica conservatrice e reazionaria ha operato in nome, e come avvocato, del vecchio capitalista in opposizione al nuovo capitalista, il quale veniva percepito come una forza demoralizzatrice e disintegrante. Da quando questa polarità immanente ha marcato lo stesso campo ontologico, comunque, tale opposizione immanente ha contemporaneamente schermato questo campo da qualsiasi possibile criticismo. A prescindere dalle intollerabili esigenze nei confronti degli esseri umani, il disagio e il potenziale distruttivo del moderno sistema di produzione ha creato una tensione crescente che può scivolare costantemente, o venire canalizzata, verso quella opposizione fra progresso e reazione, fra liberalismo e conservatorismo. La distruttività della modernità dovrebbe essere così redenta dall'impulso finale della modernizzazione (progresso), oppure, al contrario, dovrebbe essere domata dall'attivismo che, in nome dell'attuale situazione della modernità, viene diretto contro tale dinamica (conservatorismo o reazione). E' precisamente per questa ragione che la critica dell'ontologia sociale e storica, che si trova alla base di tale posizione, è stata bloccata.
Tuttavia, la contraddizione borghese immanente, inerente al liberalismo, da una parte, e alla reazione conservatrice o romantica, dall'altra, si era formata lontano dall'ostacolo che impediva la critica dell'ontologia moderna. Invece, una seconda ondata di criticismo si era sviluppata dentro questa ontologia che si era sovrapposta alla prima ondata. La seconda ondata era sostenuta, da una parte, dal movimento operaio occidentale, e, dall'altra, dai cosiddetti movimenti di liberazione alla periferia del mercato mondiale, inclusa la rivoluzione russa ed i movimenti anti-coloniali e di regime. In tutti questi movimenti storici, venne stabilita ufficialmente una critica fondamentale del capitalismo, che era articolata in molti modi, facendo ricorso alla teoria marxista. Tuttavia, anche questa seconda ondata era fondamentalmente limitata in primo luogo alla moderna ontologia del sistema di produzione di merci e, quindi, alle sue categorie. Il ritorno a Marx si limitava alle componenti di questa ontologia mantenuta dallo stesso Marx, mentre tutti gli altri momenti della sua teoria che erano andati oltre questa ontologia, vennero ammutoliti o rimasero ignorati. La ragione del fenomeno storico di questa seconda ondata di critica affermativa, la quale si sovrappose all'opposizione dentro la borghesia, va ricercata nel problema che le scienze sociali chiamano "non-contemporaneità storica". L'ontologia moderna non si è sviluppata strutturalmente o geograficamente in modo uniforme, ma per scatti discontinui. Nei paesi occidentali che hanno dato origine al sistema di produzione di merci, si sono formate solo alcune categorie, mentre le altre sono rimaste sottosviluppate. Questo è particolarmente vero per la formazione del moderno soggetto, dell'individualità astratta, e per le forme associate della legge e della politica. Né l'Illuminismo né il liberalismo avrebbero potuto istituire queste categorie come astratte e generali, ugualmente legittimate per tutti i membri della società. L'universalismo, teoricamente formulato, era crollato conseguentemente al suo confronto con i limiti sociali. I pensatori illuministi e i liberali persistevano nella loro comprensione dell' "uomo" dell'ontologia moderna visto unicamente come maschio e cittadino abbiente, mentre la massa dei lavoratori salariati, maschi e femmine, da una parte erano soggiogati dalla disciplina del lavoro astratto, rimanendo quindi, dall'altra parte, ontologicamente extra-territorializzati ad un livello sia giuridico che politico. Per completare il suo processo, non in forma soggettiva, ma reificata, l'ontologia moderna aveva bisogno di generalizzare la prima relazione. Solo per mezzo dell'integrazione politica e giuridica, il soggiogamento categoriale dell'uomo poteva essere completato. Da questa costellazione, il movimento operaio in Occidente assunse la funzione specifica di una modernizzazione della modernità che consisteva nella lotta dei lavoratori salariati per essere riconosciuti come soggetti integrati del diritto, della politica, e della partecipazione allo Stato (suffragio universale, libertà di associazione e di riunione). Ma qui, la critica categorica era già bloccata, e invece della rottura ontologica, il movimento operaio intraprese il completamento dell'ontologia moderna. Assunse, in parte, il ruolo del liberalismo nella reale, pratica universalizzazione di alcune categorie moderne. Il liberalismo, a sua volta, aveva dimostrato di essere incapace di attuare una simile universalizzazione, rivelandosi invece una forza conservatrice rispetto a questo. Di conseguenza, il movimento operaio accusava il liberalismo di tradimento dei propri ideali, e quindi adottò esso stesso i principali ideologemi dell'Illuminismo, inclusa l'etica protestante del lavoro.
L'ontologia moderna del sistema di produzione di merci, comunque, includeva anche specifiche relazioni di genere, nella misura in cui tutti i momenti della vita e della riproduzione - anche materiale, psicologica, o simbolico-culturale - che non erano sottomesse alle categorie capitaliste, venivano designati come femminili, ed in pratica delegati alle donne; e questo è avvenuto attraverso tutti gli sviluppi storici interni a quest'ontologia. Il riconoscimento delle lavoratrici salariate - e, in generale, delle donne - nella società borghese, in quanto soggetto del diritto e della vita sociale e politica - un riconoscimento che era stato negato dalla maggior parte dei filosofi illuministi - aveva solo validità limitata anche dopo la seconda ondata di critica del valore-immanente: da una parte, venivano portate dentro le sfere ufficiali della società ma, allo stesso tempo, continuavano a tenerne un piede "fuori", dal momento che rappresentavano sempre quei momenti dissociati che non avrebbero potuto essere integrati sistematicamente. In questo modo, l'ontologia moderna non è una totalità conchiusa ma è, piuttosto, una totalità spezzata e contraddittoria, mediata da quelle che Roswitha Scholz chiama, specificamente "relazioni di dissociazione" di genere. In quanto risultato della relazione di dissociazione corrispondente all'ontologia moderna, il riconoscimento borghese delle donne è rimasto, per forza, in modo corrispondente, frammentario ed incompleto. L'individuo astratto è, in realtà e nella sua forma completa, mascolinizzato, più o meno nello stesso modo in cui l'universalismo astratto, per la stessa ragione, rimane sempre androcentrico. La dialettica positiva del riconoscimento borghese è stato ripetuto, su più larga scala, alla periferia, da parte dei movimenti per l'indipendenza nazionale e per la libera partecipazione al mercato globale. In questo caso, la critica del capitalismo veniva riferita alla struttura del dominio coloniale e post-coloniale, in relazione alle più avanzate nazioni occidentali, ma non alle loro categorie sociali di base. Anche qui si trattava di un riconoscimento perfettamente collocato nell'ontologia moderna, piuttosto che in una sua critica o un suo superamento. C0sì, sia la rivoluzione russa che quella cinese, e i susseguenti movimenti di liberazione nel Sud del mondo, hanno assunto una funzione interna alla modernizzazione della modernità, vale a dire, la modernizzazione di recupero delle economie nazionali e degli Stati della periferia. Conseguentemente, questo movimento storico ha dovuto fondarsi sulle categorie idealizzate della modernità e sulla loro legittimazione da parte dell'Illuminismo, restando così confinato dentro l'universalismo androcentrico.
L'asincronia nel cuore dell'ontologia moderna ha prodotto un divario nello sviluppo - sia geograficamente che all'interno della società stessa - il quale ha dato origine sia alla critica apparentemente radicale che alla critica liberale dell'Illuminismo. Il movimento operaio occidentale, le rivoluzioni dell'Est, e i movimenti di liberazione nazionale nel Sud del mondo era semplicemente differenti versioni di un recupero di modernizzazione nel contesto di tale asimmetria. Erano tentativi di entrare nel sistema di produzione di merci, e di non uscire fuori da quell'ontologia storica. Una tale opzione poteva essere assunta positivamente come progresso e sviluppo, finché il sistema mondiale offriva ancora uno spazio per un'ulteriore modernizzazione della modernità. Tale spazio per lo sviluppo, ad ogni modo, non esiste più da tempo. Nel corso della terza rivoluzione industriale, l'ontologia moderna in quanto tale ha raggiunto il suo limite storico. Le stesse categorie dentro cui l'intero processo di modernizzazione ha avuto luogo stanno diventando obsolete, così come è stato chiaramente dimostrato sia sul piano del lavoro che su quello di concetti come nazione e politica. Con questi, sparisce anche l'asincronia interna al sistema di produzioni di merci. Ma questo, certamente, non significa affatto che tutte le società abbiano raggiunto il livello più alto dello sviluppo moderno, o che abbiamo superato situazioni di sviluppo ineguale e raggiunto una nuova situazione di contemporaneità positiva planetaria. Piuttosto, l'asincronia ha cessato di esistere perché il sistema di produzione di merci sta vivendo un crisi ontologica su larga scale. Quale che sia il livello di sviluppo raggiunto dalle particolari società, esse sono tutte colpite da questa crisi ontologica, o categoriale. Le diverse società del mondo fanno ancora esperienze decisamente molto diverse dovute a differenti situazioni materiali, sociali, politiche e strutturali. Molti paesi sono solo all'inizio del moderno "sviluppo; altri rimangono bloccati ad un livello intermedio di questo sviluppo. Eppure il divario tra queste società non mette più in moto una dinamica di recupero della modernizzazione - mette in moto solo la dinamica della barbarie. La crisi ontologica produce una contemporaneità negativa, un giorno del giudizio per le categorie moderne, il quale si fa gradualmente strada attraverso condizioni ancora diseguali. Non si può tornare indietro alla vecchia società agraria, ma lo sviluppo delle moderne forme ontologiche, che ne aveva preso il posto, è andato in pezzi. Intere industrie spariscono, interi continenti vengono dissociati; e nel nucleo dei paesi occidentali, inoltre, la crisi crescente viene semplicemente gestita senza che vi sia alcuna prospettiva di cambiamento. Dovunque, e a tutti i livelli dell'ontologia capitalista esausta, la crisi colpisce non solo le categorie capitaliste, ma anche le relazioni di dissociazione di genere. Le relazioni di genere sono "fuori controllo"; la sempre più fragile identità maschile, corrispondente alla totale ed unidimensionale soggettività del lavoro astratto, del diritto, della politica, e così via, comincia a cadere a pezzi. Si decompone in uno stato "ferino" (Roswitha Scholz); che diventa parte di una componente integrale della tendenza alla barbarie e libera un nuovo potenziale di violenza gratuita contro le donne. La barbarie non può più essere tenuta a bada per mezzo di un semplice, e già fallito, riconoscimento intrinseco delle donne. Piuttosto, è richiesta una rottura ontologica con la totalità del campo storico della modernità capitalista, un campo nel quale le relazioni di dissociazione siano intrinsecamente di genere. La stessa crisi ontologica, comunque, paralizza la critica più che mai. I paradigmi della critica socialista del capitalismo (immanente alle sue categorie e ontologicamente positiva) sono così profondamente radicate nell'asincronia da sembrare del tutto inutili per poter superare la paralisi generale del pensiero. La reiterazione fantasmatica di tali forme di pensiero rimane infruttuosa, dal momento che sono incapaci di raggiungere la complessità necessaria ad una critica categoriale nel contesto di una rottura ontologica. In un certo qual modo, liberalismo, conservatorismo, e marxismo classico sono diventati, tutti insieme, reazionari. Le ideologie della modernizzazione si decompongono e si mischiano fino a confondersi. Illuminismo e contro-Illuminismo sono diventati identici. Oggi abbiamo i comunisti antisemiti e i razzisti liberali, i pensatori illuministi conservatori, i socialisti radicali a favore del mercato e gli utopisti sessisti e misogini. I movimenti sociali recenti hanno finora dato prova di essere impotenti di fronte ai problemi della critica ontologica e della contemporaneità negativa. Nonostante l'enorme diversità delle condizioni ereditate, questi problemi possono essere formulati e risolti solo in comune, come quelli che sono i problemi di una società planetaria.
- Robert Kurz - (2005)
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