Sabato 6 aprile 2013, la Platypus Affiliated Society, nel corso della sua quinta Convenzione Internazionale annuale, presso la Scuola d'Arte di Chicago, ha ospitato un evento dal titolo "Marx e la WertKritik", cui hanno partecipato Elmar Flatschart, della rivista "Exit!", Alan Milchman, di "Internationalist Perspective", e Jamie Merchant, di "Permanent Crisis", moderati da Gregor Baszak, di Platypus. Quella che segue, è una trascrizione della discussione.
Elmar Flatschart: La critica del valore, o, seguendo il teorema sviluppato da Roswitha Scholz, una critica della scissione-valore (Wertabspaltungskritik), cerca di capire e di criticare il meccanismo fondamentale che governa la società moderna. Questa critica non si interessa tanto al Marx politico della lotta di classe e del movimento operaio, ma più all'aspetto filosofico del suo lavoro che si focalizza sul carattere astratto e feticizzato del moderno dominio. Quest'approccio cerca di mantenere, la teoria critica della società, rigorosamente separata dai contraddittori tentativi pratici di superare il capitalismo. Il marxismo non andrebbe inteso come un portatore di identità, di una corretta posizione, che la storia ha dimostrato essere erronea, ma dovrebbe essere ridotto ad un nucleo teorico che ci può aiutare a comprendere la società, per mezzo di una critica negativa, anche se questa non ci fornisce necessariamente una via d'uscita. L'appello all'abolizione del lavoro non ha ripercussioni immediate per la politica marxista. Non c'è un nuovo programma o un piano generale che può essere sviluppato a partire dall'abolizione del valore. Piuttosto, può essere visto come una condizione per emanciparsi dal valore e dal sistema astratto di oppressione che rappresenta. Come poi l'emancipazione sarà raggiunta, questa è una storia più complessa. Sappiamo cos'è che non funziona: molto di quello che la vecchia sinistra ha proposto come politica marxista. Un bel po' del quale dovrebbe essere abbandonato perché, essenzialmente, il dominio astratto non può essere abolito per mezzo dell'imposizione di qualche altro genere di diretto, personale dominio. Se siamo critici sull'astrazione delle forme economiche, dobbiamo porci nello stesso modo riguardo alla forma politica stessa. Mentre Marx ed Engels hanno suggerito in molte loro formulazioni che lo Stato eventualmente si sarebbe "estinto", penso che abbiamo bisogno di essere più radicali. Emancipazione deve significare, in ultima analisi, anche abolizione della politica. Questo è contraddittorio nella presente situazione politica, ma non dovremmo provare a posporre questo compito fino a dopo la rivoluzione. Dovremmo vedere i vincoli e la feticizzazione immanente alla forma politica come qualcosa di cui vogliamo sbarazzarci.
Riguardo alla questione della relazione della critica del valore con la Nuova Lettura di Marx (Neue Marx Lektüre [NML]) cominciata da Hans-Georg Backhaus, vorrei dire che Backhaus è più un filosofo ed un filologo che un economista. Ha cercato di scoprire in Marx quel nucleo profondo che era in linea con la lettura del suo maestro Adorno. Sfortunatamente, non è andato molto lontano, ma ritengo che abbia impostato l'ordine del giorno. Gli sforzi di Backhaus sono stati un punto chiave dal quale la scissione-valore è partita ed ha provato ad allargare la sua visione. Gli anni 1970 sono stati un punto di svolta sia sul terreno della teoria che su quello della prassi, quando è stato riconosciuto che le vecchie strade politiche ed economiciste per la rivoluzione non funzionavano. Così, la riformulazione della teoria, che si basa sul primo lavoro della Scuola di Francoforte, corrisponde a nuove forme di prassi e reagisce al fatto che adesso tutto è più complesso: non c'è nessun partito d'avanguardia ma molti politici localizzati; nessun sistema di oppressione che ricopre tutto, ma una nozione astratta di dominio reificato che realizza sé stesso in molti modi; e nessuna strategia per la rivoluzione, ma relazioni contraddittorie e, sebbene possono essere colte solo in negativo, sono quelle con cui dobbiamo confrontarci quando le incontriamo. Alcuni aspetti dell'impasse della sinistra oggi, secondo la critica del valore, sono dovute a ragioni necessarie. Queste difficoltà erano necessarie in quanto veniva richiesto un allargamento delle prospettive, che rendono le cose più difficili ma, in ultima analisi, più complete, che corrispondono alla realtà sociale e alle nuove complessità di oppressione. Certo, il riflettervi non può risolvere i problemi con cui la sinistra oggi si confronta, ovvero la sua marginalizzazione. Ma proprio perché si affrontano questi problemi, cercare una soluzione semplice e programmatica non servirebbe. In realtà, significherebbe di nuovo porre le domande sbagliate rispetto ad un'agenda che si è dimostrata sbagliata. Quello che Backhaus e gli altri ci hanno insegnato è che l'emancipazione dall'attuale prevalente sistema di oppressione astratta è immensamente complessa ed anche altamente improbabile. Ma è ancora possibile, se ci mettiamo di fronte alla complessità che la caratterizza. Non ci sono né programmi né utopie, ma solo un duro lavoro attraverso queste contraddizioni che affrontiamo nelle lotte, dovunque si verifichino.
Per quanto riguarda la domanda se la critica del valore significhi un ritorno all'anarchismo, penso che sia pericoloso inquadrare le cose in questi termini. Non si dovrebbero usare vecchie etichette che non sono più conformi alla realtà. Le definizioni applicabili nel diciannovesimo e all'inizio del ventesimo secolo, riguardo i contrasti fra marxismo ed anarchismo, non possono essere oggi usate per i movimenti sociali. Sicuramente, ci sono alcune questioni in questa disputa che sono ancora rilevanti, ma il panorama di sinistra odierno è in molti modi non riducibile a questa semplice opposizione. I situazionisti, per esempio, sono stati probabilmente i primi che hanno combinato una critica marxista essenziale con una critica anti-autoritaria, con un metodo politico anarchico. Parte del problema è che si dovrebbe definire cosa significhino marxismo ed anarchismo rispetto alle relazioni sociali specifiche presenti - e e questo è tutto, tranne che facile. Il concetto di "sinistra", forse è ancora più difficile: cos'è la sinistra oggi? Penso sia difficile dire cosa significhi. Possiamo riferirci a questo concetto ed usare l'etichetta in modo significativo? Approcci marxisti ed anarchici oggi si intrecciano dentro i movimenti sociali. Dal punto di vista della critica della dissociazione-valore questo può anche essere visto come un progresso, nella misura in cui una contraddizione di vase che emerge da dei progetti di emancipazione viene affrontata in un modo più completo, che corrisponde a quello fra immanenza e trascendenza. Possiamo vedere tale complessità come una sorta di doppia dialettica: da una parte, quel che è definito "anarchico" attiene alla ricerca di una qualche immediata trascendenza nella prassi a costo di rimanere immanente. Da un'altra parte, si può dire che l'approccio marxista, almeno alcuni di essi, mantengono la visione teorica che va oltre le categorie immanenti date e che prova a tener conto della complessità della trascendenza in modo significativo. Potrebbe essere bene che questa dialettica non si suddividesse più in quella forte dualità marxismo-anarchismo, ma che si riunisse dentro la parte più progressiva del movimento sociale.
Come "la scienza del valore" (die Wissenschaft vom Wert) è determinata (e limitata) del potenziale contemporaneo per un cambiamento rivoluzionario di tutta la società, cui si rivolge ed appartiene? Qui vorrei ripetere che, per quanto concerne l'aspetto social-rivoluzionario della critica del valore, semplicemente non c'è. Non è compito della critica astratta della società offrirvi suggerimenti immediati per la rivoluzione sociale. Piuttosto, essa cerca di sviluppare la più radicale critica della società, ma quel progetto non è legato in alcun modo ad un altrettanto elaborata nozione di rivoluzione. C'è stato anche un problema di approcci più vecchi che avevano questa mentalità del pacchetto tutto compreso, che è essenzialmente politica, come è stato provato essere con Lenin e la tradizione marxista-leninista. Per come la vede la critica della scissione-valore, la rivoluzione non è compito della critica astratta della società; piuttosto la rivoluzione è il compito delle teorie concrete della prassi e delle teorie politiche immanenti; che è cosa differente e più complessa rispetto a teorizzare sulla società. Noi abbiamo bisogno di tenere separate le due cose.
Alan Milchman: Il mio approccio alla Wertkritik è in qualche modo differente. Molti compagni hanno criticato la Wertkritik, dicendo che si tratta solo di filologia e di critica del testo, che è accademica. Piuttosto è il contrario: la Wertkritik è l'inverso dell'accademismo, della pura critica del testo, o della filologia. La Wertkritik ha liberato dai testi di Marx, cose che diversamente non sarebbero mai state conosciute. La separazione, fatta da Elmar, fra il dominio della politica e quello della Wertkritik, è molto dubbia. La figura che io prendo come un buon esempio dell'unione delle due cose è quella di Hans-Jürgen Krahl, il quale era attivo negli anni 1960 e che, tragicamente, è morto giovane in un incidente automobilistico. Egli nutriva un grande interesse nei manoscritti di Marx, e non era un interesse filologico ma, piuttosto, un interesse politico, ed è proprio l'unione delle due cose che trovo interessante nella Wertkritik.
Immaginate che genere di marxismo avremmo se nessuno avesse mai pubblicato i manoscritti di Parigi del 1844. Certo, si potrebbe argomentare che l'indagine di Lukács sulla reificazione e sull'alienazione ha delineato molte delle cose che si trovavano in quei manoscritti. Ma la nostra comprensione della relazione fra Marx ed Hegel, dell'alienazione e della reificazione, sono state certamente arricchite dai manoscritti del 1844. Quanto sarebbe stata più debole, la nostra comprensione del capitalismo, se non fosse mai venuta alla luce la contraddizione in movimento fra il Capitale ed i Grundrisse? Credo che questi testi di Marx, in cui la Wertkritik si è impegnata, siano fondamentali proprio per gli orientamenti politici rispetto al capitalismo in quell'epoca.
Mi è stato chiesto se il movimento operaio alla fine abbia dimostrato di essere il miglior soggetto borghese, facendo avanzare il capitale in un modo che la borghesia stessa non avrebbe potuto. Questo dipende, però, da cosa si intenda per "movimento operaio". Se significa che i partiti politici di massa, i socialdemocratici o gli stalinisti, divennero i garanti del capitale, in molti paesi, a cominciare dall'agosto del 1914, attraverso gli anni 1930 e la ricostruzione degli anni 1950 e l'epoca dello stalinismo, allora la risposta è sì, è vero. Ma era quello il movimento operaio? No, quella era la forza politica che ha schiacciato il movimento operaio. Non è il movimento operaio, ma la morte del movimento operaio. Queste forze hanno fatto quello che la borghesia classica non ha fatto, e non avrebbe mai potuto fare. Sarebbero tornate di nuovo, nel bel mezzo della crisi attuale, se il neoliberismo non avesse fatto far loro bancarotta, così come molti di noi credono? Sarebbero tornati con gli stessi abiti? Probabilmente no, ma molte delle stesse idee, inclusa la nazionalizzazione, sarebbero l'ultimo baluardo del capitalismo.
C'è un aspetto rivoluzionario sociale nella critica del valore? Sì - esso ci permette di vedere che il capitale in quest'epoca è diverso dal capitale nei suoi periodi precedenti. Ci permette di vedere la traiettoria del capitalismo anticipata da Marx, anche se non ne poteva prevedere i dettagli, in particolare, l'allontanarsi dall'idea circa il comunismo come (re)distribuzione della ricchezza, e realizzare invece che si tratta della trasformazione della produzione della ricchezza. A meno che non si trasformi, o si abolisca, la relazione di produzione basata sulla forma valore del lavoro, non si farà un solo passo avanti contro il capitalismo. Il capitalismo vive o muore sulla base della forma valore. Ciò è esattamente quello che la Wertkritik cerca di dimostrare. Mentre gran parte del programma della sinistra classica predica sulla ridistribuzione del reddito o sul regolamentare la borghesia, e non sull'abolizione di lavoro salariato e di valore. Gli argomenti "Internationalist Perspective" sono proprio quelli per cui se non si passa direttamente a porsi il compito di abolire il valore, sarà impossibile oggi creare e partecipare ad un movimento rivoluzionario. Non è compito dei marxisti rivoluzionari creare il movimento tutto da soli. Non di meno, comprendere le possibilità dell'abolizione della forma valore, e di cosa significhi attaccarla direttamente, è qualcosa che è possibile oggi per la classe operaia.
Gli organizzatori hanno quotato il Marx dei manoscritti del 1844: "Senza rivoluzione, il socialismo non può rendersi possibile." Per "Internationalist Perspective" aggiungo: Sicuramente! Senza una rivoluzione, l'abbattimento della forma valore è solo un esercizio accademico. Bisogna concentrarsi sull'abbattimento della forma valore, ed il protettore ed il garante della forma valore nella nostra epoca è lo Stato capitalista - di qualsiasi panni si vesta. Nicolas Maduro in Venezuela, Ahmadinejad in Iran, e Bashar al-Assad in Syria sono le differenti facce dello Stato capitalista oggi. Se i socialdemocratici vinceranno le prossime elezioni in Germania, saranno loro la Stato capitalista. E quando Barack Obama ha vinto le ultime elezioni, è diventato il rappresentante del capitale a Washington, e quindi il nemico mortale non solo della classe operaia, comunque la si voglia definire, ma dell'umanità. Riconoscere questo è strettamente legato alla teoria della forma valore e alla Wertkritik, e a meno di fare un tale collegamento, non saremo in grado di andare oltre una discussione sulla redistribuzione del reddito, della nazionalizzazione delle banche, o all'esproprio dei mezzi di produzione attraverso lo Stato o attraverso le cooperative. Francamente, sono stufo di sentire Richard Wolff che dice che abbiamo bisogno di cooperative, ripetendo che i socialisti utopisti Saint-Simon e Fourier lo avevano detto 200 anni fa. Rispondere alla crisi in cui ci troviamo, con le cooperative, significherebbe far competere i lavoratori sul mercato mondiale, allo stesso modo in cui competono le altre imprese capitaliste. Non cambia niente. Il cambiamento deve essere drammatico e rivoluzionario - questo è il contributo della Wertkritik.
Jamie Merchant: Negli anni '70 e '80 del secolo scorso, ha cominciato ad emergere un'importante reinterpretazione della teoria critica della società, fatta da Marx, che rompeva con altre letture, di lunga data e ideologicamente radicate. Emergeva in molteplici luoghi e in momenti diversi, e questa reinterpretazione consisteva di una riconcettualizzazione delle principali categorie teoriche, quali il lavoro ed il valore, liberandole dalle caratteristiche affermative e trans-storiche, mantenute dal marxismo ortodosso e trasformate da esso in categorie storiche dinamiche. Come indicato nei Grundrisse e come evidenziato da Moishe Postone, le categorie di Marx non definiscono fenomeni economici positivi, ma piuttosto forme fondamentali della pratica umana che vanno a costituire la formazione sociale capitalista. Invece di concepire, in maniera ortodossa, il "lavoro" come un'eterna, immutabile proprietà dell'esistenza - che è la fonte ultima del valore e quindi il punto di vista della critica del capitalismo - in questa visione, il "lavoro" viene colto come una forma storica specifica dell'attività umana, che attualmente ha la "sfortuna", come scrive Marx nel capitale, di produrre "valore". L'ineluttabile astrazione del lavoro umano nella produzione capitalista di merci, vale a dire il suo ruolo nel processo di valorizzazione del capitale, produce valore per mezzo di astratto e omogeneo tempo di lavoro. E' la cieca, incessante spinta ad accumulare plusvalore, senza curarsi - e spesso a discapito - del dispendio della stessa vita umana, a costituire la forma peculiare della ricchezza nel cuore della modernità capitalista. Lungi dal costituire il punto di vista della critica, il lavoro produttivo di valore dev'essere visto come l'oggetto della critica in qualsiasi teoria critica nei confronti delle condizioni sociali e delle forme di dominio che costituisce il mondo moderno.
La produzione di valore per mezzo del dispendio di tempo di lavoro umano è la forma determinante delle merci, per la modernità, ma non è la sola forma di ricchezza per Marx, nei Grundrisse. Marx afferma:"Nella misura in cui la grande industria si sviluppa, la creazione della vera ricchezza dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla qualità di lavoro vivente applicato, che dall'azione dei fattori che vengono messi in movimento nel corso del tempo di lavoro". Interpretando questo passaggio, Postone suggerisce che "Marx contrappone il valore, una forma di ricchezza legata al dispendio di tempo di lavoro umano, al gigantesco potenziale di produrre ricchezza della scienza moderna e della tecnologia. Il valore diventa anacronistico nei termini del sistema di produzione cui esso dà luogo; la realizzazione di un simile potenziale comporterebbe l'abolizione del valore". Quello cui, sia Marx che Postone, si riferiscono come "vera ricchezza" è in realtà pura potenzialità; è la possibilità di una forma di produzione, nella quale il tremendo potere collettivo produttivo della società non funzionerà più per svalutare il tempo di lavoro necessario al fine di produrre tempo di lavoro supplementare, ma invece abolirà il surplus di lavoro, cosicché il tempo di lavoro generale necessario per ciascuno nella società verrà ridotto al minimo. Questa è una possibilità che è immanente al capitalismo in quanto cotraddittoria, storica, dinamica totalità. Come sostiene Marx nei Grundrisse.
E' lo stesso capitale ad essere la contraddizione in movimento, in quanto esso preme per ridurre il tempo di lavoro al minimo, mentre, dall'altro lato, postula il tempo di lavoro come una misura e fonte di ricchezza ... Forze di produzione e rapporti sociali ... appaiono al capitale come semplici mezzi ... Nei fatti, comunque, essi sono le condizioni materiali per farlo saltare in aria dalle fondamenta. (Marx)
L'abolizione del valore significa la negazione determinata del capitalismo. Potrebbe significare realizzare il potenziale della vera ricchezza collettiva dell'umanità, e ridurre immensamente su tutta la linea, il tempo richiesto, e l'intensità, di lavoro per ciascuno, dovunque. Potrebbe significare la recisione dei legami strutturali fra il potere produttivo totale della società e gli imperativi distruttivi della forma-capitale che la guidano. Potrebbe significare l'abolizione della contraddizione centrale, costitutiva della società moderna, per aprire la strada ad una fondamentalmente nuova, e mai vista prima, organizzazione ed esperienza della vita sociale. Ad ogni modo, una cos' radicale rottura è in sé possibile solo perché l'abolizione del valore implica l'abolizione della totalità che si è costituita intorno ad esso, la totalità del capitalismo come struttura di alienazione, di auto-dominio auto-generato per mezzo del valore, del lavoro, e del capitale in quanto forme sociali di attività.
Queste considerazioni hanno alcune implicazioni per la politica. La teoria, generalmente parlando, deve di nuovo giocare un qualche ruolo, per quanto mediato, nella formazione e nella guida della prassi. Ogni politica che trascura il fattore della forma-valore non riesce a comprendere la logica di base del formazione sociale capitalista, e così rischia di perpetuarla inconsapevolmente, o di affermarla. D'altra parte, finché persistono le attività che costituiscono il lavoro proletario e la produzione di lavoro, il capitalismo continua a riprodurre sé stesso in quanto struttura di dominio, indipendentemente da qualsiasi idea soggettiva venga presa in considerazione dai produttori stessi. Per quanto riguarda la sinistra, questo essenzialmente significa che al capitalismo non può fregar di meno che noi ci definiamo marxisti, anarchici, socialisti, o vattelapesca. Dal punto di vista del nostro coinvolgimento nei circuiti della produzione di valore per mezzo del lavoro, gli imperativi della totalità definiscono quello che è necessario, a prescindere. Al contrario, un movimento sociale con un margine sufficiente non ha bisogno di identificarsi esplicitamente con il "marxismo" per sé, o con qualsiasi altra etichetta ideologica, per mettere a fuoco potenzialmente la totalità. Certo, le correnti marxiste possono giocare un ruolo importante di auto-chiarificazione dentro il contesto di un movimento dato. Ma, al presente, una forma di politica che è mediata in qualche modo dalla critica del valore non avrà a priori un'identità ideologica. Si dovrebbe quindi considerare se il contenuto ideologico del movimento, insieme alla forma del movimento, sembri in qualche modo puntare oltre al presente contesto storico. Il compito, allora, è quello di vedere se le forme critiche di coscienza collettiva, che emergono come parte di una contraddittoria totalità storica in evoluzione, sono in grado di vedere una tale totalità, anche se in forma mediata, e riescono ad assorbire in qualche modo quella visione dentro una prassi organizzativa.
C'è anche una dimensione temporale vitale che dev'essere presa in considerazione. Il capitalismo neoliberista ha in molti modi decimato la capacità di immaginare, secondo il senso comune, la società come una forma totale, e ancor meno di immaginare il superamento del capitalismo stesso. Non è stato sempre così. Pur esibendo le proprie contraddizioni, il capitalismo di Stato fordista della socialdemocrazia occidentale presentava uno scenario differente. L'organizzazione del capitale, mediata dallo Stato secondo linee nazionali, quel gruppo di cose, strettamente intrecciate, di capitale, lavoro, e lo Stato, e l'apparente pacificazione della guerra di classe fra capitale e lavoro - per quanto temporanea ed illusoria - forniva le basi materiali per la percezione di massa di qualcosa come la "società", un insieme sociale più grande della somma delle sue parti. La riorganizzazione internazionale dell'accumulazione oltre i confini nazionali, nel mondo arcano, opaco, del capitale finanziario, è un segno distintivo della società neoliberista ed una condizione pre-materiale, sia per il suo ethos pervasivo illimitatamente sulle scelte individuali, sia per una fissazione accademica sulla soggettività a spese di qualsiasi indagine storica sull'oggettività. In un tale comportamento politico, l'abolizione del valore deve assumere una robusta visione materialista: queste condizioni politico-economiche, fondamentali per la produzione della soggettività neoliberista, così come per le sue strutture sociali oggettive, devono essere considerate un obiettivo della trasformazione da parte di qualsiasi politica critica. Tale trasformazione non costituirebbe il punto finale della battaglia politica, ma il movimento verso una penultima formazione del capitalismo in termini favorevoli alla sinistra, che potrebbe rovesciarlo non appena apparisse possibile, plausibile e desiderabile per un grande numero di persone.
Ogni politica veramente anti-capitalista "farebbe il morto" se rimanesse limitata all'orizzonte dello Stato-nazione. La teoria del valore ci impone una simile conclusione. In quanto valore, inteso come tempo di lavoro socialmente necessario, è una categoria della totalità, è una categoria manifestatamente globale; il tempo di lavoro socialmente necessario designa il valore del lavoro del lavoratore collettivo in toto, cioè del proletariato globale, in un momento storicamente dato della traiettoria del sistema del mondo capitalista. Pertanto, se l'abolizione del valore e la realizzazione della vera ricchezza è la negazione determinata del capitalismo, allora la politica che ha questo obiettivo deve necessariamente operare in un qualche genere di quadro internazionale. L'abolizione del valore dev'essere l'abolizione di tutto il valore, la negazione determinata della totalità formata dal lavoro che produce valore.
Proprio in questo momento, ci troviamo di fronte ad un rapido ridimensionamento del potere finanziario neoliberista in tutto il blocco capitalista avanzato, in una maniera che sta distruggendo le vite delle persone ogni giorno, sotto la forma di uno "stato di austerità", una mutazione a lungo termine dello stato neoliberista che è emersa dal massiccio crollo finanziario del 2008 e dalla conseguente crisi globale. Gli enormi salvataggi pubblici del sistema finanziario che si auto-distruggeva in tutto l'occidente capitalista, hanno creato una situazione nella quale lo Stato, ironicamente, si trova oggi ancora più severamente indebitato, nei confronti del capitale internazionale e dei mercati finanziari, di quanto lo fosse prima. Il debito sovrano ed i titoli di stato - una delle poche fonti di finanziamento rimaste dopo che il neoliberismo ha esentato le corporazioni, e gli strati sociali più ricchi, dalla tassazione - devono mantenere i lori prezzi ad un certo livello perché i creditori sul mercato mondiale rimangano soddisfatti. Un altro maggior requisito è quello di ridurre notevolmente l'ammontare del prodotto sociale orientato ai beni pubblici, e incrementare quello rivolto a sanare il debito. Allo stesso tempo, il crollo economico ha distrutto, e continua a distruggere, una grande massa di valore, col crescere del tasso generale di disoccupazione nel mondo capitalista avanzato. La creazione di un enorme esercito di riserva del lavoro insieme ad una crisi fiscale permanente dello Stato significa che questa formazione è qui per restare per il prossimo futuro.
E' su questo terreno inospitale che la sinistra deve in qualche modo imparare ad organizzarsi, se vuole avere un qualche futuro. Inoltre, dal momento che sembra esserci una crescente probabilità sia di una catastrofe ecologica che di un revival delle geopolitiche imperialiste, non è esagerato, probabilmente, affermare che la sinistra deve imparare ad organizzarsi se la società vuole avere un futuro. Ma visto che al momento la sinistra non lo è - perché, almeno negli Stati Uniti, non esiste un progetto organizzativo coerentemente di sinistra con una qualche supporto di base di massa - non siamo nemmeno in grado di adottare la classica metafora gramsciana della "guerra di posizione" al fine di comunicare il nostro pensiero durante questo periodo, come prima cosa che si possa richiedere da una qualche "forza" attuale che si possa "posizionare" strategicamente. Come sempre, ci sono antagonismi più o meno rudimentali nei confronti della forma corrente di società. Esisteranno, negativamente, finché esisterà la società capitalista, in tutte le sue contraddizioni interne e manifeste; è una cosa immanente ad essa. Ma spetta alla sinistra ed ai progressisti incanalare tale negatività in una direzione che dovrebbe coinvolgere il capitale e condurlo in una prospettiva che lo veda come un sistema impersonale di dominio, la cui abolizione porterebbe beneficio a tutti, e la sinistra deve farlo prima che questa negatività divenga ancora più oscura, volgendosi verso traiettorie di destra.
DOMANDE e RISPOSTE
Se assumiamo che i primi rivoluzionari del XX secolo hanno fallito semplicemente perché non avevano avuto accesso a questa profonda critica della forma valore, non li cancella completamente, questo, dalla storia della politica marxista, e come quella storia può essere utile, perfino necessaria, nel presente? Più in generale, qual è il rapporto fra l'obiettivo programmatico dell'abolizione del tempo di lavoro socialmente necessario, e l'abolizione del dominio astratto del capitale?
Alan Milchman: Non so come avremmo letto i manoscritti di Marx negli anni 1870, nei 1890 o nei 1920. Probabilmente, se fossero stati accessibili allora, avrebbero cambiato le cose, ma quello che è più importante è la traiettoria del capitalismo stesso. Noi oggi possiamo leggere i manoscritti di Marx in un modo che allora non saremmo stati in grado di fare. Per esempio, fino a poco tempo fa, e come risultato della crisi finanziaria del 2008, non penso che avrei potuto apprezzare l'analisi critica della moneta fatta da Marx. Ma non sto dicendo che la storia sarebbe stata differente se avessimo avuto accesso a quei manoscritti, ma solo che leggendo oggi quei manoscritti possiamo meglio cogliere il capitalismo di oggi.
Jamie Merchant: La suggestione cui dovremmo riferirci è quella che proviene dalla vasta maggioranza di persone che sono state espulse da questa crisi globale e dall'inizio di questo regime di austerità. E' molto difficile rendere plausibile una visione post-capitalista della società, quando la vasta maggioranza delle persone è in cerca di un lavoro,cercando di mettere insieme il pranzo con la cena, e così via. Dovremmo pensare in termini di riforme per la rivoluzione: come possiamo riformare il sistema finanziario in modo che renda possibili investimenti per progetti pubblici che riportino al lavoro più persone possibili, che riduca il livello strutturale di disoccupazione? Abbiamo bisogno di realizzare questo, in quanto permetta alle persone di guardare oltre l'orizzonte del capitalismo, cosa che una volta era possibile, me che è ora diventato estremamente raro su una scala di massa.
Elmar Flatschart: Non c'è alcuna domanda programmatica per abolire la forma valore; piuttosto, la forma valore è una condizione necessaria per l'emancipazione. Gli obiettivi programmatici hanno bisogno di "discendere" da una condizione astratta necessaria, ovvero di avviarsi in un contesto concreto. Questi obiettivi programmatici devono avere un senso per cambiare la totalità. Non esiste un programma a livello della totalità - questo è molto importante, in quanto si tratta dell'illusione "politica", della quale dobbiamo fare a meno.
Il neoliberismo può benissimo aver offuscato l'esperienza dell'era fordista, velandolo di una patina esoterica; ma non ha forse fatto lo stesso, a modo suo, anche il fordismo, assieme al nazionalismo da cui è inseparabile, assorbendo, perfino in maniera più profonda, i problemi del capitalismo classico? Elmar, tu hai messo in guardia contro il "privilegiare" i lavoratori in quanto soggetto rivoluzionario, ma sembri confondere il primo marxismo, in cui il ruolo del proletariato è caratterizzato negativamente, con lo stalinismo e la socialdemocrazia del XX secolo. Quale altro soggetto saprebbe manifestare l'auto-superamento del capitalismo "sulla base del capitalismo stesso", come ha scritto Lenin in "Estremismo, malattia infantile del comunismo"?
Elmar Flatschart: Marx aveva una nozione negativa della classe, nella misura in cui la vedeva come immanente al capitalismo, e questo è evidente dall'approccio logico del Capitale. Ma poi, di nuovo, c'è con Marx, ed ancora di più con Engels, questa classe, politicamente privilegiata, in quanto attore emancipatore. Non c'erano altre questioni di oppressione, e quindi nessun altra soggettività emancipatrice. Non c'è più soggetto, e questo lo possiamo imparare dalla Nuova Sinistra e dalla svolta postmoderna.
Jamie Merchant: Sì, il fordismo assorbe definitivamente il capitale in molti modi, specialmente nel contesto della Guerra Fredda, nei termini del ruolo dello Stato-nazione. Ma il mio punto era che si trattava di una forma di società nella quale appariva tutto il sociale, e perciò l'idea di società aveva più corso. Durante il periodo fordista, c'era questa preoccupazione per cui l'individuo venisse assorbito del tutto nel sociale, e perdesse l'individualismo. Ma questo era solo il capovolgimento della logica culturale del neoliberismo. Il punto è che differenti periodi di accumulazione forniscono differenti versioni della società ed apprensione del "sociale"; la forma sociale appare in differenti modi mediati. Differenti regimi di accumulazione possono portare a differenti percezioni di ciò che la società è, e questo può aprire nuove strade a nuove forme di politica.
Che cosa hai trovato nei Gundrisse e nei Manoscritti del 1844, che abbiano aggiunto qualcosa alla comprensione politica degli scritti di Marx, i quali parlano spesso di abolizione del valore?
Alan Milchman: Perché l'abolizione del lavoro non c'era nella Critica del Programma di Gotha? Perché Marx preserva, allo stadio più basso del comunismo, la remunerazione per i lavoratori, sulla base del tempo di lavoro? Sì, Marx certamente ha parlato di abolizione del lavoro prima del 1875, nei manoscritti di Parigi e nella sua critica di Friedrich List. Ma poi arriva a scrivere la sua Critica del Programma di Gotha, e lì non c'è. Quello che c'era, invece, era un lungo periodo di transizione durante il quale il tempo di lavoro e le retribuzioni sarebbero state le basi di questa fase del comunismo. Oggi, dobbiamo ammettere che non erano nemmeno le basi per una transizione al comunismo. Ma solo le basi per una perpetuazione del capitalismo.
L'abolizione del valore corrisponde all'abolizione del lavoro? Come si lega questo alla questione della disoccupazione o alla questione della piena occupazione? Pensi che la sinistra dovrebbe perseguire una politica di una più piena occupazione legata ad una diminuzione delle ore di lavoro? Se sì, come? Se no, con quali altri mezzi si potrebbe sperare di realizzare politicamente l'abolizione del lavoro?
Alan Milchman: Non vedo come una richiesta di piena occupazione possa avere a che fare con l'abolizione del lavoro. La piena occupazione è una domanda di lavoro. E' una domanda che si fonda sull'esistenza del lavoro, la prosecuzione del lavoro salariato, piuttosto che l'abbattimento del lavoro salariato.
Jamie Merchant: Non sono d'accordo con Alan. Se siamo in grado di organizzare qualcosa come la piena occupazione - e per esempio le persone intorno alla rivista "Jacobin" stanno parlando di questo - la classe operaia collettiva si verrebbe a trovare in una posizione molto più forte. Questo sarebbe molto più favorevole alla formazione della coscienza, aprendo la strada a richieste più radicali, una volta che più persone non devono più concentrarsi su come ottenere e mantenere un lavoro.
Elmar Flatschart: E' del tutto sbagliato chiedere la piena occupazione. Dobbiamo sforzarci di vedere il lavoro stesso, la forma lavoro, come qualcosa che può essere abolito. Questo aprirà la strada a più significative attività. Abbiamo l'abilità tecnologica per ottenere una vita ricca per tutti senza una minimo di lavoro fisso necessario. Questo dovrebbe essere parte del nostro programma.
Che tipo di sviluppi politici nella sinistra tedesca hanno portato in direzione della critica del valore?
Elmar Flatschart: La teoria di Backhaus costruita sulle basi della Scuola di Francoforte, ed anche i suoi errori, inclusa la tendenza di Adorno ad essere superficiale nella sua critica dell'economia politica, la quale si focalizza sul valore-scambio ed è sovra-storica. Coloro che avevano un nuovo interesse in Marx, hanno detto: "Dobbiamo lavorare su questo, perché Marx è più complesso. "Ma volevano mantenere alcune nozioni della Scuola di Francoforte - abbiamo bisogno di una critica della totalità che vada oltre l'economico, che guardi alla cultura, cose come questa. Volevano mantenere la negatività, la dialettica, la cosa hegeliana, ed è così che questa traduzione peculiare è andata a svilupparsi. Politicamente, l'attivismo nel corso degli anni 1960 in Germania era rilevante. Tutte quelle pubblicazioni, tutti quei nuovi movimenti - il movimento delle donne, gli antifascisti, gli ecologisti, i diritti dei gay - tutte queste cose rientravano nella critica del dominio astratto. L'idea era di prova di metterle insieme - almeno, in teoria. Come si è poi scoperto, un sacco di persone non avevano incluso tutte queste richieste nei loro programmi.
Cosa significa parlare dell'abolizione della forma valore? Hegel avrebbe detto che è come provare a saltare la verità, non capendo che la verità si presenta necessariamente sotto forma di apparenza. Marx aveva capito la profondità di questo problema. E non lo ha visto in questi termini impossibilmente astratti, ma in un modo che portava, un passo dopo l'altro, alla rivoluzione che veniva vista come sempre più necessaria. Come si collega alla politica di Marx, la tua richiesta di abolire la forma valore?
Alan Milchman: L'abolizione del lavoro è troppo astratta? Cerchiamo di concretizzare. C'è un movimento in una fabbrica contro la sua chiusura. I lavoratori occupano la fabbrica e decidono che verrà auto-gestita. I lavoratori la gestiscono, comprano le materie prime, e vendono i prodotti sul mercato. Si mettono anche d'accordo per tagliare i loro salari, per poter competere. Qualcuno dice che è ridicolo, ed invece pone la questione che molti altri lavoratori chiedono: posti di lavoro da parte dello Stato capitalista, stampando quei famigerati miliardi di dollari, seguendo praticamente quello che oggi chiede la sinistra negli Stati Uniti. Quello su cui ci dovremmo interrogare è: perché domandate più posti di lavoro? Perché chiedete la piena occupazione? Il capitale non può concederla. Immagino Paul Krugman che dice, perché lo Stato americano non dà ad ogni essere umano negli Stati Uniti, legale o illegale, centomila dollari l'anno. Ma è una pretesa impossibile, in quanto distruggerebbe le basi del capitalismo americano, a meno che il plusvalore estratto non fosse sufficiente a dare ad ogni essere umano negli Stati Uniti un centinaio di migliaia di dollari.
Penso che sia abbastanza realistico abolire il lavoro. Perciò dico, rivolgiamoci ai lavoratori, sfidiamo la legalità dell'intero apparato statale e delle sue infrastrutture giuridiche, e prendiamoci i mezzi di produzione, non per farli funzionare come imprese capitaliste, ma per cominciare il processo della creazione di ricchezza sociale che il capitalismo ha reso liberamente disponibile per le persone. Se è necessaria qualche forma di razionamento, che dipende da quanto successo avrà una simile rivoluzione, allora il razionamento dovrebbe essere in base ai bisogni, piuttosto che al lavoro.
Elmar ha affermato che le vecchie distinzioni fra marxismo ed anarchismo sono datate, quando, alla luce del dibattito fra Marx e gli anarchici del XIX secolo, sia Elmar che Alan verrebbero considerati anarchici. Dispenso Jamie da questa considerazione, perché mi sembra un marxista tradizionale, vestito da ‘postoniano’. Se si legge la polemica di Marx contro Bakunin, la critica si svolge sulle basi del fatto che gli anarchici stiano per "dare l'assalto ai cieli aperti" della libertà. Sembra che, per mezzo di una risposta passiva alla debolezza storica, la Wertikritik sia arrivata come se fosse l'anarchismo del XIX secolo.
Elmar Flatschart: State riducendo tutte le programmatiche anarchiche e marxiste alla politica. Se si prende la tradizione marxista, ci si trova una grande teoria della società e ci sono approcci anti-politici che sono importanti per l'emancipazione, in un rapporto dialetto con i processi politici di emancipazione.
Alan Milchman: Penso che tutto quello che ho detto sia compatibile con la lettura di Marx. Possiamo anche non essere d'accordo; ma questa è una disputa che sarebbe all'interno del marxismo. I fondamentali sono veri adesso come lo erano nel 1857 o nel 1875: solo il lavoratore collettivo, il Gesamtarbeiter, ha la capacità di far esplodere la forma-valore. Ci sono vari momenti, ma è solo il lavoratore collettivo che potenzialmente può fondersi come soggetto. Se non cogliamo questo fatto, ci disarmiamo da soli.
In che modo si configura il crollo dell'Unione Sovietica ed il "capitalismo di Stato" nel percorso della critica del valore? Qual è la visione persistente della critica del valore, ora che quelle forme di socialismo non sono più storicamente presenti? Che cosa motiva adesso l'impulso che sta dietro la Wertkritik?
Alan Milchman: Wertkritik e “Neue Marx Lektüre” emergono in Germania - anche se si vedono in qualche modo impulsi simili, diciamo, per esempio, nell'operaismo, in Italia - e si basavano sullo sviluppo e sulla logica del capitalismo nelle società industriali più avanzate. Quello che è successo in Unione Sovietica è stato che la distruzione del capitale nazionale ha portato inevitabilmente ad un'impasse economica. Gorbaciov ha dovuto fare quel che era necessario per cominciare a riformarlo, ed ora abbiamo la Russia di Putin. Ma il progetto di Stalin, o quello di Mao, era il predecessore di ciò che vediamo adesso in Russia o in Cina. L'insolubile contraddizione della Russia, per esempio, non è la spinta della Wertkritik. Penso che piuttosto fosse un baraccone. Poteva essere costruito il socialismo sul modello di Stalin o sul modello di Mao, o anche sul modello di Lenin? Sono sicuro che Postone sarebbe d'accordo, a proposito del fatto che fosse un sviluppo capitalista nazionale in circostanze specifiche, e che dovesse finire nel modo in cui è finito. Probabilmente, sarebbe potuto anche finire con una rivoluzione proletario, e questo ovviamente sarebbe stato meglio - ma non è avvenuto.
fonte: PLATYPUS
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