lunedì 3 settembre 2012

lavorare stanca

 

capitalism3

Con il suo "Manifesto contro il lavoro", del 1999, il Collettivo Krisis (formatosi a Norimberga nel 1986), esprime una critica radicale della società capitalista, poco comune per l'epoca, destinata a fare scuola. In seguito ad un disaccordo, nel 2004, legato alla questione femminile, ci sarà una scissione e Kurz e Trenkle prenderanno ciascuno una loro strada. Kurz fonderà la rivista EXIT!. Quella che segue è un'intervista ad uno dei redattori di exit!

Domanda: Quando avete deciso di non lavorare più?

Elmar Flatschart: Mai. Il lavoro è una forma essenziale della società e non è questione di rinunciarvi; sarebbe come decidere di mangiare o no. La sua critica come astrazione delle attività sociali non deve essere assimilata al quotidiano. Come la più parte dei critici del lavoro, devo guadagnarmi da vivere o fare i conti con il regime repressivo delle istituzioni di protezione sociale, cosa che - oltre a non fornire abbastanza denaro per poter condurre una vita decente - è sovente un fardello ancora più pesante da portare. Questa critica può essere ispirata dalle esperienze quotidiane, ma in nessun caso limitata da esse. Si può e si deve criticare il lavoro senza necessariamente smettere di lavorare.

Il "Manifesto contro il lavoro" firmato da Krisis è del 1999. E' sempre pertinente?

Sempre, dal momento che la società non è cambiata nei suoi modelli di base, salvo per quel che concerne la gravità e l'estensione della crisi che, al di là delle rotture finanziarie, rimane legata direttamente alla produzione, dunque al lavoro e al patriarcato produttore di merci. Empiricamente, dunque non può essere giudicato più pertinente di quanto lo sia oggi.

Perché il pensiero anti-lavoro è così vivo nei paesi di lingua tedesca?

E' una conseguenza delle nostre particolarità culturali: una miscela di autoritarismo, di modernizzazione ritardata in tutti i campi ed una versione molto speciale di comunità nazionale, che non può essere pensata senza riferimenti al nazionalsocialismo e al suo posto nella nostra storia. Non è senza ragione che sulle recinzioni dei campi di concentramento campeggiasse la scritta "il lavoro rende liberi" - liberazione in una maniera terribilmente cinica, negativa, liberazione ultima dal castigo per mezzo della morte. Suppongo che un simile contesto mortifero abbia reso il collettivo più necessario che altrove.

L'abolizione del lavoro porterebbe alla delinquenza?

Affrontiamo il problema ad un altro livello: nelle relazioni attuali (di crisi), l'abbandono delle relazioni formali di lavoro può condurre ad un "gangsterismo" informale, intriso di violenza, le "sussunzioni negative" del capitalismo. Questo tuttavia non ha niente a che fare con la possibilità di un'abolizione progressiva del lavoro.

Qual è il primo passo verso un mondo senza lavoro?

Non c'è da cercare un "primo passo", si tratta di impegnarsi seriamente nell'azione emancipatrice e nella critica teorica di tutti i modi di oppressione fra loro connessi, accettando le contraddizioni e rinunciando all'illusione di risposte facili che inglobano tutto quanto.

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