lunedì 10 settembre 2012

game over

BARBARIE

Domanda: Cosa distingue la crisi attuale dalle precedenti?

Robert Kurz: Il capitalismo non è l'eterno ritorno ciclico dello stesso, bensì un processo storico dinamico. Ogni grande crisi si produce ad un livello di accumulazione e di produttività, superiore a quelle passate. Ciò perché, la questione di sapere se la crisi è stata padroneggiata o meno si pone ogni volta in modo diverso. Alcuni meccanismi che hanno portato alle precedenti soluzioni, hanno perso la loro validità. Le crisi del 19° secolo sono state superate in virtù del fatto che il capitalismo non aveva ancora occupato tutta la riproduzione sociale. Rimaneva ancora uno spazio disponibile per lo sviluppo industriale. La crisi economica mondiale del 1930 era invece una rottura strutturale al livello più alto dell'industrializzazione. E poté essere superata grazie alle nuove industrie fordiste e alla regolamentazione keynesiana, della quale le economie di guerra della seconda guerra mondiale sono state il prototipo. Durante gli anni '70 l'accumulazione fordista ha raggiunto i suoi limiti, il keynesismo ha portato ad una politica inflazionista fondata sul credito dello stato. Ma quello che qualcuno ha chiamato "rivoluzione neoliberale" ha semplicemente spostato il problema del credito di Stato verso i mercati finanziari. Tutto ciò è avvenuto sullo sfondo di una nuova rottura strutturale dello sviluppo capitalista, segnato dalla terza rivoluzione industriale (microelettronica). A tale livello di questa qualitativamente nuova produttività, è diventato impossibile creare lo spazio necessario ad una reale accumulazione. Nel corso di più di vent'anni, si è perciò sviluppata una situazione globale di deficit, che potrebbe non essere più praticabile sul lungo periodo, fondata sul debito e sulle bolle finanziarie prive di sostanza. Finché queste crisi rimanevano limitate a certe regioni del mondo, o ad alcuni particolari settori, era possibile contenerle per mezzo di un flusso di liquidità emesso dalle banche centrali. Ma in questo modo si sono solo create le basi che hanno portato al culmine del processo di crisi. Dall'autunno del 2008, la crisi generata dalla terza rivoluzione industriale ha assunto una dimensione globale. Lo scoppio delle bolle finanziarie ha portato alla luce la mancanza di accumulazione reale. Il nuovo keynesismo ha semplicemente spostato il problema della crisi dai mercati finanziari al credito di Stato, ma ad un livello più alto che nel '70. Proprio come allora, lo Stato non è in grado di sovvenzionare in modo durevole la mancanza di accumulazione reale. La crisi del credito dello Stato ha sostituito la crisi finanziaria - la Grecia è solo la parte emersa dell'iceberg. Lo spostamento del problema verso lo Stato (una soluzione senza fantasia) mostra oggi come non ci sia alcun nuovo meccanismo che permetta di risolvere la crisi al livello di produttività raggiunto.

D: Secondo te, il capitalismo si sta avvicinando alla sua fine. Per la prima volta nella storia, possiamo superare il capitalismo? Era per forza così che il capitalismo doveva sviluppare le sue contraddizioni per quanto era possibile? Non era possibile prima?

R.K.: La dinamica cieca del capitalismo si dispiega secondo le sue proprie leggi. Questo processo è solo "necessario" e determinato nella misura in cui le categorie, ed i criteri fondamentali di questo modo di produzione e di vita, non vengono rivalutate nella pratica. Un intervento appropriato avrebbe potuto permettere di fermare la marcia del capitalismo in qualsiasi fase della sua evoluzione. La socializzazione della produzione avrebbe allora assunto una forma di cui non possiamo dire niente, dal momento che non ha avuto luogo. Non è questione di necessità oggettiva, bensì di coscienza critica. Né le rivolte del 1700 o dell'inizio dell'800, né il vecchio movimento operaio né i nuovi movimenti sociali delle recenti decadi, sono stati capaci di generare una tale coscienza. Al contrario, le forme capitaliste di lavoro astratto, di valorizzazione del valore e di un moderno Statismo sono state sempre più interiorizzate. Ma questi sono solamente fatti. Non è che il capitalismo "DOVEVA" sviluppare le sue contraddizioni interne fino al punto raggiunto oggi, ma lo ha fatto. Noi dobbiamo perciò confrontarci con il compito di riformulare la critica delle forme capitaliste, e con quello della loro abolizione, al livello dato delle contraddizioni che hanno raggiunto. Questa è semplicemente la situazione storica nella quale ci troviamo, e sarebbe ozioso mettersi a piangere sulle battaglie perdute del passato. Se il capitalismo è arrivato oggettivamente ai suoi assoluti limiti storici, è pur vero che, data la mancanza di una sufficiente coscienza critica, l'emancipazione può fallire anche oggi. E allora il risultato non sarebbe una nuova primavera di accumulazione ma, come ha detto Marx, la caduta di tutti nella barbarie.

Nessun commento: