sabato 31 marzo 2012

Da che parte stai, ragazzo?

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Premetto che il film non l'ho ancora visto. So solo - come tutti - che "Romanzo di una strage" si ispira al libro dello stesso titolo, un libro che sposa la tesi per cui, di bombe quel giorno ce ne sarebbero state almeno due, e una delle due sarebbe stata trasportata da Valpreda. E questa era anche la tesi di Calabresi, a detta dell'autore del libro. So anche che, nel film, le cose cambiano, in qualche modo, rispetto al libro. Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte. Per cui, il secondo bombarolo non sarebbe un anarchico, ma un altro fascista, o qualcosa del genere.
Ad ogni modo, per chi voglia approfondire, consiglio di scaricare e leggere il libriccino che Adriano Sofri ha scritto a caldo sul film stesso. Lo potete scaricare qui.
Quello che invece mi ha incuriosito, è stata la frase che il regista, Marco Tullio Giordana, avrebbe pronunciato come premessa al suo voler fare un film come quello che ha fatto. Eccola:

«Il fatto è che io  Calabresi l’ho  conosciuto. Quando da studente ho
occupato  il  mio  liceo,  il  Berchet. È  arrivato questo  signore  serissimo,
gentile ed elegante,  circondato da  sbirri minacciosi,  che  non  aveva l’aria
del poliziotto  e  ci  dava del lei,  ci  trattava come figli. A  me fece  una  specie di paternale: ma come, lei,  figlio  di  una vedova  e  con  quattro fratelli, che grazie  ai  sacrifici  di sua  madre ha la possibilità di studiare,  si  mette a occupare! Uscii  dall’interrogatorio con le  lacrime agli  occhi»

Marco Tullio Giordana è nato nell'ottobre del 1950, e quindi è poco più vecchio di un paio d'anni, rispetto a me. Non molto, oggi, ma una differenza sostanziale per degli adoloscenti.
Per intenderci, quando nel 1968 lui andava per i diciott'anni, io ne avevo poco più di quindici. E non è poco. Anche perché ritengo che l'occupazione di liceo, cui si riferisce e che lo onorò di una visita dell'allora commissario Calabresi (nickname, commissario finestra) e del conseguente interrogatorio, debba essere avvenuta in quell'anno fatidico. Diversamente, il Giordana, sarebbe stato un ... ripetente. Ignoro i trascorsi scolastici del regista, ragion per cui posso ipotizzare anche che di anni ne avesse diciannove, se non venti. Addirittura. Ma non importa. Quello che mi piacerebbe sapere è come abbia fatto a coltivare, per più di quarant'anni. quest'icona di commissario gentile ed elegante, e serissimo - aggiunge - laddove l'aggettivo serissimo sembrerebbe quasi sinonimo di severo, severissimo, forse. Rinuncio al gioco facile con la faccenda della madre vedova - e quindi dell'assenza del padre - e preferisco ripensare a quegli anni, e all'effetto che mi facevano quei signori eleganti e gentili che ti venivano a buttare giù dal letto alle cinque e mezza di mattina e ti frugavano la casa. No, non mi hanno mai fatto venire le lacrime agli occhi, né loro, né le loro paternali, né le loro minacce. E nemmeno il loro blandire, il loro far professione di antifascismo, ed altre simili amenità. Nemmeno la loro onestà; ché qualcuno di loro lo era, onesto! So da che parte sta, un poliziotto, sempre e comunque. Non so da che parte stia uno come Giordana.

venerdì 30 marzo 2012

Tutto ciò che non è regalato è perso.

film


“La verità attraversa tre fasi:
prima la si ridicolizza;
poi ci si oppone violentemente;
infine, la si accetta come ovvia.”
 
Schopenhauer

    Sulla servitù moderna è un libro e un film documentario di 52 minuti prodotti in modo del tutto indipendente; il libro (e il DVD che contiene) è distribuito gratuitamente in alcune piazze alternative in Francia e in America Latina. Il testo è stato scritto in Giamaica nell’ottobre 2007 e il documentario è stato ultimato in Colombia nel maggio 2009. Esiste in versione francese, inglese spagnola e italiana. Il film è stato elaborato a partire da immagini sottratte, principalmente da film di fiction e documentari.
   L’obiettivo centrale di questo film è quello di smascherare la condizione dello schiavo moderno nel quadro del sistema totalitario mercantile e di rendere visibili le forme di mistificazione che occultano questa condizione servile. È stato realizzato con l’unico scopo di attaccare frontalmente l’organizzazione dominante del mondo.
   Nell’immenso campo di battaglia della guerra civile mondiale, il linguaggio costituisce un’arma di prima scelta. Si tratta di chiamare veramente le cose con il loro nome e di far scoprire l’essenza nascosta di queste realtà tramite il modo in cui le nominiamo. La democrazia liberale è un mito perché l’organizzazione dominante del mondo non ha nulla di democratico e neanche di liberale. È quindi urgente sostituire il mito della democrazia liberale con la sua realtà concreta di sistema totalitario mercantile e di diffondere questo nuovo appellativo come una scia di polvere pronta ad incendiare le menti rivelando la natura profonda della presente dominazione.
    Qualcuno spererà di trovare qui delle soluzioni o delle risposte pronte, tipo piccolo manuale “Come fare la rivoluzione?”. Non è questo il proposito del film. Qui si tratta di fare la critica esatta della società che dobbiamo combattere. Questo film è prima di tutto uno strumento militante che ha vocazione di far riflettere il più gran numero di persone e di diffondere la critica ovunque non abbia accesso. Le soluzioni, gli elementi di programma, vanno costruiti insieme. Ed è nella pratica, prima di tutto, che brillano alla luce del giorno. Non abbiamo bisogno di un guru che ci venga a spiegare come dobbiamo agire. La libertà d’azione deve essere la nostra caratteristica principale. Quelli che vogliono rimanere schiavi aspettano l’uomo provvidenziale o l’opera che basterebbe seguire alla lettera per essere più liberi. Di queste opere e uomini che si sono proposti di costituire l’avanguardia rivoluzionaria e condurre il proletariato verso la liberazione dalla sua condizione, ne abbiamo visti fin troppi nella storia del XX secolo. I risultati da incubo parlano da sé.
  Tra l’altro, noi condanniamo tutte le religioni perché generatrici di illusioni che ci permettono di accettare la nostra sordida condizione di dominati e mentono o farneticano su quasi tutto. Ma condanniamo anche ogni stigmatizzazione di una religione in particolare. Gli addetti del complotto sionista o del pericolo islamista sono delle povere teste mistificate che confondono la critica radicale con l’odio e il disprezzo. Non sono capaci di produrre che fango. Se alcuni di loro si dicono rivoluzionari, è più in riferimento alle “rivoluzioni nazionali” degli anni 1930-1940 che alla vera rivoluzione liberatrice alla quale noi aspiriamo. La ricerca di un capro espiatorio in funzione della propria appartenenza religiosa o etnica è vecchia quanto la civiltà ed è solo il prodotto delle frustrazioni di quelli che cercano risposte rapide e semplici di fronte al vero male che ci opprime. Non ci può essere ambiguità sulla natura della nostra lotta. Siamo favorevoli all’emancipazione di tutta l’umanità, senza alcuna forma di discriminazione. Tutto per tutti è l’essenza del programma rivoluzionario al quale noi aderiamo.
     I riferimenti che hanno ispirato questo lavoro e più in generale la mia vita sono espliciti in questo film: Diogene di Sinope, Étienne de La Boétie, Karl Marx e Guy Debord. Non li nascondo e non pretendo di aver inventato l’elettricità. Mi si riconoscerà semplicemente il merito di essere riuscito a servirmene per illuminarmi. Quanto a coloro che troveranno da ridire su questa opera perché non sufficientemente rivoluzionaria oppure troppo radicale o ancora troppo pessimista, propongano la loro visione del mondo nel quale viviamo. Più numerosi saremo a diffondere idee e più la possibilità di un cambiamento radicale potrà emergere.
  La crisi economica, sociale e politica ha sancito il fallimento del sistema totalitario mercantile. Una breccia è aperta. Si tratta ora di infilarcisi senza paura, ma in modo strategico. Bisogna però agire velocemente perché il potere, perfettamente informato sullo stato della radicalizzazione della contestazione, prepara un attacco preventivo senza paragoni con quello che abbiamo conosciuto finora. L’urgenza dei tempi ci impone quindi l’unità piuttosto che la divisione, perché ciò che ci unisce è molto più profondo di ciò che ci divide. È sempre molto facile criticare quello che fanno le organizzazioni, gli individui o i vari gruppi che invocano la rivoluzione sociale. Ma in realtà, queste critiche partecipano della volontà di immobilismo che cerca di convincerci che niente è possibile. Non dobbiamo sbagliare nemico. Le vecchie guerre intestine in campo rivoluzionario devono lasciar posto all’unità di azione di tutte le nostre forze. Dobbiamo dubitare di tutto, persino del dubbio.
     Il testo e il film sono liberi di diritti, possono essere copiati, diffusi, proiettati senza alcun limite. Sono totalmente gratuiti e non possono in nessun caso essere venduti o commercializzati sotto qualunque forma. Sarebbe per lo meno incoerente proporre una merce che avrebbe per vocazione di criticare l’onnipresenza della merce. La lotta contro la proprietà privata, intellettuale o altro, è la nostra forza d’urto contro la dominazione attuale.
     Questo film, diffuso fuori da ogni circuito legale o commerciale, può esistere soltanto grazie al sostegno delle persone che ne organizzano la diffusione o la proiezione. Non appartiene a noi, appartiene a tutti coloro che vorranno prenderlo per gettarlo fra le fiamme dei combattimenti.

    

QUI IL FILM COMPLETO, in streaming.
QUI scaricabile da Emule

giovedì 29 marzo 2012

Buona fortuna!

riondini

Strana città, Firenze. Vorrei tanto sapere com'è che sono andata a cercarmela! E a trovarla. Cose che capitano ... Certo che uno, a volere, ci mette sempre del proprio. Eravamo - e sottolineo il plurale - perfino convinti che avremmo potuto fare ... la rivoluzione, a Firenze. La rivoluzione, strana parola, oggi. Eppure in questa città, ci muovevamo, camminavamo, pensavamo, sognavamo. Insieme. In molti. Smetto, anche perché rischio di diventare melenso, e poi, bene o male, la storia (con la s minuscola) è stata raccontata, qui. Certo manca un pezzo, quello precedente, mancano i miei primi tre anni in questa città, in quella storia. Mancano i gruppi, mancano i volantinaggi all'alba davanti alle fabbriche, e mancano i manifesti attaccati la notte. Manca la nebbia dell'Arno, mancano gli scazzi e le furbate. Chi prende la testa del corteo?, e giù discussioni. Manca oltrarno, con le tavolate in Piazza Piattellina, fuori dal bar del gobbo (non sto nemmeno a dire cosa ci sia oggi, al suo posto); mancano le case del popolo dove si discuteva e mancano i servizi d'ordine del partito comunista italiano che venivano per bastonarci. Mancano i piccoli dirigenti di lotta continua che facevano finta di essere stati sfrattati dalla loro sede, per farsi ospitare da un gruppo, da un collettivo, per fare man bassa di militanti, quadri da iniziare per chissà poi che cosa. Mancano le miserie, e mancano le nobiltà. E ce ne sono state, di entrambe! Magari, forse, un giorno qualcuno le racconterà, con metodo. Non io, non qui.
Ché qui voglio parlare di altro. Voglio parlare di una canzone. Era il 1980, quando la sentii per la prima volta, cantata in una casa del popolo, a Fiesole. David, l'avevo perso di vista, e il Collettivo Victor Jara si era sciolto da un pezzo. E poi, a perderci di vista, avevamo già cominciato un po' tutti. No, non vado per il sottile, non ci sarebbe senso a farlo. Eroina e lotta armata, questo era successo! E la rivoluzione non l'avevamo fatta. Era ora di prendere una qualche strada, per quanto possibile. Chi meglio, chi peggio. Ecco, questa canzone parla di Firenze. Ci siamo tutti dentro. Per chi vuole ascoltarla (sotto c'è anche il testo) ...

BUONA FORTUNA  (di David Riondino)

Ora che i giochi son fatti, che è inutile recriminare
le frasi storiche dette, calato il sole nel mare
che la memoria di tutti si spezza in tante memorie
e i voyeurs soddisfatti preparano i libri di storia
mi sia permesso un saluto ai compagni di ventura
ai compagni di viaggio di ogni tipo e natura.

buona fortuna

ai giovani di partito così attenti così ligi
dev'essere stata dura diventare così grigi
hanno i capelli corti parlano per benino
alle donne degli altri sotto il tavolo fan piedino
odiano tutti quanti sè stessi in primo luogo
costretti a barcamenarsi fra l'acqua santa e il fuoco
è dura la disciplina nei confronti dei dirigenti
tra i giochi di corridoio ed i pettegolezzi prudenti
certo dev'essere dura prendere calci nelle gengive
rischiando di restare tutta la vita alle cooperative
con quel sorriso scemo da giovane per bene
fingendo una salute che non vestite bene

buona fortuna

alle amiche di sempre le amiche coraggiose
partite per un viaggio difficile meraviglioso
e chiuse nelle secche di questa restaurazione
questa grande palude senza consolazione
costrette in uno spazio sempre più asfissiante
tra un domani che manca e il tempo che va avanti
assediate da maschi sempre più pretenziosi
incalzate da giovani violenti, pretestuosi
certo che sarà dura dover mantenere il passo
costrette a contrattare a un prezzo sempre più basso
mentre il maschio sornione aspetta che ti stanchi
per metterti le mani sopra il petto e sui fianchi

buona fortuna

ai giovani leoni gli eleganti animali
lucidi profumati col gilet e gli stivali
i giovani benestanti che han fatto il movimento
un poco per noia e un poco per allenamento
hanno imparato ad essere astuti e intransigenti
scoprendo vocazione da eterni dirigenti
perchè è da dirigente l'intuizione profonda
di sapersi sganciare quando la barca affonda
e indossare il disagio con la stessa arroganza
con la quale vestivi prima la militanza
mettere i pugni in tasca con un sorriso amaro
scoprire che le tasche son piene di denaro
voi davvero i più odiosi certo i più intelligenti
fate il vostro dovere siate classe dirigente
ma dell'intelligenza non fate troppa mostra
anche quella in fin dei conti non è neanche colpa vostra

buona fortuna

e tutto si trasforma tutto si ricompone
restano in mezzo i molti le schiere senza nome
quelli di sempre, quelli con le mani tagliate
da morti collettive e sconfitte private
ammazzati nel vuoto che ne riempie i giorni
ammazzati nell'ansia che qualcosa ritorni
nelle case disfatte uccisi di eroina
nella ripetizione di una vita cretina
ammazzati per strada di pistola e bastone
ammazzati in cucina da una televisione
per concepire adesso l'orribile pensiero
che non era uno scherzo che si muore davvero

e tra loro anche a me dico buona fortuna
mentre lascio alle spalle il settanta nervoso
e mentre lentamente come un novello giona
entro negli anni ottanta come nel ventre di una balena
tra inquietudini vaghe cupi presentimenti
nervosismi sussurri grida trasalimenti
navigando per scure intuizioni di morte
e una voglia di vita che spacca mille porte
tra la voglia di non volere sapere più niente
e di farmi attraversare da città parole e gente
tra il gusto di sedermi in un chiaro confine
ed il fiato sospeso di una fuga senza fine
curiosa situazione strano destino il mio
questo vizio di viaggiare non essere nemmeno ebreo
buona fortuna.
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mercoledì 28 marzo 2012

forse …

ucronia

Ucronia è un bel termine. E pensare che lettori e scrittori anglofoni devono accontentarsi di definizioni meno eleganti e assai più ingombranti. Roba tipo "romanzo controfattuale", oppure "linea temporale alternativa", per descrivere i libri di cui mi appresto a parlare. Modellato su "Utopia", Ucronia è un termine che allude ad un non-tempo ed attiene al cosiddetto what-if, cosa sarebbe accaduto se ...Insomma, libri in cui gli eventi storici significativi sono andati da un'altra parte, rispetto a quella che effettivamente conosciamo. Nella sua forma pura, un romanzo, una storia ucronica, prevede un preciso momento di divergenza. Ad esempio, ne "L'alterazione" di Kingsley Amis, avviene che la Riforma ... non è mai avvenuta! Ancora, ne "Il complotto contro l'America" di Philip Roth succede che Roosvelt perde le elezioni del 1940, e vince Charles Lindbergh. Se si va a fare un giro sul bel sito "Uchronia: The Alternate History List" , ci si può rendere conto come, negli ultimi tempi, la pubblicazione di simili storie si sia parecchio incrementata.
Certo, la storia dell'Ucronia è storia antica. Sembra che, il primo esempio, risalga addirittura a Tito Livio, quando, nel Ix libro della sua Storia di Roma, si domanda cosa sarebbe accaduto se Alessandro  Magno si fosse diretto ad ovest, in direzione di Roma, anziché ad est, verso la Persia. Se tralasciamo le speculazioni di Agostino e di Tommaso d'Aquino a proposito del what, if Adamo ed Eva non avessero mangiato la mela, si può affermare che la curiosità dura poco, nel senso che dopo Tito Livio bisognerà aspettare una bella paccata di secoli, e il romanzo di Joanot Martorell, "Tirant lo Blanc": siamo nella Spagna del 1400, quando viene scritta quest'opera - non si sa se e quanto satirica - che postula la caduta di Costantinopoli ai tempi di Maometto II. Ad ogni modo, più che il "che cosa - se ...", è un genere di storia che viene giocata sul "se solamente ...".
Ed il "se solamente ..." presiede senz'altro al primo romanzo ucronico moderno. "
Quel "Napoleone apocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale 1812-1832" a firma di Louis Geoffrey, in cui si immagina che Napoleone abbai sconfitto la Russia nel 1812 e la Gran Bretagna nel 1814. Da Geoffroy (che muore a Parigi proprio nel 1814) in poi, il potenziale della formula apparirà evidente a più di uno scrittore. Nel racconto "P's Corrispondence, Nathaniel Hawthorne costruisce una visione alternativa del 19° secolo. Qui, Dickens è morto in giovane età mentre Burns è arrivato, in ottima salute, all'età di 87 anni; Shelley, poi, si è riconciliato con la Chiesa d'Inghilterra, Keats scrive il "Paradiso riconquistato", e così via. Niente di ché, per carità, una storiella quasi inoffensiva, ma il genere comincia a prendere piede, e così vi si cimenta anche Edwin Morgan, che scrive un poema in cui immagina Byron all'età di 65 anni. Insomma, la letteratura pratica il terreno dell'auto-referenzialità.
Ma è il XX secolo che ci sorprende. Hilaire Belloc, G.K. Chesterton, H.G. Welles. Tutti si cimentano sul terreno dell'Ucronia. E, soprattutto, con i risultati migliori, lo fa anche Sir Winston Churchill. Cosa sarebbe accaduto se Lee non avesse vinto la battaglia di Gettysburg, questo il tema. Ma il bello è che il racconto appare scritto da uno storico che vive in un universo dove la guerra civile americana è stata vinta dagli Stati confederati del Sud! Da qui, si apriranno molte strade; e mi piace pensare che il nobel per la letteratura, vinto da Churchill contro scrittori del calibro di Hemingway, Graham Greene e Robert Frost, sia merito di ... Lee.
Il romanzo più frequentemente citato, come Ucronia per eccellenza, è di solito "The man in the high castle" di Philip Dick, un libro dove si postula che i nazisti e i giapponesi abbiano vinto la seconda guerra mondiale. Il libro è del 1962, e magari Vladimir Nabokov, prima di scrivere "Ada or Ardor" (che è del 1969) potrebbe anche averlo letto. Il fatto è che entrambe le opere indugiano a proposito dell'orrore che nell'universo alternativo via sia la conoscenza di un percorso diverso intrapreso dalla storia. Un altrove, dove i personaggi esistono in modo diverso. E fin qui ... poi, scrittura e fini sono assolutamente diversi. L'anti-terra di Nabokov è un luogo dove la felicità è una possibilità. Dick, scrittore assai più pericoloso, ci insinua il sospetto che siano cambiate solo le uniformi.
E il problema con l'Ucronia è proprio questo: O siamo bloccati su questo mondo, oppure non lo siamo. Andrew Crumey (che, a sostegno delle sue elucubrazioni, esibisce un curriculum di tutto riguardo) si è domandato se il multiverso (basato sulla teoria degli universi paralleli di Hugh Everett) non sia proprio questo terribile groviglio di scrittori e scienziati, cresciuti leggendo storie di universi paralleli e di ucronie con un capitalismo sbiadito, le cui scelte si estendono anche alle altre dimensioni.

martedì 27 marzo 2012

Catapecchie

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Un film, Barrios bajos si chiama. Che tradotto in italiano suonerebbe un po' come "Quartieri bassi", ma anche catapecchie, se vogliamo. Un film, girato e prodotto nel 1937, in piena guerra civile spagnola, a cura del Sindacato dell'Industria dello Spettacolo, ente collettivo e collettivizzante controllato dagli anarchici. Lo firma, don Pedro Puche, autore, in tutto, di solo cinque pellicole; l'unica fama gli deriva da questo film. Dubbia fama, in ogni caso. Se si vanno a cercare informazioni sul film, si viene a sapere che i rivoluzionari lo trovano politicamente inefficace, mentre, i cinefili lo tacciano di essere solo un blando precursore del cinema neorealista, influenzato un po' troppo da certo cinema francese. Politicamente inefficace? Può darsi. Quanto alla seconda critica, che dire? Barrios Bajos è un melodramma che indugia alla durezza, erede di certe narrazioni sociali dell'800. Un melodramma glorioso di puttane, pistole, droga e coltellate.
Il "putiferio" (locale notturno con puttane) è il suo tema e la sua ragion d'essere, senza che venga risparmiato nessuno dei luoghi comuni di questo genere, assai poco coltivato. Dentro c'è tutto: vermut con tapas a 20 centesimi, protettori col cappello sulle ventitré e il sigarino in mano, la signora che versa da bere ai suoi clienti, assassini galanti, bambini che scolano grappa, donne in biancheria intima vendute e comprate come bestiame, tristi parrocchiani con cappotto e berretto ... E in mezzo, El Valencia, onesto operaio che cerca di redimere, col suo amore tosto e sincero, la giovane donna destinata al mercimonio. Barcellona e i suoi vicoli di ubriachi, piastrelle e panni stesi, e i suoi sobborghi di mendicanti, prostitute e sfruttatori. Un film insolito, brillante, che mostra senza scrupoli una Spagna nascosta, o vista solo con la coda dell'occhio. Un film. Guardatelo! Qui sotto ...

BARRIOS BAJOS
Director: Pedro Puche. Con José Telmo, Rosita de Cabo, Rafael Navarro, José Baviera. España, 1937

lunedì 26 marzo 2012

Il mito della spontaneità

defensa

La sconfitta dell'esercito fascista, da parte del popolo di Barcellona il 19 luglio 1936, è uno dei miti più radicati nella storia della rivoluzione sociale spagnola. La "spontaneità" della risposta operaia e popolare alla sollevazione militare venne catalizzata e coordinata dai Comitati di Difesa della CNT. Tali comitati furono il nucleo dell'esercito di milizie, che andarono a delimitare il fronte d'Aragona nei giorni successivi. Inoltre, posero le basi dei numerosi comitati rivoluzionari di quartiere, che controllarono Barcellona fino alla restaurazione del potere borghese del Governo, con il supporto indispensabile dei comitati superiori della CNT e della FAI. Così, anche l'insurrezione "spontanea" del maggio 1937 in seguito alla controrivoluzione, guidata dallo stalinismo, non può essere spiegata senza i Comitati di difesa dei quartieri di Barcellona.
Un libro, oggi,  rivela l'esistenza di modi diversi di intendere la CNT, e l'essenza stessa della rivoluzione libertaria, all'interno del movimento anarco-sindacalista del tempo. Queste differenze, lungo il periodo repubblicano e durante la guerra civile, hanno prodotto numerosi scontri tra i difensori intransigenti della rivoluzione per mezzo dei comitati di base e coloro che hanno inteso la CNT-FAI come un partito in più nel campo antifascista, sempre con la scusa della gravità del momento.
Le rivoluzioni sociali, questi tentativi di riorganizzare la produzione e la società su basi nuove, sono estremamente rari nella storia. Ma al di là delle particolari circostanze, forniscono sempre un'esperienza insostituibile, sia per i loro successi che, specialmente, per i loro fallimenti. La grande lezione della rivoluzione del 1936 era la necessità inevitabile della distruzione dello Stato.
La tesi fondamentale del libro sostiene che l'ideologia dell'unità antifascista spinse la CNT ad accettare il programma politico della borghesia repubblicana e, pertanto, a collaborare con lo stato capitalista, perseguendo l'unico obiettivo di vincere la guerra, previa la rinuncia a tutto il programma rivoluzionario.
La situazione rivoluzionaria esistente nel luglio del 1936 era caratterizzata da un potere distribuito per più comitati rivoluzionari, che venne concentrato nel Comitato centrale delle milizie (CCMA); questi non era altro che un organismo di collaborazione di classe, conseguente alla rinuncia da parte della CNT a prendere il potere.
L'ideologia antifascista e la partecipazione della CNT ai vari consigli municipali, alle consorterie del governo  catalano e, addirittura, ai ministeri del governo centrale, andò a creare una burocrazia di comitati superiori, con interessi diversi e opposti ai comitati rivoluzionari emersi nei quartieri di Barcellona. Mentre i comitati superiori erano subordinati in tutto e per tutto alla vittoria militare sul fascismo, i comitati di quartiere avevano all'ordine del giorno la difesa rivoluzione operaia '.
Il processo di istituzionalizzazione di questi comitati superiori della CNT-FAI li convertì ben presto in servitori dello Stato, che consideravano i comitati rivoluzionari di quartiere i loro peggiori nemici. La visione ingenua e semplicistica, che divide i leader anarco-sindacalisti in traditori ed eroi, come se la massa dei militanti fosse amorfa ed apatica, non spiega nulla. Il confronto tra i comitati superiori e i comitati rivoluzionari fu un altro capitolo della lotta di classe, che doveva concludersi con una scissione, e alla fine venne risolto dalla repressione stalinista per mezzo dell'annientamento selettivo dei rivoluzionari e attraverso l'integrazione dei comitati superiori nell'apparato statale.
Così, in "Los Comités de Defensa de la CNT en Barcelona" si cerca di spiegare che cosa erano questi comitati di difesa. come sconfissero l'esercito per le strade di Barcellona nei giorni del 19 e 20 luglio 1936, come si trasformarono in comitati rivoluzionari, il loro confronto con i comitati superiori, come si confrontarono con lo stalinismo nelle giornate del maggio 1937 e la sua successiva evoluzione, fino alla definitiva dissoluzione.

I comitati di difesa erano l'organizzazione militare clandestina della CNT, finanziata dal sindacato, cui la sua azione era subordinata.
Nell'ottobre del 1934, venne abbandonata la vecchia tattica dei gruppi d'azione, a favore di una preparazione rivoluzionaria seria e metodica.
"Nessuna rivoluzione senza preparazione. Bisogna farla finita col pregiudizio dell'improvvisazione. Un errore, quello della fiducia nell'istinto creativo delle masse, che ci è costato molto caro. Gli strumenti per una guerra, ineludibile, contro uno stato che ha esperienza, armi e capacità offensive e difensive superiori, non ci si procurano come per generazione spontanea".
Il gruppo di difesa di base, doveva essere poco numeroso, per facilitare la sua agilità e clandestinità, e doveva avere una conoscenza profonda del carattere, delle conoscenze e delle abilità di ciascun militante. Doveva essere composto da sei militanti, con funzioni molto specifiche:
1.-Segretario: creazione di nuovi gruppi, contatto con altri quadri, relazioni.
2. investiga persone: determina la pericolosità dei nemici.
3. investiga edifici: raccolta di piante e statistiche.
4. studio dei punti strategici e delle tattiche dei combattimenti di strada.
5. studio dei servizi pubblici.
6.-indaga su dove ottenere armi, soldi e rifornimenti.

Il numero di sei militanti era considerata la cifra ideale per formare un gruppo, ammettendo però che, in qualche caso, si poteva aggiungere un altro membro che potesse svolgere un ruolo di "grande rilievo". La clandestinità doveva essere assoluta. Si parlava dei nuclei di base di un esercito rivoluzionario, in grado di mobilitare altri gruppi assai più numerosi, e questi ultimi, a loro volta, tutto il popolo.
Il gruppo di difesa era l'unità di base della struttura militare clandestina della CNT. Il suo ambito aveva una ben precisa demarcazione all'interno di ogni quartiere. In ciascun quartiere si costituiva un Comitato di Difesa del quartiere, che coordinava tutti i gruppi di difesa, e che riceveva un informativa mensile da ciascuno dei segretari di gruppo. Il segretario-delegato del quartiere, a sua volta, faceva un rapporto che arrivava al Comitato di Distretto, e di qui al Comitato Locale, e poi fino al Comitato Regionale e infine Nazionale.
Le funzioni essenziali dei Comitati di Difesa erano due:

1 Ottenere e mantenere le armi, custodirle e imparare a maneggiarle.
2 Logistica, nel senso più ampio del termine, rifornimenti per la popolazione e mantenimento delle mense popolari, arrivando fino alla creazione e mantenimento di ospedali, scuole e accademie.

Il 17 luglio del 1936, l'esercito si ribella a Melilla. Il 18, la ribellione militare si era estesa a tutto il Marocco, alle Canarie e a Siviglia.
La guarnigione militare di Barcellona contava circa seimila uomini, a fronte di quasi duemila uomini della Guardia d'assalto e duecento "Mossos d'Esquadra" (la polizia autonoma catalana). La guardia civil, a proposito della quale nessuno sapeva con certezza da quale parte si sarebbe schierata, ne contava circa tremila. La CNT-FAI aveva circa 20.000 militanti, organizzati in commissioni difesa di quartiere, disposti a prendere le armi.
Il 19 e 20 luglio 1936, in piena battaglia per le strade di Barcellona, i membri dei comitati di difesa cominciarono a chiamarsi, e ad essere conosciuti come "milizia". Senza soluzione di continuità, i quadri di difesa si erano trasformati in milizie popolari.
I comitati rivoluzionari di quartiere, a Barcellona, si affermarono nelle giornate del 19-20 luglio del 1936, e durarono almeno fino al 7 giugno del 1937, quando le restaurate forze dell'ordine pubblico della Generalitat li sciolsero, ed occuparono i loro vari centri. Nonostante il decreto che esigeva la scomparsa di tutti i gruppi armati, la maggior parte riuscì a resistere fino al settembre 1937, quando furono sistematicamente sciolti e attaccati, uno ad uno, gli edifici occupati. L'ultimo, il più importante e il più forte, era il Comitato di Difesa del centro, che aveva sede nella Escolapios de San Antonio. Venne preso d'assalto il 21 settembre 1937 da parte delle forze di polizia, che utilizzarono un intero arsenale di mitragliatrici, carri armati e bombe a mano. Alla fine, la resistenza dovette piegarsi, non al fuoco dell'assalto armato, ma all'ordine di arrendersi dato dal Comitato Regionale della stessa CNT!
Da allora in poi, i Comitati di Difesa si nascosero dietro il nome di Sezioni di Coordinamento e d'Informazione della CNT, impegnati esclusivamente in compiti clandestini di investigazione e informazione, com'erano prima del 19 luglio 1936; ma (siamo già nel 1938) in una situazione apertamente controrivoluzionaria.
Eppure, erano ancora abbastanza forti e combattivi per pubblicare un giornale clandestino, dal titolo "Alerta…!", di cui vennero pubblicati sette numeri tra ottobre e dicembre 1937. Il primo numero era uscito il 23 ottobre 1937. Le costanti di questo giornale era la solidarietà con i "rivoluzionari imprigionati", di cui si chiedeva la scarcerazione e di cui si denunciavano gli abusi subiti presso il carcere modello; la critica del collaborazionismo della FAI; la denuncia della disastrosa politica di guerra del governo Negrín-Prieto e del predominio stalinista nell'esercito e nello stato.
Nel 1938, i rivoluzionari erano già sconfitti, in prigione, o in clandestinità. Non fu la dittatura di Franco, ma la Repubblica di Negrín, che pose fine alla rivoluzione.

sabato 24 marzo 2012

Mai detto!

frasi

"Il fine giustifica i mezzi".

La famosa frase attribuita a Machiavelli non appare in nessuna delle sue opere, e neppure esiste alcuna testimonianza o memoria che l'abbia mai pronunciata. La cosa che più si avvicina (nel suo significato, se non nella sua forma) appare nel suo libro "Istorie Fiorentine", e recita:
"Coloro che vincono, in qualunque modo vincano, mai non ne riporteranno vergogna." Niccolò Machiavelli, Istorie Fiorentine, 1520/25
Abbastanza diversa - direi - dalla frase in questione.

"Lo Stato sono io"

La tradizione mette questa frase in bocca a Luigi XIV re di Francia.
Pare che, quando seppe che il Parlamento di Parigi si era riunito a sua insaputa, interruppe la sua battuta di caccia e si presento davanti ai deputati abbigliato così com'era. E, al Presidente del Parlamento che aveva fatto un commento, rivolto al monarca, a proposito del bene dello stato, Luigi avrebbe risposto con il suo lapidario "lo stato sono io".
Bene, tutti gli storici negano che ciò sia accaduto in questo modo, ed ammettono soltanto che il re si limitò ad imporre il silenzio con un gesto.
A quanto pare, Luigi XIV, che all'epoca aveva solo 17 anni, era poco aggraziato, poco espressivo e molto parco di parole, quindi è difficile attribuirgli una frase di simile impatto.

"Elementare, caro Watson"

Questa frase, talmente famosa che tutti pensiamo che Sherlock Holmes sia nato dicendola, in realtà non appare in nessun romanzo, o racconto, avente per protagonista il celebre detective. La cosa che gli si avvicina di più, compare in un racconto intitolato "Il gobbo", che Conan Doyle pubblicò su una rivista, nel 1893. Ha luogo quando Sherlock, con un'occhiata, si accorge che Watson è stato recentemente molto impegnato con il suo lavoro. Watson sorpreso chiede come egli abbia fatto ad indovinare.
"Quando il suo giro di visite è breve, lei lo compie a piedi, e quando è più ampio, allora prende un'auto a noleggio. Ho dato un'occhiata ai suoi stivali, e, sebbene consumati, non sono molto sporchi, per cui non dubito che oggi sia stato abbastanza occupato da giustificare l'uso di una macchina a noleggio."
"Ben dedotto!" Esclamò Watson.
"È elementare. È uno di quei casi in cui il ragionamento può produrre un effetto che all'interlocutore appare straordinario"
La frase non si ripete, e certamente non possiede quella carica di vanità di "Elementare, caro Watson".

"Non sono d'accordo con ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo."

Questa bella affermazione viene attribuita a Voltaire, ma nessun studioso è stato in grado di trovarla in uno qualsiasi dei suoi scritti, né esiste la minima traccia che sia stata pronunciata da lui. La frase apparve per la prima volta in un libro intitolato "Gli amici di Voltaire" scritto da tale Beatrice Hall. Il problema è che fra Voltaire e questo libro ci sono duecento anni!

Insomma, a quanto pare, nessuna di queste frasi, oramai di pubblico dominio, ha l'origine che comunemente gli viene attribuita. Certo, è innegabile riconescere, a ciascuna di queste frasi, un'enorme carica espressiva; ché poi è il motivo per cui vengono usate, o citate. Però, per dirla con Voltaire (stavolta la frase è davvero sua!):

"Ai vivi si deve rispetto, ed ai morti è dovuta solamente la verità"!

venerdì 23 marzo 2012

l’ultimo degli indipendenti

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Roger Corman è vivo, e sta bene! E finalmente, adesso, ha anche il suo documentario. Un film che attua una sorta di ricognizione, un viaggio attraverso un cinema indipendente fatto dei più disparati generi e sub-generi: horror, fantascienza, film di mostri, motociclisti, commedie (parecchio nere), blaxploitation, western, avventure esotiche, gangster film. Pellicole che crearono delle scuole e diedero da "lavorare" a gente come Jack Nicholson, Jonathan Demme, Penelope Spheeris, Pam Grier, Robert De Niro, Bruce Dern, Peter Fonda, David Carradine, Peter Bogdanovich, Joe Dante, Alan Arkush, Ron Howard, Francis Ford Coppola. Ci viene raccontato quanto poco costarono quei film, e quanto molto, invece, guadagnarono, e quanto poco tempo impiegava a girarli. Il tutto condito da aneddoti, escursioni ed interviste. Un bel viaggio. Se lo meritava, Corman!

giovedì 22 marzo 2012

Greca

autogrecatxt

Mercedes-Benz pretende di aver inventato l'automobile, ma le radici dell'automobile ci portano molto più indietro e si potrebbe anche ipotizzare che, tecnicamente, la prima automobile potrebbe essere stata costruita nel 60 dopo Cristo, sì, in pieno Impero Romano!
Il primo riferimento ad un tipo di macchina semovente motorizzata è dal 1672, quando Ferdinand Verbiest, un missionario fiammingo che viveva e lavorava in Cina, costruì un modellino di auto a vapore, probabilmente solo un giocattolo per far divertire l'imperatore cinese. Non è nemmeno sicuro che sia stato costruito, ed anche se lo è stato, non ci si poteva salire sopra, per cui propriamente non conta.
Così, tocca spostarsi sul carro di vapore di Joseph Nicolas Cugnot, nel 1771, che poi è quello che di solito viene insegnato. Però, pensandoci bene, un'automobile potrebbe essere stata costruita molto tempo prima; non un'automobile così come la pensiamo, ma un'automobile che potesse soddisfare ad alcuni principi base:

• Motorizzata, in qualche modo (niente congegni ad orologeria, o a molla, niente alimentazione animale)
• Deve avere uno sterzo, o dev'essere controllabile in qualche modo
• Deve essere in grado di trasportare almeno una persona

Bene, i greci avevano la tecnologia per costruire una macchina nel 60 d.c.
Anzi, un greco in particolare, un greco antico, Erone di Alessandria. Erone era una sorta di Tesla; aveva inventato il primo distributore automatico, le prime macchine ad energia eolica, la siringa e la pompa, e, cosa più importante, il primo motore a vapore, l'Eolipila. Questa consisteva di una sfera con due ugelli, ai lati, che puntavano in direzioni opposte. I due ugelli erano montati su due tubi collegati ad una caldaia, all'interno della sfera, piena d'acqua e posta su una fonte di calore. L'acqua, riscaldata dentro la caldaia, produceva il vapore che riempiva la sfera e poi usciva attraverso i tubi facendo ruotare la sfera. Sembra che Erone lo considerasse un semplice giocattolo, e l'unico utilizzo che ne venne fatto fu quello di aprire le porte di un tempio, automaticamente. Per farlo diventare un vero e proprio motore, anche per un'automobile, ci sarebbe stato bisogno di un paio di cose; tipo l'essere scalato alla giusta dimensione ed un sistema di ruote e pulegge in grado di trasformare la velocità di rotazione. C'è da dire che Erone era abbastanza ferrato su una tale tecnica, e l'aveva utilizzata più volte in molte delle sue macchine. Naturalmente, si parla di un veicolo ad una sola marcia e c'era da risolvere anche il problema della frenata.
Ad ogni modo, il veicolo avrebbe funzionato, in modo limitato, certo, ma avrebbe funzionato. Poi, chissà cosa sarebbe successo dopo. Magari, ai romani e al loro impero avrebbe fatto comodo un treno a vapore e una rete ferroviaria ...

fonte: http://jalopnik.com

mercoledì 21 marzo 2012

Le trappole del Generale

generale

A proposito della domanda "Perché votare?"
di Anselm Jappe

In una delle "Storie del signor Keuner" di Bertolt Brecht, dal titolo "Misure contro la violenza", si racconta che: "Un bel giorno, ai tempi dell'illegalità, il signor Egge che aveva imparato a dire no, vide venire a casa sua un agente che presentò un certificato creato da coloro che erano i padroni della città, sul quale era scritto che ogni dimora in cui l'agente metteva piede doveva appartenergli; così, doveva essere suo ogni cibo che desiderava doveva appartenergli, ed ogni uomo che vedeva doveva diventare un suo servitore. L'Agente si accomodò su una sedia, chiese da mangiare, si lavò, andò a letto e chiese, con la faccia girata verso il muro: "Vuoi essere il mio servitore?". Il signor Egge gli mise addosso una coperta, cacciò via le mosche, vegliò il suo sonno e, a partire da quel giorno, allo stesso modo, gli obbedì per sette anni. A prescindere da tutto quello che faceva per lui, una cosa si guardò bene dal fare: dire una sola parola. Allorquando i sette anni furono passati, e l'Agente era diventato  grasso a furia di mangiare, di dormire e di dare ordini, morì. Allora il signor Egge lo avvolse nella coperta oramai tutta rovinata, lo trascinò fuori dalla casa, ripulì il giaciglio, ridipinse i muri a calce, respirò profondamente e rispose: "No!".

Non ho mai votato in vita mia. Sono anche stato arrestato, all'età di 17 anni, per aver fatto propaganda anti-elettorale davanti ad un seggio per le elezioni. Non riesco a capire coloro che pretendono di essere "critici", "rivoluzionari", o "contro il sistema" e vanno a votare. I soli elettori che capisco, sono quelli che votano per il proprio cugino o per qualcuno che procurerà loro un alloggio sociale.
È vero che, anche se si odia il denaro, non si può attualmente rinunciare al suo uso, ed anche se si critica il lavoro, si è generalmente obbligati a cercarsene uno. Ma nessuno è obbligato a votare, né ad avere la televisione. A volte si è obbligati a tacere, ma non si è mai obbligati a dire: "Sì, padrone".
Si può votare senza crederci, considerando soltanto la piccola differenza che potrebbe comunque esistere tra il candidato X e la candidata Y, tra il partito dei berretti bianchi ed il partito dei bianchi berretti?
I candidati, i partiti e i programmi mi sembrano tutti uguali. Ma se le cose stanno così - mi si dirà - perché non partecipare alle elezioni con un programma differente, non fosse che per attirare l'attenzione del pubblico, per avere un rappresentante al consiglio comunale o al Parlamento, e farsi rimborsare le spese per la propaganda?
La cosa è andata male per tutti coloro che ci hanno provato, anche a livello locale. "Chi mangia dello Stato, ne crepa", diceva Gustav Landauer, che ha pagato con la vita la sua partecipazione ad un tentativo di cambiare realmente le cose, invece di andare a votare. La macchina politica stritola coloro che vi partecipano. Non è una questione di carattere personale. Bakunin diceva giustamente: "Prendete il rivoluzionario più radicale e mettetelo sul trono di tutte le Russie, oppure conferitegli un potere dittatoriale, e prima di un anno, sarà diventato peggio dello zar".
Ma esiste quantomeno una differenza - mi si obietterà - se non tra Hollande e Sarkozy, tra Jean-Luc Mélenchon e Le Pen! Se ci fossero solo loro al secondo turno, e se tutto dipendesse dal tuo voto? Riusciresti ad evitare il peggio, non fosse altro che riuscire salvare qualche immigrato dalla deportazione! Innanzitutto, è ridicolo evocare simili improbabilità, come lo si faceva nel 2002 per spingere il gregge verso i seggi elettorali. Ed il nemico, è sempre l'elettore: il problema non è Le Pen o Berlusconi, ma i milioni di Francesi o di Italiani che li amano perché li trovano simili a loro. E poi, la domanda è malposta. Negli ultimi decenni, i rappresentanti della sinistra, soprattutto della sinistra comunista o radicale, hanno partecipato a numerose esperienze di governo, in tutto il mondo. Da nessuna parte si sono opposti alle politiche neo liberali, anche alle più feroci; spesso sono stati proprio loro a prendere l'iniziativa. Non conosco un solo caso di un membro della sinistra al potere che si sia dimesso dicendo che non poteva dare seguito ad una tale politica, che la sua coscienza glielo proibiva. Coloro che sono capaci di simili scrupoli non saranno presentati nemmeno alle elezioni comunali, dai loro colleghi di partito.
Non di meno, la corruzione esercitata per mezzo del potere, il gusto del privilegio, l'ambizione, non costituiscono che il livello più superficiale della questione. Il vero problema, è che viviamo in una società retta dal feticismo delle merci, sia in "politica" che in "economia" non esiste alcuna autonomia delle persone, nessun margine di manovra. Se un'autonomia esiste, essa esiste fuori dalla politica e dall'economia, e contro di esse. Si può, in una certa misura, rifiutare di partecipare al sistema, ma non si può parteciparvi sperando di migliorarlo. Le "maschere" (come Marx chiamava gli attori della società capitalista) non sono gli autori della sceneggiatura che sono chiamate a recitare. Si trovano lì solo per tradurre in realtà le "esigenze del mercato" e gli "imperativi tecnologici". Perché allora meravigliarsi se coloro che vogliono "giocare il gioco", una volta arrivati a ciò che si chiama molto ingiustamente "il potere", non fanno altro che essere "realisti", concludendo delle alleanze con degli esseri spregevoli, ed esaltandosi per ogni piccola vittoria ottenuta in cambio di dieci porcherie che hanno dovuto accettare? E vi ricordate di coloro che erano convinti che le donne, o i neri, o gli omosessuali dichiarati, avrebbero fatto una politica "diversa"?

Ci sono effettivamente delle buone ragioni per preferire la democrazia borghese allo stalinismo o al fascismo. Ma Hitler non è stato fermato da nessun "voto utile". Ed è sicuro che per mezzo della scheda elettorale non si eviterà il peggio, al contrario. "Elezioni, trappola per coglioni", si urlava per le strade, nel 1968. Nelle urne, era sempre de Gaulle a vincere.

 - Anselm Jappe -
 
fonte: http://palim-psao.over-blog.fr

martedì 20 marzo 2012

Interesse Generale

una-scena-del-film-il-processo-di-orson-welles-francia-italia-germania-1962-138174
Per chi se lo vuole leggere, l'articolo 1 del dl 138/2011, interpretando e traducendo il burocratese, non sarà difficile rendersi conto di quello che si prepara. Al confronto, la stretta sulle pensioni è stata solo un buffetto sulla guancia. I primi ad esser fatti fuori - ma con loro sarà facile - saranno i quasi 450mila precari operanti nel settore pubblico, precari che ammontano ad oltre 230mila nelle amministrazioni e centrali territoriali, e ad oltre 200mila nella scuola.Subito dopo arriva il bello, il pezzo forte già deciso da tempo e di cui si evita accuratamente di parlare: il licenziamento di circa 200mila dipendenti statali. Invece si parla, tanto, della lotta all'evasione fiscale - per farci credere che servirà a pagarci tutti i conti, e si parla dell'art.18, la cui abolizione porterà tanti investimenti e tanta occupazione. Già, l'art. 18, nella sua efficacia di garanzia contro il licenziamenti per motivi economici! Considerato che - se è come dicono da più parti - non importa a nessuno, né ai sindacati, che vi si riferiscono adducendo quanto sia ridicolo il numero delle cause legali in corso, né - ancor meno - alle aziende che da tempo hanno trovato una pletora di sistemi per poter licenziare legalmente per motivi economici, vien da chiedersi il come mai di tale accanimento. La risposta è semplice assai. L'art.18 - da quando il rapporto di lavoro del pubblico impiego è stato privatizzato (art. 51, legge 165/2001) - rimane l'unico argine al licenziamento in massa di oltre 200mila dipendenti pubblici, contemplato dallo "spending review" italiano. E dall'Interesse Generale!  

Aggiornamento, Mercoledì 21 Marzo 2012 - 18:35

LICENZIAMENTI ANCHE PER STATALI -  Le nuove norme sui licenziamenti senza giusta causa e senza giustificato motivo saranno applicate anche ai lavoratori pubblici poichè anche a loro si applica lo Statuto dei lavoratori. È la valutazione del dipartimento della Funzione pubblica. La reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, quindi, dovrebbe essere assicurata solo in caso di licenziamento discriminatorio. Per i licenziamenti per motivi economici che risultassero illegittimi il lavoratore avrebbe diritto solo a un indennizzo economico (tra 15 e 27 mensilità) mentre nel caso di licenziamenti disciplinari sarà il giudice a decidere, in caso di licenziamento illegittimo, se reintegrare il travet nel suo posto di lavoro o se disporre un risarcimento economico. 

Aggiornamento, Giovedì 22 Marzo 2012 - 18:35
Strano modo di indire uno sciopero generale, raccontando balle a proposito del fatto che l'art.18 e la sua riforma non riguarderebbe gli impiegati statali. E quindi invitandoli a non scioperare. La cgil perde il pelo ma non il vizio!

lunedì 19 marzo 2012

La dolcezza delle cose

treno

Stai attento alla dolcezza delle cose!
Così ammonisce l'ultimo verso della poesia su Arles. Lo stesso monito che sembra promanare da tutto il film di Patrice Leconte, L'uomo del treno. Un film del 2002 che, colpevolmente, ho visto solo ieri.
Un treno, un treno regionale, su cui salire, per poi scendere ad una stazione, una qualsiasi. Una cittadina di provincia, sonnacchiosa e tranquilla, anche troppo. Però sei arrivato, da qualche parte. E magari ti ci potrai ritrovare, nel posto dove sei arrivato! Puoi chiedere di mettere le pantofole, e provare a camminarci, mentre aspetti che arrivi sabato. Le cose succedono sempre di sabato, chissà mai perché, poi. Una rapina in banca, un'operazione al cuore. Ma il sabato passa, e ciascuno ritorna, alla sua casa, al suo treno. Forse.

"- Io ho sempre sognato di essere un muto che passa.
- E cioè?
- Entro in un bar, non dico una parola, ma la mia presenza cambia tutto. Le donne in particolare, si guardano allo  specchio...eppure non faccio niente, sono semplicemente lì. E basta per creare lo scompiglio nelle menti..."
 
Va bene, lui ti ha fatto provare le pantofole, ti ha spiegato come camminarci, Ora insegnagli a sparare. Ma non ci sono segreti per colpire il bersaglio. Non serve talento, né allenamento. Bisogna solo respirare, profondamente, e assumere la giusta posizione. Tutto qui. Giò, tutto qui. Però non hai reagito allo sgarbo dello spintone involontario. No, loro erano più d'uno, una squadra. E non ti metti, da solo, contro una squadra. E poi se ne accorgono che sei invecchiato. Una volta, avrebbero chiesto scusa. Anche noi, siamo una squadra!

" - Per una volta che volevo fare a botte, mi capita un tipo che mi vuole bene!
  - Preferiva che finisse a bottigliate?
  - Almeno mi restava il ricordo... "

E invece ... ""Passeremo, come i secoli e le colombe", come dice Sadko, uno dei complici per la rapina. Strano tipo Sadko!

"- Dice una frase al giorno.Sempre alle dieci del mattino.
- E prima?
- Riflette.
- E dopo?
- si riposa"
 
* L'Uomo del treno  - Regia di Patrice Leconte.
Con Jean Rochefort, Johnny Hallyday, Jean-François Stévenin, Charlie Nelson, Pascal Parmentier.
Drammatico, durata 90 min. Francia 2002

sabato 17 marzo 2012

amori e guerre, perduti

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Ernest Hemingway e la giornalista, corrispondente di guerra, Martha Gellhorn si incontrarono, per la prima volta, in un bar della Florida; era il 1936. Di lì a poco, partiranno insieme per la Spagna, e parteciperanno alla guerra civile spagnola, in qualità di giornalisti, ma non solo. Quel viaggio sarà fondamentale, e sarà la loro esperienza congiunta ad ispirare ad Hemingway un romanzo come "Per chi suona la campana". Poi torneranno, ci sarà il matrimonio, nel 1940, e 5 anni dopo il divorzio. Ah, particolare biografico: delle quattro mogli di Hemingway, l'unica a chiedere (lei) il divorzio fu proprio la Gellhorn.

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Ora tutto questo è un film, “Hemingway & Gellhorn”, girato per la rete televisiva americana via cavo HBO da Philip Kaufman, con Clive Owen e Nicole Kidman nel ruolo dei protagonisti, fra la Florida e la Spagna, contornati di personaggi come Joris Ivens, Robert Capa, John Dos Passos. Dopo lo splendido "Midnight in Paris", di Woody Allen, ancora un altro film dove si muove Hemingway! La pellicola andrà in onda il prossimo 28 maggio. Credo che, in qualche modo, arriverà anche qui.

venerdì 16 marzo 2012

Watson

IBM Watson

La questione dell'automazione dei processi produttivi, e il loro conseguente impatto negativo sulla creazione di nuovi posti di lavoro, è un argomento che ha una storia molto antica nella letteratura specializzata e non. Tuttavia, questa paura non ha mai preso forma compiutamente, se non ai giorni nostri, con l'emergere dei super-computer (in mancanza di una parola migliore), come il nuovo gioiello che IBM intende mettere a disposizione delle grandi imprese che potranno permetterselo: Watson, un grande computer in grado di analizzare le informazioni provenienti da internet, con una velocità e un rendimento impossibile da raggiungersi per qualsiasi essere umano. Industria medica e finanza  dovrebbero essere i campi di maggior interesse, cui destinare il suo utilizzo. Ed è qui che comincia ad emergere lo scenario futuristico che alcuni temevano. Le attività, in cui finora i computer avevano dimostrato di essere molto inefficaci, hanno a che fare proprio con le nuove competenze che IBM ha sviluppato in Watson. Dare un senso ai dati, capire le informazioni inserite e offrire una soluzione coerente. Inoltre, comprendere il complesso linguaggio umano e rispondere ad esso. Adesso, diventa a repentaglio quella parte di forza lavoro che riteneva di essere intoccabile, ai fini dell'automazione del lavoro, credendo di essere necessaria: professionisti della salute, del diritto, della finanza e di altre aree della conoscenza dove bisogna risolvere i problemi sulla base di regole prestabilite.
Niente di nuovo sotto il sole, diranno alcuni, dal momento che per anni le grandi società del mondo si sono serviti di programmi avanzati per negoziare in borsa a velocità tali che nessun computer tradizionale, né alcun essere umano dietro ad uno schermo, era in grado di replicare. Conosciuto come il "Trading ad alta frequenza", un software in grado di fare centinaia di transazioni in una frazione di un secondo, in base a determinati parametri programmati per ottenere utili. incontrastabili dai protagonisti umani del mercato azionario.
Adesso arriva Watson, in grado di sostituire, nelle attività di analisi dei dati, sia i professionisti umani che i programmi, rendendo obsoleta la partecipazione umana. Un pessimo momento per iniziare una carriera nel mondo della finanza!

giovedì 15 marzo 2012

Tribunali, scacchi e pistole

Galbe-Loshuertos

Viene pubblicato adesso, il libro di memorie di José Luis Galbe Loshuertos, procuratore della Corte Suprema spagnola, nel 1936, in piena guerra civile. Fra le altre cose, nel libro ("La Giustizia della Repubblica", edito a cura dello storico Alberto Sabio per Marcial Pons) si racconta di come Pascual, il fratello dell'autore, anch'egli magistrato, facilitò la fuga, attraverso i Pirenei, di José María Escrivá de Balaguer, fondatore dell'Opus Dei.
Pascual Galbe - come viene spiegato - si incontrò più volte con Escrivà de Balaguer, che era stato suo compagno di facoltà a Saragozza, per offrirgli di lavorare in tribunale, nell'organismo che decideva su coloro che intendevano andare in Catalogna o ad Andorra. Non avendo accettato l'offerta, il magistrato decise di fornire all'"amico di gioventù" un lasciapassare che gli permettesse di oltrepassare la frontiera. Un "aiuto" cui non si fa alcun cenno nelle biografie del santo. Non era certo per caso che Escrivà si fosse diretto a Barcellona, per cercare di attraversare il confine con Andorra, dal momento che quella era la giurisdizione che dipendeva da Tribunale per Alto Tradimento presieduto dal suo amico Galbe Loshuertos.
In tutte le pagine, emerge quella che era l'intenzione di molti giuristi, come Galbe, di canalizzare la giustizia e di fermare gli episodi di spargimento di sangue che avevano luogo sul versante repubblicano, anche nei confronti di esercito e polizia. Paradossalmente, questi avvocati e giuristi, che nessuno conosce, finirono in gran parte fucilati o esiliati; proprio loro che avevano cercato di arginare gli episodi di terrore, mentre l'amministrazione della giustizia era minacciata dalla sollevazione franchista.
Una sorta di senso dell'umorismo pervade tutta l'opera, a partire dalle memorie della sua gioventù, quando parla del "pistolerismo" degli anni '20 a Saragozza, oppure di quanto ricorda la rivolta della caserma del Carmen, cui assistette dalla sua finestra. Tutti eventi di cui oggi si conosce assai poco.
Racconta di come, dopo aver superato gli esami, divenne procuratore capo a Siviglia, dove proclamò la II Repubblica dal balcone del Municipio, il 13 Aprile, un giorno prima della data ufficiale, e di come questo contribuì a fermare il colpo di stato del generale Sanjurjo.
Il suo talento venne premiato con il trasferimento a Madrid, e di quegli anni racconta i meccanismi più reconditi del funzionamento dei tribunali, mentre si lascia andare alla descrizione dell'atmosfera della città, raccontata per i suoi teatri, cinema e bar. Un vero e proprio romanzo d'azione.
Poi, con la vittoria del franchismo, il protagonista si vide costretto ad attraversare il confine con la Francia, impugnando una pistola che aveva preso ad un italiano durante la battaglia di Guadalajara. Alla fine, si ritrovò a Cuba, dove, abitualmente, passava le giornate a giocare a scacchi con Che Guevara.

fonte: http://www.teinteresa.es/

mercoledì 14 marzo 2012

Fato

alkemade

Dicono che facesse freddo, quella notte del 24 marzo 1944. Un aereo dal nome quantomeno curioso, "S for Sugar", stava sorvolando Schmallenberg, di ritorno da Berlino dove aveva sganciato cinque tonnellate di bombe insieme ad altri Lancaster della RAF. In coda, appostato nella torretta di difesa, Nick Alkemade scrutava il cielo scuro, cercando di scorgere qualche "Nacht Jager", i temuti caccia della Luftwaffe che avevano la brutta abitudine di abbattere gli aerei inglesi.
Era parecchio scomoda, la postazione, ingombra com'era da due mitragliatrici. E anche il paracadute, ingombrava. Meglio metterlo fuori e appenderlo ad un gancio, alla rastrelliera dei fucili. Un attimo, e l'antenna del radar mostra gli aerei tedeschi apparsi improvvisamente come demoni. Nemmeno il tempo di artigliare il grilletto di una delle due mitragliatrici e già il bombardiere era diventato un colabrodo. La fusoliera aveva già preso fuoco e il pilota, dopo un inutile fugace tentativo di governare l'aereo, aveva dato l'ordine di lanciarsi. Il sergente Alkemade si gira per riprendere il paracadute, ma è un fiammifero acceso, avvolto dalle fiamme. Che cazzata - sospira. Seimila metri di cielo, e bisogna decidere se morire bruciato o andarsi a spiaccicare contro il terreno. Intanto saltiamo - deve aver pensato. Sicuramente, non si aspettava di sopravvivere. Magari, quando ha aperto gli occhi ed ha visto il cielo stellato e un tunnel bianco e freddo davanti a lui, avrà pensato di essere in paradiso, come in quel film con David Niven. Niente di tutto questo, era affondato per un metro dentro la neve dopo che i rami di un abete avevano rallentato l'impatto. Diagnosi? Una distorsione ad un ginocchio.
Lo trovò una pattuglia nemica, ma i tedeschi non riuscivano a crederci. Un ragazzo in piedi davanti a loro che affermava di aver saltato senza paracadute da un bombardiere inglese. E non aveva nemmeno un osso rotto! Venne interrogato a lungo, sospettavano che la storia fosse falsa - e come dar loro torto? - e poi lo interrogarono di nuovo. E ancora. Se era una spia, doveva essere fucilata immediatamente. Stavano per perdere la pazienza, quando la fortuna - era decisamente dalla sua parte - fece trovare ai tedeschi i resti del bombardiere abbattuto. I componenti dell'equipaggio erano tutti morti. I corpi erano lì, c'erano tutti, tutti tranne il mitragliere di coda. Però c'erano i resti di un paracadute carbonizzato, non abbastanza perché non ci si potesse leggere il nome del proprietario: Nicholas Alkemade. I tedeschi si diedero per vinti. Aveva ragione.
Poi la guerra finì, l'aveva passata bella, Nick. Ma, a quanto pare, non era ancora tutto. Ebbe un lavoro, venne assunto in una fabbrica chimica. Durante dei lavori di manutenzione, una trave d'acciaio si staccò e ... gli cadde addosso. Gli otto operai necessari a sollevare e a rimuovere la trave si aspettavano di trovare un cadavere. E invece, solo un bernoccolo. C'era di che diventare leggenda, ma evidentemente non era abbastanza dal momento che si concesse il lusso di farsi una doccia con un contenitore d'acido che ebbe la delicatezza di bruciarlo appena superficialmente. Non venne nemmeno portato in ospedale! Cos'altro avrebbe potuto succedergli? Ah, già, una scarica elettrica che lo fece volare dentro una piscina di cloro, da cui venne estratto - un'ora dopo!!! - del tutto illeso.
Certo, alla fine, per morire è morto. Nel 1987, nel suo letto, dicono. Ma non è sicuro.

martedì 13 marzo 2012

per amore dell’arte

@ C. PASTRANO  06/03/12
ERIK EL BELGA.

Erik, "il Belga", uno dei più famosi ladri e falsari d'arte di tutta la Spagna. Operava soprattutto nelle piccole cittadine della Castiglia e del León, e questo per lungo tempo. Ma ha anche portato a termine lavori più grossi, e più rischiosi. In questi giorni è uscita la sua autobiografia dal titolo "Per amore dell'arte", dove, per esempio, racconta di quando rubò il retablo della Cattedrale di Oberwezel, in Germania. Quella volta, la fortuna che lo aveva accompagnato tante altre volte, in Spagna, lo lasciò solo, e così finì in carcere. Ma Erik non era solo un ladro, era anche un esperto in materia ed un abile falsario. Mentre era in prigione per il furto della pala d'altare, fece almeno diciassette copie de "Il grido" di Munch, una delle opere rubate negli ultimi anni il cui furto aveva avuto un grosso impatto mediale.
Alla fine, Erik riuscì a negoziare con il governo tedesco il suo rilascio dalla prigione, impegnandosi a restituire al legittimo proprietario la pala d'altare che aveva rubato. Così fece, e venne rilasciato dalla prigione. Ma undici anni più tardi si scoprì che "il Belga" aveva consegnato una copia del retablo fatta da lui. Fatto sta, che ora tutti i crimini sono prescritti ed Erik può vivere libero con i suoi dipinti e con le sue conoscenze artistiche.

fonte: http://www.larazon.es/noticia/8773-erik-el-belga-el-mayor-ladron-de-arte-y-a-mucha-honra

lunedì 12 marzo 2012

demoni

Barcellona, 24 Settembre 1893, Pauli Pallàs lancia una "bomba Orsini" contro il Capitano Generale Arsenio Martínez Campos, durante una parata militare, all'incrocio della Gran Via de les Corts Catalans con Muntaner. Il 7 Novembre 1893, per vendicare la morte di Pallàs, processato e giustiziato a Montjuïc, Santiago Salvador lancia due "bombe Orsini" al Teatro Liceo, durante la rappresentazione di un'opera. Delle due bombe, solo la prima esplode, ma il risultato è di 22 morti e 35 feriti.
Dopo l'attentato del Liceo, una parte della buona società di Barcellona comincia ad identificare gli anarchici, ed in generale la classe operaia, con la parte più oscura dell'animo umano. Due anni dopo questi eventi, Antoni Gaudì, fervente cattolico, scolpisce sul portico della Virgen del Rosario della Sagrada Familia, "La tentazione dell'uomo", dove si vede un anarchico che riceve una "bomba Orsini" da un artiglio demoniaco.

domenica 11 marzo 2012

per fumare

La-vaquilla
"La Vaquilla", il film del grande Berlanga, ha il merito di mostrarci delle situazioni che, per quanto possono sembrare assurde ed esilaranti, sono la realtà. In particolare, c'è un momento all'inizio del film, in cui si vedono soldati franchisti e repubblicani che si incontrano per scambiarsi cartine e tabacco, dal momento che quelli che hanno il tabacco mancano di cartine, e viceversa. Così, alla fine, riescono a fumare tutti.
Poi c'è un tale, un certo Aquilino Núñez, combattente franchista sul fronte di Somosierra, che racconta: "Una volta, abbiamo dovuto andare, per fare legna da ardere, in un'area di ulivi che si trovava tra le due linee, e lì ci siamo incontrati con i repubblicani che erano venuti per lo stesso motivo, e abbiamo cominciato a chiacchierare. Loro ci hanno dato cartine da fumare e noi abbiamo dato loro del tabacco. Quando è arrivato il momento di tagliare gli ulivi, ciascuno ha scelto il suo, dal proprio lato".
Esempi di questo genere, ce ne sono diversi, per tutto il film, e tuttavia non tolgono in alcun modo serietà al contesto degli avvenimenti.


sabato 10 marzo 2012

Ultimo Rifugio?

Mattick

Opera postuma di Paul Mattick (1904-1981), "Il marxismo, ultimo rifugio della borghesia?" fu l'ultima espressione compiuta di una vita di riflessione sulla società capitalista e sull'opposizione rivoluzionaria. Conosciuto soprattutto come teorico delle crisi economiche e sostenitore dei consigli operai, Paul Mattick, era stato anche protagonista degli eventi rivoluzionari che scossero l'Europa oltre che un militante delle organizzazioni del movimento operaio nella prima metà del XX secolo. Già all'età di 14 anni, si era unito ai giovani dell'organizzazione del Movimento Spartachista. In qualità di delegato del Consiglio Operaio degli apprendisti di Siemens, prese parte alla Rivoluzione tedesca. Arrestato più volte, corse il rischio di essere giustiziato. Stabilitosi a Colonia, nel 1923, si lega ai dadaisti. Nel 1926 decide di emigrare negli Stati Uniti.
Il libro in questione è organizzato intorno a due temi. Proseguendo il suo lavoro di critica dell'economia capitalista contemporanea (iniziata in "Marx e Keynes, i limiti dell'economia mista", Edizione Italiana De Donato), ritorna alle contraddizioni inerenti al modo di produzione capitalistico. L'altro tema consiste in un atto d'accusa contro l'integrazione del movimento operaio che, adottando i principi della politica borghese, ha definitivamente abbandonato ogni possibilità di superare il capitalismo. Un testo che illumina tutto un periodo in cui la crisi rivela la natura instabile e socialmente pericolosa del capitalismo.

Il libro, PDF in francese, può essere scaricato e letto qui.

venerdì 9 marzo 2012

La crisi entra nel pallone

Nicolas-Anelka-Signs-For-Shanghai-Shenhua cropped

I calciatori del Glasgow Rangers venivano pagati al nero, per evitare di dover pagare le tasse. Ora, devono 75 milioni di sterline allo stato, da qui la liquidazione della squadra. I giocatori non hanno accettato un taglio sullo stipendio. Il primo Ministro di Scozia, Alex Scotland (si chiama proprio così) non ha rilasciato alcuna dichiarazione in proposito. Così, è stato permesso che uno dei più grandi club di calcio andasse in malora. Cosa che potrebbe creare un bel po' di problemi a Glasgow: ancora più rabbia per le strade.
Nel frattempo in Cina, Nicolas Anelka incassa 250.000 euri a settimana. Gioca per un club cinese, a Shangai, credo. Lo stato cinese può quindi apparire del tutto liberale. E Anelka può servire per aiutare a vendere tutti i tipi di prodotti cinesi.
Robert Kurz, in un recente articolo che è poi stato incluso nel suo libro, "vita e morte del capitalismo", mette in guardia per quando verrà il giorno in cui
scoppierà la bolla cinese. A quel punto le cose cominceranno a disvelarsi sul serio, e l'attuale crisi ci sembrerà assomigliare ad una festa di compleanno di bambini turbolenti.

giovedì 8 marzo 2012

la donna del capo

Mileva_Maric

Mileva Maric ed Albert Einstein si conobbero al Politecnico di Zurigo alla fine del XIX secolo. Maric era l'unica donna all'Università a studiare matematica e fisica. Nel 1896 cominciarono una relazione sentimentale; Einstein era affascinato dalla collaborazione intellettuale che riceveva dalla sua partner serba. L'unica persona contraria a quel rapporto era la madre del genio, una tedesca misogina e xenofoba, che detestava qualsiasi cosa venisse dalla Serbia: "lei è un libro uguale a te, ma ciò di cui hai bisogno è una donna. Quando avrà 30 anni, sarà una vecchia strega."
Ad ogni modo, la coppia era affiatata, dal momento che entrambi parlavano la stessa lingua: lei gli dava lezioni di matematica (che non fu mai il forte di Einstein), e insieme preparavano i loro esami, condividendo lo stesso interesse per la scienza e per la musica. Einstein scrive nel 1900: "Io sono solo con tutti, tranne che con te. Sono tanto felice di averti incontrato, di aver incontrato qualcuno uguale a me in tutti gli aspetti, e così forte e indipendente come sei tu." Nel 1902, Einstein si trasferì a Berna, in Svizzera, dove aveva trovato lavoro all'ufficio brevetti. Dopo cinque anni di convivenza, nel 1903, Albert e Mileva si sposarono e l'anno successivo ebbero il loro primo figlio. Nel suo tempo libero, Einstein aveva sviluppato, tra le altre cose, la teoria della relatività ristretta. I frutti del suo lavoro sono stati pubblicati nel 1905, sulla prestigiosa rivista "Annalen der Physik".
Questa, più o meno ufficiale, è la storia che tutti conoscono; però ...
Sebbene Mileva fosse una matematica eccezionale, non completò mai gli studi, invece Albert discusse la sua tesi di dottorato nel 1905. Poi, nel 1908, Einstein ottenne finalmente un posto di professore all'Università di Berna. Quanto a Mileva, il matrimonio la costrinse a lasciare definitivamente sia l'Università che la fisica. Esistono diverse lettere, scritte durante il periodo del corteggiamento, in cui Einstein dibattito con lei, le sue idee sulla relatività. riferendosi ad esse come alla "nostra teoria", e trattando da collega la futura moglie. A partire da queste prove, ci sono studiosi che hanno concluso che le idee fondamentali sulla teoria della relatività erano di Mileva Maric, la quale non poté continuare la sua carriera da quando dovette prendersi cura dei suoi bambini, di cui uno affetto da ritardo mentale (fra l'altro, la coppia, prima di sposarsi, aveva avuto una bambina, della quale si sa assai poco, salvo vhe venne data in adozione). Così, mentre Mileva accudiva ai figli, preparava i pasti, e così via,  Einstein, dalla sua posizione accademica, ebbe tutto il tempo sufficiente per sviluppare la teoria di cui non aveva tutti i meriti.
"Il mio grande Albert è arrivato ad essere celebre, un fisico rispettato dagli esperti che si entusiasmano per lui. Ha lavorato instancabilmente ai suoi problemi. Posso dire che vive solo per quelli. Devo ammettere, non senza vergogna, che davanti a lui siamo tutti secondari e irrilevanti.", così scriveva  Mileva ad un amico. Einstein, a sua volta ammetteva: "La nostra vita in comune è diventata impossibile, e deprimente, sebbene non sappi dire il perché".
Con il passare del tempo, il rapporto divenne disfunzionale. Non era divertente e non portava a nuove idee o conoscenze. Le "Regole di Condotta" che Albert Einstein cominciò ad imporre per iscritto, nel 1914, mettono crudelmente a nudo il suo autoritarismo, il maschilismo e la violenza psicologica che esercitò contro Mileva:

A - Ti incaricherai di:
1 tenere in ordine i miei vestiti,
2 servirmi tre pasti regolari al giorno nella mia stanza,
3 tenere sempre in ordine la mia camera da letto e il mio Studio e avrai cura che la mia scrivania non venga toccata da alcuno, tranne me.

B - Rinuncerai ai tuoi rapporti personali con me, tranne quando essi sono richiesti dalle apparizioni sociale. Soprattutto non richiederai che:

1 Venga a casa con te
2 Parti o viaggi con te.

C- Prometterai esplicitamente di osservare i seguenti punti quando sei in contatto con me:

1 Non aspettarti nessun segno di affetto mio né mi rimprovererai per questo
2 Dovrai rispondere immediatamente quando ti parlo
3 Dovrai lasciare immediatamente la camera da letto o lo studio, senza protestare, quando te lo dico.

D - Prometterai di non denigrarmi agli occhi dei bambini, sia con le parole che con i gesti."

Con questo genere di imposizioni, ovviamente Einstein finito per separarsi dalla moglie nel 1914. Si risposò nel 1915 con una sua cugina, Elsa Einstein, che anche lei divorziata, ed ebbe due figlie. Questo nuovo rapporto coniugale fu come un respiro necessario per la vita del fisico ancora sconosciuto. Così, solo un anno più tardi, con energia e lucidità insolita, svelò al mondo la famosa teoria della relatività generale.
Elsa era la donna sottomessa che Einstein stava cercando. In grado di mantenere una prudente distanza, la sua obbedienza domestica fece un passo in più quando accettò di fargli da segretaria, limitando il numero di visitatori che cervano di parlare con lui, da quando la sua fama aveva cominciato a crescere.
Un dettaglio abbastanza rivelatrore, fornito dalla femminista tedesca Senta Trömel-Plözt,ci dice che quando Albert e Mileva si separarono ufficialmente nel 1919, il documento di divorzio includeva una clausola che, nel caso Einstein ricevesse un premio per gli articoli pubblicati nel 1905 su Annalen der Physik, avrebbe dovuto versarlo interamente a Mileva.
E fu così che nel 1921 Albert Einstein vinse il Nobel per le sue pubblicazioni del 1905, e un anno dopo diede tutti i soldi del premio alla sua ex moglie.
Mileva Maric visse a Zurigo, fino alla fine dei suoi giorni, in un appartamento con vista sulla facoltà dove aveva studiato insieme ad Einstein: aveva comprato l'appartamento con i soldi del premio nobel. Giustamente!

Fonte: http://www.sentadofrentealmundo.com/

mercoledì 7 marzo 2012

A braccio teso

svastika

Era l'8 ottobre 1935, quando il Times pubblicò l'annuncio dell'amichevole tra le nazionali di calcio di Inghilterra e Germania. Lo stesso giorno, le associazioni ebraiche e i partiti della sinistra cominciarono a mobilitarsi perché si impedisse ai tedeschi di mettere piede sul suolo imperiale britannico.
Il 27 novembre, il Congresso dei sindacati si rivolse al Segretario di Stato per chiedere l'annullamento della partita, affinché le strade di Londra non diventassero una vetrina per i simboli nazisti.
Scoppiò una dura polemica contro quei partiti, vicini all'ideologia nazista, che preparavano un'accoglienza calorosa alla squadra tedesca. Il 2 dicembre, da Rotterdam, i tedeschi sbarcarono all'aeroporto di Croydon, dove vennero accolti in pompa magna, mentre una delegazione del movimento sindacale veniva ricevuta dal Segretario di Stato, insistendo con Sir John Simon  perché la partita non venisse giocata. Mister Simon, dopo vari tentennamenti, decise che si trattava di un'iniziativa privata della Federazione, e che non c'erano giustificati motivi per non giocare la partita e fare uno sgarro alla delegazione tedesca.
La Federazione inglese, attraverso Sir Stanley Rous, suo segretario, voleva tenere completamente separato lo sport dalla politica, ma il giorno dell'incontro venne indetta una manifestazione anti-nazista davanti allo stadio. La polizia di Londra si trovò a dover escogitare un piano speciale, dal momento che la nazionale tedesca aveva al suo seguito 10.000 tifosi. Da Amburgo, erano arrivate sette navi. Inoltre, 16 treni speciali e in più la popolazione tedesca che viveva in Inghilterra arrivavano a raggiungere quella cifra. E poi i circa 50.000 inglesi a riempire completamente gli spalti del White Hart Lane.
La partita, più brutta di quanto si aspettassero, venne vinta facilmente dall'Inghilterra (3-0), è si svolse senza particolari incidenti. Il team tedesco ascoltò l'inno facendo il saluto nazista; gli inglesi, no. Alla fine del match, le due delegazioni cenarono insieme all'hotel Victoria. Nella stazione con lo stesso nome, vennero arrestate sette persone, tutte inglesi, a causa di qualche incidente con i tifosi tedeschi che partivano da Londra per salire sulle loro navi a Dover.
Tre anni dopo, nel 1938, l'Inghilterra restituì la visita. La partita, giocata a Berlino, non è rimasta famosa per il 3-6, in favore degli inglesi contro una Germania piena di giocatori dell'Austria, che era stata annessa nel marzo di quell'anno, quanto per l'immagine dei britannici che facevano il saluto fascista rivolti ad un palco pieno di autorità naziste. Una fotografia che ancora oggi fa arrossire gli inglesi. Non c'era Hitler a presiedere, perché in quel momento si trovava in Italia a concordare con Mussolini i suoi piani di conquista. Ma c'erano Goebbels, Goering, Hess, Ribbentrop, Tschammer e Osten.
Poco prima di entrare in campo, ai giocatori inglesi venne ordinato di ascoltare due inni con il braccio teso; cosa che causò il delirio dei 115.000 spettatori che riempivano lo stadio olimpico. La decisione venne presa dall'ambasciatore inglese a Berlino, Nevil Henderson, timoroso di dispiacere a Hitler, ed ebbe la benedizione di Rous, che aveva fatto l'esperienza delle Olimpiadi di Berlino, due anni prima. L'ordine provocò l'indignazione dei calciatori e, soprattutto, l'ira della stampa britannica, che considerava il fatto come un atto di servilismo ingiustificato nei confronti di Hitler. Un anno dopo, la teoria dell'ambasciatore inglese a Berlino, secondo la quale i nazisti potevano essere controllati, per mezzo di gesti come quello fatto allo stadio olimpico, saltò per aria. Il 3 settembre del 1939, alle undici del mattino, Londra dichiarò guerra alla Germania. Henderson morì il 30 dicembre 1942 nella capitale inglese. Alla tomba, lo accompagnerà la sua frase che diceva che con il lavoro e la mano sinistra "Hitler finirà per diventare un sostenitore della pace".


fonte: http://www.marca.com/

martedì 6 marzo 2012

ultimo round?

ultimo round

A novant'anni, gli piace pranzare nel quartiere est di Manhattan, in un locale che era di proprietà di Frank Sinatra, il "PJ Clark", il posto dove incontrò Denise Baker, madre divorziata con due figli: l'ultima conquista di un uomo, la cui reputazione con le donne gli ha lasciato sei cicatrici sotto forma di sei diversi matrimoni. LaMotta, ferito dalla vita, ha sempre avuto la forza di rialzarsi. Ha perso due figli, uno a causa di un tumore, l'altro in un incidente aereo, ma ha saputo andare avanti, anche mentre riceveva punizioni così dure. Altre volte, mangia in un piccolo ristorante, sempre nella zona est, da Raffaele, dove può gustare una cassata siciliana mentre si vanta di fare ancora più di 20 flessioni al giorno e non smette di guardarsi le mani, pensando ad alta voce.
"Mi sono rotto queste mani sei volte durante i combattimenti, ma le ossa guariscono. Le mie mani erano sempre troppo piccole per un campione dei pesi massimi. Erano armi corte, ma erano pura dinamite". Testimonial di diverse associazioni caritatevoli, e macchina per fare soldi, grazie al suo sito web (dove i fan possono acquistare la sua vestaglia leopardata per 350 dollari, oppure un paio dei guanti usati per combattere contro Ray 'Sugar' Robinson, per 200), il newyorkese più duro del Lower East Side non ha perso la capacità di raccontare barzellette cattive e di ricordare, in sequenza, i passaggi della sua vita movimentata. Aggredì la vita a cazzotti, e imparò subito a incassarli. Pugile leggendario, uomo impossibile, marito censurabile, padre incompetente. Ora, la leggenda del Bronx percorre l'ultimo tratto della sua vita. "Mai indietreggiare, mai arrendersi, mai". Ha seppellito il suo cuore sul ring, ma non ne vuol sapere di ammettere di aver passato da un pezzo gli ottant'anni. Passa il tempo in un bar, il Fifeto Squeri's, nella cinquantesima, si fuma un paio di sigarini al giorno e delizia il personale, raccontando i suoi incontri con dovizia di particolari. I suoi occhi brillano quando rammenta gli omerici scontri con Sugar Ray Robinson - "la cosa più coraggiosa che ho fatto su un ring" - e si svuotano di brillantezza quando parla della sua vita privata - "richiedeva molto più coraggio che salire sul ring, per questo sono sposato sei volte". No, non si pente di niente. E' orgoglioso di essere quello che è. "A volte, piango senza alcun motivo, solo ricordando ciò che è stata la mia vita. Molte persone non lo capiranno, e altri se ne rallegreranno. A tutti loto dico: chi può ridere e piangere come Jake LaMotta?".

lunedì 5 marzo 2012

nono round

nono round

Quasi affogato dall'alcool, e consumato dalla vita, LaMotta comiminciò a giocare all'uomo d'affari e si trasferì a Miami, da dove Vicky non ci mise molto a piantarlo in asso, visto che Jake aveva preso l'abitudine di farla apparire in pubblico, ad ogni fine settimana, con un occhio nero. Così, da Vicky, passò ad una donna ... di quattordici anni. Una prostituta minorile che frequentava il suo locale notturno, a Miami, e che nella stazione di polizia locale, s'era cantata tutta "la traviata", incolpando LaMotta.
"Mio Dio, non avevo idea che al mondo esistessero donne di quattordici anni e che, per di più, si vestissero in quel modo".
Il giudice non ebbe alcuna compassione di lui, e lo ha accusato di "tenere aperto un locale dove si compiono atti lascivi e si induce alla prostituzione". LaMotta passò sei mesi in prigione e dovette anche pagare una multa salata. Quell'episodio fece a pezzi la sua reputazione e quando dovette confessare, dinanzi alla Commissione Kefauver, che egli aveva truccato degli incontri per conto della Mafia, divenne un proscritto nel mondo della boxe. Per la precisione, non era mai stato un pugile molto popolare. I puristi lo disprezzavano per il suo incontro combinato con Fox, e il Newsweek lo aveva definito come «Il più odiato di tutti i campioni»; altri giornali erano andati molto oltre. "LaMotta è l'uomo più odiato della storia di questo sport, amici, è questa la realtà". Jake si era sempre mantenuto forte davanti alle critiche, ma qualcosa cominciò a rompersi dentro di lui, quando, per un tributo a Ray 'Sugar' Robinson, la Commissione di Boxe invitò al Madison Square Garden tutti i pugili che avevano combattuto contro 'Sugar' …meno lui. Quella umiliazione pubblica diventò il peggior ricordo di tutta la sua carriera.

venerdì 2 marzo 2012

Contrabbando

contraband

"Contraband" era un termine comunemente usato nell'esercito degli Stati Uniti, durante la guerra civile americana, per descrivere un nuovo status per alcuni schiavi fuggiti, o per coloro che si arruolavano nelle forze dell'Unione dopo che l'esercito (e il Congresso degli Stati Uniti) aveva stabilito che gli Stati Uniti non avrebbero riconsegnato gli schiavi fuggiti ai loro ex padroni confederati, e perciò, in quanto tali, venivano classificati come ... contrabbando.
     Molti vennero usati come braccianti, per sostenere gli sforzi dell'Unione, e ben presto cominciarono a pagare loro un salario. Gli ex schiavi si installavano in dei campi, vicino alle forze dell'Unione, e l'esercito contribuiva a sostenere ed educare adulti e bambini, tra i rifugiati. Migliaia di uomini provenienti da questi campi si arruolarono nelle truppe di colore degli Stati Uniti, quando cominciò il reclutamento, nel 1863.
     Anche se diventare un "contraband" non significava la piena libertà, molti schiavi lo ritenevano un passo in tale direzione. Il giorno dopo la ""decisione di Butler" (di arruolare gli ex-schiavi), molti più schiavi fuggiti arrivarono a Fort Monroe e chiesero di diventare "contraband". Poiché il numero di ex-schiavi era diventato troppo grande per essere alloggiata all'interno del Forte, i "contrabands" eressero un accampamento all'esterno della base affollata, sulle rovine della città di Hampton, bruciata dai confederati. Chiamarono il loro nuovo insediamento, "Grand Contraband" (anche se fu soprannominato "Slabtown" ). Alla fine della guerra, nell'aprile del 1865, meno di quattro anni dopo, circa 10.000 schiavi fuggiti avevano ottenuto lo status di "contraband".