venerdì 15 aprile 2011

Un film per Picelli

picelli

dalla pagina ufficiale del film documentario "Il Ribelle, Guido Picelli un eroe scomodo" https://www.facebook.com/pages/Il-Ribelle-Guido-Picelli-un-eroe-scomodo/146125265431884?sk=wall

Il pacifista che guidò la guerriglia urbana

Il 5 gennaio di settantuno anni fa, sulle alture spagnole de El Matoral, una pallottola vigliacca colpiva alle spalle e uccideva Guido Picelli, vicecomandante del Battaglione Garibaldi. Sulla vita di uno degli oppositori antifascisti più importanti e ingiustamente anche più misconosciuti della storia del nostro paese, da più di 10 mesi sto portando avanti una ricerca storica-documentaristica per la realizzazione di un film, che mi ha portato a viaggiare attraverso gli archivi, alcuni riservati e segreti, di Russia, Spagna, Francia e Italia. Qui a fianco ho voluto ricordare un episodio poco conosciuto della vita del rivoluzionario di Parma, ma importante per il suo significato storico-politico e simbolico: nel 1924 Picelli inalberò la bandiera rossa sul Parlamento Italiano sfidando Mussolini che aveva abolito la Festa del Primo Maggio.
Ma chi era quest’uomo coraggioso, altruista, nobile, libertario e beffardo? Negli anni ’20 e ’30 fu una vera leggenda per il proletariato internazionale. Il teorico della «guerriglia urbana» era in realtà un fervente anti-militarista che si serviva delle tecniche e delle strategie militari per difendere il proletariato.
In questo senso sarà sempre ricordato per la «Battaglia di Parma» del 1922, quando sconfisse con 400 Arditi del popolo i 10 mila squadristi fascisti guidati da Italo Balbo.
Fu una vittoria unica, un capolavoro tattico che le forze politiche democratiche nazionali non vollero trasfomare in strategia. Così tra errori, settarismi e divisioni, misero il paese in mano ai fascisti. La strategia politica di Picelli era racchiusa in due parole:«unità e azione». Con il suo Fronte unico, composto da anarchici, comunisti, socialisti, cattolici, repubblicani, ecc. nel 1922 sbaragliò i fascisti. Per primo aveva indicato una via, che sarà poi percorsa molti anni dopo, con grave ritardo e a volte malamente, dalle forze democratiche.
In questa occasione, grazie ad uno documento inedito trovato negli archivi russi, per la prima volta possiamo indicare Guido Picelli, non solo come il vice-comandante dei garibaldini di Spagna, ma anche come il comandante del 9° Battaglione delle Brigate Internazionali. Quello che i suoi volontari chiamavano affettuosamente «Il Battaglione Picelli».

Giancarlo Bocchi
da il manifesto, 5 gennaio 2008


I misteri insoluti della Guerra di Spagna
di Giancarlo Bocchi

A volte la Storia riserva sorprese quando riappaiono dall'oblio scritti dimenticati come "La Grande Crociata".
   Questa importante opera storico - letteraria,  rimasta inaspettatamente inedita in Italia, pubblicata nel 1940 da Gustav Regler, scrittore, antifascista, amico di Hemingway e importante comandante delle Brigate Internazionali di Spagna, non è un saggio storico, ma è un affresco d'ambiente, realistico e intenso, che racconta in modo assai incisivo la Guerra di Spagna, descrivendo personaggi, atmosfere, avvenimenti, illuminando con maestria molti fatti oscurati da tanta memorialistica puramente celebrativa.
   Durante la  Guerra di Spagna molti scrittori di diverse nazionalità si schierarono senza esitazioni per la Repubblica: alcuni furono solidali, ma non si recarono in Spagna, come William Faulkner, John Steinbeck, Thorton Wilder; altri furono testimoni sul campo come John Dos Passos, Pablo Neruda, Michail Kolzov; altri ancora, come André Malraux, George Orwell e lo stesso Gustav Regler, parteciparono armi in pugno al conflitto contro i franchisti.
   Come commissario politico della XIIa Brigata Internazionale, Regler divenne un testimone oculare privilegiato e raccontò avvenimenti e personaggi della guerra non solo con l'intensità, la passione, lo slancio di chi li aveva vissuti o visti, ma con il preciso intento di non voltare lo sguardo, per convenienza politica, dall'altra parte.
   Nel 1940, un libro di uno scrittore comunista, di un commissario politico della XIIa Brigata dei Volontari Internazionali, in pieno regime fascista, era impensabile che venisse pubblicato in Italia. Ma perché un'opera così intensa non venne pubblicata dopo il 1945?
   In quel momento gli uomini legati a Mosca cercavano di mascherare in tutti i modi le malefatte commesse in terra di Spagna, soprattutto se venivano raccontate da dei veri comunisti. Regler, in questo senso, era uno scrittore da combattere o da ignorare.
   Negli archivi del Cominter a Mosca è rimasta traccia di questa strategia: nei rapporti confidenziali all' ufficio quadri del Cominter emerge in modo evidente il malessere provocato dall' uscita del libro di Regler all' interno dell' apparato.
   "La Grande Crociata", che abbraccia il primo periodo della guerra, la difesa di Madrid, le battaglie di Mirabueno e Algora, del Jarama, di Guadalajara, è anche importante per capire alcuni avvenimenti decisivi che riguardano personaggi e vicende della sinistra italiana.
   Al centro del racconto sono gli uomini della leggendaria XIIa Brigata dei Volontari Internazionali (francesi, belgi, italiani e polacchi), ma in un capitolo emerge prepotentemente la figura dell' italiano Guido Picelli, a quei tempi una vera leggenda della sinistra internazionale.
   Negli anni '20 Picelli era stato un ribelle, un capopolo indomito, un trascinatore e organizzatore di masse.
   Nel 1922, al comando di un modesto drappello di Arditi del popolo, aveva sconfitto, durante la "Battaglia di Parma", diecimila squadristi di Italo Balbo che volevano invadere la città emiliana con l'intento di metterla e ferro e fuoco e di non risparmiare neanche le donne e i bambini.
   Una vittoria unica, dal grande valore simbolico.
   Il comandante Picelli, nel libro di Regler è tratteggiato talmente bene che sembra quasi di vederlo in carne ed ossa: alto, prestante, pare di sentirlo parlare con quella sua bella voce calda da ex attore mentre porta il pugno chiuso alla tempia e ti guardo fisso con quel suo sguardo generoso e a volte ironico.
   Il 5 gennaio 1937 una pallottola vigliacca, alle spalle, che come annotò Regler "aveva colpito il cuore come fosse un gong da far vibrare", uccise Guido Picelli.
Fin da allora le circostanze della morte di Guido Picelli suscitarono dubbi e rimasero avvolte mistero.
   Lo scritto di Regler, in questo senso, non dà una risposta definitiva, ma è comunque molto importante per capire il contesto, lo scenario di quel tragico evento.
Secondo lo scrittore tedesco, Picelli aveva molti meriti. Avrebbe potuto o dovuto comandare una intera brigata ed invece era stato inspiegabilmente relegato a comandare una sola compagnia del Battaglione Garibaldi.
   Al teorico della guerriglia urbana, al fondatore delle Guardie Rosse, dell'Esercito Segreto Proletario, degli Arditi del popolo, al principale comandante militare del Partito comunista italiano, ancor prima di arrivare in prima linea gli era stato sottratto il comando del 9° Battaglione dei suoi cinquecento volontari internazionali.
   Regler non spiega il motivo, ma lo fa intuire attraverso i pensieri e le parole dei più importanti comandanti degli "Internazionali".
   Matè Zalka, il "generale Lukacs" comandante in capo della XIIa Brigata (che nel libro Regler chiama "il generale Paul") riguardo Picelli si chiede: "Come posso dirgli che lo ammiro? Vorrei sapesse che tutti pensiamo che è un grande uomo”.
   E Randolfo Pacciardi, il comandante del Garibaldi, dice: "Vorrei proprio dirtelo, mi piacerebbe passarti il comando; per me tu sei uno dei grandi italiani, e non importa quello che alcuni dei tuoi amici possono avere contro di te."
   In queste ultime parole, anche se filtrata dallo stile del romanzo storico-autobiografico, c'è una possibile chiave di lettura dei fatti, e un elemento trascurato da altri memorialisti (Giacomo Calandrone, Luigi Longo, Giovanni Pesce e altri).
   Chi erano "gli amici" che secondo Pacciardi  ce l'avevano con Picelli ?
   Regler e Pacciardi, probabilmente non erano a conoscenza dei retroscena e delle vicissitudini vissute da  Picelli a Mosca negli anni precedenti, ma il loro sospetto che ci fosse qualcosa di consistente da parte degli "stalinisti" contro il rivoluzionario italiano era più che giustificato.
   Nei due anni precedenti la sua morte, secondo i documenti che abbiamo trovato di recente agli Archivi del Comintern, Picelli aveva avuto diverse traversie a Mosca e si era salvato miracolosamente dalle purghe staliniane. Nel 1934 dopo essere stato licenziato dall'incarico di docente della Scuola Lenista Internazionale (accademia politica di Mosca che aveva avuto come allievi anche alcuni comandanti spagnoli diventati poi famosi, come Enrique Lister e Juan Modesto) era stato allontanato senza motivo dagli incarichi riservati che aveva nel Comintern.
Relegato ad un lavoro da operaio nella fabbrica Kaganovic, era stato perseguitato con un processo-purga staliniana, anticamera dell'esilio e del gulag e si era salvato grazie al suo coraggio e alla sua sfrontatezza.
   Arrivato a Parigi, ormai deluso, amareggiato, stanco di subire persecuzioni, Picelli si era rivolto al P.O.U.M. (il Partito comunista antistalinista spagnolo).
   "Mi hanno presentato un capitano e un ex deputato - così ricordò l'incontro con l'italiano il segretario internazionale del P.O.U.M. Julian Gorkin nelle sue memorie - che mi ha fatto una viva impressione: Guido Picelli. Vicino alla cinquantina, nobile presenza, viso aperto e intelligente." Prima Julian Gorkin e successivamente Andreas Nin, il segretario politico del P.O.U.M., colpiti dal carisma e dal leggendario passato del personaggio, offrirono a Picelli il comando di un'importante formazione militare del loro partito.
   Se Picelli avesse accettato questo comando, il colpo per l'immagine del Partito comunista italiano, che non poteva certo permettersi veder passare agli antistalinisti del P.O.U.M. uno dei suoi uomini più prestigiosi e ammirati, sarebbe stato gravissimo.
   I dirigenti del Partito comunista italiano scelsero così Ottavio Pastore, vecchio cronista dell' "Ordine Nuovo" che aveva raccontato sul giornale di Antonio Gramsci la lotta degli Arditi del popolo sulle barricate di Parma, come emissario per le trattative.
   Pur sapendo i grandissimi rischi che poteva correre con gli stalinisti per aver intrattenuto rapporti con i vertici del P.O.U.M., Picelli accettò coraggiosamente la proposta di Pastore di entrare nelle file delle Brigate Internazionali.
   Probabilmente confidava nel fatto che questa forza internazionale, composta da volontari provenienti da tutti i partiti antifascisti, sarebbe stata libera e indipendente da Mosca, ma forse, oltre a questo, vedeva nell'unità di tutti i partiti antifascisti presenti nelle Brigate Internazionali la realizzazione del suo sogno di avere finalmente un "Fronte unico" antifascista in armi. Un sogno per il quale era disponibile anche all' estremo sacrificio.
   Poche settimane dopo, ad un centinaio di chilometri da Madrid, nei pressi del piccolo villaggio di Algora, alle pendici dello sperone del Matoral, che Picelli aveva appena conquistato, secondo quanto scrive Regler, Randolfo Pacciardi ebbe una premonizione: “[Picelli] Deve unirsi a me nello Stato Maggiore”, pensò Pacciardi. “Devo parlarne al Generale [Lukacs] stanotte.”
   La premonizione del comandante del "Garibaldi" si avverò. Pochi attimi dopo Picelli cadde a terra con il cuore spaccato da una pallottola che lo aveva colpito alle spalle.
   All'unico garibaldino morto in quell'oscura giornata vennero tributate grandi onoranze funebri a Madrid, Valencia e Barcellona. In quest'ultima città parteciparono alle esequie - viste dagli antistalinisti del P.O.U.M come un avvertimento nei loro confronti - 100 mila persone.
   Ma cos'era accaduto quel 5 gennaio del 1937? A Picelli era stato fatale il grande coraggio e la temerarietà in battaglia o cos'altro?
   Per ora la tragica fine di Guido Picelli rientra tra gli eventi ancora discussi della guerra di Spagna, come la morte del comunista tedesco Hans Beimler o dell'anarchico Buenaventura Durruti.
   La "Grande Crociata" illumina comunque di una nuova luce tante vicende, tra le quali quella di Guido Picelli, il grande ribelle. Il grande rivoluzionario libertario che fu misconosciuto nell' Italia del dopoguerra.

LA GRANDE CROCIATA
Prefazione di Ernst Hemingway

(...) il mio cuore era con la Dodicesima Brigata. C’era Regler, che in questo libro è il Commissario.  C’era Lucasz* il Generale. C’era Werner Heilbrunn, che in questo libro è il Dottore. C’erano tutti gli altri. Non li nominerò. Alcuni erano comunisti, ma c’erano uomini di ogni credo politico. Sono tutti in questo romanzo di Regler e la maggior parte ora sono morti. Ma fino a che non morirono non ce ne fu uno (è una bugia, ce ne furono due o tre) che non riuscisse a scherzare nell’imminente presenza della morte e a sputare subito dopo per dimostrare che aveva scherzato per davvero. Introducemmo la prova dello sputo perché è un fatto, da me scoperto nella prima giovinezza, che non si riesce a sputare se si è spaventati sul serio. In Spagna molto spesso non mi riuscì di sputare pur dopo una battuta veramente buona.
Non scherzavano per spacconeria. Scherzavano perché gli uomini veramente coraggiosi sono quasi sempre molto allegri e io penso di poter sul serio dire di tutti quelli che ho conosciuto bene quanto un uomo può conoscerne un altro, che il periodo di lotta in cui pensavamo che la Repubblica potesse vincere la guerra civile spagnola, fu il periodo più felice delle nostre vite. Eravamo veramente felici perché quando la gente moriva era come se la loro morte fosse giustificata e irrilevante. Perché essi morivano per qualcosa in cui credevano e che si sarebbe avverato. Lucasz e Werner morirono proprio come muoiono in questo libro. Non li penso mai come morti. Penso di aver pianto quando mi dissero che Lucasz era morto. Non ricordo. So di aver pianto una volta per la morte di qualcuno. Deve essere stato Lucasz perché Lucasz fu la prima grande perdita. Chiunque altro fosse stato ucciso era rimpiazzabile. Werner era il meno rimpiazzabile di tutti; ma fu ucciso subito dopo. E a proposito di piangere lasciatemi dire qualcosa che forse non sapete. Non c’è nessun uomo vivente oggi che non abbia pianto in guerra se c’è stato abbastanza a lungo. A volte è dopo una battaglia, a volte quando qualcuno a cui vuoi bene viene ucciso, a volte è per una grande ingiustizia ai danni di un altro, a volte è per lo scioglimento di un corpo o un’unità i cui membri hanno patito insieme e conseguito obiettivi insieme e non saranno mai più insieme. Ma tutti gli uomini in guerra piangono, a volte, da Napoleone, il più gran macellaio, in giù.
Gustav avrebbero dovuto ucciderlo quando uccisero Lucasz. Gli avrebbero risparmiato un sacco di affanni, compreso lo scrivere questo libro. Non gli sarebbe toccato vedere le cose che abbiamo visto né quelle che ci toccherà di vedere. Non sarebbe stato curato per un buco nel fondoschiena che gli scoprì i reni e mise in mostra il midollo spinale ed era così grande,  là dove il pezzo di acciaio da una libbra e mezzo era penetrato da parte a parte nel corpo, che il dottore ci infilò per intero la mano guantata nel ripulirlo.
Non avrebbe avuto la ventura di sopravvivere per venir messo in un campo di concentramento francese dopo aver combattuto la battaglia della Francia in Spagna e aver contribuito a ritardare la guerra della Germania alla Francia grazie al più grande attacco di contenimento della storia.
Se Gustav fosse stato ucciso gli sarebbero stati risparmiati molti affanni e molta sofferenza. Ma a lui per se stesso non importa né della sofferenza, né degli affanni, né della povertà. Per Gustav queste sono brutte cose se capitano agli altri.

* il nome di battaglia esatto di Maté Zalka era "Lukacs"

Brani tratti dalla prefazione del libro di Gustav Regler, "The Great Crusade", Longmans,Green and Co., New York -Toronto, 1940, traduzione dall'inglese di Francesca Avanzini

Gustav Regler, lo scrittore delle Brigate internazionali

Gustav Regler, nato in Germania nel 1898 nella Saar, scrittore e intellettuale, dopo aver combattuto nella Prima guerra mondiale, aderì al Partito comunista tedesco. All' avvento di Hitler sfuggì alle persecuzioni naziste rifugiandosi a Parigi. Al termine di un travagliato soggiorno a Mosca, dove conobbe anche Maxim Gorky, partì per la Spagna per arruolarsi nelle Brigate Internazionali.
Nell'inverno del 1936 prese parte alla battaglia per la difesa di Madrid e venne nominato commissario politico della XII Brigata Internazionale, formazione composta in quel momento dai battaglioni franco-belga, italiano e polacco.
In Spagna ebbe un ruolo di rilievo in due importanti film documentari "The Spanish Earth"(1937) di Joris Ivens e "La Defensa de Madrid"(1937) di Angel Villatoro. L'11 giugno 1937 durante la battaglia di Huesca fu gravemente ferito e passò molti mesi tra la vita e la morte in un ospedale locale.
Alla fine del conflitto si rifugiò in Francia. Rinchiuso nel campo d'internamento di Vernet, dopo molti mesi di prigionia, nel 1940, venne liberato ed espatriò in Messico.Nel dopoguerra pubblicò diversi lavori con gli pseudonimi Michael Thomas, Thomas Michel e Gustav Saar. Nel 1955 pubblicò un romanzo storico, il ritratto biografico di Piero Aretino, il controverso autore satirico ed erotico italiano.
Scoraggiato e deluso per il crollo dei suoi ideali, osteggiato da ex-amici e nemici, morì nel 1963 a Nuova Delhi. Sulla guerra di Spagna Regler scrisse due libri "The Great Crusade"(1940) e "The Owl of Minerva"(1960). (gb)

La grande crociata di Gustav Regler

(....) Così cominciò l’ultimo dell’anno. Da Brihuega due strade portavano verso il nemico. Una alta sul pianoro, dissestata a un certo punto per una ventina di chilometri e lungo la quale, a varia distanza, sorgevano i tre villaggi di Almadrones, Mirabueno e da ultimo Algora. Erano state queste le vie della fuga, e adesso erano territorio nemico insieme ai tre villaggi. (...)
   Gli ufficiali alzarono gli occhi dalla mappa spiegata sulle bianche pietre dilavate del rudere. Tutti sembravano contenti di essere passati all’offensiva. Boursier sorrideva e prendeva qualche appunto. Picelli, l’italiano, si chinò di nuovo sulla mappa. Il Polacco si fece ripetere un’altra volta e una volta ancora in russo da tutti quanti di tenersi sotto copertura, e di dirlo a tutti i suoi uomini. Il Generale lo ammonì con paterna sollecitudine, come temendo che l’uomo non avesse capito.
   La luce del tardo pomeriggio giocava sui loro visi, gli scuriva le mani che si muovevano su e giù per la mappa, colpiva qua e là la striscia dorata di un’uniforme e la faceva brillare. Tirava fuori il verde dei calzoni alla cavallerizza, illuminava il marrone dei berretti, e siccome sembrava trovare poca risposta al suo gioco nello scolorito paesaggio di ruderi grigio lavanda e bianco gesso e nei  morti cespugli spinosi ricoperti di polvere, si concentrava sul gruppo di uomini. Variopinto e solo, lo Stato maggiore se ne stava ritto nella chiara luce dorata del pomeriggio invernale, e la confusione delle lingue di bocca in bocca gli dava un carattere ancora più straniato. Ma poi tutti i pugni vennero portati alla fronte nel prendere congedo dal Generale. Per pochi secondi tutti furono di una sola razza e unificati da un unico gesto. Poi abbassarono il pugno e se andarono in varie direzioni.
   “State coperti e ancora coperti”, gridò loro dietro il Generale. Pacciardi, il Comandante italiano, era già dietro le rovine. “Un po’ di prova-vestiti”, pensò.
Paul gli aveva dato il comando dell’intera azione. “Ma dov’è Picelli, allora?” si chiese, e si volse a guardare il nuovo capo di compagnia. Picelli e Ackermann erano stati trattenuti dal Generale.
   “Tu guiderai una compagnia”, disse Paul con lo sguardo ai bianchi muri del rudere oltre Picelli. Picelli, volgendo verso Paul il viso aspramente inciso, dal naso schiacciato ma bello, chinò rispettosamente il capo. “Molto bene, Generale.”
   “In Italia ha guidato migliaia di lavoratori”, pensava Paul. “Ha difeso per un’intera giornata la città di Parma dalle camicie nere. In Russia ha comandato un reggimento. Come posso dirgli che lo ammiro? Vorrei sapesse che tutti pensiamo che è un grande uomo”.
   “Ci sono stati tempi in cui anch’io ho guidato più di una Brigata”, disse Paul. Picelli non rispose.
   “Pacciardi è uno splendido soldato”, proseguì Paul.
   “Sì, davvero, Generale’, disse Picelli.
   “È un repubblicano”.
   “Sì”.
   “E noi siamo comunisti”, disse Paul. Di nuovo Picelli non rispose.
   “Possiamo subordinarci, quando necessario”, disse Paul.
   “Molto facilmente, Generale.”
   “Non così facilmente”, pensò Paul fremendo, “quando penso a quel Pozas da cui mi tocca prendere ordini!”
   “Credo che questa volta gliela faremo vedere”, disse Picelli.
   Paul non riuscì a pensare a nient’altro da dire. “Mi fa molto piacere che lei sia qui”, disse, e salutò militarmente. (...)
   Un fuoco di mitragliatrice martellava dal centro della strada dietro cui si trovava Mirabueno. Non doveva trattarsi di niente di più che la breve resistenza di un avamposto. La Brigata Garibaldi  l’avrebbe sgominata. Il telefono riferì che Picelli stesso alla testa delle sue quattro compagnie stava guidando l’attacco all’avamposto. Pacciardi era terrorizzato e sorrideva al tempo stesso. Ai comandanti non spettava la linea del fuoco. Mandò un messo al centro. Picelli rimanesse per favore alla stazione di combattimento della sua compagnia. Pacciardi provava una certa invidia. La prossimità del pericolo era la più grande soddisfazione. Sarebbe stato felice di trovarsi laggiù nei campi dove ora il fuoco della mitragliatrice stava cessando.
“L’artiglieria ora dirigerà il fuoco sul centro del villaggio–Mirabueno”, gridò all’operatore telefonico.
   Gli aeroplani stavano tornando. Pacciardi si portò rapido la mano al berretto mentre passavano sopra la stazione di combattimento. Era un gesto di ringraziamento.
Il telefono riferì che la resistenza della strada era stata sgominata. La Brigata Garibaldi stava avanzando sul villaggio stesso. Un fuoco di mitragliatrici orlava l’orizzonte. Il sole sorse su San Cristobal, dove una disorientata artiglieria nemica se ne stava inattiva e colta di sorpresa, perché dalla montagna quell’attacco su un fianco scagliato da lontano, dava l’impressione dell’avvicinarsi di un enorme esercito, e non potevano essere sicuri che non sarebbe finito con una manovra di avvolgimento del loro plateau. (...)
    “I polacchi sul fianco sinistro non possono avanzare. Ci sono covi di mitraglie sulla strada tra Almadrones e Mirabueno.”
   “Passami la Brigata” disse Pacciardi prendendo in sella il ricevitore. Il telefono faceva un suono come quello di una sveglia coperta. Pacciardi chiese al Generale se poteva cavalcare fino a Mirabueno e occuparsi dei polacchi.
   “Prendi un cavallo anche tu”, disse al Dottore. “può darsi che ci sia bisogno di te.”
   Corsero giù  fino alla depressione seguiti dall’intera linea di cavalleria. Il fuoco veniva verso di loro, e si infittì di nuovo, Ma essi sapevano che era a Mirabueno, e che stavano galoppando verso la vittoria. Cavalcarono in buon ordine finché la strada non gli venne tagliata da raffiche di mitragliatrice, che gli sibilarono accanto come coltelli. Werner e Pacciardi si appiattirono sulle loro selle e passarono rapidamente oltre. Ma la linea dei giovani a cavallo fu colta di sorpresa e si dispersero in tutte le direzioni.
   “Non mi fido mai della cavalleria”, gridò Pacciardi a Werner mentre arrivavano sulla strada e vedevano davanti a sé un sentiero campestre che attraverso un folto di olivi correva fino al villaggio catturato. Grigi muri di sassi circondavano uno stretto mucchio di case.
   “Quella era una fortezza” gridò Werner.
   “Era  una corsa a ostacoli”, disse Pacciardi.
   Dalla prima casa verso cui galopparono sventolava una bandiera rossa.
   Balzarono giù di sella.
   “Hanno avuto fretta”, disse Werner indicando la bandiera, “ma non è repubblicana, quella bandiera.”
   “Scommetto che è stato qualcuno del villaggio a issarla”.
   “La voce del popolo è la voce di Dio”, disse Werner.
   Gli zoccoli dei cavalli rimbombavano sulla strada sassosa del villaggio.
   “Che cos’hai contro la bandiera rossa?” gridò Pacciardi a Werner.
   “Io? Niente, se non ti dispiace”, disse Werner.
   “Il rosso non è il colore di un partito, per me ”, disse Pacciardi.
   “Voi repubblicani siete più ricchi dei comunisti”, disse Werner ridendo. Erano nel villaggio, e già circondati di volontari italiani che presero loro le briglie e tra grida affettuose li scortarono attraverso i vicoli tortuosi del villaggio fino alla casa che Picelli aveva scelto come suo quartier generale. (...)
   Tremanti e con le bocche aperte nemmeno più capaci di emettere grido, i soldati nemici sedevano nel villaggio in attesa del coup de grâce. Altri fuggivano giù per il pendio della vasta vallata nord, inseguiti più dalla loro paura che dai proiettili.
   “Siamo fratelli”, gridavano quelli della Brigata Garibaldi ai loro prigionieri. Al che i prigionieri si alzavano e si drizzavano contro il muro, rassegnati al loro destino. Ma quelli della Brigata Garibaldi gridavano di nuovo, e non smisero di gridare finché un sorriso non apparve sulle facce dei prigionieri.
   Nessuno dei prigionieri venne ucciso. Persino i polacchi si trattennero. Ma durante il pomeriggio inviarono una delegazione a Pacciardi. La pianura era stata ripulita, ma la montagna era ancora là. Non spiegarono quale motivo li spingeva verso la montagna, semplicemente chiedevano il privilegio di essere i primi ad avanzare su di essa.
   L’attacco fu stabilito per il giorno seguente. Intanto Pacciardi diede ordine alle sue truppe di prendere lo sperone più vicino al plateau, quello a nord est del villaggio. Gli attaccanti dovevano avere i fianchi coperti. Di nuovo Picelli guidò la sua compagnia attraverso il terreno roccioso, cosparso di bassi alberi.
   “Va’ e portami Picelli”, disse Pacciardi a uno dei suoi messaggeri.
   “È di nuovo nel folto delle pallottole”, pensò. “È tutto molto romantico, ammirevole, ma anche insensato. Ha il suo fucile da Parma bello pronto, e va avanti come fosse selvaggina di passo. Grande Italia, vinceremo. Come lo ammiro! Ha difeso una città intera dalle camicie nere. Potrebbe condurre una Brigata, e tuttavia capeggia la sua compagnia come se fosse un corpo d’armata.”
   Pacciardi vide Picelli ritornare attraverso il campo con il messaggero. “Non vieni come subordinato, mi senti? Vorrei proprio dirtelo, mi piacerebbe passarti il comando; per me tu sei uno dei grandi italiani, e non importa quello che alcuni dei tuoi amici possono avere contro di te. Domani te lo dirò davanti agli uomini: ‘Sei un grande combattente’ Forse te lo dirò là sulla montagna. O forse tra pochi giorni a Siguenza”.
   Gli ultimi pochi passi Picelli li fece più in fretta, poi si fermò, fece scattare i talloni e levò il pugno in saluto.
   “Mi disarma con la sua disciplina”, pensò Pacciardi nel vedere il gesto militare. “Non c’è vanità nel gesto, e lui non è offeso. Qual è il segreto della sua superiorità?”
   “Compagno Picelli”, disse Pacciardi interrompendo bruscamente i suoi pensieri. “Mi vedo costretto a ripetere l’ordine di non capeggiare ogni battuta di perlustrazione.”
   “Mi contraddirà? Spero di sì”, pensò Pacciardi. “Mi renderebbe le cose più facili. Allora potrei parlargli più umanamente. Non deve farsi l’idea che voglia comandarlo, deve capire che temo per lui. Sei uno dei pochi comunisti che mi piacciono.”
   Di nuovo Picelli portò il pugno alla fronte e si drizzò. “Sissignore”. Questo fu tutto, e se andò.
Pacciardi rimase a guardare la sua smilza figura  che si allontanava attraverso i campi: l’estremità gialla del suo storico fucile brillava sulla spalla nella luce del mattino. “Deve unirsi a me nello Stato Maggiore”, pensò Pacciardi. “Cosa non potrebbe fare una volta che saremo di là dalle Alpi. Devo parlarne al Generale stanotte.”
   I polacchi muovevano lentamente a sinistra di Algora contro la loro montagna. Li si poteva vedere balzare di muretto in muretto con i loro fucili. Non avevano ancora aperto il fuoco, benché questo fosse di nuovo ricominciato sotto nella gola dove gli Italiani li stavano coprendo.
   “Stanno provando la tenaglia”, disse Pacciardi al suo aiutante. Il fuoco si fece più pesante, improvvisamente sembrò una gragnuola. “Li abbiamo presi in tutti i punti deboli”, disse Pacciardi, e fissò compiaciuto la campagna distesa nel fresco del mattino sotto le nebbie che andavano dissolvendosi.
   Dai boschetti dove si stava svolgendo la battaglia arrivò un messo. Inciampò una volta nel correre. Quando si rimise in piedi fece un gesto di selvaggio dolore. Proprio prima della stazione di combattimento inciampò di nuovo. Pacciardi e gli ufficiali gli andarono incontro. Giaceva pallido e senza fiato vicino a una pianta di lavanda. “Che cosa c’è”, chiese Pacciardi. “Ferito?” Il messaggero scosse tristemente il capo, poi si controllò e col pianto nella voce disse, “Picelli”, aggiungendo piano “Al cuore”. (...)
   Sotto nella pianura stavano portando via Picelli. Fu il primo a percorrere la strada ora completamente aperta tra Mirabueno e Almadrones. Pacciardi e i suoi ufficiali se ne stavano con il pugno alzato presso il corpo, sulla cui bocca era scolpito un sorriso, un riso di sorpresa perché il proiettile aveva colpito il cuore come fosse un gong da far vibrare.
   Intanto che la barella veniva trasportata lungo la strada, dal villaggio dove erano i Francesi proveniva un fitto, sicuro fuoco di mitraglia. Un rumore di battaglia da posizioni sicure accompagnava i portatori italiani e il loro morto. (...)

Brani tratti dal libro di Gustav Regler, "The Great Crusade", Longmans,Green and Co., New Yorl -Toronto, 1940, traduzione dall'inglese di Francesca Avanzini.

[da Alias]

1 commento:

Cirano ha detto...

grande Picelli...l'unico che era riuscito a unire il fronte antifascista comprendendo in anticipo il pericolo!