Crisi e Critica - Il limite interno del capitale e le fasi di avvizzimento del marxismo - di Robert Kurz
Un frammento.
Nota: Il 10 febbraio del 2010, Robert Kurz inviò per email alla redazione di EXIT! un testo, accompagnato dalle seguenti parole: "Insieme alla prima parte del progetto del libro più piccolo, Crisi e Critica, stralciato dal precedente progetto Lavoro Morto, per discuterlo nel prossimo incontro. Si può rimuovere dalla prefazione e dall'introduzione tutto ciò che si considera necessario". Dopo l'incontro, il testo è stato fatto oggetto di piccoli aggiustamenti da parte della redazione e non è stato mai modificato dal maggio del 2010. Come viene spiegato nella prefazione del suo ultimo libro, Denaro senza Valore, Robert Kurz aveva deciso di scrivere una serie di libri a partire dal progetto originale del libro di grandi dimensioni, Lavoro Morto. L'unico che ha potuto realmente terminare, è stato Denaro senza Valore, che è apparso nelle librerie pochi giorni dopo la sua morte. Crisi e Critica sarebbe stato un altro libro di questa serie. Dei 36 capitoli previsti - inclusi l'introduzione e l'epilogo - Robert Kurz ha avuto il tempo di scriverne 10.
* Prefazione * Introduzione * 1. La teoria della crisi nella storia del marxismo * 2. Il capitale va molto bene. Ignoranza situazionista della crisi come mancanza di dimensione storica del tempo * 3. Mitizzazione della teoria del crollo * 4. I cavalieri dell'apocalisse * 5. Psicologismo per i poveri * 6. Bisogna criticare il capitalismo solo per mancanza di funzionalità? * 7. Crisi ed emancipazione sociale * 8. Excursus: la dissociazione-valore fa del feticcio il creatore di un mondo di marionette? * 9. La crisi come rapporto soggettivo di volontà *
Altri capitoli previsti ma non scritti:
10. Il capitalismo come eterno ritorno dello stesso * 11. Empirismo storico: l'ammirevole flessibilità della logica di valorizzazione * 12. Ritorno alla brutta normalità? * 13. La crisi come mera "funzione di aggiustamento" delle contraddizioni della circolazione? * 14. Excursus: l'indebolimento e l'abbandono parziale "critico del valore" da parte della teoria radicale della crisi * 15. Sempre nuovamente il "problema della realizzazione" * 16. La crisi dev'essere piccola o grande? Il concetto ridotto del sistema * 17. Il percorso del biocapitalismo? * 18. Riduzionismo ecologico * 19. Capacità di sopravvivenza del capitale individuale ovvero un capitalismo di minoranza? * 20. Il carattere dell'economia postmoderna delle bolle finanziarie * 21. Excursus: critica riduttiva del mercato finanziario, anti-americanismo e antisemitismo strutturale * 22. L'ultima risorsa ovvero la fede nel miracolo di Stato * 23. Un'illusione democratica * 24. La questione della proprietà erroneamente collocata * 25. Keynesismo di sinistra ovvero la riduzione della teoria del sub-consumo * 26. La guerra come soluzione per la crisi? * 27. La crisi sposta solo i rapporti globali di potere? * 28. Il sesso della crisi * 29. La mancanza della critica categorica * 30. Sintesi sociale e socialismo * 31. Excursus: "Forma embrionale" - un grave malinteso * 32. Cos'è un mediatore? Criteri di immanenza sindacale * 33. Carnevale di "lotte" e pacifismo sociale da ideologia a alternativa * 34. Come Herr Biedermeier aggiusterebbe bene tutto * Epilogo *
PREFAZIONE
E' dall'autunno del 2008 che tutti parlano di una "crisi secolare" del capitalismo. Anche se il suo scatenamento, o punto di partenza, non è stato in alcun modo ben stabilito, e se alle prime manifestazioni di un vero e proprio panico si sono mischiati messaggi di fiducia sul brevissimo periodo, una cosa appare ben chiara: lo shock economico globale mostra un contesto causale profondo che fin qui è stato nascosto. Rappresenta un taglio qualitativo, fatalmente simile al crollo del socialismo di Stato avvenuto vent'anni prima. Ora come allora, dalla nuova "fine di un'epoca" emergerà un mondo profondamente modificato e assolutamente meno stabile.
In questa nuova situazione storica, la teoria di Marx, già dichiarata morta ripetute volte, ottiene un'insperata attualità; ed in particolare, naturalmente, la teoria della crisi. Tuttavia non esiste alcuna assicurazione. L'opera di Marx, una molteplicità di testi eterogenei, ha attraversato una storia di interpretazioni, o "versioni", sempre mediata dalla storia del capitalismo e dei movimenti sociali sorti a diversi livelli di sviluppo. Ogni "fine di un'epoca" in questo processo globale esige un taglio nell'interpretazione teorica e nel successivo sviluppo della teoria. Questo vale anche per la teoria della crisi. Perciò la nuova crisi economica mondiale si trova davanti ad un mosaico intricato, nel campo del dibattito intorno alla teoria di Marx, che esige un processo di chiarificazione. Non si arriva a niente senza un conflitto teorico, nel quale si confrontano i diversi modelli di interpretazione, per essere sintetizzati e spiegati nella loro condizionalità storica.
Il testo qui presentato si situa nel contesto di un'elaborazione teorica che fin dagli anni 1980 si propone di riformulare una critica dell'economia politica e che ha assunto una posizione di rilievo rispetto alla teoria della crisi. Quest'approccio teorico si è inizialmente presentato con l'etichetta di "critica del valore", facendo con ciò riferimento ai numerosi passaggi di Marx che definivano il capitalismo fondamentalmente come "il modo di produzione basato sul valore". Ne consegue che la critica del capitalismo non può che essere critica radicale del valore, ossia, una critica, e un superamento teorico come prospettiva pratica, del contesto basilare formale e funzionale di questo modo di produzione e di vita, così come si presenta nelle categorie di lavoro astratto, di forma del valore e della merce, del denaro, del capitale (valorizzazione del valore in quanto "soggetto automatico"), del Mercato e dello Stato, in un contesto che venne definito da Marx come una relazione feticista resasi autonoma rispetto agli attori sociali.
Questa reinterpretazione si concepisce come rottura con il "marxismo del movimento operaio" e i suoi derivati storici; una comprensione della teoria di Marx che si è sempre mossa "verso" queste categorie. Avendo come sfondo una reinterpretazione del lavoro astratto visto come condizione umana e trans-storica, il contesto formale di base veniva fuori ogni volta come un presupposto neutro e ontologico della socialità in generale; perfino il presunto superamento del capitalismo continuava ad esser pensato dentro quelle stesse categorie, come mera statizzazione, come comando e moderazione di tali categorie, in cui la differenza essenziale appariva essere quella "della classe sociale" ("liberazione del lavoro" invece del superamento di quest'astrazione capitalista, "Stato dei lavoratori", ecc.). Questo riferimento tronco a Marx era storicamente condizionato dallo sviluppo non ancora giunto a termine e "non sincronizzato" del capitalismo stesso. Possiamo decifrarlo come "lotta per il riconoscimento" sul terreno delle categorie capitaliste dentro un discorso di "modernità ritardata"; e questo tanto da parte del movimento operaio occidentale, nel senso del suo riconoscimento come soggetto giuridico borghese e cittadino, quanto da parte delle rivoluzioni di modernità ritardata dei paesi della periferia capitalista, nel senso del riconoscimento come partecipanti con uguali diritti, e indipendenti, al mercato mondiale.
Questi punti essenziali della critica del valore costituiscono un terreno di dibattito con le posizioni di seguito denominate come "marxismo residuale" e "post-marxismo", che in parte mantengono il vecchio intendimento ed in parte lo risolvono in diverse direzioni, o lo superano realmente. Qui si include la sinistra politica in senso stretto, così come la "nuova ortodossia" accademica emersa da uno sforzo filologico per la "ricostruzione" della teoria di Marx negli anni 1970 e, non ultima, l'ideologia dei movimenti più recenti, essenzialmente non nemica della teoria, commisurata alla sua falsa immediatezza e fenomenologicamente limitata nella sua percezione, in cui la critica dell'economia politica conduce un'esistenza nell'ombra. Un ruolo particolare lo gioca qui il post-operaismo di Antonio Negri, che reinterpreta a proprio modo il marxismo del movimento operaio in versione post-moderna, dove il lavoro astratto e la forma valore vengono "virtualizzati" positivamente, invece di criticare radicalmente un tale contesto.
Negli anni 1990, la critica del valore comincia ad allargarsi oltre la tematica del contesto della forma dell'economia politica, e questo avviene sotto tre aspetti. In primo luogo, la teoria della dissociazione sessuale di Roswitha Scholz (1992, 2000) fornisce una modifica decisiva, in cui la moderna relazione di genere non viene vista come "contraddizione secondaria derivata", ma come determinazione reale fondamentale della moderna costituzione del feticcio. Nel capitalismo, i momenti di riproduzione non assorbiti nel sistema di lavoro astratto e di valorizzazione, ossia, insuscettibili di rappresentazione o solo difficilmente rappresentabili sotto la forma del denaro, sono dissociati dalla socialità ufficiale, storicamente delegati alle donne e definiti come inferiori. In tal senso il rapporto di dissociazione sessuale è "altrettanto originale" e basata sullo stesso piano di astrazione delle categorie funzionali vigenti, proprio perché ne costituisce il lato "oscuro". Questo contesto è stato trascurato ed omesso tanto dal marxismo del movimento operaio e dai suoi derivati quanto dal recente femminismo (nonostante le sue meritorie ricerche). Una volta che la critica del valore ha assunto quest'essenziale determinazione repressa, essa si è allargata a critica della dissociazione-valore. Il carattere di questo termine doppio indica il problema di esprimere questo contesto nel linguaggio concettuale della ragione borghese, a partire dal quale dev'essere elaborata una nuova comprensione della critica categoriale. In secondo luogo, l'assunzione di questa dimensione ci porta non a caso ad una critica radicale e ad una conseguente storicizzazione della moderna ragione illuminista (incluso il suo controcanto immanente irrazionalista) che sintetizza solo concettualmente una relazione generale mondiale di questa costituzione del feticcio nel senso di un universalismo androcentrico. Questo include anche una critica del "soggetto" della forma di pensiero e di agire socialmente dominante, come "forma di realizzazione" e simultaneamente come "forma di digestione" ideologica della socializzazione negativa attraverso il capitale, che proprio a partire da questo stabilisce un'oggettivizzazione distruttiva del mondo ed un' auto-oggettivizzazione repressiva degli uomini (Kurz, 1993). In qualche modo, qui entrano nel campo visivo i fondamenti delle scienze naturali moderne (Ortlieb, 1998); non come banale "critica delle forze produttive, ma come riflessione sulla connessione interna fra il modello moderno di pensiero delle scienze matematiche della natura e la logica astratta del "lavoro" e della valorizzazione e la loro relazione con la dissociazione sessuale. In terzo luogo, dato il contesto di questa storicizzazione androcentrica della ragione e della forma del soggetto, anche la questione della critica dell'ideologia può essere determinata, nella sua importanza, per mezzo di una nuova elaborazione teorica. Secondo Marx, le categorie capitaliste non sono solo "forme oggettive di esistenza, ma anche "forme oggettive di pensiero". Su questa base avviene un'elaborazione ideologica, per sua natura affermativa e distruttiva; non come "riflesso" automatico", ma come contributo proprio della coscienza che processa in modo positivista ed auto-affermativo le sue condizioni di esistenza, contribuendo così in tal modo alla dinamica oggettivata dello sviluppo capitalista e delle sue forme concrete di sviluppo. La critica del rapporto feticista non può essere ridotta alla critica dell'ideologia (che sfuggirebbe al lato oggettivato), ma deve costituire un elemento integrante della critica della relazione sociale (Scholz 2005, gruppo EXIT 2007).
La teoria critica della dissociazione-valore esprime quindi, contro qualsiasi riduzionismo al campo individuale, la pretesa di una riformulazione paradigmatica che abbraccia la critica sociale radicale; essa non è affatto separata né può essere intesa come suscettibile di essere separata. La teoria della crisi gioca fin dall'inizio un ruolo decisivo. In tal senso, la critica della dissociazione-valore non è da intendere come rilettura filologica astorica, ma come espressione teorica del limite interno assoluto della relazione feticista capitalista che, alla fine del ventesimo secolo, entra nel campo visivo; e questo avviene sia in relazione al suo contesto politico-economico formale sia relativamente alla relazione di dissociazione sessuale, così come in rapporto alla ragione illuminista borghese e ai suoi derivati.
E' proprio quest'aspetto della teoria della crisi ad assumere un ruolo centrale sul terreno del dibattito con il marxismo residuale e il post-marxismo. Si forma qui un'opposizione, non solo come "ortodossia recente" o come post-operaismo, ma anche come riformulazione accademica della teoria di Marx che si presenta come Nuova Lettura di Marx, cui pretende di dare un re-orientamento paradigmatico, posizionandolo in modo completamente diverso. Questo finisce per esprimersi in modo particolarmente forte nella teoria della crisi la quale nei suoi fondamenti e nei suoi presupposti viene interpretata in modo esattamente inverso. La cosa si applica in primo luogo esplicitamente alla posizione di Michael Heinrich (2003, 2004) che assume una posizione di rilievo a sinistra.
La Nuova Lettura di Marx nasce anche in riferimento proprio a quanto riguarda la teoria della crisi e i cosiddetti "anti-tedeschi", i quali in gran parte intendono la propria posizione come "ortodossia di Adorno", dal momento che non rappresentano alcun tipo di nuova interpretazione per quel che riguarda la critica marxiana dell'economia politica come analisi categoriale. Quel che da loro viene considerata "critica del valore anti-tedesca" si muove solo dentro il dominio della digestione ideologica, senza ricorrere al lato oggettivato della dinamica capitalista; e di fatto concludendo con una dichiarazione per cui il capitalismo, come affermazione della ragione illuminista borghese androcentrica, è alla fine un "male minore" rispetto alla barbarie esternelizzata.
Tuttavia, il terreno del dibattito, a partire dal 2003/2004, si differenzia anche attraverso la scissione della stessa critica del valore. Dopo violenti conflitti che finiscono con una completa rottura, una parte del contesto precedente della critica del valore, svolto intorno alla rivista Krisis e a Streifzüge di Vienna, si pone su una posizione teoricamente regressiva. La teoria della dissociazione sessuale viene in parte ignorata, in parte apertamente rigettata ed in parte è fatta oggetto di un tentativo di incorporarla in una comprensione androcentricamente universalista della socializzazione. Questo regresso viene legato ad un miope "orientamento verso la prassi", con un approccio opportunista all'imprenditorialismo dei circoli di sinistra e con l'abbassamento della critica del valore ad una futile ideologia di alternativa riformatrice della vita che passa a lato del problema della sintesi sociale e che prende il posto di un ulteriore sviluppo teorico. Anche la teoria della crisi, insieme alla critica del lavoro, diventa poco profonda e viene ridotta al suo aspetto fenomenologico (1).
Ora, è lo stesso sviluppo sociale, con una rottura qualitativamente nuova e secolare dell'economia mondiale, che ha messo senz'appello all'ordine del giorno della critica radicale del capitalismo e delle sue contraddizioni, la teoria della crisi. Dopo la sua prima formulazione alla fine degli anni 1980, la teoria della crisi della critica della dissociazione-valore nasce soprattutto sotto forma di analisi concreta del crollo del socialismo reale (Kurz, 1991) e di storia delle tre rivoluzioni industriali (Kurz, 1999). Era, e continua ad essere, in ritardo lo sviluppo ulteriore di questa teoria della crisi sul piano della determinazione delle categorie marxiane relative al capitale nella sua dinamica storica. Un primo approccio, lo si fece nel testo del dibattito intorno al concetto di plusvalore relativo (Ortlieb, 2009). A questo compito è stato consacrato un progetto di libro già annunciato, dal titolo "Lavoro morto. La sostanza del capitale e la teoria della crisi di Karl Marx". La sua stesura è stata ritardata, non solo a causa della pressione delle sollecitazioni e dei dibattiti attuali, ma anche per ragioni di contenuto. Si è reso evidente che le questioni concettuali, di teoria della storia, ed epistemologiche, legate alla teoria della crisi categoriale (e proprio per questo, radicale), non possono venire inquadrate in un unico progetto. O, se lo fossero, sarebbe a costo di un'esposizione globale gonfiata, di difficile accesso ad un pubblico non più abituato al dispiegamento di una vasta architettura teorica.
Era previsto che un capitolo del progetto del libro "Lavoro morto" esponesse lo stato della riflessione sulla teoria della crisi nel marxismo residuale e nel post-marxismo, insieme al dibattito intorno alla nuova teoria della crisi della Critica della dissociazione e del valore, dall'inizio degli 1990. Questo capitolo, però, aveva esondato il quadro del progetto, in quanto si era reso necessario trattare una molteplicità dio modelli di argomentazione che nascevano su piani completamente differenti e che mostravano come il problema della crisi viene filtrato, nella percezione della coscienza "critica", attraverso pregiudizi, preconcetti ideologici e teorici, attraverso valutazioni del movimento superficiale capitalista o dalle rispettive "congiunture", e a causa di una comprensione obsoleta della storia e della prassi sociale. Questa griglia di percezione circonda il problema della crisi come fosse una muraglia, per attraversare la quale bisogna combattere al fine di arrivare al cuore dell'analisi categoriale. Il relativo capitolo di "Lavoro Morto" viene ora presentato qui come separato, e come pubblicazione autonoma col titolo di "Crisi e Critica". Lo si può intendere come propedeutico alla teoria della crisi e alla critica categoriale, che in 34 brevi capitoli pensa sullo stato attuale della riflessione sul tema, alla luce dell'insorta crisi economica mondiale reale.
In questa nuova situazione storica, la teoria di Marx, già dichiarata morta ripetute volte, ottiene un'insperata attualità; ed in particolare, naturalmente, la teoria della crisi. Tuttavia non esiste alcuna assicurazione. L'opera di Marx, una molteplicità di testi eterogenei, ha attraversato una storia di interpretazioni, o "versioni", sempre mediata dalla storia del capitalismo e dei movimenti sociali sorti a diversi livelli di sviluppo. Ogni "fine di un'epoca" in questo processo globale esige un taglio nell'interpretazione teorica e nel successivo sviluppo della teoria. Questo vale anche per la teoria della crisi. Perciò la nuova crisi economica mondiale si trova davanti ad un mosaico intricato, nel campo del dibattito intorno alla teoria di Marx, che esige un processo di chiarificazione. Non si arriva a niente senza un conflitto teorico, nel quale si confrontano i diversi modelli di interpretazione, per essere sintetizzati e spiegati nella loro condizionalità storica.
Il testo qui presentato si situa nel contesto di un'elaborazione teorica che fin dagli anni 1980 si propone di riformulare una critica dell'economia politica e che ha assunto una posizione di rilievo rispetto alla teoria della crisi. Quest'approccio teorico si è inizialmente presentato con l'etichetta di "critica del valore", facendo con ciò riferimento ai numerosi passaggi di Marx che definivano il capitalismo fondamentalmente come "il modo di produzione basato sul valore". Ne consegue che la critica del capitalismo non può che essere critica radicale del valore, ossia, una critica, e un superamento teorico come prospettiva pratica, del contesto basilare formale e funzionale di questo modo di produzione e di vita, così come si presenta nelle categorie di lavoro astratto, di forma del valore e della merce, del denaro, del capitale (valorizzazione del valore in quanto "soggetto automatico"), del Mercato e dello Stato, in un contesto che venne definito da Marx come una relazione feticista resasi autonoma rispetto agli attori sociali.
Questa reinterpretazione si concepisce come rottura con il "marxismo del movimento operaio" e i suoi derivati storici; una comprensione della teoria di Marx che si è sempre mossa "verso" queste categorie. Avendo come sfondo una reinterpretazione del lavoro astratto visto come condizione umana e trans-storica, il contesto formale di base veniva fuori ogni volta come un presupposto neutro e ontologico della socialità in generale; perfino il presunto superamento del capitalismo continuava ad esser pensato dentro quelle stesse categorie, come mera statizzazione, come comando e moderazione di tali categorie, in cui la differenza essenziale appariva essere quella "della classe sociale" ("liberazione del lavoro" invece del superamento di quest'astrazione capitalista, "Stato dei lavoratori", ecc.). Questo riferimento tronco a Marx era storicamente condizionato dallo sviluppo non ancora giunto a termine e "non sincronizzato" del capitalismo stesso. Possiamo decifrarlo come "lotta per il riconoscimento" sul terreno delle categorie capitaliste dentro un discorso di "modernità ritardata"; e questo tanto da parte del movimento operaio occidentale, nel senso del suo riconoscimento come soggetto giuridico borghese e cittadino, quanto da parte delle rivoluzioni di modernità ritardata dei paesi della periferia capitalista, nel senso del riconoscimento come partecipanti con uguali diritti, e indipendenti, al mercato mondiale.
Questi punti essenziali della critica del valore costituiscono un terreno di dibattito con le posizioni di seguito denominate come "marxismo residuale" e "post-marxismo", che in parte mantengono il vecchio intendimento ed in parte lo risolvono in diverse direzioni, o lo superano realmente. Qui si include la sinistra politica in senso stretto, così come la "nuova ortodossia" accademica emersa da uno sforzo filologico per la "ricostruzione" della teoria di Marx negli anni 1970 e, non ultima, l'ideologia dei movimenti più recenti, essenzialmente non nemica della teoria, commisurata alla sua falsa immediatezza e fenomenologicamente limitata nella sua percezione, in cui la critica dell'economia politica conduce un'esistenza nell'ombra. Un ruolo particolare lo gioca qui il post-operaismo di Antonio Negri, che reinterpreta a proprio modo il marxismo del movimento operaio in versione post-moderna, dove il lavoro astratto e la forma valore vengono "virtualizzati" positivamente, invece di criticare radicalmente un tale contesto.
Negli anni 1990, la critica del valore comincia ad allargarsi oltre la tematica del contesto della forma dell'economia politica, e questo avviene sotto tre aspetti. In primo luogo, la teoria della dissociazione sessuale di Roswitha Scholz (1992, 2000) fornisce una modifica decisiva, in cui la moderna relazione di genere non viene vista come "contraddizione secondaria derivata", ma come determinazione reale fondamentale della moderna costituzione del feticcio. Nel capitalismo, i momenti di riproduzione non assorbiti nel sistema di lavoro astratto e di valorizzazione, ossia, insuscettibili di rappresentazione o solo difficilmente rappresentabili sotto la forma del denaro, sono dissociati dalla socialità ufficiale, storicamente delegati alle donne e definiti come inferiori. In tal senso il rapporto di dissociazione sessuale è "altrettanto originale" e basata sullo stesso piano di astrazione delle categorie funzionali vigenti, proprio perché ne costituisce il lato "oscuro". Questo contesto è stato trascurato ed omesso tanto dal marxismo del movimento operaio e dai suoi derivati quanto dal recente femminismo (nonostante le sue meritorie ricerche). Una volta che la critica del valore ha assunto quest'essenziale determinazione repressa, essa si è allargata a critica della dissociazione-valore. Il carattere di questo termine doppio indica il problema di esprimere questo contesto nel linguaggio concettuale della ragione borghese, a partire dal quale dev'essere elaborata una nuova comprensione della critica categoriale. In secondo luogo, l'assunzione di questa dimensione ci porta non a caso ad una critica radicale e ad una conseguente storicizzazione della moderna ragione illuminista (incluso il suo controcanto immanente irrazionalista) che sintetizza solo concettualmente una relazione generale mondiale di questa costituzione del feticcio nel senso di un universalismo androcentrico. Questo include anche una critica del "soggetto" della forma di pensiero e di agire socialmente dominante, come "forma di realizzazione" e simultaneamente come "forma di digestione" ideologica della socializzazione negativa attraverso il capitale, che proprio a partire da questo stabilisce un'oggettivizzazione distruttiva del mondo ed un' auto-oggettivizzazione repressiva degli uomini (Kurz, 1993). In qualche modo, qui entrano nel campo visivo i fondamenti delle scienze naturali moderne (Ortlieb, 1998); non come banale "critica delle forze produttive, ma come riflessione sulla connessione interna fra il modello moderno di pensiero delle scienze matematiche della natura e la logica astratta del "lavoro" e della valorizzazione e la loro relazione con la dissociazione sessuale. In terzo luogo, dato il contesto di questa storicizzazione androcentrica della ragione e della forma del soggetto, anche la questione della critica dell'ideologia può essere determinata, nella sua importanza, per mezzo di una nuova elaborazione teorica. Secondo Marx, le categorie capitaliste non sono solo "forme oggettive di esistenza, ma anche "forme oggettive di pensiero". Su questa base avviene un'elaborazione ideologica, per sua natura affermativa e distruttiva; non come "riflesso" automatico", ma come contributo proprio della coscienza che processa in modo positivista ed auto-affermativo le sue condizioni di esistenza, contribuendo così in tal modo alla dinamica oggettivata dello sviluppo capitalista e delle sue forme concrete di sviluppo. La critica del rapporto feticista non può essere ridotta alla critica dell'ideologia (che sfuggirebbe al lato oggettivato), ma deve costituire un elemento integrante della critica della relazione sociale (Scholz 2005, gruppo EXIT 2007).
La teoria critica della dissociazione-valore esprime quindi, contro qualsiasi riduzionismo al campo individuale, la pretesa di una riformulazione paradigmatica che abbraccia la critica sociale radicale; essa non è affatto separata né può essere intesa come suscettibile di essere separata. La teoria della crisi gioca fin dall'inizio un ruolo decisivo. In tal senso, la critica della dissociazione-valore non è da intendere come rilettura filologica astorica, ma come espressione teorica del limite interno assoluto della relazione feticista capitalista che, alla fine del ventesimo secolo, entra nel campo visivo; e questo avviene sia in relazione al suo contesto politico-economico formale sia relativamente alla relazione di dissociazione sessuale, così come in rapporto alla ragione illuminista borghese e ai suoi derivati.
E' proprio quest'aspetto della teoria della crisi ad assumere un ruolo centrale sul terreno del dibattito con il marxismo residuale e il post-marxismo. Si forma qui un'opposizione, non solo come "ortodossia recente" o come post-operaismo, ma anche come riformulazione accademica della teoria di Marx che si presenta come Nuova Lettura di Marx, cui pretende di dare un re-orientamento paradigmatico, posizionandolo in modo completamente diverso. Questo finisce per esprimersi in modo particolarmente forte nella teoria della crisi la quale nei suoi fondamenti e nei suoi presupposti viene interpretata in modo esattamente inverso. La cosa si applica in primo luogo esplicitamente alla posizione di Michael Heinrich (2003, 2004) che assume una posizione di rilievo a sinistra.
La Nuova Lettura di Marx nasce anche in riferimento proprio a quanto riguarda la teoria della crisi e i cosiddetti "anti-tedeschi", i quali in gran parte intendono la propria posizione come "ortodossia di Adorno", dal momento che non rappresentano alcun tipo di nuova interpretazione per quel che riguarda la critica marxiana dell'economia politica come analisi categoriale. Quel che da loro viene considerata "critica del valore anti-tedesca" si muove solo dentro il dominio della digestione ideologica, senza ricorrere al lato oggettivato della dinamica capitalista; e di fatto concludendo con una dichiarazione per cui il capitalismo, come affermazione della ragione illuminista borghese androcentrica, è alla fine un "male minore" rispetto alla barbarie esternelizzata.
Tuttavia, il terreno del dibattito, a partire dal 2003/2004, si differenzia anche attraverso la scissione della stessa critica del valore. Dopo violenti conflitti che finiscono con una completa rottura, una parte del contesto precedente della critica del valore, svolto intorno alla rivista Krisis e a Streifzüge di Vienna, si pone su una posizione teoricamente regressiva. La teoria della dissociazione sessuale viene in parte ignorata, in parte apertamente rigettata ed in parte è fatta oggetto di un tentativo di incorporarla in una comprensione androcentricamente universalista della socializzazione. Questo regresso viene legato ad un miope "orientamento verso la prassi", con un approccio opportunista all'imprenditorialismo dei circoli di sinistra e con l'abbassamento della critica del valore ad una futile ideologia di alternativa riformatrice della vita che passa a lato del problema della sintesi sociale e che prende il posto di un ulteriore sviluppo teorico. Anche la teoria della crisi, insieme alla critica del lavoro, diventa poco profonda e viene ridotta al suo aspetto fenomenologico (1).
Ora, è lo stesso sviluppo sociale, con una rottura qualitativamente nuova e secolare dell'economia mondiale, che ha messo senz'appello all'ordine del giorno della critica radicale del capitalismo e delle sue contraddizioni, la teoria della crisi. Dopo la sua prima formulazione alla fine degli anni 1980, la teoria della crisi della critica della dissociazione-valore nasce soprattutto sotto forma di analisi concreta del crollo del socialismo reale (Kurz, 1991) e di storia delle tre rivoluzioni industriali (Kurz, 1999). Era, e continua ad essere, in ritardo lo sviluppo ulteriore di questa teoria della crisi sul piano della determinazione delle categorie marxiane relative al capitale nella sua dinamica storica. Un primo approccio, lo si fece nel testo del dibattito intorno al concetto di plusvalore relativo (Ortlieb, 2009). A questo compito è stato consacrato un progetto di libro già annunciato, dal titolo "Lavoro morto. La sostanza del capitale e la teoria della crisi di Karl Marx". La sua stesura è stata ritardata, non solo a causa della pressione delle sollecitazioni e dei dibattiti attuali, ma anche per ragioni di contenuto. Si è reso evidente che le questioni concettuali, di teoria della storia, ed epistemologiche, legate alla teoria della crisi categoriale (e proprio per questo, radicale), non possono venire inquadrate in un unico progetto. O, se lo fossero, sarebbe a costo di un'esposizione globale gonfiata, di difficile accesso ad un pubblico non più abituato al dispiegamento di una vasta architettura teorica.
Era previsto che un capitolo del progetto del libro "Lavoro morto" esponesse lo stato della riflessione sulla teoria della crisi nel marxismo residuale e nel post-marxismo, insieme al dibattito intorno alla nuova teoria della crisi della Critica della dissociazione e del valore, dall'inizio degli 1990. Questo capitolo, però, aveva esondato il quadro del progetto, in quanto si era reso necessario trattare una molteplicità dio modelli di argomentazione che nascevano su piani completamente differenti e che mostravano come il problema della crisi viene filtrato, nella percezione della coscienza "critica", attraverso pregiudizi, preconcetti ideologici e teorici, attraverso valutazioni del movimento superficiale capitalista o dalle rispettive "congiunture", e a causa di una comprensione obsoleta della storia e della prassi sociale. Questa griglia di percezione circonda il problema della crisi come fosse una muraglia, per attraversare la quale bisogna combattere al fine di arrivare al cuore dell'analisi categoriale. Il relativo capitolo di "Lavoro Morto" viene ora presentato qui come separato, e come pubblicazione autonoma col titolo di "Crisi e Critica". Lo si può intendere come propedeutico alla teoria della crisi e alla critica categoriale, che in 34 brevi capitoli pensa sullo stato attuale della riflessione sul tema, alla luce dell'insorta crisi economica mondiale reale.
- Robert Kurz - 2012
(1) - Il termine Krisis rappresenta già nel titolo della rivista teorica originale, l'auto-comprensione nel contesto di una rottura storica. Questo marchio è stato usurpato dai rappresentanti di una critica del valore tronca, attraverso un "golpe" basato sul formalismo associativo. Il che sarebbe irrilevante se tutto il nuovo approccio teorico sul terreno posteriore della critica sociale non continuasse ad essere designato in modo puramente formale come "teoria di Krisis", anche se questo nome faceva parte della storia solo del progetto originale, e la continuazione dello sviluppo della critica della dissociazione-valore, dal 2004, si trova soprattutto nella nuova rivista EXIT. Questo ha anche a che vedere con il fatto che la residuale critica del valore di Krisis, non originale e prasseologicamente ridotta, sia vista con piacere nelle iniziative congressiste della sinistra residuale come uno sparring-partner "poco esigente". Le questioni teoriche fondamentali, e il confronto sui contenuti ad esse associati, non possono essere aboliti dal mondo e finiscono per determinare lo sviluppo del dibattito, cosa che si ripercuoterà ogni volta sulla percezione del pubblico interessato alla critica sociale.
fonte: EXIT!
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