venerdì 12 settembre 2014

Cause ed effetti

Il testo che segue, venne scritto da Robert Kurz quasi sette anni fa, nel novembre del 2007, per "Widersprüch"(Zurigo), una rivista svizzera di sinistra, dove venne pubblicato nel mese di gennaio dell'anno successivo. Riletto oggi, alla luce degli sviluppi della crisi finanziaria e degli avvenimenti mondiali attualmente in corso, assume una bruciante attualità.

cover

Ordine mondiale e denaro mondiale
Il ruolo economico della macchina militare degli Stati Uniti nel capitalismo globale e i motivi occulti della nuova crisi finanziaria
di Robert Kurz

Dal 1989, quando si parla della "fine di un'era", nella maggior parte dei casi le persone si riferiscono alla caduta della Repubblica Democratica Tedesca e del socialismo di Stato, in Russia e nell'Europa Orientale; alla sua sequenza, alla fine della guerra fredda fra i due blocchi, e alla fine delle guerre "calde" fatte per procura nei cortili della periferia del mercato mondiale. Secondo gli euforici della libertà di allora, la presunta vittoria del capitalismo, parallelamente all'inevitabile generalizzazione della "economia di mercato" e alla costituzione di uno spazio economico unificato globale, secondo lo standard occidentale, avrebbe dovuto annunciare una nuova era di prosperità mondiale, di disarmo e di pace. Una tale aspettativa si è poi rivelata completamente illusoria. Negli ultimi 17 anni, quello che invece si è sviluppato è stato il contrario dei pronostici egoistici degli ottimisti di professione. La globalizzazione ha creato, ad ondate successive, sempre più zone di povertà di massa, di guerre civili senza prospettive, ed un terrorismo postmoderno neo-religioso che può essere descritto solamente come barbaro. L'Occidente, sotto la direzione dell'ultima potenza mondiale, gli Stati Uniti d'America, ha reagito a tutto questo con "guerre di ordinamento mondiale", con la consueta mancanza di prospettive e con un'amministrazione precaria della crisi planetaria.
Evidentemente, l'interpretazione degli eventi post-1989 era puramente superficiale, e quindi non ha funzionato. Nei fatti, allora, non era solo crollato, semplicemente ed isolatamente, il blocco dell'Est, in quanto "sistema di penuria concepito male", ma avevano seguito lo stesso destino anche molti paesi di orientamento occidentale del cosiddetto Terzo Mondo. Ma non solo: anche nei paesi centrali occidentali, il "miracolo economico" si era afflosciato da molto tempo, con tassi di crescita sempre in discesa. Si è costituita da allora un disoccupazione strutturale di massa, che va di pari passo con la sottoccupazione e la precarietà del lavoro. Sotto la pressione di queste tendenze, avrebbe potuto imporsi un'interpretazione completamente diversa, e cioè, che si trattava di una crisi generale del moderno sistema produttore di merci, la quale non risparmiava i propri centri capitalisti. In questa prospettiva, il cosiddetto socialismo reale del blocco dell'Est non aveva costituito un'alternativa storica, bensì un sistema di capitalismo di Stato della "modernizzazione ritardata" nella periferia del mercato mondiale, del quale mercato era parte integrante. Dopo che, con la fine dei vecchi regimi di sviluppo di diverso colore, gli "anelli più deboli" di questo sistema mondiale erano stati i primi a spezzarsi, il processo di crisi ha proseguito inarrestabile nello spazio della globalizzazione diretta.
La terza rivoluzione industriale viene considerata, e non senza ragione, la causa di gran lunga più profonda della nuova crisi mondiale. Per la prima volta nella storia del capitalismo, il potenziale di razionalizzazione supera le possibilità di espansione dei mercati. Nella concorrenza di crisi, il capitale dissolve la sua propria "sostanza lavoro" (Marx). Il rovescio della disoccupazione strutturale di massa e della sottoccupazione su scala mondiale è, perciò, la fuga del capitale monetario verso la famosa economia delle "bolle finanziarie", una volta che gli investimenti addizionali nell'economia reale smettono di essere redditizi; questo lo si può dedurre dall'eccesso di capacità produttiva a livello globale (in modo esemplare, nell'industria automobilistica) e dalle battaglie speculative fatte a colpi di "fusioni e acquisizioni".
L'interpretazione, qui abbozzata a grandi linee, viene considerata, alla fine degli anni 1990, pertinente e perfino plausibile, almeno per quel che riguarda parte della critica sociale di sinistra. Tuttavia, le persone si abituano al fatto che il capitale possa in qualche modo continuare a vivere, anche per mezzo di un'accumulazione simulata fatta di "bolle finanziarie" ("crescita senza occupazione"). E poi la recente industrializzazione ai fini dell'esportazione, avvenuta in Asia, soprattutto in Cina, non indicherebbe forse ancora una nuova era di crescita reale, non solo in Europa? Simultaneamente, le guerre per l'ordine mondiale sembrano ridursi, in maniera molto banale, agli ordinari interessi per il petrolio, poiché rischia di mancare il "prodotto" necessario alla cultura di combustione capitalistica. In un tale contesto, allora quella che sta per arrivare non è forse una nuova concorrenza imperialista di blocchi, per esempio fra gli Stati Uniti, l'Europa e la Cina? Con considerazioni di questo tipo, la sinistra in gran parte regredisce, con qualche modifica, al suo vecchio modello di pensiero precedente al cambiamento di un'era. Esistono, tuttavia, buone ragioni per credere che questa reinterpretazione fornisca una mera caricatura della realtà che, a ben guardare, si presenta in modo completamente differente. In questo contesto è essenziale lo statuto politico-economico dell'ultima potenza mondiale, gli Stati Uniti d'America, nel capitalismo di crisi globale.

La crisi del denaro e del sistema monetario mondiale

La crisi mondiale della terza rivoluzione industriale, e della globalizzazione degli ultimi due decenni, risale, per così dire, ad una crisi del denaro che sta cuocendo a fuoco basso già da molto tempo, vale a dire dalla prima guerra mondiale. Finora il carattere del denaro - come "merce a parte" (equivalente generale) dotata di una sostanza di valore autonoma - veniva riconosciuto in modo quasi unanime. Perciò, le valute dei grandi paesi capitalisti dovevano avere una "copertura" in riserve auree nelle banche centrali. L'oro era il vero denaro mondiale, la "lingua franca" del mercato mondiale; e la sterlina della potenza mondiale di quel tempo, la Gran Bretagna, poteva funzionare come moneta mondiale solo grazie alla sua "parità aurea". Eppure, le economie industriali di guerra delle due guerre mondiali e le forze produttive della seconda rivoluzione industriale (produzione fordista di massa, linea di montaggio, "automobilizzazione") smisero di poter essere espresse, anche in una fase di circolazione accelerata, dal "vincolo all'oro" del denaro, vincolo che perciò doveva essere tagliato. In altre parole, la sostanza valore del denaro, che si basava sulla sostanza condensata del lavoro del metallo nobile detto oro, non poteva essere mantenuta. Così, la "desustanzializzazione" si fece sentire sul piano del denaro - equivalente generale, in quanto "merce-regina" e forma di apparenza del capitale - già molto prima che sul piano della volgare "feccia della merce", dove solo oggi, nel corso della terza rivoluzione industriale, si rende manifesta. La conseguenza fu una "inflazione secolare", completamente sconosciuta nel XIX secolo, una svalutazione ininterrotta del denaro - ora galoppante (iper-inflazione), ora latente.
Nonostante l'effetto inflazionistico, alcuni teorici fecero di necessità virtù, dichiarando non necessario il vincolo del denaro all'oro, e dichiarando il denaro essere un mero simbolo, che doveva solo essere solo garantito giuridicamente dallo Stato (così, ad esempio, già Knapp, nel 1905). Ma il crollo del mercato mondiale e la crisi dell'economia mondiale negli anni 1930, ebbe anche a che fare con la mancanza di una moneta mondiale riconosciuta, una volta che erano falliti tutti i tentativi di tornare al vincolo con l'oro in Europa. Quando, nel 1944, a Bretton Woods, vennero poste le basi di un ordinamento economico e monetario del dopoguerra, al coperto della "Pax Americana", quest'ordine venne disegnato per avere come base il dollaro, come nuova valuta di riserva e di commercio mondiale. Alla base di questo, non c'era solo l'innegabile posizione industriale degli Stati Uniti (dovuta soprattutto al poderoso impulso verso la crescita dell'economia di guerra), ma anche il fatto che il dollaro era l'unica moneta convertibile in oro. Nel famoso Fort Knox si trovavano tre quarti delle riserve mondiali d'oro.
Solo su questa base di ordine monetario mondiale di Bretton Woods, e di cambi fissi in relazione al dollaro, si poté sviluppare il "miracolo economico" del dopoguerra, all'ombra della guerra fredda. Ma la ripresa dell'Europa e del Giappone, sul mercato mondiale in espansione, cominciò a corrodere il dominio economico degli Stati Uniti e, di conseguenza, la sostanza d'oro del dollaro. Nella misura in cui la quota-parte nell'esportazione di merci e di capitali si modificava a sfavore degli Stati Uniti, anche il dollaro perdeva forza e veniva sempre più sostituito dall'oro. Le riserve di Fort Knox si scioglievano. Nel 1973, il presidente Nixon si vide obbligato a revocare la convertibilità del dollaro in oro.
Così ebbe fine il sistema di Bretton Woods. I tassi di cambio tornarono ad essere liberalizzati, "fluttuando" in modo conforme alla situazione dei mercati, cosa che costituì il punto di partenza per una speculazione monetaria del tutto nuova, avente come base le oscillazioni dei tassi di cambio, con pericolose ripercussioni sull'economia reale.
Tuttavia, dal momento che non si verificò la grande catastrofe, nonostante la crisi monetaria mondiale degli anni 1970, il problema del denaro e della moneta venne da allora considerato empiricamente risolto, anche fra i teorici di sinistra: contrariamente all'opinione di Marx, il carattere del denaro come "merce a parte", con una sostanza di valore propria, sarebbe stata definitivamente storia passata (si veda, per esempio, Heinrich, 2004). Ma la pratica,  in nessun modo sicura, delle relazioni monetarie flessibili, in uno spazio di tempo, storicamente breve, di pochi decenni, non dice niente di essenziale sulla sostenibilità della nuova costellazione, tanto più che le crisi monetarie nella periferia, negli anni 1990 in Asia e dopo la fine del secolo in Argentina, indicano un problema che rimane latente.

Dal dollaro-oro al dollaro-armamento

La crisi monetaria mondiale degli anni '70 si concluse senza grandi perdite perché il dollaro, nonostante la cessazione della sua convertibilità in oro, riuscì a mantenere quasi intatta la sua funzione di denaro mondiale, cioè, come moneta di riserva e di commercio mondiale, in mancanza di un'alternativa credibile. In caso contrario, il risultato sarebbe stato già allora una ripetizione della catastrofe degli anni '30, elevata ad una potenza superiore, poiché senza la funzione di un denaro mondiale il mercato mondiale poteva implodere. Tuttavia, la ricostituzione del dollaro come moneta mondiale avvenne su una base completamente nuova. Invece della sostanza del valore del denaro fondata sull'oro, nasceva ora, in maniera efficace, una sorta di garanzia "politica", non solo giuridico-formale, ma essenzialmente militare. La moneta della potenza mondiale, o "super-potenza" dell'emisfero occidentale, assumeva ora la sua funzione di denaro mondiale in virtù di questa base di potere.
Si consumava qui uno strano processo reciproco: in misura che la posizione economica degli Stati Uniti declinava sul mercato mondiale regolare dei flussi di merce e capitale (un processo che continua anche oggi), cresceva continuamente il "complesso -militare-industriale", già così definito dal presidente Eisenhower. Gli esorbitanti tassi di crescita dell'industria di armamento nel corso della seconda guerra mondiale proseguivano, sotto la forma di una molto discussa "economia di guerra permanente". In questo contesto, anche la terza rivoluzione industriale della micro-elettronica portava sempre a nuovi sistemi di armamento d'alta tecnologia e apriva il cammino dell'industrializzazione all'elettronizzazione della guerra. Con lo sviluppo delle successive generazioni di armi, gli Stati Uniti si collocavano in una posizione irraggiungibile dal resto del mondo, rispetto all'armamento. Il presidente Reagan forzava ancora di più questa tendenza. L'Unione Sovietica, come potenza avversaria con la sua "modernizzazione ritardata", soccombe, alla fine, a causa delle contraddizioni interne di una "economia capitalista pianificata", ma era anche "armata fino alla morte" e non era riuscita a tenere la corsa verso l'alta tecnologia, né sul piano economico, né sul piano militare.
Il "fattore extra-economico" della macchina militare degli Stati Uniti, sempre più senza concorrenza, dà anche luogo ad un tremendo potere economico. E' vero che negli Stati Uniti c'è stato chi ha messo in guardia contro il cammino inarrestabile di una "economia di guerra permanente", nella misura in cui questa va ad innescare una valanga di debito pubblico. Sebbene Reagan, rigorosamente neoliberista e monetarista, avesse brutalmente tagliato i programmi sociali keynesiani dei suoi predecessori, aveva dovuto poi far esplodere il "keynesismo dell'armamento", contro la sua propria dottrina. Così, il complesso militare-industriale già gonfiato, diventa sotto molti aspetti il supporto per la crescita e la macchina per l'occupazione (anche se in forme derivate). L'economia degli Stati Uniti dà segnali di forza interna nominale, anche se sempre più deboli, sul mercato mondiale.
Il debito astronomico legato a questo processo di militarizzazione economica, ha smesso di poter essere finanziato con i propri risparmi già negli anni '80. Ma la potenza economica della macchina militare si ripercuote anche sulle relazioni esterne. E' stato precisamente il potere militare degli Stati Uniti, come "polizia mondiale", che ha fatto sembrare che si potesse offrire un "porto sicuro" ai mercati finanziari globali. Questa impressione si era rafforzata ulteriormente anche dopo la presunta vittoria sul sistema avversario dell'Est. Il dollaro aveva mantenuto la sua funzione di moneta mondiale attraverso la sua metamorfosi da dollaro-oro a dollaro-armamento. Ed il carattere strategico delle guerre di ordinamento mondiale, negli anni '90 e dopo la fine del secolo, nel Vicino Oriente, nei Balcani e in Afghanistan, erano consistite principalmente nel perpetuare il mito del "porto sicuro" e, con esso, il dollaro come moneta mondiale attraverso la dimostrazione della capacità d'intervento militare globale. Su questa base, in un'ultima istanza irrazionale, il capitale monetario eccedente nella terza rivoluzione industriale (già non più suscettibile di investimento reale redditizio) fluisce sempre più da tutto il mondo verso gli Stati Uniti, finanziando così indirettamente la macchina militare e di armamento.

La maggior bolla finanziaria di tutti i tempi ed il miracolo del consumo degli Stati Uniti

Il limite interno della valorizzazione reale del capitale nella terza rivoluzione industriale, aveva promosso in tutto il mondo a fuga verso la super-struttura del credito e verso un'economia di bolle finanziarie. Questa economia di crisi del capitalismo finanziario doveva per forza concentrarsi sul presunto "porto sicuro" dello spazio del dollaro. Quanto più capitale monetario eccedente vagava per i mercati finanziari globali, tanto maggiore diventa la capacità degli Stati Uniti di risucchiare ed assorbire questi torrenti monetari. In tal modo si veniva a formare "proprio nel paese di Dio", "la madre di tutte le bolle finanziarie". Attraverso la vendita dei titoli del tesoro americano in tutto il mondo, non solo si finanziava il boom dell'armamento indebitato. Parallelamente a questo, si gonfiavano anche a dismisura i mercati azionari degli Stati Uniti degli anni '90 e i mercati immobiliari di dopo la fine del secolo. Si gettano così le basi per una nuova qualità del debito.
A lato del complesso militare-industriale, si formava anche un secondo pilastro di crescita apparente, "irregolare", dell'economia interna degli Stati Uniti. In virtù della dispersione della proprietà delle azioni e degli immobili, molto maggiore che in Europa, può essere messo in moto un paradossale "miracolo del consumo". Seppure i salari reali, in media, continuavano a ristagnare o perfino a regredire rispetto agli anni '70, il consumo diventava sempre più il supporto decisivo della crescita. La causa profonda di questo boom non era in alcun modo il tanto invocato "miracolo dell'occupazione". Questo - al di là dell'occupazione nel complesso militare-industriale, per parte sua dipendente dallo stato di indebitamento statale - creava soprattutto posti di lavoro di miseria nel settore dei servizi, la famosa "povertà domestica". A causa della posizione debole degli Stati Uniti sul mercato mondiale, anche l'occupazione nel settore delle esportazioni tendeva a diminuire.
Il boom del consumo era alimentato - e lo è ancora oggi - non tanto dai redditi salariali regolari quanto, e in primo luogo, dalle bolle finanziarie dei mercati azionari e immobiliari. I guadagni derivati, provenienti dagli aumenti fittizi del valore dei rispettivi titoli di proprietà, a causa della loro ampia dispersione, si riflettevano in milioni di casi di indebitamento mediante carte di credito o crediti ipotecari, su una scala mai vista prima. La garanzia era costituita proprio dai prezzi accresciuti, prima delle azioni e poi degli immobili. L'ingresso massiccio del capitale monetario eccedente di tutto il mondo verso il supposto "porto sicuro" del dollaro avveniva per finanziare, non solo il consumo armamentista indebitato, ma anche, allo stesso modo, il consumo privato indebitato. E' questa la meravigliosa macchina del denaro che ha alimentato il miracolo del consumo negli Stati Uniti.

Il circuito del deficit del Pacifico e la congiuntura mondiale

La debolezza dell'economia reale degli Stati Uniti sul mercato mondiale ha avuto come effetto un deficit della bilancia commerciale che ha continuato a crescere. In termini relativi, nell'economia interna dell'ultima potenza mondiale, dominata dal complesso armamentista e dalla prestazione di servizi, vengono prodotte sempre meno merci industriali; in alcune aree la regressione è stata addirittura assoluta. La maggior parte dei cittadini americani, che si sono indebitati sulla base della crescita continua del prezzo delle azioni e degli immobili, consumano sempre più merci prodotte nei nostri paesi. In tal modo si è dato impulso ad un circuito di deficit globale, che si è fatto notare per la prima volta negli anni '80, ha poi accelerato negli anni '90 ed oggi comincia a surriscaldarsi. Se, in un primo momento, era scivolato soprattutto verso un saldo negativo della bilancia commerciale nei confronti del Giappone, il deficit non ha tardato a crescere anche nei confronti dei piccoli Stati asiatici e dell'Europa, per poi alla fine traboccare incredibilmente nel traffico merci con i colossi India e Cina. Oggi quasi non esiste una zona industriale del mondo che non abbia un saldo positivo nel commercio con gli Stati Uniti.
Il rovescio dell'indebitamento monetario esterno, avvenuto attraverso l'assorbimento dei flussi globali di capitale, consiste conseguentemente nel fatto che, all'inverso, anche i flussi eccedenti globali dei mercati, vengono assorbiti. In altre parole: i consumatori americani (Stato e privati) prendono in prestito il denaro con cui pagano i fornitori di quello che è un alluvione di merci. In questo modo, gli USA sono diventati il buco nero dell'economia mondiale. Tuttavia, ciò implica una doppia dipendenza reciproca. Se i meravigliosi consumatori americani non stessero, per così dire, consumando eroicamente la produzione eccedente di tutto il mondo, la crisi dell'economia mondiale della terza rivoluzione industriale si sarebbe già da molto tempo manifestata con tutto il suo peso. Inoltre non si tratta di un flusso di merci fra economie nazionali separate, ma di movimenti all'interno della globalizzazione dell'economia di impresa. Sono soprattutto le grandi imprese americane, come i giapponesi e gli europei, ad usare la Cina come perno delle catene trans-nazionali di creazione di valore, a causa della struttura di bassi salari e, a partire da questo, rifornire gli Stati Uniti ed altri luoghi. I corrispondenti investimenti si limitano perciò alle "zone economiche di esportazione" e non hanno niente a che vedere con uno "sviluppo" economico nazionale tradizionale della Cina, dell'India, ecc..
La strada a senso unico dell'esportazione dall'Asia che passa dal Pacifico verso gli USA, ha trasformato però il circuito del deficit in un volano che muove tutta l'economia mondiale. L'industria europea non solo fornisce agli USA, come le altre regioni del mercato mondiale, una parte delle sue eccedenze per via diretta, ma allo stesso tempo esporta sempre più componenti di produzione verso la macchina tritatutto dell'esportazione asiatica (soprattutto nel settore della costruzione di macchine). Il famigerato "recupero" degli ultimi anni si deve quindi quasi esclusivamente a questa economia voodoo. E' vero che, periodicamente, ci sono avvisaglie del pericolo di questi crescenti "squilibri dell'economia mondiale", sotto forma di deficit esterni accumulati dagli Stati Uniti. Ma, visto che in qualche modo è passato anche tanto tempo, nella maggior parte dei casi l'allarme in seguito viene disattivato.

Il prossimo scenario della crisi del credito e del dollaro

Nel corso del 2007, tuttavia, si sono addensate minacciose nuvole nere sull'orizzonte dell'economia mondiale. Questo non poteva non accadere: si stava svuotando la bolla immobiliare americana, il principale combustibile del consumo negli ultimi anni, e i prezzi delle case, si stavano abbassando sotto i nostri occhi. In questo modo, i crediti ipotecari nel settore "subprime" (mutuatari senza un proprio capitale degno di nota) cominciavano a trovarsi nei guai su vasta scala. In pochi mesi, si rivelava la dimensione che la crisi finanziaria crescente avrebbe potuto assumere: improvvisamente, banche e casse di risparmio di molti paesi si trovavano sotto una massiccia pressione per ammortizzare crediti in sofferenza, poiché i titoli del debito americano circolavano su scala globale. Ma questo è solo l'inizio. A causa dei cicli di rotazione del capitale di credito e del capitale reale, che spesso si estendono per un raggio di anni, la portata reale della crisi del credito sarà  visibile negli anni dal 2008 al 2010. Se, in questo spazio di tempo, il consumo americano subirà una profonda rottura, non solo ci sarà una battuta d'arresto nei mercati globali delle azioni, ma rimarrà paralizzato anche il circuito del deficit del Pacifico e, con esso, la situazione mondiale. Nessuno può prevedere con esattezza le sue dimensioni, ma la crisi minaccia di superare tutti i fenomeni di crisi della terza rivoluzione industriale degli ultimi 20 anni.
E' come fischiare per cercare di spaventare la paura, quando i commentatori economici fingono ancora di sperare che la situazione interna, nell'Unione Europea ed in Cina, possa improvvisamente tornare "auto-sostenuta" e sostituire così il consumo degli Stati Uniti, come succhiatori dei torrenti eccedenti del mercato. Da dove dovrebbe provenire il potere di acquisto per queste regioni, se non è sorto finora, nonostante il boom delle esportazioni? Simultaneamente si apre un doppio dilemma rispetto agli interessi. Alle crisi asiatiche degli anni '90 e al crollo della New Economy virtuale dopo il 2000 si era fatto fronte ancora mediante una corsa al ribasso degli interessi delle banche centrali che avevano inondato i mercati con denaro a buon mercato. E' questo quello che ora i mercati finanziari sperano di nuovo dalla Federal Reserve americana, e che le altre banche centrali si adeguino. Ma, da una parte, un nuovo diluvio di dollari potrebbe risvegliare il potenziale d'inflazione già molto latente per la "inflazione patrimoniale" dei titoli di debito, e far passare ad uno stadio galoppante la secolare svalutazione del denaro, qualora si pretendesse di alimentare in tal modo il consumo moribondo degli Stati Uniti. Dall'altro lato, si ritiene che l'afflusso di capitale monetario eccedente verso gli USA potrebbe diminuire se la Banca Centrale Europea, prima di un'inflazione crescente, facesse degli aggiustamenti ed annullasse così la differenza di interessi fra USA e Unione Europea. La simultaneità della depressione e dell'inflazione diventa una possibilità.
Il dilemma degli interessi, come risultato della diffusione in tutto il mondo della crisi del credito degli Stati Uniti, comincia anche a mettere in discussione la funzione del dollaro come moneta mondiale. Dietro il problema sta, in ultima analisi, il gigantesco deficit esterno accumulato, che chiede una svalutazione drastica del dollaro ed un'egualmente drastica rivalutazione delle monete con eccedenza di esportazioni. Infatti, in passato il dollaro era già stato svalutato diverse volte in forma controllata, cosa che aveva portato i paesi creditori a dover pagare una parte dei debiti degli Stati Uniti. Ora, però, si immagina una caduta incontrollata, che è già iniziata nei confronti dell'euro, in quanto le monete asiatiche vengono ancora mantenute artificialmente basse. Se, tuttavia, la crisi del credito si ripercuotesse pienamente, anche questa barriera crollerebbe. A questo punto è arrivata alla fine, non solo la capacità di finanziamento del complesso militare-industriale, ma anche il mito del "porto sicuro".
Il posto del dollaro, però, non può essere occupato da nessun'altra moneta mondiale, anche se si fa molta propaganda a favore dell'euro, in tal senso. L'euro non può assumere il ruolo del dollaro perché non ha le basi per farlo, né in oro, né in armamento. La crisi del denaro mondiale ed il potenziale d'inflazione ad essa associato indicano che è matura una crisi di liquidità del denaro in generale. Si delinea anche un aumento inarrestabile del prezzo dell'oro, con successivi nuovi record, che accompagna la crisi monetaria in formazione: il carattere di merce del denaro, con sostanza di valore propria, viene imposto dalla crisi. L'oro, da semplice materia prima, si trasforma nuovamente nel vero denaro, il denaro mondiale, ma le forze produttive della terza rivoluzione industriale non possono più essere mediate da movimenti del mercato mondiale che abbiano come base l'oro. Sarebbe come tentare di svuotare l'oceano usando un cucchiaino da caffè, in oro. La situazione del periodo fra le due guerre minaccia di ritornare, ma ad un livello di sviluppo molto più elevato.

Crisi mondiale, ideologia mondiale e guerra civile mondiale

Quello che ci si aspetta dalla critica sociale emancipatrice, in questa situazione di un limite interno storico del capitalismo, è la ridefinizione del socialismo, al di là delle forme feticistiche di mercato, di denaro, di Stato nazionale e delle relazioni di genere che a queste forme sono state associate. Però, nella misura in cui la sinistra, invece, torna ai suoi vecchi modelli di interpretazione e cerca una nuova  "forza" immanente, nelle nuove costellazioni mondiali, suscettibile di essere utilizzata positivamente, minaccia di diventare reazionaria. In queste circostanze, la critica del capitalismo si converte spesso in un aperto o strutturale antiamericanismo ed antisemitismo. Le "forme di pensiero oggettivo" (Marx) del feticcio del capitale, che includono una "inversione della realtà", costituiscono (se non vengono distrutte) la base per una digestione ideologica della crisi, come quella che già nel periodo fra le due guerre ha portato a risultati devastanti. Nel contesto della globalizzazione del capitale, il risultato è un'ideologia mondiale assassina. Cause ed effetti, vengono invertiti: la crisi del credito sorgerebbe, non come effetto dell'esaurimento dell'accumulazione reale, ma come risultato della "avidità del capitale finanziario" (un'idea da 200 anni legata ai cliché antisemiti); il ruolo degli Stati Uniti e del dollaro-armamento nascerebbero, non come condizione comune trasversale a tutto il capitale globalizzato, ma come oppressione imperiale sul resto del mondo.
Il motivo di quest'inversione ideologica è oggi il desiderio disperato di rifugiarsi di nuovo nei tempi della prosperità fordista e della regolazione keynesiana. In quest'ambito si afferma, anche perfino dentro la sinistra radicale, una scelta nel senso di sostituire "la versione americana, unilaterale dell'Impero" (Hardt/Negri, 2004) con una globalizzazione "democratica" sotto la direzione dell'Unione Europea, e probabilmente con l'euro come nuova moneta di commercio mondiale e di riserva. Questa scelta non solo è del tutto cieca alla crisi, ma ignora anche il contesto interno del capitale mondiale ed il carattere dell'Unione Europea. Inoltre, tra le idee fantasmagoriche d'alleanza di questo riformismo mondiale virtuale, qualcuna di esse è davvero orripilante; per esempio, quando si pretende di includere il regime della Gazprom e dei servizi segreti di Putin, o la burocrazia d'esportazione cinese sostenuta in gran parte dall'investimento di capitale trans-nazionale, così come la diabolica alleanza fra il caudillismo del petrolio di Chavez ed il regime islamista antisemita di Teheran.
Anche a prescindere dal fatto che una globalizzazione centrata sull'Europa non varrebbe un fico secco, rispetto ad una globalizzazione centrata sugli Stati Uniti, questa non è possibile. Non si tratta solo del fatto che l'euro non può arrivare a sostituirsi al dollaro-armamento in caduta, ma che l'Unione Europea, di per sé, non è in grado di invertire la corrente del capitale monetario eccedente, né è in grado di assorbire la produzione eccedente globale. La Russia, il Venezuela e l'Iran, le cui pretese politiche contro il "Satana americano" si nutrono solamente di esplosioni del prezzo del petrolio, si trovano, nell'economia mondiale, in una dipendenza ancora maggiore rispetto a questo ruolo paradossale dell'economia americana. Se la ruota del circuito del deficit del Pacifico si ferma e sorge una depressione mondiale, i regimi del petrolio, tutti, saranno i primi a finire sul filo del rasoio.
La crisi mondiale della terza rivoluzione industriale, che sta maturando e la cui amministrazione non ha in vista nessun nuovo "modello di regolamentazione", certamente non si limiterà semplicemente a proseguire il suo cammino economico. Nella situazione economica insuperabile della nuova costellazione di crisi globale che si presenta, ma ancor più nelle precedenti rotture nella storia della modernizzazione, si annida il pericolo di una "fuga in avanti" irrazionale in direzione di una guerra mondiale. Però, al livello di sviluppo della globalizzazione, questa non può più essere una guerra tra blocchi di potere, tra imperi nazionali, per una "nuova spartizione del mondo". Bisognerebbe parlare prima di una nuova guerra civile mondiale di tipo nuovo, così come si è già presentata nelle guerre di "destatizzazione" e di ordinamento mondiale, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, i cui preannunci forse non sono stati superati. Mai la parola d'ordine "socialismo o barbarie" ha avuto tanta attualità come oggi. Ma, simultaneamente, alla fine della storia della modernizzazione, il socialismo dev'essere reinventato.

- Robert Kurz - Novembre 2007 -

fonte: EXIT!

Nessun commento: