mercoledì 4 giugno 2008

Note di Copertina



Manca solo la copertina, al nuovo disco dei Del Sangre!
"Vox Populi" è liberamente scaricabile dal loro sito. Tutto intero, oppure canzone per canzone. Dieci pezzi. Due in meno, rispetto al progetto originale. Mancano "Iris e Silvio" e la cover di "Deportee" di Woody Guthrie. Peccato, però magari poi cambiano idea e ce le rimettono, le due canzoni! Vox Populi, dicevo. L'operazione è di tutto rispetto, e consiste nella rilettura di nove canzoni popolari dalla fine dell'ottocento in poi. Chiude il disco una canzone originale.
Le note di copertina, un'introduzione e una disamina, canzone per canzone, consultabili sul sito, sono mie. Luca mi ha chiesto a suo tempo di scriverle ed io ci ho provato.

Il canto popolare vive nelle sue varianti, e anche nelle sue interpretazioni e riscritture

Come lacrime che scivolano via, quasi di nascosto, e tradiscono l'emozione.
Così scorrono le canzoni che i Del Sangre hanno tradito in questo disco. Perfettamente.
Già, tradire la tradizione! E tradirla ancora meglio quando non è propriamente tradizione, come nel caso della canzone di Matteo Salvatore. Ancora, aggiungere delle strofe nuove di zecca, come quelle scritte da Luca per "Maremma, Maremma", a far meglio risaltare il testo. Ad impreziosirlo. E, di nuovo, tradirla in modo perfetto, scrivendo e cantando una "Canzone di resistenza", quasi la si fosse combattuta fino alla sera prima, la resistenza. Salvo per l'ultima strofa, a ricordare che sono passati sessant'anni e più da "Iris e Silvio", per "Iris e Silvio".
Non c'è verso. Per consegnarla e restituirla al nostro maledetto tempo, la tradizione va tradita!
Bisogna darle gambe e braccia, per camminare e per lottare.
Bisogna pomparle il sangue nelle vene, e l'aria nei polmoni.
Bisogna guardarla dritta negli occhi e tirarle via, dalla pancia, quello spillone che la vorrebbe tenere costretta, per sempre immobile e morta, imbalsamata.
Questo disco è un tentativo, riuscito.

MAREMMA (Toscana)

Tutti mi dicon Maremma, Maremma
e a me mi par una Maremma amara.
L'uccello che ci va perde la penna
io ci ho perduto una persona cara.
Sia maledetta Maremma, Maremma
sia maledetta Maremma e chi l'ama.
Sempre mi freme il cor quando ci vai
che ho paura che non torni mai.
Sia maledetta Maremma, Maremma
Sia maledetta Maremma e chi l'ama.

E' un canto toscano, "Maremma". Risale alla metà del diciannovesimo secolo e parla di dolore, di fatica e di terra infida. Parla della malaria, cui la Maremma è stata legata per secoli. Prima delle bonifiche, per l'esercito di lavoratori stagionali che, muovendo dai crinali appenninici, andava a vendere il proprio lavoro nei latifondi e nell'allevamento semibrado, poteva risolversi in una condanna a morte. Partivano e, per strada, incontravano altri disperati. Pastori, carbonari, cacciatori professionisti. Malpagati, angariati dai caporali, sfruttati dai dispensieri delle fattorie, malvisti dalla popolazione locale. Non aspettavano altro che tornarsene via. Lavoravano quattordici ore al giorno, per una lira.
In Maremma, vi era anche l'industria estrattiva. Come quella di Ribolla, Pozzo Camora, dove nel 1954, il 4 maggio, morirono 43 minatori a causa di un'esplosione di grisou. Miniere, miniere di carbone. Quanto c'è, sulla terra di più simile all'inferno. E' questa la Maremma cantata nella canzone.

ANCHE MIO PADRE (Lombardia)

Anche 'l mio padre
sempre me lo diceva
di star lontano
dalla miniera
ed io testardo
ci sono sempre andato
finché di una mina
mi ha rovinato
finché una mina
di quella galleria
mi ha rovinato
la vita mia
non c'è né medici
nemmeno professori
che fan guarire
quei giovan minatori
o santa Barbara
o santa Barberina
dei minatori
sei la regina.

Nell’emigrazione bergamasca e bresciana è ingente l'apporto di manodopera per le miniere, o nei lavori di traforo e costruzione di gallerie delle Alpi. Questo sia perché c’era un esubero di mano d’opera, sia perché in queste due province esisteva già una tradizione mineraria, dovuta alla presenza di minerali, sfruttati fin nell’antichità e quindi operai già esperti. La patrona protettrice dei minatori è Santa Barbara e questa è una delle tante versioni dell’inno dei minatori.
La vita in miniera è durissima, con situazioni ancora più dure rispetto ai secoli precedenti, quando il minerale veniva cavato stagionalmente , e c’era quindi la possibilità di scegliere i momenti migliori anche dal punto di vista climatico e ambientale.
Il traforo delle Alpi doveva esser fatto rispettando dei tempi, e quindi si procedeva a turni continuati estenuanti, inoltre la situazione igienica e sanitaria nei trafori era disastrosa, basti pensare alle patologie causate da un verme presente nel terreno, nelle rocce e nell’acqua nelle gallerie del traforo del S. Gottardo che furono più deleterie degli incidenti stessi.

PARTIRE, PARTIRÒ (Toscana)

Partire, partirò, partir bisogna,
dove comanderà nostro Sovrano,
chi prenderà la strada di Bologna,
e chi anderà a Parigi, e chi a Milano.
Se tal partenza, o cara,
ti sembra amara, non lacrimare,
vado alla guerra, spero di tornare.
Quando saremo giunti all'Abetone,
riposeremo la nostra bandiera,
e quando si udirà forte il cannone,
addio Gigina cara, bonasera.
Ah, che partenza amara,
Gigina cara, mi convien fare,
sono coscritto e mi convien marciare.
Di Francia e di Germania son venuti,
a prenderci per forza militare,
e allor quando ci sarem battuti,
molti, mia cara, speran di tornare.
Ah, che partenza amara,
gigina cara, Gigina bella,
di me non udrai forse più novella.

Canto toscano, sull'aria di "Maremma", risale all'epoca delle guerre napoleoniche, e nacque probabilmente quando l'Imperatore istituì la leva obbligatoria anche nelle terre italiane conquistate, sull'esempio di quel che era accaduto in Francia con la rivoluzione.
I versi, sembra siano stati scritti da Anton Francesco Menchi, nato nel 1762 a Cucciano, nella montagna pistoiese. Il Menchi fu il più celebre cantastorie e poeta popolare del suo tempo in Firenze. Racconta un contemporaneo, Giuseppe Arcangeli, che improvvisava nei giorni del marcato nella Piazza del Granduca (Piazza Signoria) e richiamava intorno a sé una gran folla di campagnoli, quando suonando il suo tamburello a sonagli faceva uscire come per incanto da una cassetta una faina addomesticata. Fu avverso alle idee rivoluzionarie che venivano dalla Francia, cantò gli orrori della novella Babilonia (la Rivoluzione), la morte di Luigi XVI e la cattura di Papa Pio VI. Contrariamente a certi suoi contemporanei che celebrarono le campagne e le vittorie di Napoleone, Menchi fu autore di un lungo canto in cui condannò aspramente le sue guerre “che fecero morire miglioni d’uomini” e infine ne celebrò la caduta.
Ripristinati i vecchi Governi li salutò con giubilo ma non ne chiese favori. Continuò come testimonia l’Arcangeli fino alla vecchiaia il suo mestiere di cantastorie giocando nei mercati con la sua faina e divertendo ancora tutti coloro che lo attorniavano.

30 GIORNI DI NAVE A VAPORE (Piemonte ? - Bellunese)

Trenta giorni di nave a vapore
fino in America noi siamo arrivati
fino in America noi siamo arrivati
abbiam trovato né paglia né fieno
abbiam dormito sul nudo e terreno
come le bestie abbiam riposà
E l'America l'è lunga e l'è larga
l'è circondata da monti e da piani
e con l'industria dei nostri italiani
abbiam formato paesi e città
e con l'industria dei nostri italiani
abbiam formato paesi e città.
Trenta giorni di macchina a vapore,
nella Merica ghe semo arrivati,
ma nella Merica che semo arrivati,
no' abbiamo trovato nè paglia nè fien.
E Merica, Merica, Merica, cossa saràla 'sta Merica?
Merica, Merica, Merica, in Merica voglio andar.
Abbiam dormito sul nudo terreno
come le bestie che va a riposar
E' la Merica l'è lunga, l'è larga,
circondata da fiumi e montagne,
e co' l'aiuto dei nostri italiani
abbiam formato paesi città.

La prima grande emigrazione di massa (1876-1900) parte dalle zone più povere dell’Italia del Nord-Est: Veneto, Friuli e soprattutto da tutta la zona alpina. In inverno molti contadini, non potendo trovare lavoro nelle campagne, partivano per il Sud America affrontando un viaggio di parecchi giorni con la nave a vapore. In Argentina e in Brasile venivano assunti come stagionali per la raccolta del caffè e per la mietitura. Non pochi finivano per stabilirsi definitivamente in questi paesi fondando colonie con lingua e cultura italiane. Questa canzone popolare, di quel secolo, esprime con molta semplicità gli stati d’animo di questa gente: il disagio dell'emigrante misto all'orgoglio per il contributo dato allo sviluppo di quel paese lontano.

IL CONTRABBANDIERE (Lombardia)

Guarda quella barchetta
come la va a vapore
c'è dentro il mio amore
che fa 'l contrabbandier.
Che fa 'l contrabbandiere
di polvere e di sangue
se il colpo gli va male
in galera gli tocca andar.
«In galera mi tocca andare
se il colpo mi va male
se il colpo mi va male
mi tocca morire in prigion.
A stare qui in prigione
tutta la settimana
per mí l'è una condanna
a stare qui in prigion».

Se è vero che il contrabbando ha origini plurisecolari, è dall’autunno del 1943 fino al primo dopoguerra che, nella zona di Como, come in tutte le valli della sponda occidentale del lago, nell’Ossola, nel Vallese, in Valtellina etc., assume una tale diffusione in ampi strati della popolazione fino ad essere praticato e percepito come un vero e proprio lavoro.
Gli abitanti delle montagne vicino al confine, abituati a guadagnarsi da vivere a prezzo di grandi fatiche, non riuscivano a capire perché fosse proibito acquistare della merce dove costava meno e rivenderla dove il prezzo era più alto, indifferentemente dal fatto che da un versante all’altro della montagna cambiasse il potere politico, ugualmente lontano dalla propria vita quotidiana. Il guadagno era di pochi spicci, quelli indispensabili al bilancio familiare; l’alternativa era l’indigenza e l’emigrazione.

DONNA LOMBARDA (Lombardia)

O donna donna, donna lombarda
se vuoi venire al ballo con me.
O donna, donna, donna lombarda
Se vuoi venire al ballo con me.
Si, si che al ballo lo vegnerla
ma ho paura del mio marì.
Si, si che al ballo lo vegnerla
ma ho paura del mio marì.
Quel tuo marito l'è vecchio e brutto
farem di tutto per farlo morir.
Quel tuo marito l'è vecchio e brutto
farem di tutto per farlo morir.
Prendi il bicchiere scendi in cantina
riempilo di vino poi mettici il velen.
Prendi il bicchiere scendi in cantina
riempilo di vino poi mettici il velen.

"Donna Lombarda" è forse la ballata più diffusa in Italia. Il canto ha origine antica e numerosissime varianti regionali e narra la storia di una moglie che, spinta dal proprio amante, cerca di avvelenare il marito. Il testo, di probabile origine medioevale, ha mantenuto nel tempo una sorta di "attualità" aderente allo stereotipo popolare della donna infedele, ingannatrice e crudele. Viene fatta risalire dagli studiosi di musica popolare all'epoca dei Longobardi, quindi questa è una canzone che dovrebbe avere più o meno mille anni.
E' la storia di un Re, di una mamma, di un papà e di un bimbo di tre mesi che per miracolo comincia a parlare.
Magari è arrivata qui insieme ai trovatori che stavano nel castello dei Malaspina ad Oramala, sulle montagne della provincia di Pavia. Nel medioevo questo castello era il ritrovo dei più bravi trovatori che venivano da tutta Europa per cantare le loro storie.

IL TRENO DELLA DISPERAZIONE (Sicilia)

Guardati chistu trenu cum'è nivuru
oi cum'è nivuru
è lu trenu d'a disperaziuni
è lu trenu d'a disperaziuni.
Chianciti forti mugghieri, mammi chianciti,
oi mammi chianciti,
l'omini vosta aviti da lassari
l'omini vosta aviti da lassari.
Pi putiri sfamari 'sti piccirilli
oi 'sti piccirilli
inn'amu iri luntanu assai
ninn'amu iri luntanu assai.
'A terra nostra amu da lassari,
oi amu lassari
pi' vinti franchi di 'sti corvi nivuri
pi' vinti franchi di 'sti corvi nivuri.
Là subba dintu u' Nordu amu pagari,
oi amu pagari
cu la vita nu tuozzo di pani
cu la vita nu tuozzo di pani.
Lavuratura ca jittati 'u sangu
ca jittati 'u sangu
pi anni e anni 'nta na terra luntana
pi anni e anni 'nta na terra luntana
lu jurnu ca turnati s'avvicina
oi, s'avvicina
pi nun partiri chiù d'a terra nostra
pi nun partiri chiù d'a terra nostra.

Traduzione
Guardate questo treno come è nero oh com è nero, è il treno della disperazione è il treno della disperazione. Piangete forte mogli, mamme piangete oh mamme piangete i vostri uomini dovete lasciare i vostri uomini dovete lasciare. Per poter sfamare questi bambini oh questi bambini ce ne dobbiamo andare molto lontano ce ne dobbiamo andare molto lontano. La terra nostra dobbiamo lasciare oh dobbiamo lasciare per venti franchi dati da questi corvi neri per venti franchi dati da questi corvi neri. Lassopra dentro al nord dobbiamo pagare, oh dobbiamo pagare con la vita un tozzo di pane con la vita un tozzo di pane. Lavoratori che sputate sangue che sputate sangue per anni e anni in una terra lontana per anni e anni in una terra lontana il giorno che tornate si avvicina oh s'avvicina per non partire più dalla terra nostra per non partire più dalla terra nostra.

Negli anni dopo il 1920, le leggi americane che limitavano l'afflusso di stranieri e le leggi fasciste sull'abbandono delle campagne soffocarono in grandissima parte l'emigrazione come valvola di sfogo alla disoccupazione. E' solo nel secondo dopoguerra che riprende in misura apprezzabile il flusso migratorio. Le linee di movimento principali però, sono diverse: la direzione è il Nord, al di là delle Alpi o verso i centri industriali di Torino e Milano, e le dimensioni dell'esodo crescono in proporzione allo sviluppo industriale. Tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60, circa 2 milioni di persone si sono mosse verso il Nord: il simbolo di questo viaggio è il treno, cupo ed estraneo traghetto da una terra di colori ad una città di nebbie e cemento armato.
La produzione di canti sull'emigrazione di questi anni è molto diversa dalla precedente: nella quasi totalità è riferibile ad un autore determinato, talvolta è poesia colta ma spesso, e forse è l'aspetto più interessante, è opera di lavoratori emigrati che della canzone si servono per far conoscere la loro realtà in un ambito più vasto dei soli compaesani e quindi scrivono in italiano oltre che in dialetto. I temi rispecchiano il mutamento avvenuto nei modi di vita e nella coscienza della gente del Sud; le possibilità di comunicazione sono enormemente più ampie, dal Nord arrivano le notizie della vita degli emigrati, e sono notizie tristi che parlano di odi razziali, di doveri senza diritti, di omicidi bianchi: il Nord è solo un'amara necessità, non diventa mai, neppur per un attimo, un mito. Rimangono in questi canti gli accenti di tristezza per il distacco dalla terra natale, ma si guarda con maggior senso critico la propria o altrui storia di emigrati: non è più il destino, impersonale e incolpevole, che muove le folle da una terra di miseria alla terra promessa, né la sofferenza immanente alla nascita' del contadino meridionale povero che lo accompagna nella solitudine in un Paese straniero o nella morte sul lavoro, ma è storia degli uomini, e a causa di uomini.

AMORE MIO, NON PIANGERE (Emilia Romagna)

Amore mio non piangere
se me ne vado via.
Io lascio la risaia
ritorno a casa mia.
Ragazzo mio non piangere
se me ne vo lontano.
Ti scriverò una lettera
per dirti che ti amo.
Vedo laggiù fra gli alberi
la bianca mia casetta.
Vedo laggiù sull'uscio
la mamma che m'aspetta.
Mamma, papà non piangere
se sono consumata
è stata la risaia
che mi ha rovinata.
è stata la risaia
che mi ha rovinata.

Canto delle mondine dell'Emilia Romagna. Fino a non moltissimi anni fa, le risaie della pianura padana erano diserbate a mano dalle mondine che passavano le giornate curve sotto il sole, con i piedi e le mani nell'acqua. I disagi e le speranze di queste donne erano testimoniate da un vasto repertorio di canti di lavoro, con cui esse cercavano di alleviare la fatica. In questo canto, una mondina saluta il fidanzato conosciuto durante i duri mesi di lavoro in risaia e annuncia il ritorno a casa. Da alcuni elementi del testo risulta che questa mondina era giovane: nelle risaie, infatti, venivano occupate in prevalenza donne in giovane età, perchè più forti e resistenti alla fatica.

PADRONE MIO (Matteo Salvatore)

Padrone mio, te vojo arrecchire,
padrone mio, te vojo arrecchire,
come nu cane i vo fatijà,
come nu cane i vo fatijà .
Quando sbajo damme li botte,
vojo la morte, nun me caccià .
Tengo tre fiji, vojono lu pane,
chi ci lu dà a lu tatà


Per comprendere appieno l'ironia che vira al sarcasmo (che poi nasce dall'ironia ferita) di questo "canto popolare" bisogna conoscere la storia dell'autore della canzone stessa. Matteo Salvatore. Nasce nel 1925 ad Apricena, paese sulla linea di confine fra i Gargano e il tavoliere delle Puglie. Un'infanzia poverissima. Il padre facchino, la madre "camuffata da mutilata" che va a chiedere l'elemosina a Poggio Imperiale. Matteo fa il garzone di cantina, per otto lire l'anno! La sorella di quattro anni, nel frattempo, muore per denutrizione. Quando è più grande, fra i sette e i nove anni, la mattina, all'alba, è nella piazza del paese per essere venduto, come gli altri braccianti! L'incontro col maestro Pizzicoli (cieco, suonatore di chitarra, mandolino e violino, "portatore di serenate"), da cui in tre anni imparerà a suonare alla perfezione, gli cambierà la vita terribile che lo aspetta. Emigra a Roma: ci mette un mese per arrivarci, saltando da un carretto all'altro. Va' a vivere in una baracca, la sera canta canzoni napoletane ai tavoli di "Gigetto er Pescatore", ai Parioli. Qui lo nota il regista Giuseppe De Santis che gli commissiona di registrare in Puglia canzoni popolari per un film ("Uomini e lupi", con Yves Montand).
Matteo Salvatore compone quattro ballate, poi telefona a De Santis e gliele spaccia per canzoni popolari. Poi, a Trastevere, viene scoperto da Claudio Villa. Comincia il successo, e la guerra con i discografici. Sospetta che vogliono imbrogliarlo e derubarlo. E allora li imbroglia lui, per primo. Consegna le stesse incisioni, in esclusiva, a più etichette. Viene anche scoperto dagli intellettuali, Italo Calvino in primis. Nel 1968 parteciperà addirittura al Cantagiro. Paradossalmente, le sue "canzoni popolari finiranno per rappresentare un nucleo della tradizione italiana, ma rimarranno sconosciute alla più parte dei pugliesi. Muore nell'agosto del 2005. Ecco, saputo questo, leggetelo ora il testo della canzone!

DEPORTEE (Words: Woody Guthrie - Music: Martin Hoffman)

La raccolta è terminata e le pesche stanno già marcendo
Le arance sonostipate nei loro depositi sotto conservante
Tanno per essere riportati in aereo oltre il confine col Messico
Dove spenderanno di nuovo tutti i loro soldi per poterlo riattraversare
Addio Juan addio Rosalita
Addio amici miei Jesus e Maria
Sarete privati perfino dei vostri nomi quando salirete sull'aereo
vi chiameranno soltanto deportati
Mio nonno, lui guadò a fatica il il fiume
Gli portarono via i risparmi di tutta una vita
I miei fratelli e le mie sorelle arrivarono per lavoravare nei frutteti
Continuarono a tirare la carretta finché non caddero e morirono
Alcuni di noi vengono chiamati clandestini altri indesiderati
Il nostro contratto di lavoro è scaduto e ce ne dobbiamo andare
Seicento miglia fino al confine messicano
Ci danno la caccia come se fossimo banditi, fuorilegge, ladri
Siamo morti sulle vostre colline, morti nei vostri deserti
Siamo morti nelle vostre valli, morti nelle vostre pianure
Siamo morti ai piedi dei vostri alberi, morti nelle vostre foreste
Lungo le due sponde del fiume, siamo morti alla stessa maniera
Il motore dell'areeo si incendiò sopra il canyon di los gatos
Balenò come una meteora e fece tremare le colline
Chi sono tutti questi amici, sparsi tutt'intorno come foglie secche?
La radio ha detto che erano solo dei deportati
E' questo il modo migliore di coltivare i nostri orti?
E' questo il modo migliore di coltivare i nostri frutteti?
Cadere come foglie secche per concimare il terreno?
E non essere chiamati con nessun nome eccetto deportati?
Addio Juan addio Rosalita
Addio amici miei Jesus e Maria
Sarete privati perfino dei vostri nomi quando salirete sull'aereo
Vi chiameranno soltanto deportati

Arriviamo con la polvere e ce ne andiamo via col vento

Il 28 gennaio del 1948, in un incidente aereo in California, vicino al confine con il Messico, persero la vita 28 "deportati" ovvero 28 lavoratori messicani che stavano per essere forzatamente rimpatriati.
Il loro permesso di soggiorno era scaduto, insieme col contratto di lavoro, pertanto venivano rispediti in Messico da dove avrebbero cercato con ogni mezzo di tornare negli States. Era questa la vita dei lavoratori stagionali, impiegati soprattutto nella raccolta della frutta, nei campi della ricca California. Il giorno dell'incidente aereo la radio locale diede subito la notizia precisando che erano morti "soltanto" dei deportati.
Woody Guthrie scrisse il testo di questa canzone, che fu poi musicata, dieci anni dopo, da Martin Hoffman, e cantata per la prima volta da Pete Seeger nel 1958.
La canzone, forse l'ultima di Woody, non nasce solo da una notizia di cronaca sentita alla radio, o da un titolo di giornale. Nasce, soprattutto, dalla comunanza e dalla sintonia con chi subisce la sciagura. Rimanendone attonito, colpito, messo a terra. Nasce dal condividere le apirazioni e le frustrazioni e i sogni. Espressioni e linguaggio. In una parola, voce per chi voce non ha.

Iris e Silvio ( Luca Mirti)

Era il sale che bruciava
sopra i tagli con violenza,
erano lacrime di luna
dal cielo di Faenza,
erano un uomo ed una donna
pendenti da un lampione,
era il tributo di sangue
alla più bella storia d'amore.
Nell'inverno di Tredozio
quando Dio ballava il sole,
lui la vide, era il cuore
di coraggio e la passione
era Iris biancofiore,
forza di liberazione,
lui era Silvio il ribelle,
comandante, uomo d'onore.
Con la voce dei fucili
che parlava giorno e notte,
era il fuoco, era il coltello
era il destino tirato a sorte.
Comandava i suoi fedeli
col coraggio e l'incoscienza
Corbari l'imprendibile,
Corbari il re di Faenza.
Era fredda, era decisa
con in mano una pistola,
quanto dolce, quanto bella
come un bacio che ti sfiora,
Fianco a fianco, cuore a cuore
fino all'ultimo respiro,
guardavan sempre avanti
immaginando il futuro.
Era il giorno del castigo
quando Giuda tornò al mondo,
lo cercarono di notte
per saldare ogni suo conto.
Ma reagì con quella rabbia
di chi vuol farla finita,
difendendo il sogno
e la compagna ferita.
Fu così che per amore
lei si tolse anche la vita,
per aprire al Comandante
una nuova via d'uscita,
e sul loro ultimo bacio
che si chiuse la partita,
ed il silenzio cadde
con uno schiocco di dita.
Sessant'anni sono andati
ma il ricordo è ancora là ,
di due amanti combattenti
morti per la libertà .
Ma qualcuno a Modigliana
per il venticinque aprile
giura di averli visti
di notte ballare e sparire.

Una canzone ... tanto dolce e tanto bella, come un bacio che ti sfiora.

Ha fatto bene Luca a scrivere una canzone su Silvio Corbari! E ha fatto bene a scriverla come una canzone d'amore. E mi fa bene all'anima sentirgliela cantare ogni volta che posso. Questa è stata la seconda volta, per me. Anche se l'aspettavo da tanto tempo, una canzone così. Già, una canzone su Corbari, un altro di quei partigiani, come il comandante Facio cantato da Davide Giromini, presumibilmente tradito e consegnato ai fascisti dai comunisti!
Una storia d'amore, dicevo. Una storia d'amore consumata sul letto sontuoso di una rivoluzione. Finita male. La storia d'amore, e la rivoluzione. Tutte le grandi storie d'amore finiscono male, chiosava Tronti a proposito del libro di memorie della Rossanda, solo le piccole vicende durano per sempre, trascinandosi.
I due amanti partigiani appesi ad un lampione, in una piazza. Iris già morta: si era ammazzata per far sì che Corbari non si attardasse a cercare di soccorrere lei ferita. Inutilmente. Era arrivato in fondo alla sua strada, quel Corbari che, da ragazzo, aveva segato e portato via il ciliegio di un contadino che aveva picchiato dei ragazzini del borgo, colpevoli di aver preso delle ciliegie da quell'albero.
Corbari, bollato come anarcoide, politicamente inaffidabile, non accettò mai il commissario politico nella sua banda. Curbara meritava una canzone come questa. Una canzone come una ballata western. Una canzone come fosse una canzone per Billy the kid, per Butch Cassidy. Una canzone d'amore. Per amore. Una canzone alla salute di Iris e di Silvio. Sarebbe piaciuta anche a Tonino Spazzoli e ad Adriano Casadei.

UN MOMENTO PER TUTTO (Luca Mirti)

C'E' UN MOMENTO PER PARLARE ED UN ALTRO PER TACERE
C'E' UN MOMENTO PER BRINDARE ED ALZARE SU IL BICCHIERE
C'E' IL MOMENTO DEL CORAGGIO DOVE NON HAI PIU' PAURA
E C'E' IL MOMENTO IN CUI SEI SOLO E CAPISCI QUANT'E' DURA

C'E' IL MOMENTO DI RISCHIARE CHE TI GIOCHERESTI IL CIELO
C'E' IL MOMENTO DI MOLLARE CHE LE CARTE SONO A ZERO
C'E' UN MOMENTO PER AMARE ED UN ALTRO PER ODIARE
C'E' IL MOMENTO DI COLPIRE E IL MOMENTO DI INCASSARE

C'E' IL MOMENTO DI PESTARE PER RAGGIUNGERE LA CIMA
C'E' IL MOMENTO IN CUI RALLENTI CHE HAI FINITO LA BENZINA
C'E' IL MOMENTO DI SEDERE E FERMARSI UN PO' A PENSARE
E C'E' IL MOMENTO DI RIALZARSI E RIPRENDERE A BALLARE

C'E' IL MOMENTO DI INCAZZARSI CON IL CIELO E CON L'INFERNO
C'E' IL MOMENTO DEI RICORDI PERCHE' ARRIVERA' L'INVERNO
C'E' IL MOMENTO DELLA NEVE E DEL FUOCO SOTTO I PIEDI
C'E' IL MOMENTO DI ELARGIRE PIU' DI QUANTO TU NON CHIEDI

C'E' IL MOMENTO DELLA GIOIA E IL MOMENTO DEL DOLORE
C'E' IL MOMENTO DELLA MORTE DOVE NIENTE HA PIU' COLORE
C'E' IL MOMENTO DI REAGIRE E RIMETTI I PEZZI ASSIEME
C'E' IL MOMENTO DELLA PIOGGIA CHE SI SDRAIA SUL TUO SEME

C'E' IL MOMENTO DEL CONFRONTO E IL MOMENTO DELLA SFIDA
C'E' IL MOMENTO DELLA LEGGE CHE TI SOFFOCA LE GRIDA
C'E' IL MOMENTO DEGLI AFFETTI E IL MOMENTO DELLO STRAPPO
C'E' UN MOMENTO PIU' CORROTTO ED UN ALTRO ANCORA INTATTO

C'E' UN MOMENTO PER LA GUERRA E UN MOMENTO PER LA PACE
C'E' IL MOMENTO DI INGOIARE ANCHE CIO' CHE NON TI PIACE
C'E' IL MOMENTO DELLA FAME E IL MOMENTO DI MANGIARE
C'E' UN MOMENTO PER DIPINGERE ED UN ALTRO PER SPARARE

C'E' UN MOMENTO DI BESTEMMIE ED UN ALTRO DI PREGHIERE
C'E' UN MOMENTO DI FORTUNA ED UN ALTRO DI MESTIERE
C'E' UN MOMENTO DOVE IL MARCHIO TE LO PORTI PER LA VITA
C'E' IL MOMENTO IN CUI CI CREDI FINCHE' DURA LA PARTITA

C'E' IL MOMENTO DELL'INIZIO E IL MOMENTO DELLA FINE
C'E' IL MOMENTO DELLE ROSE E IL MOMENTO DELLE SPINE
C'E IL MOMENTO DEGLI INCONTRI E IL MOMENTO DEI SALUTI
C'E' UN MOMENTO PER I MITI ANCHE QUELLI PIU' VISSUTI

C'E' IL MOMENTO DELLE ACCUSE E IL MOMENTO DEL PERDONO
C'E' IL MOMENTO CHE DECIDE SE SEI DIVENTATO UN UOMO
C'E' IL MOMENTO IN CUI TI AGGRAPPI A UNA MANO UN PO' PIU' FORTE
C'E' UN MOMENTO PER I DADI CHE DECIDONO LA SORTE

C'E' UN MOMENTO PER ENTRARE E UN MOMENTO PER USCIRE
C'E' UN MOMENTO PER FREGARSENE ED UN ALTRO PER CAPIRE
C'E' UN MOMENTO CHE TI CHIAMA CON IL NOME DI TUO PADRE
C'E' UN MOMENTO PER PARTIRE ED UN ALTRO PER TORNARE

Dedicata a Paolo Mozzicafreddo, batterista dei Gang

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sembra che ci sia un filo che unisce la maremma all'agro pontino, da quello che scrivi: "Pastori, carbonari, cacciatori professionisti. Malpagati, angariati dai caporali, sfruttati dai dispensieri delle fattorie".
Aspettavo questo "disco" con impazienza; poi, dopo quello che mi hai detto domenica ho pensato: È in arrivo. E il disco è arrivato, puntuale, e quasi mi dispiace non poter possedere "l'originale". Ed è un disco che entra direttamente nello stomaco, senza passare prima per l'orecchio medio, come solo la voce di Luca e la musica dei Del Sangre sanno fare.

Sawu Bona (che vuol dire solamente: "ti vedo":-)
Ezio