Bob Dylan
- di Marco Denti -
Premesso che Dylan ha trasformato il conferimento del premio Nobel in un happening della Beat Generation (compresa l’emozionantissima Patti Smith), nell’incredulità, nella meraviglia e nello stupore, con cui l’ha ricevuto va trovato il primo germe delle risposte ufficiali raccolte in The Nobel Lecture. Quando dice che si tratta di “una cosa che va al di là delle parole”, si rivela ancora una volta sorprendente in tutti i suoi amletici dubbi. Il tentativo di renderli pubblici, se non proprio di sviscerarli, nella “lecture” vera e propria, parte proprio da Shakespeare, perché come diceva Ralph Waldo Emerson “la sua mente è l’orizzonte oltre il quale, al momento attuale, non vediamo”. L’influenza, inevitabile, passa, secondo Dylan, nel distinguere tutte le sfumature, nell’imparare i dettagli, e nel “concedersi” di sognare, un proposito che trova l’humus ideale per e con la letteratura. I tre libri messi al centro dell’attenzione da Dylan sottolineano un’idea di un conflitto continuo che va ben oltre il tentativo di ricondurlo su un piano intelligibile anzi, piuttosto con l’idea di espanderlo verso “nulla di davvero razionale”. Ed è contigua e parallela la condizione del viaggio, di un’eterna transazione, di un esilio mascherato che comincia con Moby Dick. Il motivo potrebbe spiegarlo Harold Bloom: “In Moby Dick e nel capitano Achab si scontrano a viso aperto due poteri, o agenti (per usare il termine di Angus Fletcher), demonici. L’intervento demonico è la tradizione nascosta della letteratura americana, un’affermazione più chiara se riferita alla narrativa (Poe, Melville, Hawthorne, Twain, James Faulkner) che alla scrittura sapienza (Emerson, Thoreau) o alla poesia (Whitman, Dickinson, Frost, Stevens, Eliot, Hart Crane). Nella narrativa, i personaggi sono posseduti da demoni, conquistatori che in qualche modo mettono ordine in un caos di altri io indisciplinati. La creazione lirica e saggistica di immagini diventa un metodo per ordinare l’io autobiografico in suoni più sottili, demarcazioni più spettrali”. L’idea del “demone” non gli è mai stata estranea, almeno quanto una vicinanza alla realtà del “political world” che nell’immenso songwriting dylaniano si è tradotto attraverso i suoi “principi, una sensibilità e una certa consapevolezza del mondo”. Un ruolo a maturare quella percezione che porterà Bob Dylan nei libri di storia (molto prima del Nobel) l’ha avuto Niente di nuovo sul fronte occidentale. Il romanzo di Erich Paul Remark alias Erich Maria Remarque, ha convinto Dylan che “la guerra non ha limiti”, ma per comprendere l’immane frattura del primo conflitto mondiale, che in La bellezza e l’orrore Peter Englund definisce “un universo emotivo”, occorre rileggere quello che, nelle stesse pagine, scriveva René Arnaud: “In tempo di guerra la sofferenza mentale peggiore è quando il pensiero precorre l’azione, il gioco irrefrenabile dell’immaginazione che dà forma in anticipo ai pericoli e li moltiplica. È noto che la paura del pericolo è più snervante del pericolo stesso, come il desiderio è più inebriante del suo appagamento”. I veri demoni del genere umano passano in quelle trincee. Rimane l’Odissea, che in sé riassume gli altri due volumi: c’è il mare, il viaggio, le battaglie, soprattutto l’idea omerica di una storia cantata, a cui Dylan si ricollega per una sua autobiografica esegesi. Sintetica e conclusiva quando dice, con molta semplicità: “Se una canzone ti commuove, questo è tutto ciò che importa. Io non so qual è il significato di una canzone, ho scritto qualunque cosa nelle mie canzoni e di sicuro non mi preoccupo di quale sia il loro significato”. Il discorso di The Nobel Lecture è un po’ tortuoso, ma ne vale la pena perché quello di Dylan è un canone a parte e chiedersi se è letteratura (o non lo è) è una speculazione limitante (certo che lo è), salvo voler relegare la letteratura all’accademia e ai topi da biblioteca e il Nobel a un ruolo di custodia che non ha mai avuto. La bizzarria imposta da Dylan a tutto il processo non è stata soltanto folklore, quanto un modo di liberarsi di un peso, di smaltire la sorpresa, di concedersi una via di fuga sempre nella convinzione “che la prima regola per chi vuole essere sovversivo è di non far sapere a nessuno che sei sovversivo”. Inafferrabile.
- Marco Denti - Pubblicato il 14/3/2018 su BooksHighway -
Bob Dylan: The Nobel lecture
Traduzione di Silvano Cattaneo
Appena ho ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura, mi sono chiesto proprio come le mie canzoni fossero collegate alla letteratura. Volevo rifletterci e capire dov’era la connessione. Ora provo ad argomentarlo. Molto probabilmente sarà in un modo un po’ indiretto, ma spero che quello che dirò possa essere utile e significativo.
Se dovessi tornare all'alba di tutto, credo che dovrei iniziare con Buddy Holly. Buddy è morto quando io avevo circa diciott'anni e lui ventidue. Dal momento in cui l’ascoltai per la prima volta, mi sentii simile. Mi sentii legato, come se fosse un fratello maggiore. Pensai persino di assomigliargli. Buddy suonava la musica che amavo - la musica con cui ero cresciuto: country & western, rock 'n' roll e rhythm & blues. Tre filoni distinti di musica che lui intrecciò e fuse in un solo genere. Un marchio. E Buddy scrisse canzoni - canzoni che avevano belle melodie e testi fantasiosi. E cantava alla grande - cantava con buona voce anche in diverse tonalità. Era l'archetipo. Tutto quello che non ero io e che avrei voluto essere. Lo vidi una sola volta e fu pochi giorni prima che morisse. Dovetti percorrere un centinaio di miglia per vederlo esibirsi e non rimasi deluso. [*1]
Era potente ed elettrizzante e aveva una grande presenza. Ero solo a pochi metri di distanza. Era ipnotizzante. Guardavo il suo volto, le sue mani, il modo in cui batteva il piede, i suoi grandi occhiali neri, gli occhi dietro gli occhiali, il modo in cui teneva la chitarra, la sua postura, il suo abito curato. Tutto di lui. Sembrava più vecchio dei suoi ventidue anni. Qualcosa di lui sembrava indelebile, e mi riempì di certezze. Poi, di punto in bianco, è successa la cosa più inspiegabile. Mi guardò proprio dritto negli occhi e mi trasmise qualcosa. Qualcosa che non capivo bene. E che mi diede i brividi.
Credo che fosse uno o due giorni prima che il suo aereo cadesse. Qualcuno - qualcuno che non avevo mai visto prima - mi passò un disco di Leadbelly in cui c'era la canzone "Cottonfields". E quel disco cambiò la mia vita, proprio in quel momento. Mi trasportò in un mondo che non avevo mai conosciuto. Fu come un'esplosione che si dissolveva. Come se fino ad allora avessi camminato nell'oscurità e all'improvviso l'oscurità si illuminasse. Era come qualcuno che mi imponeva le mani. Credo di aver ascoltato quel disco centinaia volte.
Era su un'etichetta di cui non avevo mai sentito parlare, all'interno c’era un opuscolo che pubblicizzava gli altri artisti dell'etichetta: Sonny Terry and Brownie McGhee, New Lost City Ramblers, Jean Ritchie, gruppi musicali con strumenti a corde. Non avevo nemmeno mai sentito parlare di nessuno di loro. Ma pensai che se erano su questa etichetta con Leadbelly, dovevano essere roba buona, quindi avevo bisogno di sentirli. Volevo sapere tutto e suonare quel genere di musica. Avevo ancora un certo feeling per la musica con cui ero cresciuto, ma a quel punto la dimenticai. Non ci pensai più. Da allora se ne andò per un bel po'.
Non me ne ero ancora andato da casa , ma non potevo aspettare. Volevo imparare quella musica e incontrare le persone che la suonavano. Infine me ne andai, e imparai a suonare quelle canzoni. Erano diverse dalle canzoni della radio che avevo ascoltato fino ad allora. Erano più vibranti e sincere nei confronti della vita. Con le canzoni della radio, un esecutore poteva ottenere il successo come con un lancio di dadi o una mano fortunata a poker, ma questo non aveva importanza nel mondo del folk. Tutto era un successo. Tutto quello che dovevi fare era essere ben preparato e in grado di suonare la melodia. Alcune di queste canzoni erano facili, altre no. Ebbi un feeling naturale per le antiche ballate e il country blues, ma tutto il resto dovetti impararlo da zero. Suonavo per un pubblico ristretto, a volte non più di quattro o cinque persone in una stanza o all'angolo di una strada. Dovevi avere un ampio repertorio, e dovevi sapere cosa suonare e quando. Alcune canzoni erano intime, altre dovevi urlare per farle sentire
Ascoltando tutti quei primi artisti folk e cantando tu stesso quelle canzoni, ne acquisisci il gergo. Lo interiorizzi. Lo canti nei ragtime blues, nei canti di lavoro, nei canti marinareschi della Georgia, nelle ballate degli Appalachi, nelle canzoni dei cowboy. Cogli le sottigliezze e impari i dettagli.
Capisci di cosa si tratta. Estrarre la pistola e rimetterla in tasca. Sfrecciare nel traffico, parlare al buio. Sai che Stagger Lee era un uomo cattivo e che Frankie era una brava ragazza. Sai che Washington è una città borghese e hai sentito la voce profonda di John the Revelator (John the Revelator è un tradizionale gospel con domande e risposte) e hai visto affondare il Titanic in un ruscello fangoso. E tu sei amico del selvaggio vagabondo irlandese e del selvaggio ragazzo delle colonie. Hai sentito i tamburi attutiti e i pifferi degli eserciti suonare sommessamente. Hai visto il vigoroso Lord Donald piantare un coltello nel corpo della moglie (altro traditional), e molti tuoi compagni avvolti nei bianchi sudari. [*2]
Avevo digerito tutto il gergo. Conoscevo la retorica. Niente di quel mondo mi era sfuggito - gli strumenti, le tecniche, i segreti, i misteri - e conoscevo anche tutte le strade deserte che aveva percorso. Potevo collegare il tutto e trasferirlo nell'attualità. Quando ho iniziato a scrivere le mie canzoni, il linguaggio popolare era l'unico vocabolario che conoscevo, e l'ho usato.
Ma io avevo anche qualcos'altro. Avevo fondamenta e sensibilità e una visione informata del mondo. E le avevo da un po'. Ho imparato tutto alla scuola secondaria. Don Chisciotte, Ivanhoe, Robinson Crusoe, I viaggi di Gulliver, Il racconto delle due città, e tutto il resto - tipiche letture scolastiche che ti davano un modo di guardare la vita, una comprensione della natura umana e un metro per misurare le cose. Avevo tutto con me quando ho iniziato a scrivere versi. E i temi di quei libri si sono ritrovati in molte delle mie canzoni, sia consapevolmente che inconsciamente. Volevo scrivere canzoni diverse da qualunque cosa che si fosse sentita prima e quei temi erano fondamentali.
Libri specifici che mi avevano colpito fin da quando li avevo letti a scuola - e voglio parlarvi di tre di loro: Moby Dick, Niente di nuovo sul fronte occidentale e l’ Odissea.
******
Moby Dick è un libro affascinante, un libro ricco di scene di grande dramma e di un dialogo drammatico. Il libro ti impone delle domande. La trama è semplice. Il misterioso capitano Ahab - capitano della nave chiamata Pequod - un egomaniaco con una gamba di legno che dà la caccia alla sua nemesi, la grande balena bianca Moby Dick che gli ha strappato una gamba. E le dà la caccia per tutto l'Atlantico, fino alla punta dell'Africa e nell'Oceano Indiano. Insegue la balena da un capo all'altro della Terra. È un obiettivo astratto, niente di concreto o preciso. Chiama Moby “l'Imperatore”, la vede come l'incarnazione del male. Ahab ha una moglie e un bambino a Nantucket, che ricorda di tanto in tanto. Potete già immaginare cosa succederà.
L'equipaggio della nave è composto da uomini di razze diverse e chiunque di loro avvisti la balena verrà ricompensato con una moneta d'oro. Molti simboli dello zodiaco, allegorie religiose, stereotipi. Ahab incontra altre baleniere, pressa i capitani per avere dettagli su Moby. L'hanno vista? C'è un profeta pazzo, Gabriele, su una delle navi che predice ad Ahab il suo destino. Dice che Moby è l'incarnazione del dio degli Shakers (Gli Shakers sono i membri di un ramo del calvinismo puritano dei quaccheri nati nel primo Settecento, conosciuti anche con il nome di Società Unita dei Credenti nella Seconda Apparizione del Cristo), e che qualsiasi relazione con lui porterà al disastro. Questo dice al capitano Ahab. Il capitano di un'altra nave – il capitano Boomer - ha perso un braccio per Moby. Ma ha accattato il fatto ed è felice di essere sopravvissuto. Non può accettare la brama di vendetta di Ahab.
Questo libro spiega come uomini diversi reagiscono in modi diversi posti davanti alla stessa esperienza. C'è molto del vecchio Testamento, allegorie bibliche: Gabriele, Rachele, Geroboamo, Bildah, Elia. E anche nomi pagani: Tashtego, Flask, Daggoo, Fleece, Starbuck, Stubb, Martha’s Vineyard. I pagani sono adoratori di idoli. Alcuni adorano piccole figure di cera, altri figure di legno. Alcuni adorano il fuoco. Pequod è il nome di una tribù di pellerossa.
Moby Dick è una storia di mare. Uno degli uomini, il narratore, dice: "Chiamatemi Ismaele". Qualcuno gli chiede da dove viene e lui risponde: "Il luogo non è su una mappa. I luoghi veri non lo sono mai." Stubb non dà importanza a nulla, dice che tutto è predestinato. Ismaele ha trascorso tutta la sua vita su un veliero. Chiama i velieri le sue Harvard e Yale. Si tiene a distanza dalle altre persone.
Un tifone colpisce il Pequod. Il capitano Ahab pensa che sia un buon auspicio. Starbuck pensa che sia un cattivo presagio, medita di uccidere Ahab. Appena finisce la tempesta, un membro dell'equipaggio cade dall'albero della nave e annega, prefigurando quello che succederà. Un pacifico prete quacchero, che in realtà è un uomo d'affari sanguinario, racconta a Flask: "Alcuni uomini che ricevono ferite arrivano a Dio, altri al rancore". [*3]
Tutto è mischiato. Tutti i miti: la bibbia giudeo-cristiana, miti indù, leggende britanniche, San Giorgio, Perseo, Ercole… sono tutti balenieri. Mitologia greca, la sanguinosa attività di macellare una balena. Un libro ricco di fatti, conoscenze geografiche, olio di balena – buono per l’incoronazione dei monarchi – famiglie nobili impegnate nell’industria delle balene. L’olio di balena è usato per ungere i re. Storia della balena, frenologia, filosofia classica, teorie pseudoscientifiche, giustificazione della discriminazione - tutto buttato lì e niente in modo particolarmente razionale. Intellettualismi e cultura popolare, inseguire le illusioni e inseguire morte, la grande balena bianca, bianca come l’orso polare, bianca come l’uomo bianco, l’imperatore, la nemesi, l’incarnazione del male. Il capitano demente che ha perso la gamba anni prima nel tentativo di assalire Moby con un coltello.
Noi vediamo solo la superficie delle cose. Possiamo interpretare quello che c'è sotto come ci aggrada. Gli uomini dell’equipaggio si muovono sul ponte cercando di sentire il canto delle sirene, mentre squali e avvoltoi inseguono la nave. Leggono teschi e volti come voi leggete un libro. Ecco un volto. Ve lo metterò di fronte. Leggetelo se ci riuscite.
Tasthego dice di essere morto e rinato. I suoi giorni in più sono un dono. Ma non è stato salvato da Cristo, dice di essere stato salvato da un compagno, e nemmeno cristiano. Fa la parodia della resurrezione.
Quando Starbuck dice ad Ahab che dovrebbe lasciare il passato al passato, il capitano arrabbiato replica seccamente: “Non dire bestemmie, uomo. Colpirei anche il sole se mi insultasse.” Anche Ahab è un poeta di eloquenza. Dice: “Il cammino verso il mio scopo fisso è steso su binari di ferro sui quali la mia anima è incanalata per correre.” O frasi come “Tutti gli oggetti visibili non sono altro che maschere di cartapesta.” Espressioni poetiche citabili che non possono essere superate.
Infine Ahab vede Moby, si tirano fuori gli arpioni. Vengono tirate giù le scialuppe. L’arpione di Ahab è stato battezzato nel sangue. Moby attacca la barca di Ahab e la distrugge. Il giorno dopo lui vede di nuovo Moby. Le scialuppe sono di nuovo abbassate. Moby attacca di nuovo la scialuppa di Ahab. Il terzo giorno un’altra barca entra in scena. Altra allegoria religiosa. Lui è risorto. Moby attacca ancora una volta, colpendo violentemente il Pequod e affondandolo. Ahab resta avviluppato nelle cime degli arpioni e viene gettato fuori dalla sua barca in una tomba d'acqua. Ismaele sopravvive. È in mare, galleggia su una bara. E questo è tutto. È tutta la storia. Quel tema e tutto ciò che implica si sarebbe fatto strada in parecchie delle mie canzoni.
*********
Niente di nuovo sul fronte occidentale è un altro libro che ha fatto lo stesso. È un racconto dell’orrore. Un libro dove perdi la tua giovinezza, la tua fede in un mondo che abbia un significato, il tuo interesse per le persone. Sei bloccato in un incubo. Risucchiato in un misterioso vortice di morte e dolore. Stai difendendo te stesso dall’eliminazione. Stai per essere cancellato dalla faccia della terra. Un tempo eri un giovane innocente con il grande sogno di diventare un pianista concertista. Un tempo hai amato la vita e il mondo, mentre ora lo stai facendo a pezzi.
Un giorno dopo l'altro, i calabroni ti pungono e i vermi leccano il tuo sangue. Sei un animale stretto in un angolo. Non puoi stare da nessuna parte. La pioggia cade monotona. Ci sono assalti interminabili, gas tossico, gas nervino, morfina, torrenti di benzina in fiamme, cerchi cibo tra i rifiuti, influenza, tifo, dissenteria. La vita crolla attorno a te e fischiano le pallottole. Questa è la regione più bassa dell’inferno. Fango, filo spinato, trincee invase dai topi, topi che mangiano gli intestini dei morti, trincee piene di sudiciume ed escrementi. Qualcuno grida: “Ehi, tu laggiù! Alzati e combatti."
Chi sa quanto durerà questo caos? La guerra non ha limiti. Sei annientato e quella tua gamba sta sanguinando troppo. Hai ucciso un uomo ieri e hai parlato al suo cadavere. Gli hai detto che dopo che tutto questo sarà finito, passerai il resto della vita a prenderti cura della sua famiglia. Chi guadagna qui? I capi e i generali acquisiscono fama e molti altri lucrano profitti finanziari. Ma sei tu che stai facendo il lavoro sporco. Uno dei tuoi compagni dice: “Aspetta un momento, dove stai andando?” E tu dici: “Lasciami stare. Torno tra un minuto”. Poi cammini nei boschi della morte in cerca di un pezzo di salsiccia. Non riesci proprio a capire come qualcuno nella vita civile possa avere un qualche scopo. Tutte le loro preoccupazioni, tutti i loro desideri... non riesci a capirlo.
Altre mitragliatrici crepitano, altre parti di corpi pendono dai fili di ferro, altri pezzi di braccia e gambe e crani dove le farfalle si posano sui denti, altre ferite orribili, pus che esce da ogni poro, ferite ai polmoni, ferite troppo grandi per il corpo, cadaveri che emettono gas e corpi morti che producono rumori vomitevoli. La morte è dappertutto. Nient'altro è possibile. Qualcuno ti ucciderà e userà il tuo corpo per esercitarsi al tiro al bersaglio. Scarponi. Sono la tua preziosa proprietà. Ma presto saranno ai piedi di qualcun altro.
Ci sono francesi in arrivo tra gli alberi. Bastardi impietosi. Partono i tuoi proiettili. “Non è leale tornare da noi così presto”, dici. Uno dei tuoi compagni è steso nel sudiciume e vuoi portarlo all’ospedale da campo. Qualcun altro dice: “Potresti risparmiarti il viaggio.” “Cosa vuoi dire?” “Giralo e vedrai cosa voglio dire”.
Attendi di sentire le notizie. Non capisci perché la guerra non sia ancora finita. L’esercito è così a corto di rimpiazzi che arruola ragazzi di scarsa utilità militare, ma li arruolano comunque perché stanno esaurendo gli uomini. Nausea e umiliazione ti hanno spezzato il cuore. Sei stato tradito dai genitori, dai maestri di scuola, dai sacerdoti e persino dal tuo stesso governo.
Anche il generale che fuma sigari lentamente ti ha tradito, ti ha trasformato in un violento e in un assassino. Se potessi, gli pianteresti una pallottola in faccia. Anche al comandante. Fantastichi che se avessi soldi metteresti una taglia per chiunque lo uccida, con qualsiasi mezzo. E se dovesse perdere la vita nel farlo, che i soldi vadano ai suoi eredi. Un altro è il colonnello, con il suo caviale e il suo caffè. Passa tutto il suo tempo nel bordello per ufficiali. Vorresti veder lapidato a morte pure lui. E poi Tommy e Johnny con i loro whack fo’ me daddy-o e i loro whiskey in the jars [*3]. Ne uccidi venti e altri venti altri spunteranno al loro posto. È solo puzza nelle narici.
Sei arrivato a detestare la vecchia generazione che ti ha mandato in questa follia, in questa camera di tortura. Attorno a te i tuoi compagni stanno morendo. Muoiono di ferite al ventre, di doppie amputazioni, di osso iliaco a pezzi e tu pensi “Ho solo vent’anni, ma sono in grado di uccidere chiunque. Persino mio padre se mi capitasse vicino”.
Ieri hai cercato di salvare un cane staffetta ferito e qualcuno ha urlato: “Non fare lo scemo!” Un francese farfuglia ai tuoi piedi. Lo colpisci allo stomaco con un pugnale ma il tipo è ancora vivo. Sai che dovresti finire il lavoro, ma non ci riesci. Sei sulla croce di ferro vera, e un soldato romano sta posando una spugna di aceto sulle tue labbra.
Passano i mesi. Vai a casa in permesso. Non riesci a comunicare con tuo padre. Aveva detto: “Saresti un vigliacco se non ti arruolassi”. Anche tua madre, mentre sei già fuori per andartene, dice: “Adesso attento a quelle ragazze francesi”. Altra pazzia. Combatti per una settimana o un mese e guadagni dieci metri. E poi il mese successivo se li sono ripresi.
E di tutta quella cultura di mille anni fa, quella filosofia, quella saggezza – Platone, Aristotele, Socrate – cosa ne è stato? Avrebbe dovuto evitare questo. I tuoi pensieri tornano a casa. E ancora una volta sei uno scolaro che cammina attraverso alti pioppi. È un ricordo piacevole. Altre bombe ti cadono addosso dai dirigibili. Adesso devi tornare in te. Non puoi nemmeno guardare qualcuno per paura che possa accadere qualcosa di imprevisto. La fossa comune. Non ci sono altre possibilità.
Poi noti i fiori di ciliegio e capisci che la natura non è toccata da tutto questo. I pioppi, le farfalle rosse, la fragile bellezza dei fiori, il sole. Vedi come la natura è indifferente a tutto questo, a tutta la violenza e alla sofferenza di tutto il genere umano. La natura nemmeno lo nota.
Sei così solo. Poi il frammento di un proiettile ti colpisce la testa di lato e sei morto. Sei stato fatto fuori, depennato. Sei stato sterminato. Ho messo giù questo libro e l’ho chiuso. Non ho mai più voluto leggere un romanzo di guerra, e non l’ho mai più fatto.
Charlie Poole, della North Carolina, aveva una canzone che collegava tutto questo. Si intitola “You Ain’t Talkin’ to Me” e i versi dicono:
Ho visto un cartello in una vetrina andando un giorno in città. “Entra nell’esercito, gira il mondo”, è quello che diceva “Vedrai posti eccitanti in allegra compagnia,
Incontrerai persone interessanti e imparerai anche a ucciderle”.
Oh, non stai parlando a me, non stai parlando a me.
Posso essere matto e tutto quanto, ma credimi, ho buonsenso.
Non stai parlando a me, non stai parlando a me.
Uccidere con un’arma non suona divertente.
Non stai parlando a me.
***********
L’Odissea è un grande libro i cui temi sono entrati nelle ballate di molti autori: “Homeward Bound”, “Green, Green Grass of Home”, “Home on the Range” e anche in canzoni mie.
L’Odissea è uno strano, avventuroso racconto di un uomo adulto che cerca di tornare a casa dopo aver combattuto in una guerra. È in un lungo viaggio verso casa, pieno di trappole e di insidie. L’uomo è condannato a vagare. È sempre in viaggio sul mare, sempre in situazioni difficili. Grandi macigni scuotono la sua nave. Fa arrabbiare chi non dovrebbe. Ci sono sobillatori nel suo equipaggio. Tradimenti. I suoi uomini sono trasformati in maiali e poi ritrasformati in uomini più giovani, più attraenti. Lui cerca sempre di salvare qualcuno. È un viaggiatore, costretto a troppe soste.
È spiaggiato su un’isola deserta. Trova caverne deserte e ci si nasconde. Incontra giganti che dicono: “Ti mangerò per ultimo”. E sfugge ai giganti. Cerca di tornare a casa ma è fatto girare e rigirare dai venti. Venti incessanti, venti gelidi, venti ostili. Viaggia per un lungo tratto e poi è risoffiato indietro.
È sempre messo in guardia su ciò che accadrà. Tocca cose che non dovrebbe. Ci sono due strade da prendere e sono entrambe sbagliate. Entrambe pericolose. Su una puoi annegare, sull’altra puoi morire di fame. Entra in piccoli stretti di mare con vortici schiumanti che lo inghiottono. Incontra mostri a sei teste con zanne affilate. Fulmini si scagliano su di lui. Fa un balzo per raggiungere dei rami e mettersi in salvo da un fiume furente. Dee e dei lo proteggono, ma altri vogliono ucciderlo. Cambia identità. È esausto. Cade addormentato ed è risvegliato dal suono di risate. Racconta la sua storia a stranieri. È stato via vent’anni. È stato portato da qualche parte e lasciato là. Sono state versate droghe nel suo vino. È stato un viaggio duro da fare.
Per molti aspetti, alcune di queste stesse cose sono capitate anche a te. Anche a te hanno messo droghe nel vino. Anche tu hai diviso un letto con la donna sbagliata. Anche tu sei stato ammaliato da voci magiche, voci dolci con strane melodie. Anche tu sei arrivato tanto lontano e sei stato risoffiato altrettanto lontano. E anche tu hai rischiato grosso. Hai fatto arrabbiare persone che non avresti dovuto. E hai vagato per questo Paese in lungo e in largo. E hai anche sentito quel vento contrario, quello che non porta nulla di buono. E non è ancora tutto.
Quando torna a casa, la situazione non è affatto migliore. Ci sono entrate canaglie e stanno approfittando dell’ospitalità di sua moglie. E ce ne sono troppi. E anche se lui è più grande di tutti loro e migliore in tutto – miglior falegname, miglior cacciatore, miglior esperto di animali, miglior marinaio – non lo salverà il suo coraggio, ma il suo inganno.
Tutti questi sbandati dovranno pagare per aver profanato il suo palazzo. Si traveste da sudicio mendicante, ma l’ultimo dei servi lo caccia a pedate dalle scale con arroganza e stupidità. L’arroganza del servo lo fa infuriare, ma lui controlla la sua rabbia. È uno contro cento, ma cadranno tutti, persino i più forti. Era Nessuno. E quando finalmente si ritrova a casa, si siede con sua moglie a raccontarle le storie.
********
Dunque, che cosa significa tutto questo? Io e molti altri autori di canzoni siamo stati influenzati proprio da questi stessi temi. E possono significare un mucchio di cose differenti. Se una canzone vi tocca, questo è tutto quello che importa. Non occorre che io sappia cosa significhi una canzone. Ho scritto ogni sorta di cose nelle mie canzoni. E non sto a preoccuparmi di cosa significhi tutto questo. Quando Melville mise in un’unica storia tutti i suoi riferimenti biblici dell’antico testamento, teorie scientifiche, dottrine protestanti e tutta quella conoscenza del mare, dei velieri e delle balene, non penso che neppure lui se ne preoccupasse - cosa significa tutto questo.
John Donne, il poeta prete vissuto all’epoca di Shakespeare, scrisse queste parole: “Il Sesto e l’Abido dei suoi seni. Non di due amanti, ma di due amori, i nidi”. Non so che cosa significhi. Ma suona bene. E tu vuoi che le tue canzoni suonino bene.
Quando nell’Odissea, Odisseo incontra il famoso guerriero Achille nell’aldilà, Achille – che aveva scambiato una lunga vita piena di pace e contentezza per una breve vita ricca di onori e gloria – dice a Odisseo che era stato tutto un errore. “Sono solo morto e questo è tutto.” Non c’era stato alcun onore. Nessuna immortalità. E se avesse potuto, avrebbe scelto di tornare indietro e di essere l'umile schiavo di un fittavolo sulla terra piuttosto che essere quello che era – un re nella terra dei morti. E qualsiasi fossero le difficoltà di Odisseo nella vita, erano preferibili all’essere lì, in quel luogo morto.
Anche le canzoni sono questo. Le nostre canzoni sono vive nella terra dei vivi. Ma le canzoni sono diverse dalla letteratura. Sono fatte apposta per essere cantate, non lette. Le parole delle commedie di Shakespeare erano concepite per essere recitate sul palco. Proprio come i versi delle canzoni sono per essere cantati, non letti su una pagina. E spero che alcuni di voi coglieranno l’occasione per ascoltare quei versi nella forma in cui sono stati concepiti per essere ascoltati: in concerto, o su disco, o in qualsiasi modo oggi si ascoltano le canzoni. Torno ancora una volta a Omero, che dice: “Canta in me, o Musa, e attraverso me racconta la storia”.
Bob Dylan
NOTE
(1) Bob Dylan ha ricordato in altre occasioni il concerto di Buddy Holly cui assistette in gioventù. Ha sempre detto, però, di averlo visto a Duluth. In effetti, Buddy Holly si esibì al Duluth Nat’l Guard Armory il 31 gennaio 1959, un paio di giorni prima dell’incidente aereo in cui persero la vita anche Ritchie Valens, Big Bopper e il pilota. Qui un estratto dello speech di Dylan ai Grammy 1998, in cui ricorda appunto quell’episodio: https://www.youtube.com/watch?v=4yGh3S4wMLY
(2) In questa parte, Dylan cita alcuni famosi traditional che hanno fatto parte della sua educazione musicale. Nell’ordine, si riferisce a: “Stack a Lee”, “Frankie and Johnny”, “The Bourgeois Blues”, “John the Revelator”, “The Titanic”, “The Wild Rover”, “The Wild Colonial Boy”, T”he Unfortunate Rake”, “Matty Groves”, “Streets of Laredo”. “Stak a Lee” e “Frankie and Johnny” sono anche entrati nella sua discografia ufficiale.
(3) Nel testo originale: “Some men who receive injuries are led to God, others are led to bitterness.” Ma questa frase pare non ci sia nel libro di Melville. La citazione è quindi un falso inventato da Dylan. Fonte: https://newrepublic.com/minutes/143130/bob-dylan-fake-melville-quote-nobel-lecture
(4) Cita il ritornello del celebre traditional irlandese “Whiskey in the Jar”.
Dylan's Nobel Lecture
5 June 2017
When I first received this Nobel Prize for Literature, I got to wondering exactly how my songs related to literature. I wanted to reflect on it and see where the connection was. I'm going to try to articulate that to you. And most likely it will go in a roundabout way, but I hope what I say will be worthwhile and purposeful.
If I was to go back to the dawning of it all, I guess I'd have to start with Buddy Holly. Buddy died when I was about eighteen and he was twenty-two. From the moment I first heard him, I felt akin. I felt related, like he was an older brother. I even thought I resembled him. Buddy played the music that I loved – the music I grew up on: country western, rock ‘n' roll, and rhythm and blues. Three separate strands of music that he intertwined and infused into one genre. One brand. And Buddy wrote songs – songs that had beautiful melodies and imaginative verses. And he sang great – sang in more than a few voices. He was the archetype. Everything I wasn't and wanted to be. I saw him only but once, and that was a few days before he was gone. I had to travel a hundred miles to get to see him play, and I wasn't disappointed.
He was powerful and electrifying and had a commanding presence. I was only six feet away. He was mesmerizing. I watched his face, his hands, the way he tapped his foot, his big black glasses, the eyes behind the glasses, the way he held his guitar, the way he stood, his neat suit. Everything about him. He looked older than twenty-two. Something about him seemed permanent, and he filled me with conviction. Then, out of the blue, the most uncanny thing happened. He looked me right straight dead in the eye, and he transmitted something. Something I didn't know what. And it gave me the chills.
I think it was a day or two after that that his plane went down. And somebody – somebody I'd never seen before – handed me a Leadbelly record with the song "Cottonfields" on it. And that record changed my life right then and there. Transported me into a world I'd never known. It was like an explosion went off. Like I'd been walking in darkness and all of the sudden the darkness was illuminated. It was like somebody laid hands on me. I must have played that record a hundred times.
It was on a label I'd never heard of with a booklet inside with advertisements for other artists on the label: Sonny Terry and Brownie McGhee, the New Lost City Ramblers, Jean Ritchie, string bands. I'd never heard of any of them. But I reckoned if they were on this label with Leadbelly, they had to be good, so I needed to hear them. I wanted to know all about it and play that kind of music. I still had a feeling for the music I'd grown up with, but for right now, I forgot about it. Didn't even think about it. For the time being, it was long gone.
I hadn't left home yet, but I couldn't wait to. I wanted to learn this music and meet the people who played it. Eventually, I did leave, and I did learn to play those songs. They were different than the radio songs that I'd been listening to all along. They were more vibrant and truthful to life. With radio songs, a performer might get a hit with a roll of the dice or a fall of the cards, but that didn't matter in the folk world. Everything was a hit. All you had to do was be well versed and be able to play the melody. Some of these songs were easy, some not. I had a natural feeling for the ancient ballads and country blues, but everything else I had to learn from scratch. I was playing for small crowds, sometimes no more than four or five people in a room or on a street corner. You had to have a wide repertoire, and you had to know what to play and when. Some songs were intimate, some you had to shout to be heard.
By listening to all the early folk artists and singing the songs yourself, you pick up the vernacular. You internalize it. You sing it in the ragtime blues, work songs, Georgia sea shanties, Appalachian ballads and cowboy songs. You hear all the finer points, and you learn the details.
You know what it's all about. Takin' the pistol out and puttin' it back in your pocket. Whippin' your way through traffic, talkin' in the dark. You know that Stagger Lee was a bad man and that Frankie was a good girl. You know that Washington is a bourgeois town and you've heard the deep-pitched voice of John the Revelator and you saw the Titanic sink in a boggy creek. And you're pals with the wild Irish rover and the wild colonial boy. You heard the muffled drums and the fifes that played lowly. You've seen the lusty Lord Donald stick a knife in his wife, and a lot of your comrades have been wrapped in white linen.
I had all the vernacular down. I knew the rhetoric. None of it went over my head – the devices, the techniques, the secrets, the mysteries – and I knew all the deserted roads that it traveled on, too. I could make it all connect and move with the current of the day. When I started writing my own songs, the folk lingo was the only vocabulary that I knew, and I used it.
But I had something else as well. I had principles and sensibilities and an informed view of the world. And I had had that for a while. Learned it all in grammar school. Don Quixote, Ivanhoe, Robinson Crusoe, Gulliver's Travels, Tale of Two Cities, all the rest – typical grammar school reading that gave you a way of looking at life, an understanding of human nature, and a standard to measure things by. I took all that with me when I started composing lyrics. And the themes from those books worked their way into many of my songs, either knowingly or unintentionally. I wanted to write songs unlike anything anybody ever heard, and these themes were fundamental.
Specific books that have stuck with me ever since I read them way back in grammar school – I want to tell you about three of them: Moby Dick, All Quiet on the Western Front and The Odyssey.
Moby Dick is a fascinating book, a book that's filled with scenes of high drama and dramatic dialogue. The book makes demands on you. The plot is straightforward. The mysterious Captain Ahab – captain of a ship called the Pequod – an egomaniac with a peg leg pursuing his nemesis, the great white whale Moby Dick who took his leg. And he pursues him all the way from the Atlantic around the tip of Africa and into the Indian Ocean. He pursues the whale around both sides of the earth. It's an abstract goal, nothing concrete or definite. He calls Moby the emperor, sees him as the embodiment of evil. Ahab's got a wife and child back in Nantucket that he reminisces about now and again. You can anticipate what will happen.
The ship's crew is made up of men of different races, and any one of them who sights the whale will be given the reward of a gold coin. A lot of Zodiac symbols, religious allegory, stereotypes. Ahab encounters other whaling vessels, presses the captains for details about Moby. Have they seen him? There's a crazy prophet, Gabriel, on one of the vessels, and he predicts Ahab's doom. Says Moby is the incarnate of a Shaker god, and that any dealings with him will lead to disaster. He says that to Captain Ahab. Another ship's captain – Captain Boomer – he lost an arm to Moby. But he tolerates that, and he's happy to have survived. He can't accept Ahab's lust for vengeance.
This book tells how different men react in different ways to the same experience. A lot of Old Testament, biblical allegory: Gabriel, Rachel, Jeroboam, Bildah, Elijah. Pagan names as well: Tashtego, Flask, Daggoo, Fleece, Starbuck, Stubb, Martha's Vineyard. The Pagans are idol worshippers. Some worship little wax figures, some wooden figures. Some worship fire. The Pequod is the name of an Indian tribe.
Moby Dick is a seafaring tale. One of the men, the narrator, says, "Call me Ishmael." Somebody asks him where he's from, and he says, "It's not down on any map. True places never are." Stubb gives no significance to anything, says everything is predestined. Ishmael's been on a sailing ship his entire life. Calls the sailing ships his Harvard and Yale. He keeps his distance from people.
A typhoon hits the Pequod. Captain Ahab thinks it's a good omen. Starbuck thinks it's a bad omen, considers killing Ahab. As soon as the storm ends, a crewmember falls from the ship's mast and drowns, foreshadowing what's to come. A Quaker pacifist priest, who is actually a bloodthirsty businessman, tells Flask, "Some men who receive injuries are led to God, others are led to bitterness."
Everything is mixed in. All the myths: the Judeo Christian bible, Hindu myths, British legends, Saint George, Perseus, Hercules – they're all whalers. Greek mythology, the gory business of cutting up a whale. Lots of facts in this book, geographical knowledge, whale oil – good for coronation of royalty – noble families in the whaling industry. Whale oil is used to anoint the kings. History of the whale, phrenology, classical philosophy, pseudo-scientific theories, justification for discrimination – everything thrown in and none of it hardly rational. Highbrow, lowbrow, chasing illusion, chasing death, the great white whale, white as polar bear, white as a white man, the emperor, the nemesis, the embodiment of evil. The demented captain who actually lost his leg years ago trying to attack Moby with a knife.
We see only the surface of things. We can interpret what lies below any way we see fit. Crewmen walk around on deck listening for mermaids, and sharks and vultures follow the ship. Reading skulls and faces like you read a book. Here's a face. I'll put it in front of you. Read it if you can.
Tashtego says that he died and was reborn. His extra days are a gift. He wasn't saved by Christ, though, he says he was saved by a fellow man and a non-Christian at that. He parodies the resurrection.
When Starbuck tells Ahab that he should let bygones be bygones, the angry captain snaps back, "Speak not to me of blasphemy, man, I'd strike the sun if it insulted me." Ahab, too, is a poet of eloquence. He says, "The path to my fixed purpose is laid with iron rails whereon my soul is grooved to run." Or these lines, "All visible objects are but pasteboard masks." Quotable poetic phrases that can't be beat.
Finally, Ahab spots Moby, and the harpoons come out. Boats are lowered. Ahab's harpoon has been baptized in blood. Moby attacks Ahab's boat and destroys it. Next day, he sights Moby again. Boats are lowered again. Moby attacks Ahab's boat again. On the third day, another boat goes in. More religious allegory. He has risen. Moby attacks one more time, ramming the Pequod and sinking it. Ahab gets tangled up in the harpoon lines and is thrown out of his boat into a watery grave.
Ishmael survives. He's in the sea floating on a coffin. And that's about it. That's the whole story. That theme and all that it implies would work its way into more than a few of my songs.
All Quiet on the Western Front was another book that did. All Quiet on the Western Front is a horror story. This is a book where you lose your childhood, your faith in a meaningful world, and your concern for individuals. You're stuck in a nightmare. Sucked up into a mysterious whirlpool of death and pain. You're defending yourself from elimination. You're being wiped off the face of the map. Once upon a time you were an innocent youth with big dreams about being a concert pianist. Once you loved life and the world, and now you're shooting it to pieces.
Day after day, the hornets bite you and worms lap your blood. You're a cornered animal. You don't fit anywhere. The falling rain is monotonous. There's endless assaults, poison gas, nerve gas, morphine, burning streams of gasoline, scavenging and scabbing for food, influenza, typhus, dysentery. Life is breaking down all around you, and the shells are whistling. This is the lower region of hell. Mud, barbed wire, rat-filled trenches, rats eating the intestines of dead men, trenches filled with filth and excrement. Someone shouts, "Hey, you there. Stand and fight."
Who knows how long this mess will go on? Warfare has no limits. You're being annihilated, and that leg of yours is bleeding too much. You killed a man yesterday, and you spoke to his corpse. You told him after this is over, you'll spend the rest of your life looking after his family. Who's profiting here? The leaders and the generals gain fame, and many others profit financially. But you're doing the dirty work. One of your comrades says, "Wait a minute, where are you going?" And you say, "Leave me alone, I'll be back in a minute." Then you walk out into the woods of death hunting for a piece of sausage. You can't see how anybody in civilian life has any kind of purpose at all. All their worries, all their desires – you can't comprehend it.
More machine guns rattle, more parts of bodies hanging from wires, more pieces of arms and legs and skulls where butterflies perch on teeth, more hideous wounds, pus coming out of every pore, lung wounds, wounds too big for the body, gas-blowing cadavers, and dead bodies making retching noises. Death is everywhere. Nothing else is possible. Someone will kill you and use your dead body for target practice. Boots, too. They're your prized possession. But soon they'll be on somebody else's feet.
There's Froggies coming through the trees. Merciless bastards. Your shells are running out. "It's not fair to come at us again so soon," you say. One of your companions is laying in the dirt, and you want to take him to the field hospital. Someone else says, "You might save yourself a trip." "What do you mean?" "Turn him over, you'll see what I mean."
You wait to hear the news. You don't understand why the war isn't over. The army is so strapped for replacement troops that they're drafting young boys who are of little military use, but they're draftin' ‘em anyway because they're running out of men. Sickness and humiliation have broken your heart. You were betrayed by your parents, your schoolmasters, your ministers, and even your own government.
The general with the slowly smoked cigar betrayed you too – turned you into a thug and a murderer. If you could, you'd put a bullet in his face. The commander as well. You fantasize that if you had the money, you'd put up a reward for any man who would take his life by any means necessary. And if he should lose his life by doing that, then let the money go to his heirs. The colonel, too, with his caviar and his coffee – he's another one. Spends all his time in the officers' brothel. You'd like to see him stoned dead too. More Tommies and Johnnies with their whack fo' me daddy-o and their whiskey in the jars. You kill twenty of ‘em and twenty more will spring up in their place. It just stinks in your nostrils.
You've come to despise that older generation that sent you out into this madness, into this torture chamber. All around you, your comrades are dying. Dying from abdominal wounds, double amputations, shattered hipbones, and you think, "I'm only twenty years old, but I'm capable of killing anybody. Even my father if he came at me."
Yesterday, you tried to save a wounded messenger dog, and somebody shouted, "Don't be a fool." One Froggy is laying gurgling at your feet. You stuck him with a dagger in his stomach, but the man still lives. You know you should finish the job, but you can't. You're on the real iron cross, and a Roman soldier's putting a sponge of vinegar to your lips.
Months pass by. You go home on leave. You can't communicate with your father. He said, "You'd be a coward if you don't enlist." Your mother, too, on your way back out the door, she says, "You be careful of those French girls now." More madness. You fight for a week or a month, and you gain ten yards. And then the next month it gets taken back.
All that culture from a thousand years ago, that philosophy, that wisdom – Plato, Aristotle, Socrates – what happened to it? It should have prevented this. Your thoughts turn homeward. And once again you're a schoolboy walking through the tall poplar trees. It's a pleasant memory. More bombs dropping on you from blimps. You got to get it together now. You can't even look at anybody for fear of some miscalculable thing that might happen. The common grave. There are no other possibilities.
Then you notice the cherry blossoms, and you see that nature is unaffected by all this. Poplar trees, the red butterflies, the fragile beauty of flowers, the sun – you see how nature is indifferent to it all. All the violence and suffering of all mankind. Nature doesn't even notice it.
You're so alone. Then a piece of shrapnel hits the side of your head and you're dead.
You've been ruled out, crossed out. You've been exterminated. I put this book down and closed it up. I never wanted to read another war novel again, and I never did.
Charlie Poole from North Carolina had a song that connected to all this. It's called "You Ain't Talkin' to Me," and the lyrics go like this:
I saw a sign in a window walking up town one day.
Join the army, see the world is what it had to say.
You'll see exciting places with a jolly crew,
You'll meet interesting people, and learn to kill them too.
Oh you ain't talkin' to me, you ain't talking to me.
I may be crazy and all that, but I got good sense you see.
You ain't talkin' to me, you ain't talkin' to me.
Killin' with a gun don't sound like fun.
You ain't talkin' to me.
The Odyssey is a great book whose themes have worked its way into the ballads of a lot of songwriters: "Homeward Bound, "Green, Green Grass of Home," "Home on the Range," and my songs as well.
The Odyssey is a strange, adventurous tale of a grown man trying to get home after fighting in a war. He's on that long journey home, and it's filled with traps and pitfalls. He's cursed to wander. He's always getting carried out to sea, always having close calls. Huge chunks of boulders rock his boat. He angers people he shouldn't. There's troublemakers in his crew. Treachery. His men are turned into pigs and then are turned back into younger, more handsome men. He's always trying to rescue somebody. He's a travelin' man, but he's making a lot of stops.
He's stranded on a desert island. He finds deserted caves, and he hides in them. He meets giants that say, "I'll eat you last." And he escapes from giants. He's trying to get back home, but he's tossed and turned by the winds. Restless winds, chilly winds, unfriendly winds. He travels far, and then he gets blown back.
He's always being warned of things to come. Touching things he's told not to. There's two roads to take, and they're both bad. Both hazardous. On one you could drown and on the other you could starve. He goes into the narrow straits with foaming whirlpools that swallow him. Meets six-headed monsters with sharp fangs. Thunderbolts strike at him. Overhanging branches that he makes a leap to reach for to save himself from a raging river. Goddesses and gods protect him, but some others want to kill him. He changes identities. He's exhausted. He falls asleep, and he's woken up by the sound of laughter. He tells his story to strangers. He's been gone twenty years. He was carried off somewhere and left there. Drugs have been dropped into his wine. It's been a hard road to travel.
In a lot of ways, some of these same things have happened to you. You too have had drugs dropped into your wine. You too have shared a bed with the wrong woman. You too have been spellbound by magical voices, sweet voices with strange melodies. You too have come so far and have been so far blown back. And you've had close calls as well. You have angered people you should not have. And you too have rambled this country all around. And you've also felt that ill wind, the one that blows you no good. And that's still not all of it.
When he gets back home, things aren't any better. Scoundrels have moved in and are taking advantage of his wife's hospitality. And there's too many of ‘em. And though he's greater than them all and the best at everything – best carpenter, best hunter, best expert on animals, best seaman – his courage won't save him, but his trickery will.
All these stragglers will have to pay for desecrating his palace. He'll disguise himself as a filthy beggar, and a lowly servant kicks him down the steps with arrogance and stupidity. The servant's arrogance revolts him, but he controls his anger. He's one against a hundred, but they'll all fall, even the strongest. He was nobody. And when it's all said and done, when he's home at last, he sits with his wife, and he tells her the stories.
So what does it all mean? Myself and a lot of other songwriters have been influenced by these very same themes. And they can mean a lot of different things. If a song moves you, that's all that's important. I don't have to know what a song means. I've written all kinds of things into my songs. And I'm not going to worry about it – what it all means. When Melville put all his old testament, biblical references, scientific theories, Protestant doctrines, and all that knowledge of the sea and sailing ships and whales into one story, I don't think he would have worried about it either – what it all means.
John Donne as well, the poet-priest who lived in the time of Shakespeare, wrote these words, "The Sestos and Abydos of her breasts. Not of two lovers, but two loves, the nests." I don't know what it means, either. But it sounds good. And you want your songs to sound good.
When Odysseus in The Odyssey visits the famed warrior Achilles in the underworld – Achilles, who traded a long life full of peace and contentment for a short one full of honor and glory – tells Odysseus it was all a mistake. "I just died, that's all." There was no honor. No immortality. And that if he could, he would choose to go back and be a lowly slave to a tenant farmer on Earth rather than be what he is – a king in the land of the dead – that whatever his struggles of life were, they were preferable to being here in this dead place.
That's what songs are too. Our songs are alive in the land of the living. But songs are unlike literature. They're meant to be sung, not read. The words in Shakespeare's plays were meant to be acted on the stage. Just as lyrics in songs are meant to be sung, not read on a page. And I hope some of you get the chance to listen to these lyrics the way they were intended to be heard: in concert or on record or however people are listening to songs these days. I return once again to Homer, who says, "Sing in me, oh Muse, and through me tell the story."
Bob Dylan
Nessun commento:
Posta un commento