L'ultima incarnazione della classe media
- Dalla "piccola borghesia" al capitale umano universale -
di Robert Kurz
Dalla metà degli anni 1980, il panorama teorico mondiale è dominato, in particolare a sinistra, dal discorso postmoderno. La critica dell'economia politica ha ceduto il passo alla critica del linguaggio, e l'analisi delle condizioni materiali oggettive all'arbitrarietà dell'interpretazione soggettiva; la sinistra, in luogo del suo tradizionale economicismo, ha adottato un culturalismo non meno riduttivo; infine, i conflitti sociali oramai si riducono ad un simulacro mediatico. Allo stesso tempo, tuttavia, la situazione è cambiata completamente. In Occidente, la crisi economica minaccia oramai dei vasti strati sociali che finora erano stati risparmiati. Di conseguenza, la questione sociale ritorna in grande spolvero nel discorso intellettuale.
Ma le interpretazioni rimangono stranamente vaghe, senza forza e pressoché anacronistiche. La dicotomia ricchi/poveri, se appare sempre più presente nei discorsi, è sempre in attesa di essere concettualizzata; ed il fatto che la vecchia nozione marxista di "classe" torni in auge è più un segno di impotenza che altro. Secondo l'interpretazione tradizionale, la "classe capitalista" approfitta del fatto di detenere la "proprietà privata dei mezzi di produzione" per sfruttare la "classe operaia" produttrice di plusvalore. Ora, nessuno di questi concetti è pertinente a fronte dei problemi attuali.
Infatti, la povertà oggi non deriva più dallo sfruttamento nel lavoro, ma dall'esclusione dalla sfera del lavoro. Coloro che vengono impiegati dalla produzione capitalista propriamente detta, assumono la figura di privilegiati. La società non definisce più come masse "pericolose", gli individui che si raggruppano secondo la loro "posizione nel processo di produzione", ma quelli che lo fanno secondo la posizione che occupano nella sfera secondaria e derivata della circolazione e della distribuzione. Queste masse comprendono i disoccupati di lunga durata e i beneficiari delle prestazioni sociali, ma anche gli impiegati sottopagati del settore dei servizi esternalizzati, auto-imprenditori poveri, venditori ambulanti e straccivendoli. Dal punto di vista delle norme in vigore, in materia di diritto del lavoro, queste forme di riproduzione diventano sempre più viziate da irregolarità, di insicurezza e sovente perfino di illegalità; inoltre, l'assunzione è sporadica, e i magri stipendi forniscono il minimo vitale, quando non scendono decisamente al di sotto.
Viceversa, non esiste più "classe capitalista" nel vecchio senso del termine, cioè a dire quella che era definita dalla classica "proprietà dei mezzi di produzione". Se si considera l'apparato statale con le sue infrastrutture o le grandi imprese oramai transnazionali, il capitale sembra essere diventato, in un certo modo, socializzato e anonimo, e non è più possibile dare un volto alla forma astratta che esso riveste. Oggi, "il capitale" non è una classe di proprietari giuridici; è il principio universale che determina la vita ed il comportamento di ciascuno dei membri della società, non solo in quanto vincolo esteriore, ma anche proprio nella soggettività stessa.
Nel corso della crisi, e per mezzo del processo di crisi, si compie ancora una volta una trasformazione strutturale della società capitalista che dissolve i vecchi strati sociali che sembravano ben distinti. La crisi affonda le sue radici nel fatto che le nuove forze produttive della microelettronica hanno fatto volatilizzare il lavoro umano, cioè la sostanza stessa del capitale. Nella misura in cui si accelera la diminuzione del numero di lavoratori nell'industria, il plusvalore reale viene prodotto in quantità sempre minori. Investire nella creazione di nuovi siti industriali non è più redditizio, le masse di capitale si rifugiano nella sfera della finanza speculativa. E mentre segmenti di popolazione sempre più importanti vengono espulsi dalla produzione, e ridotti in povertà, viene perseguito un simulacro di accumulazione capitalista per mezzo delle bolle finanziarie.
Questo processo non è affatto una novità: dà forma da più di vent'anni allo sviluppo del capitalismo mondiale. La novità, invece, sta nel fatto che ormai le classi medie dei paesi occidentali sono a loro volta minacciate da questo rullo compressore. La saggista americana Barbara Ehrenreich, aveva evocato già nel 1989, la "paura di cadere" da parte delle classi medie. Ma in seguito - e per un decennio - il problema sembrava scomparso dietro le chimere generate dalla finanza speculativa e dello sviluppo delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione e di Internet. Il crollo della Nuova Economia, a partire dal 2000, e lo scoppio in serie delle bolle finanziarie che ha sconvolto l'Asia, l'Europa e anche, parzialmente, gli Stati Uniti, hanno brutalmente ravvivato, nelle classi medie, la paura del declassamento.
Ma allora, chi sono le "classi medie" e quale ruolo sociale giocano? Già nel XIX secolo, la divisione delle classi sociali non era così evidente. Tra i capitalisti che possedevano i mezzi di produzione e i proletari che possedevano solo le loro braccia, veniva ad inserirsi quella che si chiamava la "piccola borghesia", vecchia categoria i cui rappresentanti erano i proprietari dei piccoli mezzi di produzione (negozi, laboratori, ecc.) i quali producevano generalmente da sé, o con l'aiuto dei membri della famiglia, dei prodotti da vendere sul mercato. I marxisti ortodossi speravano che questi "piccoli borghesi" a poco a poco sparissero, a causa della concorrenza delle grandi imprese capitaliste, e andassero ad accrescere i ranghi dei salariati industriali, di modo che la società finisse per essere interamente polarizzata attorno alle due grandi classi antagoniste: la borghesia ed il proletariato.
Tuttavia, alle soglie del XX secolo, la socialdemocrazia tedesca fu teatro di un celebre dibattito tra Eduard Bernstein e Karl Kautsky circa la "nuova classe media". La sfida riguardava un certo numero di funzioni tecniche, economiche ed intellettuali che erano emerse durante l'instaurazione della società capitalista. La razionalizzazione crescente della produzione e l'espansione delle infrastrutture (amministrazione, ingegneria, educazione e formazione, sanità, media e comunicazione pubblica, istituti di ricerca, ecc.) avevano portato allo sviluppo di una categoria "né carne né pesce" che non rientrava più negli schemi tradizionali. In effetti non si potevano definire i suoi membri come capitalisti: non possedevano abbastanza soldi; d'altra parte, non essendo affatto proprietari dei loro mezzi di produzione, avendo un'indipendenza solo formale e restando largamente dipendenti dal loro salario, non si legavano più alla piccola borghesia classica; infine, non appartenevano a maggior ragione al proletariato, nella misura in cui non venivano impiegati come "produttori diretti", ma come agenti dell'espansione capitalista delle forze produttive in tutte le sfere dell'esistenza.
Certo c'erano già dei funzionari nel XIX secolo, se pensiamo agli insegnanti e ad altri dipendenti dello Stato oppure a quei quadri d'impresa che Marx ha descritto come una "gerarchia completa di sottoufficiali e di ufficiali" del capitale. Tuttavia, questa categoria sociale era così poco numerosa che difficilmente la si poteva qualificare come "classe". E' solo più tardi, quando le esigenze proprie al capitalismo del XX secolo reclamano massicciamente tali funzioni, che si può costituire una nuova classe media. Nella polemica che divide i marxisti all'inizio di quest'evoluzione, Kautsky si sforza di far entrare la nuova classe media nello schema tradizionale e di conteggiarla, in un modo o nell'altro, nei ranghi del proletariato, mentre Bernstein vede in questo fenomeno sociale una stabilizzazione de capitalismo che rendeva possibile un riformismo moderato.
All'inizio, e per lungo tempo, è sembrato che Bernstein avesse visto giusto. La nuova classe media si allontana, in effetti, sempre più dalla classe operaia tradizionale, non solo per il contenuto e per il luogo della sua attività, ma anche sul piano economico. Barbara Ehrenreich ritiene criterio di appartenenza a questa classe, il fatto che lo "statuto sociale [sia] basato sull'educazione piuttosto che sul possesso di capitale o di altri averi". Le qualifiche superiori ottenute per mezzo di quest'educazione (a volte fino all'età di trent'anni o più) che consuma risorse considerevoli, accrescono il valore della forza lavoro molto più delle altre variazioni medie. E' in questo contesto che nacque il termine. pieno di conseguenze, di "capitale umano". Impiegati del settore dell'ingegneria, del marketing o delle risorse umane, membri delle professioni liberali (medici, avvocati, ecc.) e funzionari (insegnanti, ricercatori, lavoratori sociali, ecc.) "sono", in un certo modo, raddoppio di capitale. Innanzi tutto, le loro competenze gli conferiscono un ruolo strategico per inquadrare ed organizzare il lavoro degli altri al fine di valorizzare il capitale; inoltre, e particolarmente se sono lavoratori indipendenti o quadri, hanno la tendenza a considerare la loro propria qualificazione, e perciò la loro propria persona, come "capitale umano": come buoni capitalisti, si sforzano di "auto-valorizzarsi". Il capitale detenuto dalla nuova classe media non consiste né in denaro né in mezzi di produzione, ma in attitudine ad organizzare i processi di valorizzazione ad un alto grado di razionalizzazione scientifica e tecnologica.
Numerose nuove funzioni di questo genere, fanno la loro apparizione per tutto il corso del XX secolo, e gli effettivi della nuova classe media aumentano continuamente. In particolare, il boom del secondo dopoguerra, combinato al boom dell'industria del tempo libero e alle nuove forme di produzione fordista, fornisce uno slancio supplementare a quest'evoluzione; ne testimonia il fatto che, nella più parte dei paesi, la proporzione di studenti cresce costantemente ad ogni generazione. Tuttavia, se il movimento studentesco che ha travolto tutto il mondo nel 1968 stabilisce definitivamente l'importanza crescente di queste categorie sociali, ne costituisce allo stesso tempo il primo sintomo di crisi. L'espansione della classe media aveva fino ad allora stabilizzato il capitalismo, esattamente come aveva predetto Bernstein, ed aveva portato a delle riforme graduali, ma ora era iniziato il processo di destabilizzazione.
Quando la disoccupazione strutturale e di massa generata dalla terza rivoluzione industriale, e dalla globalizzazione del capitale, colpisce essenzialmente la produzione industriale, diventa ben presto evidente che la nuova classe media non verrà risparmiata. Sotto molti aspetti, l'ascesa di questa classe è stata intimamente legata a quella delle infrastrutture pubbliche, dell'educazione e della burocrazia proprie dello Stato-provvidenza. Ora, la crisi di valorizzazione che colpisce il settore industriale, affoga i budget nazionali in difficoltà finanziarie sempri più gravi. Pertanto, le numerose realizzazioni considerate fino ad allora con fierezza, diventano improvvisamente lussi inutili ed ingombranti.
"Dimagrire lo Stato" diventa la parola d'ordine; si tagliano le spese relative all'educazione, alla cultura, alla sanità e a numerose altre istituzioni pubbliche; lo smantellamento dello Stato-provvidenza è cominciato. Anche nelle grandi imprese, interi settori di mano d'opera qualificata sono vittime della razionalizzazione delle attività. Infine, il crack della Nuova Economia finisce per svalutare perfino le competenze degli specialisti dell'alta tecnologia. Oggi, non si può più ignorare che l'ascesa della nuova classe media non disponeva di alcuna base capitalista propria, ma dipendeva dalla distribuzione del plusvalore proveniente dai settori industriali. Nella misura in cui la produzione di plusvalore reale entra in una crisi strutturale a causa della terza rivoluzione industriale, uno ad uno i settori secondari della nuova classe media vengono privati del loro terreno di coltura.
Da questo non risulta solamente un aumento della disoccupazione dei laureati. A causa dell'ondata di privatizzazioni e di esternalizzazioni, sono anche le qualifiche di questo "capitale umano" ad essere svalutate ed il loro status si degrada. Liberi professionisti indigenti ed altri professionisti "free-lance" dei media, degli studi legali o ancora delle scuole e delle cliniche private, non costituiscono più delle eccezioni: sono oramai la regola. Non di meno, si può dire che anche Kautsky si era sbagliato. Perché, se la nuova classe media in effetti è "caduta", però essa non si è riunita al proletariato industriale tradizionale dei produttori diretti, il quale non rappresenta altro che una minoranza che a poco a poco sparisce. Paradossalmente, la "proletarizzazione" dei laureati va di pari passo con una "deproletarizzazione" della produzione.
Così, la svalutazione delle qualifiche si accompagna ad un'estensione oggettiva del concetto di "capitale umano". In contro-tendenza al declino della nuova classe media, la società tutt'intera è teatro di una sorta di "im(piccolo)borghesimento" inedito che si accelera con la trasformazione degli apparati industriali o delle infrastrutture in gigantesche organizzazioni anonime. I "mezzi di produzione indipendenti" si restringono fino ad incontrare la pelle degli individui: ciascuno diventa il suo proprio "capitale umano", che non è niente di più che il suo corpo nudo. Ne risulta un contatto diretto fra l'individuo atomizzato e l'economia del valore, il cui deficit e le bolle finanziarie mantengono un simulacro di riproduzione.
Maggiore è il divario di reddito fra ricchi e poveri in questa economia delle bolle finanziarie, e più spariscono le differenze strutturali fra le classi in seno alla riproduzione capitalista. Non ha perciò alcun senso voler riprendere - come fanno un certo numero di ideologhi di questa classe media in declino che una volta era nuova - una "lotta di classe del proletariato" di un'epoca passata. Oggi, l'emancipazione sociale esige di superare la forma sociale che è comune a tutti. (N.d.T.: la forma di socializzazione per mezzo del lavoro, nella sua doppia natura concreta e astratta). Il sistema di produzione delle merci ci offre solo differenze quantitative di ricchezza astratta, essenziale, certo, quando è in gioco la sopravvivenza, ma sterile in termini di emancipazione. Un Bill Gates è, né più né meno, un "piccolo borghese" quanto qualsiasi altro auto-imprenditore povero: la loro attitudine verso il mondo è identica, ed hanno le stesse parole d'ordine. Sulle labbra, il vocabolario del Mercato universale e della "auto-valorizzazione", insieme stanno attraversando le porte della barbarie.
- Robert Kurz - ( apparso su "Folha de São Paulo", September 2004 )
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