L'affermazione, secondo la quale "la crisi del capitale internazionale è anche la crisi del sistema statale internazionale", così come viene espressa da Sol Picciotto, nel "Dibattito sullo Stato" di "Open Marxism", è un evidente truismo, che, tuttavia, rischia di diventare ambiguo e fuorviante, quando si pensa, o si porta a pensare, che quello che stiamo affrontando non sia un'unica medesima crisi, ma che si possa trattare, invece, di due differenti crisi. Del resto, l'approccio da parte di Simon Clarke allo Stato, avviene nei termini per cui "I nuovi approcci che emergono, conservano l'insistenza socialdemocratica sull'autonomia dello Stato, al fine di sottolineare la specificità della politica e l'irriducibilità della politica ai conflitti economici". Dal momento che per "Open Marxism", il "politico" e "l'economico" sono separati in modo irriducibile, ne consegue che, a livello di mercato mondiale, ci sono due crisi separate in modo irriducibile: una crisi economica capitalista, ed una crisi del "sistema Stato"; dove la crisi del capitalismo sarebbe determinata dalla legge del valore e la crisi dello Stato sarebbe determinata dalla lotta di classe.
Il "difetto" dei marxisti classici del periodo fra le due guerre, nelle parole di Picciotto, sarebbe stato quello per cui "Le contraddizioni dell'accumulazione" sono state troppo spesso pensate come 'leggi economiche' operanti dall'esterno sulle relazioni politiche fra le classi." Ovviamente, l'obiezione pone la domanda: "Dall'esterno di cosa?" La risposta, si limita ad insistere che la "crisi economica" è la crisi di "una forma, storicamente specifica, del dominio di classe".
E' difficile seguire un'argomentazione del genere, che vuole stabilire la "politica" come una sfera separata da quella economica all'interno dei rapporti capitalisti, e questo richiede che vengano ridefiniti i rapporti capitalistici stessi e visti come "una forma, storicamente specifica, del dominio di classe"; cosa che può sembrare buona e giusta, molto lodevole, perfino rivoluzionaria, ma che è del tutto sbagliata: il Capitale non è "una forma, storicamente specifica, del dominio di classe", ma è la produzione del plusvalore. Certo, la produzione di plusvalore è storicamente specifica al capitale, ma va fatta una distinzione estremamente importante - e riguarda il "dominio di classe" - per cui, il capitale (la produzione di plusvalore) attualmente non necessita di alcuna classe capitalista. Non c'è da nessuna parte, nella critica dell'economia politica fatta da Marx, qualcosa che suggerisca che egli credesse che il capitalista fosse vitale per il modo di produzione, qualsiasi senso si dia a questo termine. E se la classe capitalista non è necessaria ai rapporti capitalisti, diventa difficile - se non impossibile - classificare il capitalismo come una forma di dominio di classe.
Infatti, nel Capitale, possiamo trovare la definizione contraria: nel decimo capitolo del I volume, Marx ci mette in guardia dal confondere la personificazione del capitale con il capitale stesso:
"Come capitalista, egli è soltanto capitale personificato. La sua anima è l’anima del capitale. Ma il capitale ha un unico istinto vitale, l’istinto cioè di valorizzarsi, di creare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante, che sono i mezzi di produzione, la massa di pluslavoro più grande possibile."
Poi, di nuovo nel III volume, al capitolo 48, dove afferma che "Il capitalista è soltanto il capitale personificato, agisce nel processo di produzione soltanto come depositario del capitale ..."
Secondo Engels, nell'analisi finale, la classe capitalista del Das Kapital sarebbe stata resa del tutto superflua relativamente al modo di produzione, cioè a dire, la figura patriarcale del capitalista del 18° secolo veniva sostituita, col tempo, dallo stesso Stato; il capitale non è una forma di dominazione diretta, bensì una forma di dominio astratto!
Quello che distingue l'epoca borghese da tutte le altre epoche è l'emergere di una classe la quale non ha alcun interesse ad imporsi sulla classe dirigente di quell'epoca. Un assunto del genere è stato fondamentale per Marx, dal momento che, mancando un interesse di classe da imporre contro la classe dirigente, ha così creduto che il proletariato si trovasse perciò nella posizione di porre fine a tutte le classi. Diversamente, per Picciotto, "il più grande contributo di Marx, alla lotta per il socialismo" sarebbe "aver mostrato non solo che lo sviluppo sociale è un processo della lotta di classe, ma aver anche mostrato che la lotta di classe assume differenti forme storiche, nelle differenti società, e che capire queste forme è essenziale ai fini della comprensione della lotta di classe e del suo sviluppo." Ma se questo fosse vero, come potrebbe l'assenza di interesse di classe del proletariato (ad imporsi sulla classe borghese) essere essenziale ai fini della "comprensione della lotta di classe e del suo viluppo? Significherebbe, essenzialmente che, nella misura in cui il proletariato è coinvolto, non si dà lotta di classe.
E, in effetti, Marx usa questo argomento nella sua critica a "Stato e Anarchia" di Bakunin, quando scrive:
(...) significa che il proletariato agisce ancora, durante il periodo della lotta per abbattere la vecchia società, sulla base di quella vecchia società, e quindi si muove ancora all'interno di forme politiche che ancora ad essa appartengono, non avendo ancora raggiunto, durante questo periodo di lotta, la sua costituzione finale, e impiega, per la sua liberazione, metodi che, dopo tale liberazione, decadranno."
In poche parole, la lotta del proletariato appare come lotta politica in quanto si muove dentro la forma politica della società borghese. La lotta del proletariato non è lotta politica. "Open Marxism" non si è ancora posto il problema che, per il proletariato, la società borghese è senza classi. Non è un caso che la classe operaia non abbia alcuna coscienza di classe, dal momento che non ha alcuna coscienza delle classi. E questo presunto "difetto" in quella che è la comprensione empirica delle attuali relazioni sociali, da parte del proletariato, significa che la lotta di classe non è il terreno sociale sul quale la classe combatte. Ma per i "Marxisti Aperti" "una teoria materialista dello Stato non comincia chiedendosi in che modo la 'base economica' determini la 'sovrastruttura politica', bensì chiedendosi cosa sia, nei rapporti di produzione sotto il capitalismo, a far sì che esse assumano forme economiche e politiche separate." Il motivo, per i "Marxisti aperti" sarebbe da attribuire allo scambio di merci: "il lavoratore non è assoggettato fisicamente e direttamente al capitalista, il suo assoggettamento è mediato dalla vendita della sua forza lavoro, come merce sul mercato." L'argomento è giusto, ma c'è di più: lo scambio di merci implica competizione tra i venditori e competizione fra gli acquirenti e, inoltre, competizione fra acquirenti e venditori, cioè a dire competizione fra proletari, competizione fra capitalisti e competizione fra proletari e capitalisti. La società borghese è l'epoca della competizione globale fra tutti i membri della società. Le condizioni materiali di questa società, dal momento che non esprimono direttamente, da nessuna parte, quelli che sono gli interessi degli individui che compongono la società, devono prendere una forma che sia indipendente da questa competizione universale. E prende la forma dello Stato democratico, il quale è semplicemente la forma che rende possibili le condizioni più libere possibili per la competizione fra i membri della società. Le condizioni economiche materiali della società borghese presuppongono non solo la separazione dello Stato dalla società, ma anche la sua forma democratica.
I "Marxisti aperti" pensano di poter spiegare perché lo Stato sia separato dalla società, ma, chiaramente, non possono spiegare perché questo Stato, necessariamente, prenda la forma della democrazia. Ci provano mediante un sotterfugio, secondo il quale lo Stato sarebbe separato a causa delle relazioni fra le due grandi classi: la compravendita di forza lavoro presuppone che il lavoratore sia libero di venderla; che sia il proprietario di sé stesso. Sarebbe quest'astrazione (della forza lavoro dal suo immediato processo di produzione, e la sua separazione) a costituire l'economico ed il politico come distinti. Non si trova da nessuna parte, in quest'argomentazione, il fatto che il "capitale" sia suddiviso in capitali in competizione fra loro, né che i proletari siano altrettanto suddivisi in quanto venditori di forza lavoro. Il fatto che la classe borghese è realmente e materialmente divisa fra capitali in competizione significa che da nessuna parte può possedere il potere dello Stato. Il potere dello Stato, piuttosto, esprime gli interessi materiali comuni a questa classe. Gli interessi della classe borghese non possono venire espressi in nessun'altra forma diversa dallo Stato, proprio perché gli interessi della classe, nel suo insieme, non sono in alcun modo gli interessi degli individui che compongono la classe.
Anche se la classe capitalista ha provato ad esprimere direttamente i propri interessi (anarco-capitalisti), un tentativo del genere rimane solo una fantasia; gli interessi fra i diversi capitalisti non sono meno antagonistici di quelli di capitalisti e lavoratori. Ogni capitalista è obbligato dalla legge del valore ad incrementare il suo capitale, pena la sua rovina e quella dei suoi competitori. Non c'è niente nella teoria del valore che suggerisca che i capitalisti possano risolvere i loro conflitti per mezzo del loro mutuo interesse in quanto classe (cosa che sarebbe un presupposto necessario per assumere una qualsiasi sorta di ruolo diretto della 'classe'). La separazione fra società e Stato, e la forma democratica di questo, è data dalla competizione fra capitali e non richiede altra spiegazione. Se nonostante questa separazione, dovesse avvenire una fusione fra il capitale totale e lo Stato, ciò non implicherebbe un ruolo diretto della classe capitalista ma, piuttosto, implicherebbe il fatto che la classe capitalista è stata resa superflua per il capitale nazionale. Una conclusione, questa, che può costituire un grosso problema per i "marxisti" la cui nozione di comunismo richiede la presenza di un'altra classe e la presenza della lotta di classe. Ma l'altra classe adesso è stata resa superflua dal progresso stesso del modo di produzione.
fonte: The Real Movement
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