giovedì 13 ottobre 2011

L’ultima lezione

unamuno

Auditorium dell'Università di Salamanca, 12 ottobre 1936. Si celebra il "Día de la Hispanidad" (denominato anche "Día de la Raza"). La guerra civile è appena cominciata, e Salamanca è diventata la capitale del franchismo, con i gerarchi acquartierati nel palazzo episcopale della città. Quel giorno, i sostenitori di Franco hanno riempito l'ateneo. Sono venuti per ascoltare i discorsi del Professore di Storia José María Ramos Loscertales, del professore di Scienza Scolastica Vicente Beltrán de Heredia, di José María Pemán, scrittore, e del professore Francisco Maldonado. Seduti, attenti, al tavolo della presidenza, Millán Astray, il fondatore della legione, Carmen Polo, la moglie di Francisco Franco, il Vescovo Pla i Deniel e Miguel de Unamuno, il rettore dell'Università, il quale, poche settimane prima aveva indirizzato un "Messaggio alle Accademie e Università del mondo circa la guerra civile spagnola", dove si giustificava la rivolta dei militari, chiedendo solidarietà internazionale e sostegno, e si condannava la Repubblica.
La celebrazione si svolgeva secondo il programma, segnata dalla costante lode dell'idea di Spagna, finché, arrivato il turno di Maldonado de Guevara, questi, nello stesso stile, non decise di fare un ulteriore passo e, rivolgendosi ai baschi e ai catalani, li descrisse come "cancro nel corpo della nazione, che il fascismo, che è il guaritore della Spagna, saprà sterminare, incidendo la carne come fa un chirurgo scevro da qualsiasi sentimentalismo". Alla fine dell'intervento, dal pubblico emerse una voce che gridò: "Viva la morte!"
Col progredire della cerimonia, il volto del rettore, inizialmente sereno, aveva cominciato a tramutare. Immediatamente dopo queste parole, cambiò del tutto. All'improvviso, Unamuno si alzò dal suo posto e si rivolse al pubblico.
"Voi state aspettando le mie parole"-  cominciò - "Mi conoscete bene, e sapete che non sono capace di restare in silenzio" dichiarò, per giustificare l'infrazione del protocollo stabilito, perché "A volte tacere equivale a mentire, perché il silenzio può essere interpretato come acquiescenza". Fu allora che iniziò la sua risposta al discorso - "per chiamarlo in qualche modo" - del professor Maldonado, premettendo che avrebbe ignorato "l'offesa personale insita nella sua repentina esplosione contro baschi e catalani". Unamuno, nativo di Bilbao, ne era rimasto addolorato, così come l'insulto era rivolto anche al vescovo di Salamanca, "catalano nato a Barcellona". Il rettore, però, preferiva concentrarsi sul "grido necrofilo ed insensato" proveniente dal pubblico. Quel "¡Viva la muerte!", secondo Unamuno che aveva passato la vita "a scrivere di paradossi che scatenavano la rabbia di quelli che non li capivano", era un "paradosso repellente".  
Gli animi cominciavano a scaldarsi, i comandanti militari riuniti presso l'auditorium non riuscivano a credere a quello che sentivano, e l'atmosfera divenne ancora più tesa quando il rettore ricordò che Millán-Astray era un invalido di guerra "così come lo era Cervantes". Il militare portava una benda dove c'era l'occhio destro che il 4 marzo 1926 gli era stato strappato da una fucilata durante la guerra in Marocco, una guerra che gli era costata anche l'amputazione del braccio sinistro, e cicatrici varie per ferite da schegge alle gambe. Unamuno continuò, lamentando che "purtroppo, in Spagna, ci sono attualmente troppi mutilati e, se Dio non ci aiuta, ben presto ce ne saranno molti di più." In questa stessa ottica, osservò che, quella spagnola, era "solo una guerra incivile"; argomento che sottolineò, assicurando che "vincere non è convincere, e bisogna convincere, soprattutto, e non si può convincere con l'odio che non lascia spazio alla compassione". L'indignazione della rappresentanza militare si trasformò in furia quando sentì il rettore dire che egli era tormentato dal "pensiero che il generale Millán-Astray potesse dettare le regole della psicologia di massa", in quanto, a suo parere era "un mutilato che manca della grandezza spirituale di Cervantes, si aspetta di trovare un terribile lenimento nel vedere come i mutilati si moltiplicano intorno a lui".
Il fondatore della Legione, che faceva anche le veci di direttore dell'Ufficio della radio, stampa e propaganda del corpo dei mutilati di guerra, si alzò dalla sedia, incapace di trattenersi, per reclamare la parola, interrompendo il rettore, e lanciare un grido passato alla storia: "Muera la intelectualidad traidora". Unamuno non si spaventò e rispose, rivolgendosi ai militari: "Questo è il tempio dell'intelligenza, ed io ne sono il suo sommo sacerdote. Voi state profanando il suo sacro recinto. Vincerete, perché avete sufficiente forza bruta. Ma non convincerete. Per convincere bisogna persuadere, e per persuadere si necessita di qualcosa che vi manca: ragione e diritto nella lotta."
Quello che accade, a partire da quel momento, si può solo sintetizzare con le parole "tumulto" e "violenza contenuta". Il pubblico era infuriato contro Unamuno e gridò ad alta voce ogni genere di insulti. Alcune cronache raccontano che alcuni ufficiali estrassero le pistole e, curiosamente, se non ci furono conseguenze, per Unamuno, fu per l'intercessione della moglie del Caudillo, Carmen Polo, che lo salvò trascinandolo via per un braccio. L'evento si chiuse, con Unamuno che lasciava l'auditorium e l'Università circondato da una folla che alzava il braccio nel saluto falangista. La moglie di Franco si fece da parte e Unamuno, accompagnato dal vescovo, arrivò come poté all'auto che era in attesa per portarlo a casa, dove rimase agli arresti domiciliari fino alla sua morte, avvenuta solo due mesi e mezzo dopo.
Un'ora dopo quegli eventi, il consiglio comunale di Salamanca - di cui il rettore faceva parte - si riunì segretamente ed espulse Unamuno "per la Spagna, proditoriamente pugnalata dalla pseudo-intellettualità liberal-massonica". Fino al 31 dicembre 1936, il giorno in cui morì improvvisamente mentre si trovava con i suoi amici, Unamuno aveva ricevuto tutta una serie di giornalisti stranieri di cui si era avvalso per chiarire la sua posizione sulla guerra civile. Lo scrittore aveva osservato che, dopo averla vista con speranza in un primo momento, aveva cominciato a percepire una deriva di crudeltà che non condivideva, e della quale entrambe le fazioni erano complici.

1 commento:

Cirano ha detto...

Morte alla Morte! Viva la vita!
Mi è piaciuto il passaggio "Voi vincerete, ma non convincerete!"