Per trovare argomenti di cui parlare (cosa a proposito della quale, qualcuno mi ha chiesto), mi avvalgo di strumenti banali come google reader, usato come una volta si usava un prezioso servizio giornalistico, com'era quello dell'Eco della Stampa. Detto questo, seguendo questo genere di tracce, qualche giorno fa mi sono imbattuto in uno strano personaggio su cui, curiosamente, le notizie racimolate sul web contribuiscono ad una certa confusione. La traccia di partenza mi è stata data da un blog spagnolo, di Santiago Mata che qui voglio ringraziare. In poche parole, il blogger in questione, effettuando una ricerca sul generale José Miaja, che era a capo della Giunta di Difesa di Madrid durante la guerra civile spagnola, ha trovato notizie su un libro, di cui il generale ha scritto la prefazione, firmato da Dino Fienga. "La settimana portentosa della difesa di Madrid". Con presentazione del generale José Miaja, Chicago, Edizioni Clemente & Sons, 1954.
Giocoforza, a questo punto, seguire le indicazioni del blogger, e andarsi a leggere la biografia, di questo Fienga, e anche un piccolo estratto dal libro in questione, un paragrafo non troppo rilevante che pecca di un po' troppa retorica ***.
Fulvio Tuccillo, l'estensore della biografia, lo riassume in una frase: "Partire è vivere, restare è morire". Andando avanti a leggere, si scopre che da giovane aderì al socialismo e, nel 1921, fu fra i fondatori del Partito Comunista, a Livorno. Nella guerra civile spagnola, si trova arruolato come capitano medico.
La cosa curiosa però è che, in quest'altra biografia, firmata da Alberto Petrucciani, si dica che era arruolato in una brigata del POUM (cosa parecchio difficile, a Madrid!). A rincarare la dose, arriva Andy Duran che, su Libcom, scrivendo delle milizie del POUM, si trovi a nominarlo e arrivi addirittura a precisare che era "bordighista". A questo punto, non si capisce se era già in rotta con Mosca, quando arriva nel 1936 in Spagna. La prima biografia non dice niente in proposito, e non c'è niente che sembri provare che avesse qualcosa a che vedere col POUM. Bisognerebbe andare a cercare la risposta nelle sue opere, che sono una cospicua mole. Tuccillo, che a quanto pare le ha lette, dice solo che fu proprio nella guerra civile spagnola che Fienga prese le distanze dallo stalinismo. D'altro canto, anche il battaglione 11 Ottobre, a proposito del quale, una foto pubblicata sul settimanale "Gente", afferma che fosse appartenuto (e che non aveva niente a che fare col POUM, visto che il capo era un socialista italiano, Fernando Da Rosa), nel sito che ne fa la cronologia non appare mai il nome di Fienga.
Ad ogni modo, dopo l'esilio messicano, che lo avvicinerà a Trotsky, nel 1947 si farà terziario francescano e arriverà a scrivere un libro su San Francesco d'Assisi che gli darà fama mondiale, sull'argomento.
Fonte: http://www.intereconomia.com/blog/paracuellos36/dino-fienga-orwell-italiano-20111025
*** «Una fila di camions entra da Las ventas del Espirtu y Santo; li occupano soldati bene armati che parlano lingue straniere. Chi sono? Il grido che lanciano di quando in quando è la loro risposta: U.H.P. (u.acce. pè). Sono los hermanos proletarios venuti a difendere Madrid, faro della libertà, che ha ormai superato i suoi tre giorni di solitudine. Sono il fiore dell’antifascismo mondiale [...] Sono 3500 leoni così verranno chiamati più tardi che vanno ad affrontare, poche ore dopo il loro arrivo, i mori ed il Tercio a Casa de Campo, al Parco dell’Ovest, alla Città Universitaria [...] Arrivarono a Madrid nell’ora decisiva, mentre il nemico bussava alle sue porte con furia implacabile; sfilarono per le strade della città in pericolo, fra l’amore e l’entusiasmo del popolo madrileno. Da dove venivano? Da tutti gli angoli d’Europa: polacchi, tedeschi, francesi, austriaci; lasciamo la parola a Zugazagoitia, che fu testimone oculare di quell’ora (e fu poi fucilato dai falangisti). Ribelli egli commenta espulsi dalla loro patria, lavoratori senza nazionalità, uomini dal passato pieno di dolore e dall’avvenire incerto. Gente tutta dun pezzo, dalle braccia robuste, dal cuore senza paura. Tremila cinquecento fucili. Si sparpagliarono per la Casa de Campo e la Città Universitaria. La guerra li accolse con tutta la sua pirotecnica mortale. Dopo qualche ora il loro numero era già diminuito. Era il prezzo d’ingresso: una dozzina di morti. Non si turbarono: erano venuti a Madrid proprio per questo: a farsi uccidere per difenderla. Sapevano solo una cosa: che la Capitale aveva bisogno di loro. La loro presenza nelle posizioni minacciate ravvivò la passione dei madrileni. Era dunque vero che arrivavano i rinforzi? Il miliziano si fece insolente con la morte e tornò a disprezzarla; però i suoi nuovi compagni, chiusi per l’esperienza e la disciplina nella loro condizione di soldati, gli risultavano strani. Si interponevano violentemente quando il miliziano si spingeva un po troppo. Gl’insegnarono precauzioni e difese elementari e la maniera di combattere con maggiore efficacia. Il miliziano imparava. Si faceva soldato, senza accorgersene, ogni internazionale diventò un maestro» (da D. Fienga, La settimana portentosa della difesa di Madrid. Con presentazione del generale José Miaja, Chicago, E. Clemente & Sons, 1954, pp. 31-32)
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