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mercoledì 30 settembre 2009
medioevi
G. de' D. (1318 - 1389)
Giovanni de' Dondi da Padova
per tutta la vita
costruì un orologio.
Un assoluto prototipo, insuperato
per quattrocento anni.
Un meccanismo plurimo, di ruote
ellittiche e dentate,
connesse ad ingranaggio,
e il primo bilanciere;
un'inaudita fabbrica.
Sette quadranti mostrano
la postura dei cieli
e le mute rivoluzioni
d'ogni pianeta.
L'ottavo,
il meno appariscente,
segna l'ora, il giorno e l'anno:
A.D. 1346.
Forgiò di propria mano:
una macchina celeste,
inutile e industre come i Trionfi,
un orologio verbale
che fabbricò Petrarca.
A qual uopo sciupate il tempo vostro
con il mio manoscritto,
se a grado non siete
di rifarlo?
Sorgere e tramontare del sole,
congiunzioni dell'orbita lunare,
Feste mobili e fisse.
Una calcolatrice, eppure,
ancora e sempre il cielo.
D'ottone, d'ottone.
Sotto codesto cielo
oggi viviamo noi.
La gente di Padova
non badava alla data.
Un golpe dopo l'altro,
carri d'appestati sul selciato.
I banchieri
pareggiavano il bilancio.
Scarseggiavano i viveri.
L'origine di quella macchina
è problematica.
Un computer analogico.
Un Menhir. Un Astrarium.
Trionfi del tempo. Sopravvanzi.
Inutili e industri
come un poema d'ottone.
Guggenheim non mandava
a Francesco Petrarca
l'assegno a fine mese.
De' Dondi non aveva contratti
col Pentagono.
Altre belve. Altre
le parole e le ruote. Eppure
il medesimo cielo.
In codesto Medioevo
oggi viviamo noi.
H.M. Enzensberger - Mausoleum -
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