mercoledì 16 settembre 2009

mugshot



Con ogni probabilità il primo ad apparire sorridente in una fotografia, fu Alfonso Capone. E che foto! Un "mug shot" scattato all'indomani della strage di San Valentino, le spalle contro il muro per la foto segnaletica di rito.
Già, il "mug shot"! La faccia incorniciata dentro un foglio con sopra scritto "wanted!" che, dopo qualche anno, sarebbe diventato una foto formato tessera con relativa scheda informativa. Uno strumento - come dire - livellatore, che rendeva uguali tutti coloro costretti a posare loro malgrado.
Colpevoli e innocenti, anarchici e mafiosi, serial killer e rockstar, nazisti e pacifisti. Così, i "Pinkertons" scorrazzavano per il west, a fotografare e ad ammazzare, con brio e senza fare differenza, banditi, disertori e scioperanti. Il passo susseguente, lo compì la polizia francese, nel 1871, quando fotografò i protagonisti della Comune di Parigi ed allegò il ritratto di ogni condannato al suo dossier giudiziario. La pratica si diffuse ed anche in Inghilterra divenne ben presto obbligatoria e, grazie al riconoscimento fotografico, nel giro di pochi anni vennero arrestati 375 evasi.
Era una febbre: alla Expo del 1889, venne presentata la «Fiche antropométrique de Bertillon», e con clamore generale fu adottata da tutte le potenze europee, colonie comprese, dalla Russia e dagli Stati Uniti: al classico "mug shot" frontale, Bertillon aveva affiancato quello di profilo, a cui erano state aggiunte una serie di misurazioni del viso e del corpo, e in seguito le impronte digitali.
A questo punto, nascono i problemi. Il primo, e il più grave, attiene alla quantità: la galleria dei "furfanti" (Rogue's Gallery) della polizia di New York, a pochi mesi dall'adozione del metodo antropometrico, conta già 24.000 immagini di ricercati!
A cercare bene, c'è posto per tutti! E, a cercare bene, le si trovano dappertutto, le foto segnaletiche. Sul primo numero della «Révolution Surréaliste» campeggia la foto segnaletica di Germaine Berton circondata dai ritratti di Picasso, De Chirico, Eluard e Man Ray. Frugando in rete, se ne trovano un bel po', di foto segnaletiche. Chessoio, un Mussolini arrestato a Berna, nel 1903, per vagabondaggio, ma anche Luigi Galleani, anarchico italo-americano, estradato in Italia nel 1919 e condannato a nove mesi di prigione, sette anni dopo, per insulti al duce. Oppure, ritratti e schedati con lo stesso metodo, ci sono, Hermann Goering, per crimini contro l'umanità, e Frank Sinatra, per molestie sessuali. Come se, fotografati, si rimanesse ... "colpevoli in eterno". Colpevole per scherzo Elvis Presley, in visita negli uffici dell'FBI, nel 1970. Colpevole Jane Fonda, nel mirino per la sua propaganda anti Vietnam e arrestata all'aeroporto di Cleveland perché in possesso di strane pillole, vitamine per la verità, e perché diede un calcio al poliziotto che cercava di trattenerla.
Colpevoli per possesso di droga, Jimi Hendrix e David Bowie. Pochi dollari di cauzione e di nuovo fuori. Chi invece non rivide mai più la luce della libertà fu Robert Stroud, due omicidi e un ergastolo trascorso ad allevare canarini e a studiarli fino a conquistare fama internazionale e un posto ad Hollywood, grazie a Burt Lancaster nel film "l'Uomo di Alcatraz".
Nelle varie segnaletiche che gli vennero scattate nei suoi cinquant'anni di detenzione Stroub non sorrise mai. E non sorrise neppure Al Capone nel ritratto che gli venne fatto, un'altra volta, nel giugno 1931, pochi minuti dopo l'arresto per evasione fiscale. Nello stesso anno e nello stesso mese in Italia il regio decreto n. 773, nell'ambito delle leggi di pubblica sicurezza, rendeva obbligatoria la carta d'identità munita di fotografia. Un primo discreto "mug shot", senza foto di profilo, però!
Poi è venuto FaceBook, ma questa è un'altra storia. Forse!

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