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mercoledì 23 maggio 2007
Beam up, Scotty!
Questo "ritratto" di Oreste Scalzone, scritto da Erri De Luca nel 2000 e rimasto inedito salvo che per la pubblicazione su un libretto a bassa tiratura per una piccola casa editrice, "Lettere da una città bruciata", riesce appieno, a mio modo di vedere, a dare una "descrizione" a tutto tondo di Oreste. Contro luoghi comuni, anche da parte dei compagni, e facili "complicazioni", emerge da queste righe la figura semplice e pulita di Oreste. Una cosa mi ha fatto sorridere. Quando ho letto del suo "materializzarsi ovunque", ho ripensato alla discussione fatta più di un mese fa, all'una di notte sotto l'obelisco dell'Eur, a parlare con Piperno a proposito del "trasferimento di materia". Ho pensato ad Oreste Scalzone....a Star Trek!
Anagrammi
di Erri De Luca (2000)
Gli anagrammi sono apparizioni. Dentro una parola ne spunta un'altra che utilizza le medesime lettere. Lettere? Le rette. Parole? L'opera. L'anagramma contiene un segreto e irrita chi non lo vede.
Mi aggiro intorno al nome Oreste perché contiene destino. Oreste? E' sorte.
Il nome già costringeva al viaggio. Oreste/estero. Così è stato. Dopo la prigione gli è toccato l'espatrio clandestino in una terra di civiltà che ancora sa distinguere un rigugiato politico da un bandito. Senza lo scippo delle sue quattr'ossa dai carceri speciali starebbe ancora imbalsamato vivo in un penitenziario dei nostri. Oppure il suo corpo di uccello appiedato avrebbe preferito la libertà di morire. Oreste all'estero: questa radice quadrata lo ha scaraventato su una tribuna traballante dalla quale non è sceso più. Onore alla Francia che nell'ora di Schengen, quando per legge unificata di polizia i rfugiati italiani dovevano essere spediti automaticamente alla celle nazionali, decise il suo sovrano no. E si tenne per citoyens i profughi politici italiani. Onore alla Francia per essersi tenuto Oreste, inesorabile prezzemolo e portavoce di tutti i casi malcapitati, dai suoi a quelli degli immigrati senza documenti.
Nessun politico italiano di passaggio a Parigi ha potuto tenere un incontro pubblico senza essere intercettato e interpellato da lui. E' apparso loro ovunque come l'ombra di Banquo a Macbeth, ma a differenza di quella, non zitta. E' apparso alle presentazioni dei miei libri a Parigi, ovunque ci fosse un'occasione corale d'incontro. L'ultima volta al Beaubourg mi toccava parlare di alcuni indizi circa la biografia di Dio. E' venuto e ha spiegato sotto forma di domanda il valore rivoluzionario del verso del libro Levitico/Vaikrà che avevo appena accennato: "E amerai il tuo vicino come te stesso". Ho aggiunto dopo di lui che l'ebraico del verso stabilisce una giusta precedenza: amare prima il vicino e solo così poter amare anche se stesso. Si ama la propria vita tanto quanto si è capaci di amare le persone intorno. Ha approvato sorridendo. Fischia e sorride volentieri.
Non ha schiena. E' frontale come un bassorilievo. Ne aveva una sana e la sfilò ammaccata da sotto la rovina di un banco scagliato dalla finestra di un'università di Roma, facoltà di Legge. Da nessuna parte è scritto di fare con il proprio unico dorso quello che è raccomandato per le guancie, di offrire la seconda. Non disponendo di una schiena di scorta gli resta solo il lato anteriore e porge quello. Non si è arricchito: "scelte senza oro" è l'anagramma del suo nome e cognome.
Ha una voce di fili di rame, una trachea sfondata di gridi. L'ho sentito cantare Addio Lugano bella nell'omonimo film di Francesca Solari e ho saputo che poteva materializzarsi ovunque. La sua voce era diventata un impianto: stereo, altro anagramma di Oreste.
Stereos in greco significa forte, vigoroso: il suo corpo ha concentrato tutta l'energia nelle corde vocali. Le sue onde sonore passano spesso i confini e circolano da noi con sgomento di pubblici ufficiali. Arrivano sue frasi battute dai giornali, registrazioni e altre incarnazioni. Un suo braccio è apparso a Pisa, il suo colbacco a Terni, un suo mutandone era appeso in una casa di ringhiera nel quartiere Ticinese di Milano, il suo fischio canterino zufola talvolta per nostalgia davanti a una porta arruginita dell'Alfa Romeo di Arese, dove distribuiva volantini di Potere Operaio trent'anni fa.
L'ultimo anagramma è meridionale. Oreste è 'o rest'. E' il resto di una folla di ammutoliti. Con lui termina la specie di chi non ha sconfessato niente, addossandosi responsabilità personale e plurale di ogni atto politico della sinistra rivoluzionaria italiana. Anch'io risento questa specie di lealtà, ma a me non costa nulla, io resto un illeso, uno che non ha scontato. Di tutti noialtri di quegli anni è la maschera finale che ci riassume tutti. Ricordo una poesia d'infanzia dove un Pulcinella buffo ed eroico dice a ogni fine di strofa:" 'O cunto purtatelo a me". A lui, ai rifugiati eterni, ai detenuti a vita ogni giorno, come fosse il primo, è presentato 'o cunto.
- Erri De Luca -
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