venerdì 17 gennaio 2025

E’ un buon segno!

È un buon segno, quando un prodotto (certo, una merce! Perché? Cos'altro avete voi da offrire?!!???) crea scompiglio, e forma degli schieramenti contrapposti, la cui partecipazione a uno dei due - piuttosto che all'altro - non sembra derivare dall'appartenenza ad altre precedenti categorie! Come dire, c'è qualcosa di nuovo... E quand'è così, avviene sempre che il prodotto (la merce) di cui sopra diventa come una sorta di cartina di tornasole, a partire dalla quale potete scegliervi - come dire - la compagnia. Se vi dico Cazzullo o Travaglio, Giordano Bruno Guerri o Giampiero Mughini ... voi? Ci andreste a cena? Attenzione, perché se rispondete sì, a questo punto rischiate di dover fare a meno della mia compagnia come vostro commensale. Ecc..
È stato questo che ha finito per caratterizzare una serie TV, come "M. Il figlio del secolo" - tratto da un romanzo di Scurati, e arrivata solo al secondo episodio degli 8 che ne promette - creando due schieramenti rispetto ai quali ciascuno può misurare il proprio senso critico a 360°. Arte, cinema, politica, storia, economia, sociologia, filosofia, psicologia, e Psicoanalisi: insomma, chi più ne ha più ne metta; perché il piatto è ricco. Del resto, come ha detto Godard, anch'io «sono sempre stato convinto del fatto che un uomo e una donna che non amano gli stessi film, alla fine divorzieranno!». Così, anche qui, mentre si parla e si legge di "M", cominciamo a guardarci negli occhi con sospetto. E a partire dal sospetto di... fascismo!!
Il fascismo, lo sappiamo com'è andata la cosa, e la serie tv ce lo ricorda: senza socialismo niente fascismo!
È bastato l'interventismo nella prima guerra mondiale, in cui, nel nome del nazionalismo appena scoperto, si unirono allegramente socialisti e sindacalisti rivoluzionari, per dare le basi a quello che di lì a poco sarebbe stato il fascismo. Poi, che anche Gramsci e Togliatti siano stati interventisti, mentre invece Bordiga no, be' questa è tutta un'altra storia, ma non credo che mai nessuno ci farà sopra una serie TV, per quanto non si possa mai sapere...
Ma torniamo al fascismo e alla paura della nascente borghesia italiana che, in una simile situazione, ritenne che la cosa migliore fosse quella di affidarsi a un energumeno, un po' tanto vigliacco e opportunista, che alla direzione dell'Avanti aveva già preferito i soldi provenienti da chi si sa e di cui lo aveva rifornito Filippo Naldi. Il resto è storia. O meglio il resto è M, il figlio del secolo che ci racconta in maniera impeccabile (da Oscar) e con uno stile coinvolgente (da doppio Oscar) come sono andate le cose. Per cui guardatevelo, se volete sapere come sono andate davvero sto cazzo di cose, per quanto possano anche non essere andate esattamente in quel modo. Non importa. Sulla scena che state guardando, quello che vedete (splendidamente interpretato), è un uomo che odiava sé stesso - e di conseguenza odiava tutti - perché non era riuscito a essere quello che, da ragazzo, avrebbe tanto voluto essere. Il conto lo ha fatto pagare a tutti i suoi contemporanei, e oltre. Continuiamo a pagarlo anche noi, voi sapete come.
Se volete leggere una critica migliore di questa (ci vuol poco) e più dettagliata, allora vi consiglio quella di John Dillinger Jr..
Io, intanto mi vado a scaricare le due puntate seguenti!

mercoledì 15 gennaio 2025

La Nuova Corsa all’Oro e il Dottor Stranamore

La dominazione del mondo capitalista nel 2030: Regno di Mezzo e/o Impero Americano?
- di
https://pantopolis.over-blog.com/ -

Praticamente, a partire dal 2023, la Cina dominerà ogni fase della catena di produzione dei veicoli elettrici; dalla produzione dei metalli rari necessari per le batterie elettriche, all'esportazione di questi veicoli per mezzo di di navi giganti [*1]. Sembra che anche nella guerra per i metalli rari, la Cina abbia vinto con ampio margine [*2]. Oggi, marchi i cui nomi sono ancora sconosciuti al di fuori della Cina (ad eccezione del colosso BYD), come Nio, XPeng, SAIC, Geely, Zeekr, Seres,  peseranno sempre più nel panorama elettrico mondiale. Sul mercato interno cinese, massicciamente sostenuto da sovvenzioni, sono stati venduti quasi 7 milioni di veicoli. Questo mercato rappresenta il 70% delle vendite di veicoli senza combustione (compresi gli ibridi). Il verdetto per il "partner" tedesco Volkswagen (un tempo il più grande venditore e produttore in Cina), è senza appello: nel 2024, le sue vendite sono diminuite dell'8,3%, ed entro il 2027, Volkswagen dovrà scomparire dall'orizzonte cinese [*3]. Al momento. le vetture elettriche cinesi stanno sfidando tutta la concorrenza. Perfino quella di Tesla, di proprietà del multimiliardario Elon Musk, il quasi co-socio di Trump che ha installato una gigafactory a Berlino [*4], nella quale i suoi 12.000 operai (proprio come i loro fratelli in povertà in Cina) sono dei veri e propri schiavi salariati privi di ogni diritto (nessun contratto collettivo, nessun organismo cuscinetto di genere sindacale, obbligo di lavorare per più di 40 ore alla settimana, anziché 35 ore, e a un quarto del salario) [*5]. Appoggiando apertamente il partito di estrema destra, Alternative für Deutschland (AfD), Elon Musk, forte della sua morsa sulla rete di disinformazione vietata ai minori e sull'apparato statale statunitense, ha potuto contare sulla "schlague" [N.d.T.: "modo brutale di farsi obbedire: comandare a bacchetta.] di questo partito per soggiogare una classe operaia tedesca che è parecchio riluttante a sottomettersi all'ultra-liberalismo. Mentre sta sognando di colonizzare Marte entro 20 anni - con o senza il suo sperma e con le bombe atomiche [*6]  -  al megalomane Dottor Stranamore di Xspace, Neuralink e Tesla viene così quantomeno garantito che potrà trasformare in colonie penali tutti i suoi siti industriali. Ciò in cui Elon Musk e Xi Jinping non mostrano alcuno spirito di competizione, se non una benevola comprensione, è il desiderio di costruire il loro “modello sociale” per mezzo di uno spietato “tallone di ferro”: mettendo fuori legge i lavoratori recalcitranti, creando campi di concentramento a immagine delle loro fabbriche, con una sorveglianza 24 ore su 24 da parte di batterie di telecamere e droni. Il "Made in China 2025", che dovrebbe stabilire la preminenza globale del "modello cinese" entro il 2030 [*7], è stato lanciato dallo zio XI (Xi Jinping, noto come Zio Dada) nel 2015, colpi di "schlague" capitalistici. Secondo una rivista di geopolitica francese, il capitalismo cinese ha raggiunto i suoi obiettivi, tutti strategici [*8]:

** - per mezzo di massicci investimenti nell'aviazione militare e con la produzione dei caccia stealth J-20 e J-35A, dell'aereo da trasporto Y-20 e del bombardiere strategico H-20, le capacità di difesa e di attacco della Cina risultano essere stati notevolmente migliorati.

** - La Cina, oggi, è uno dei leader mondiali nel settore dei droni;  DJI è diventato il principale produttore mondiale di droni commerciali (ma anche di droni militari che vengono esportati in Israele, Russia, Ucraina).

** -  il Regno di Mezzo conferma i suoi progressi nell'esplorazione spaziale [con la stazione spaziale Tiangong ("Palazzo Celeste"), e nei programmi per esplorare la Luna e Marte].

** - La Cina è diventata uno dei maggiori produttori di attrezzature agricole al mondo, ma anche il principale mercato mondiale per le macchine agricole. Xi Jinping, durante i suoi auguri di Capodanno per il 1° gennaio 2025, ha allontanato lo spettro delle ricorrenti carestie maoiste (più di 22 milioni di morti, dal 1958 al 1961): «La produzione di cereali ha battuto il record di 700 milioni di tonnellate, riempiendo la ciotola di riso cinese di cereali cinesi»[*9].

** -  La Cina sarebbe diventata leader nella produzione di vaccini e di farmaci biologici, avendo fatto notevoli progressi nell'editing genetico (CRISPR) [*10] e nella biofarmaceutica. Anche se, dopo il clamoroso disastro umano nella gestione del Covid-19, nel 2020-2022, questo appare legittimamente dubbio.

** - La Cina è leader mondiale nelle "energie rinnovabili", compresi i pannelli solari e le turbine eoliche. L'energia nucleare si sta sviluppando molto rapidamente grazie alle tecnologie avanzate di alcuni reattori, come Hualong-1 [*11].

** - Dispone anche della più grande e avanzata rete di treni ad alta velocità (TGV) del mondo (oltre 42.000 km di binari): un "made in China", questo, destinato a dominare l'Asia, come già avviene in Indonesia ( linea Giacarta-Bandung).

** - La Cina è diventata il più grande mercato per i robot industriali, con produttori nazionali come Siasun Robotics [*12]; dove, grazie all'intelligenza artificiale (AI) e all'IoT [*13], le soluzioni di "produzione intelligente" si stanno sviluppando a un ritmo rapido, e vedono la Cina ex-equo con gli Stati Uniti.

** - È diventata leader mondiale nella produzione di navi portacontainer, di navi portarinfuse e di navi cisterna per il gas naturale liquefatto (LNG) [*14], ed è pertanto un importante concorrente della Corea del Sud e del Giappone, che appartengono alla sfera americana. Oggi la capacità di costruzione navale della Cina è 200 volte superiore a quella degli Stati Uniti [*15].

** - La Cina è ora il maggior richiedente al mondo di brevetti presso l'OMPI (38%), con una posizione di leadership in 29 aree, contro le sole 3 del Giappone e le 4 degli Stati Uniti [*16].

Gli abiti logori del Presidente XI
Nonostante tutti questi risultati miracolosi, raggiunti nel puro stile dei vecchi piani quinquennali sovietici, nel 2025 e oltre la Cina di Zio Dada dovrà a qualsiasi costo continuare a «esportare o morire» [*17]. Malgrado le apparenze, l'etichetta "made in China 2025" fatica a convincere gli investitori. Tutti gli indicatori segnano rosso. Dopo un rimbalzo post-Covid-19 del 18%, nel primo trimestre del 2021, la crescita dal 2022 si è sgonfiata come una tigre di carta, scendendo al 3%. Era solo una ripresa di recupero. Nel gennaio 2024, al vertice di Davos, il premier cinese Li Qiang si è vantato annunciando una crescita del 5,2%; quando la cifra reale era invece del 4,6%. Il presidente Xi Jinping ha suonato la medesima tromba di autocompiacimento riferendosi al 2024: «Il Partito e il popolo cinese, solidali, sono pienamente fiduciosi nel futuro, poiché hanno affrontato le difficoltà dell'ultimo anno e, dopo aver trionfato sull'epidemia di Covid-19, hanno rilanciato l'economia e consolidato lo sviluppo» [*18]. La crisi è comunque grave. A gennaio 2024, l'attività industriale è diminuita per il quarto mese consecutivo. Un giovane su cinque è disoccupato. Una parte dei 295 milioni di lavoratori migranti provenienti dalle campagne, ha dovuto lasciare i centri industriali, senza alcun indennizzo [*19]. In un Paese in cui l'edilizia rappresenta il 45% del PIL (dal 20 al 25% per le economie occidentali), lo shock maggiore, a gennaio 2024, è stata la liquidazione di Evergrande, 70.000 dipendenti, strangolati da un passivo di 300 miliardi di dollari. Con una sovraccapacità di patrimonio abitativo di circa cento milioni di case, le città cinesi sono diventate, da un giorno all'altro, delle "città fantasma", seguendo il buon vecchio "modello" capitalistico americano [*20]. Le famiglie cinesi che avevano investito il 70% dei loro risparmi in immobili – i risparmi di una vita – si sono trovate al di sotto della soglia di povertà ufficiale. Il consumatore cinese, il quale ora  per precauzione sceglie di risparmiare, è preoccupato di dover acquistare le auto elettriche del dragone cinese, "per patriottismo". Questo giga-risparmio messo in atto da delle formiche geneticamente modificate, rappresenta il 48% del PIL rispetto al 18,6% degli Stati Uniti. Nel mirabolante paradiso del “consumo socialista” - per mancanza di clienti solvibili - l'indice ufficiale dei prezzi al consumo è effettivamente diminuito. Il prezzo di un chilo di carne di maiale, così pregiato sulla tavola cinese, nel 2022 è sceso del 17%. Di fronte a un mercato interno fiacco, e a un calo delle esportazioni avvenuto nel 2023, i produttori cinesi hanno dovuto ridurre i prezzi del 10%, impegnandosi in una pericolosa politica di dumping. Tutto ciò senza tener conto della politica di ritorsione praticata dallo zio Trump e forse anche dai membri dell'Unione Europea guidati dalla manovratrice Ursula von der Leyen. Il forte calo del mercato azionario di Hong Kong, che in 5 anni ha perso il 50%, è un chiaro indicatore del panico degli investitori cinesi e internazionali. La Cina è adesso totalmente nel mirino degli Stati Uniti, i quali ora importano più dal Messico che dalla Cina [*21].

Un modello capitalista in bancarotta...
Nel copiare tutte le principali economie capitalistiche, le quali per decenni hanno vissuto a credito, la Cina ha finito per sprofondare nella spirale infinita del debito. Debito che ora rappresenta il 287,8% del PIL, con un aumento del 13,5% che c'è stato solo nel 2023. A confronto, il debito degli Stati Uniti è il 125% del PIL, e quello del Giappone almeno il 250% del PIL. Ciononostante, la Cina, possedendo buoni del Tesoro statunitensi, continua a temere per la gola gli Stati Uniti. Con cautela, ha sostituito, con l'oro del quale è ora il primo produttore e consumatore, circa un quarto dei buoni del Tesoro statunitensi venduti in 10 anni...Ora, è anche il primo creditore degli Stati Uniti, davanti al Giappone. I tre grandi dell'economia mondiale, Cina, Giappone e Stati Uniti – a cui possiamo aggiungere la Germania in declino – stanno ondeggiando sulla stessa tarlata barca capitalista, la quale a lungo termine rischia di affondare. Nel febbraio del 2016, l'amministrazione Obama [*22], seguita da quelle di Trump e di Biden, aveva lanciato una guerra commerciale per separare le catene di approvvigionamento industriale americane dai fornitori cinesi; con l'obiettivo di delocalizzare massicciamente dalla Cina agli Stati Uniti. Di conseguenza i produttori hanno trasferito i loro mezzi di produzione al di fuori della Cina. Un esempio è il colosso taiwanese TSMC, che ha costruito una seconda unità di produzione di semiconduttori in Giappone [*23]. In 6 mesi continuativi di disinvestimento, dal 2023, l'India, ma anche Vietnam, Filippine e Messico sono diventati i principali beneficiari di una manna di 100 miliardi di dollari. Le aziende occidentali non reinvestono più tutti i loro profitti in Cina, ma ne rimpatriano una parte significativa. Li Qiang, a Davos, avrà pure avuto da strombazzare - dopo Zio Dada a San Francisco in novembre - che «investire in Cina non è un rischio, ma un'opportunità» ma, per il capitale occidentale e i suoi alleati in Asia, la Cina non è più una terra di latte e miele, dove il sudore dei proletari cinesi veniva trasformato in oro a beneficio del capitalismo internazionale.

… e una demografia con le stampelle (come in Giappone), prima del trionfo finale nel 2049 [*24]?
In un momento nel quale la Cina annuncia - come già fece una volta l'URSS - che supererà la "tigre di carta" americana senza mai tornare indietro, essa si ritrova a essere più senile che ricca. L'urbanizzazione di una classe media in ascesa ,che favorisce la carriera e l'arricchimento personale a scapito della diade bambino-madre, ha causato un calo del tasso di natalità. Nonostante l'incoraggiamento del "Partito" a ripopolare rapidamente le camere da letto, nel 2022 la Cina ha perso 850.000 abitanti, ed entro la fine del secolo potrebbe scendere da 1,4 miliardi a 700 milioni [*25]. Ora, a luglio 2023, è già l'India il paese più popoloso della Terra [*26]. La piramide demografica della Cina è destinata a replicare quella del Giappone, con entrambi i Paesi che rifiutano qualsiasi politica di immigrazione. Il rapporto tra persone attive e pensionati passerà a essere, da 5 a 1 nel 2020, 1,6 a 1 nel 2050. La Cina iper-capitalista non ha alcun sistema di protezione sociale per la vecchiaia, paragonabile a quello dei "ricchi" paesi imperialisti che hanno impiegato più di un secolo per costruirlo come meglio potevano. La tradizionale solidarietà familiare, in una Cina urbanizzata e già in declino, senza la creazione di ammortizzatori sociali da parte dello Stato, non esiste più. Dada Xi invita le giovani donne cinesi a crescere e moltiplicarsi, ovunque esista l'etnia Han, sulla terra e sul mare [*27]. Questi sermoni pro-natalita vengono però rivolti a una popolazione che si è già confrontata con la disoccupazione e che è preda del dolce peccato solitario dell'individualismo.

L'impossibile modello economico "pacifico"
Per il Regno di Mezzo, l'alternativa «esporta o muori» è l'unica alternativa realistica. La Cina non può contare sul mercato interno, quello dei consumi, con il 38% del PIL lordo contro il 70% degli USA. Le esportazioni cinesi, nonostante una recente ripresa, sotto il duplice effetto dell'aumento dei salari cinesi, ma anche del reimpiego occidentale in altri Paesi, sono inevitabilmente in calo. La Cina delocalizza a tutti i costi: in Africa, in Etiopia, persino in Kenya, Uganda e Tanzania, tutti paesi con salari bassissimi, per poi vendere con altre etichette negli Usa e in Europa. Un gruppo high-tech con sede a Shanghai sta trasferendo alcune delle sue attività in Indonesia. Nella zona franca di Port Said, in Egitto, un gruppo cinese produce abbigliamento a basso costo che ora viene esportato con l'etichetta "made in Egypt". L'attuazione di una strategia di esportazione - fatta in un primo tempo attraverso la pratica di un dumping forzato - presuppone il dominio del mercato mondiale. In quelle che sono le "tecnologie verdi" – batterie elettriche, pannelli solari e auto elettriche – la Cina è riuscita a monopolizzare, e lo ha fatto con la forza: con un massiccio sussidio alle sue industrie, con la chiusura del suo mercato interno agli occidentali e/o assimilati, con un'organizzazione quasi militare, e partire così in falangi serrate per attaccare i mercati internazionali. In termini di pannelli solari, la Cina ha distribuito 216 Gigawatt solo nel 2023; una cifra superiore all'intera base installata negli Stati Uniti (175 GW) e che ora ammonta a 610 GW. I produttori cinesi sono così tanto pesantemente sovvenzionati che ora l'industria solare si trova in situazione di sovraccapacità. Per quanto riguarda le auto elettriche, l'ammiraglia cinese BYF vende già più veicoli EVE di Tesla. Nel gennaio 2024, Elon Musk aveva dichiarato che «se non mettiamo delle barriere tariffarie, le case automobilistiche cinesi demoliranno i loro rivali» [*28]. Trump ha promesso un aumento del 60% dei dazi doganali, l'Europa per il momento si è impegnata in una semplice indagine burocratica di routine sulle pratiche di dumping laddove l'EVE cinese invaderà inevitabilmente tutte le strade d'Europa. Se la Cina ha un bisogno vitale di dominare il mercato internazionale delle nuove tecnologie "verdi", i paesi industrializzati occidentali (e simili) sanno di essere sotto la dipendenza strategica di una Cina che limita costantemente le sue esportazioni di "terre rare"; vale a dire, quei componenti essenziali delle batterie elettriche che alla fine hanno assicurato loro un monopolio virtuale. La guerra commerciale è diventata la realtà degli anni 2020, e questo perché la Cina non è in grado di assorbire, solo attraverso il suo mercato interno, la produzione di "tecnologia verde", la quale è aumentata del 30% nel 2023 .

La fine del detto «non fingiamo mai di essere un leader» (Deng Xiaoping)
Grazie al capitale occidentale, desideroso di approfittare di una "nuova corsa all'oro", e anche grazie alla consumata abilità della classe capitalistica cinese guidata da Deng Xiaoping, il capitalismo di Stato cinese – mescolato al capitalismo privato – ha dimostrato la sua capacità di fare, in una sola generazione, ciò che i paesi occidentali avevano impiegato più di un secolo a fare: trasformare un paese "in via di sviluppo" in un paese ultra-industrializzato, capace da un giorno all'altro di armarsi fino ai denti. Nel 1991, Deng Xiaoping formulò la sua famosa "strategia dei 24 caratteri": «Osserviamo con calma, assicuriamo le nostre posizioni, gestiamo gli affari con compostezza, nascondiamo le nostre capacità e aspettiamo il nostro tempo, manteniamo un basso profilo e non fingiamo mai di essere un leader». Ma la Cina di Xi Jinping rappresenta ormai un quarto della crescita mondiale e si confronta ovunque con l'esistenza dell'imperialismo anglosassone. Nessuno dei due è pronto a capitolare. Xi – proprio come Trump ora, sulla scia di Biden – sta scrivendo il suo nome nella sanguinosa storia delle guerre mondiali. Il 2027, centenario dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLA), è una scadenza in cui Dada XI potrebbe giocare bene le sue carte, assumendosi il rischio di annettersi Taiwan con la forza. La Cina ha notevolmente rafforzato le proprie capacità militari, soprattutto navali, acquisendo la capacità di invadere l'isola che si trova a soli 160 km dalla "Madrepatria". La guerra mondiale imperialista è in agguato all'orizzonte: sta gradualmente coinvolgendo i due protagonisti, America e Cina, anche se il rapporto di forza è rimasto ineguale. Nel settore decisivo della produttività, la Cina non supera un quarto di quella dei Paesi occidentali. Invecchiata prima di essere ricca, la Cina ha già raggiunto l'apice della propria potenza. Costretta sulla difensiva dai crescenti dazi statunitensi, la Cina è quasi sull'orlo del collasso. L'economia statunitense mostra segni tangibili di entrata in recessione. Gli indici PMI di Chicago hanno continuato a scendere, raggiungendo il valore di 36,9 nel dicembre 2024, rispetto al 40,2 di novembre, al di sotto delle previsioni di mercato che prevedevano un valore di 42,5. Questo dato riflette una contrazione dell'attività economica per il tredicesimo mese consecutivo, e questo in un momento in cui la fragilità del sistema finanziario e dei consumi sta diventando evidente [*29]. L'esacerbazione dell'imperialismo - analizzata a suo tempo da Lenin, Bukharin e Rosa Luxemburg - si traduce nell'implosione di un sistema che rimanda il proprio collasso tramite l'espansione bellica. Il conflitto in Ucraina dal 2022, la lotta inter-imperialista per il dominio del Medio Oriente, tra Israele e gli Stati Uniti, la Russia di Putin e il suo alleato Iran degli ayatollah, e la Turchia che fa la guerra per proprio conto, hanno dato espressione attraverso il fuoco e il ferro alla ri-divisione del mondo in corso. Le minacce di Dada JI di un “nuovo ordine asiatico” nel Pacifico, e quelle degli apprendisti Dottor Stranamore incarnati da Trump e da Elon Musk devono quindi essere prese molto sul serio.
Proprio come quando Mussolini gridava “A noi! A noi!” per ufficializzare le sue conquiste belliche (dall'Etiopia alla Corsica), Trump strombazza le sue future conquiste: la Groenlandia, il Canada, che diverrà il 51° Stato americano, il Canale di Panama, che è sempre appartenuto agli USA, e il Golfo del Messico, ribattezzato Golfo Americano [*30]. Una Dottrina Monroe riscritta su scala globale ad esclusivo vantaggio dell'imperialismo yankee.  Quando iniziò la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti pensarono immediatamente all'occupazione della Groenlandia, che divenne realtà nell'aprile del 1941 in seguito a un accordo tra l'ambasciatore danese negli Stati Uniti e il governo Roosevelt; poi a quella dell'Islanda, che divenne effettiva nel gennaio del 1942 (40.000 soldati americani contro 126.000 islandesi). Con l'estendersi del conflitto, in particolare nel Pacifico, si accelerò l'occupazione delle isole strategiche da parte degli eserciti alleati (USA, Nuova Zelanda, Australia): tra il 1942 e il 1945, la Nuova Caledonia francese divenne di fatto americana... È questa la realtà dell'espansione senza fine dell'imperialismo.

- Pubblicato su Pantopolis, il 13 gennaio 2025 -

NOTE:

[1] https://www.automobile-propre.com/articles/les-marques-chinoises-commandent-47-navires-geants-pour-envahir-le-monde-avec-leurs-voitures-electriques/. Nel 2024, BYD ha venduto 400.000 auto elettriche al di fuori della Cina.

[2] Guillaume Pitron, La guerra dei metalli rari. Il volto nascosto della transizione energetica e digitale, Éditions les liens qui libent, settembre 2023.

[3] https://www.lemonde.fr/economie/article/2025/01/10/industrie-automobile-les-autorites-chinoises-laissent-le-darwinisme-faire-son-office_6491250_3234.html

[4] Nell'aprile 2022, Musk ha inaugurato una gigafactory in Texas, in grado di produrre 500.000 veicoli elettrici all'anno, tra cui il tanto atteso Cybertruck (già utilizzato nella Cecenia di Kadyrov, ma armato di mitragliatrice...). In Messico, Tesla ha investito più di 5 miliardi di dollari per produrre 1 milione di veicoli all'anno a Monterrey, nonostante la cronica mancanza di acqua nella regione. Cfr.: https://www.francetvinfo.fr/economie/automobile/tesla-elon-musk-confirme-l-installation-d-une-mega-usine-au-mexique-avec-a-terme-un-million-de-voitures-produites-par-an_5692691.html.

[5] L'Humanité, 7 gennaio 2025, https://www.humanite.fr/monde/berlin/la-giga-factory-tesla-de-berlin-laboratoire-de-lultracapitalisme-delon-musk.

[6] Si dice che Musk abbia "donato" il suo sperma per seminare una "colonia marziana", dove si prevede che un milione di zombie umani "vivranno", o meglio agonizzeranno, entro il 2044 (cfr. Le Figaro, 17 luglio 2024, Jeanne Sénéchal, "Un milione di persone entro 20 anni: il folle progetto di Elon Musk per la conquista di Marte". Questo "geniale" Dottor Stranamore aveva già avuto l'idea di inviare bombe atomiche su Marte per "riscaldare" l'atmosfera... (Le Parisien, 7 luglio 2022).
[7] https://shs.cairn.info/l-occident-face-a-la-renaissance-de-la-chine--9782738144652-page-27?lang=fr (Claude, Meyer, Odile Jacob, 2018).

[8] Alex Wang, nella rivista Conflits, 28 dicembre 2024: https://www.revueconflits.com/2025-made-in-china-a-atteint-la-plupart-de-ses-objectifs/

[9] http://fr.china-embassy.gov.cn/fra/zgyw/202501/t20250102_11525912.htm

[10] CRISPR è un sistema per correggere o modificare l'espressione di geni responsabili di malattie ereditarie.
[11] Reattore nucleare ad acqua pressurizzata (PWR) da circa 1.100 MWe. A gennaio 2025, 7 Hualong-1 sono operativi, 14 sono in costruzione e 16 sono previsti.

[12] Statista, 28 novembre 2023, articolo di Tristan Gaudiaut: "La Cina si sta robotizzando in modo massiccio". Nel 2023, le installazioni di robot industriali hanno raggiunto un record mondiale, con oltre 550.000 unità distribuite, con un aumento annuo del 5%. Più della metà di questi robot, ovvero circa 290.000, sono stati installati in Cina (https://fr.statista.com/infographie/28524/nombre-de-robots-industriels-installes-par-pays/).

[13] L'Internet of Things (IoT) si riferisce sia al processo di connessione di oggetti fisici a Internet sia alla rete che collega tali oggetti.

[14] GNL: gas naturale liquefatto. In inglese: GNL: gas naturale liquefatto.

[15] Revue Géo, 13 luglio 2023: https://www.geo.fr/geopolitique/alerte-pentagone-la-chine-pourrait-produire-200-fois-plus-de-navires-de-guerre-que-les-etats-unis-chantiers-flotte-mer-chine-meridionale-215684

[16] https://www.revueconflits.com/2025-made-in-china-a-atteint-la-plupart-de-ses-objectifs/

[17] Hitler, 30 gennaio 1939: "wir müssen exportieren oder sterben". Fonte: Franz Knipping, Machtbewusstsein in Deutschland am Vorabend des Zweiten Weltkrieges, Ferdinand Schöningh, Paderborn, 1984, p. 232.

[18] « Cina 2024", La Tribune 18 dicembre 2024, di Christophe Stener.

[19] Le Monde, 22 ottobre 2022: https://www.lemonde.fr/economie/article/2023/10/22/en-chine-les-habitants-des-campagnes-grands-oublies-des-statistiques-officielles-sur-le-chomage_6195994_3234.html.

[20] Ci sono più di 3.800 "città fantasma" negli Stati Uniti, principalmente nel "selvaggio West", quando le città dei minatori si sviluppavano come funghi in base alle scoperte dell'oro o del petrolio. Detroit, città mitica dell'automobile, è passata da due milioni di abitanti negli anni '60 a soli 700.000 oggi... 80.000 edifici sono stati abbandonati.

[21] Courrier international, 12 settembre 2023: www.courrierinternational.com/article/free-trade-the-first-trade-partner-of-the-united stati-non-è-più-cina-ma-messico#:~:text=meraviglie%20%E2%80%9CBloomberg%E2%80%9D.&text=Au%20primo%20semestre%202023%2C%20les,la%20Cina%20(203%20miliardi).

[22] Michel de Grandi, Les Echos, 17 febbraio 2016, "Barack Obama organizza il suo vertice 'anti-Cina'".

[23] "TSMC avvia la produzione di massa nel suo stabilimento giapponese di Kumamoto" (Taiwan International Radio, 27 dicembre 2024).

[24] Il centesimo anniversario della "Repubblica Popolare" di Cina, la "Dittatura Democratica del Popolo".

[25] Alternatives économiques, gennaio 2025, numero speciale n° 130, p. 46-47.

[26] 14 marzo 2023: https://geoconfluences.ens-lyon.fr/actualites/veille/breves/inde-pays-le-plus-peuple

[27] "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni animale che si muove sulla terra" (Bibbia, Genesi, 1:28).

[28] La Tribune, 15 febbraio 2024.

[29] https://or.fr/actualites/annee-2025-demarre-avec-risque-extreme-economie-usa-marches-3476.

[30] 20 minuti/AFP, 8 gennaio 205: https://www.20minutes.fr/monde/etats-unis/4132526-20250108-etats-unis-trump-ecarte-idee-annexion-armee-canal-panama-groenland

martedì 14 gennaio 2025

“Comunismo Gotico” …

La lotta di classe nella lotta di classe: critica dell'interclassismo e della forma-valore
- di Comunismo Gotico -

La “lotta di classe nella lotta di classe”, non è una tautologia, bensì una profonda disamina delle tensioni interne che emergono nel proletariato e nella sua relazione con le altre classi. Dal punto di vista di "Théorie Communiste", questa frase sottolinea le disuguaglianze strutturali che sussistono anche tra coloro che condividono la posizione di sfruttati all'interno del modo di produzione capitalistico. Non si tratta di una comunità omogenea di lavoratori che semplicemente si oppongono alla borghesia, ma di un insieme frammentato di posizioni determinate dalla riproduzione della forma-valore. L'interclassismo, inteso come la tendenza a diluire le contraddizioni di classe in favore di una presunta unità universale, costituisce un ostacolo alla prassi comunista. Questo approccio ignora il fatto che le disuguaglianze materiali all'interno del proletariato sono espressione diretta delle logiche capitalistiche di differenziazione e di gerarchizzazione. Ad esempio, le condizioni di vita e le possibilità associative di un lavoratore industriale in una metropoli occidentale non sono paragonabili a quelle di un lavoratore irregolare nel Sud globale. Persino nell'ambito degli stessi contesti geografici le divergenze, tra un proletariato precario e un altro segmento che gode di maggiori benefici o di una maggiore stabilità del posto di lavoro, sono evidenti. Queste diversità non sono solo delle mere contingenze, ma esse sono strutturali, e riproducono il feticcio della merce. Al di fuori della sua relazione con il capitale, il proletariato non esiste, e tale relazione si manifesta in maniera diseguale, a seconda di quali sono le mediazioni storiche e geografiche. Tutto ciò non implica l' esaltazione del proletariato povero, né il privilegiare una visione purista dello stesso, quanto piuttosto il riconoscere che la lotta di classe, per essere rivoluzionaria, deve partire dalla negazione di tutte queste differenze, in quanto si tratta di logiche interne al capitale. La rivoluzione non è il prodotto dell'unità delle classi oppresse, bensì la dissoluzione della forma-classe in quanto tale. Il feticcio della merce, non è semplicemente un'illusione ideologica; è una relazione materiale che struttura e modella la vita quotidiana, ivi comprese le percezioni di disuguaglianza e di privilegio all'interno del proletariato. Il feticcio lavora nascondendo dietro le forme oggettive del valore le relazioni sociali di sfruttamento. In tal senso, le divisioni tra i “comunisti poveri” e i “comunisti privilegiati” non sono semplicemente etiche o ideologiche, ma rappresentano il riflesso di queste relazioni feticizzate sussistenti anche nell'ambito della lotta di classe stessa. Rompere con queste divisioni implica una prassi che superi l'interclassismo e metta radicalmente in discussione la forma-valore. Questo non si otterrà per mezzo di un appello astratto alla “unità proletaria”, quanto piuttosto attraverso l'intensificazione delle contraddizioni interne, fino ad arrivare al punto del loro disfacimento. La lotta di classe va concepita come un processo di auto-negazione del proletariato, e non come la sua affermazione quale soggetto storico. "Théorie Communiste", sottolinea come oggi la lotta di classe non possa aggrapparsi a categorie del passato, quali la "coscienza di classe" o il "soggetto proletario universale". Bisogna piuttosto analizzare il modo in cui le relazioni capitalistiche determinino nuove forme di soggettività e di alienazione. le quali, a loro volta, perpetuano le disuguaglianze interne. L'abolizione della forma-valore esige quindi un processo storico nel quale, il proletariato, negando la propria esistenza in quanto classe, demolisca le basi materiali del capitale. In questo senso, la critica dell'interclassismo deve andare oltre le differenze superficiali e affrontare il modo in cui le condizioni strutturali del capitale producono e riproducono tali disuguaglianze. Pertanto, comprendendo la lotta di classe come fosse un processo di dissoluzione della classe stessa, diventa possibile immaginare una pratica comunista, la quale non si limiti solo a integrare tra loro i segmenti privilegiati e quelli precari, ma che riesca invece - nella sua totalità - a superarli.

- Comunismo Gotico - 13 Gennaio 2025 -

lunedì 13 gennaio 2025

…”Anche se fa male” !!

Verso la Guerra Eterna
- Nel sistema mondo tardo- capitalistico in disintegrazione, il conflitto militare diventa la nuova normalità -
di Tomasz Konicz [***]

Per il momento,quel che hanno fatto, a Washington, i decisori geopolitici – difficilmente Joe Biden né farà parte [*1] – sembra funzionare. Il leader russo Vladimir Putin ha dichiarato che il lancio di sistemi missilistici occidentali a lungo raggio contro la Russia traccerebbe una “linea rossa” che di fatto spingerebbe il Cremlino in uno stato di guerra con la NATO [*2]. A partire dalla fine di novembre 2024, l'Occidente ha deliberatamente sfidato questo annuncio di escalation, pubblicamente proclamato dal Cremlino, e ha dato via libera all'Ucraina per effettuare attacchi missilistici nelle zone interne della Russia [*3] - dove, a parte l'uso dimostrativo di un nuovo tipo di missile a medio raggio con capacità nucleare contro la città ucraina orientale di Dnipro [*4], e una campagna di sabotaggio nell'UE [*5] , non ci sono stati molti segnali di un'escalation russa. Putin non sta intensificando alcuna escalation, poiché, nella sua guerra di aggressione contro l'Ucraina, crede di essere sulla strada della vittoria [*6]. E sotto due aspetti. Da un lato, il protrarsi della guerra di logoramento significa che il maggiore potenziale di risorse della Russia sta diventando sempre più evidente. Le conquiste territoriali della Russia a est stanno accelerando, mentre l'esercito ucraino è a malapena in grado di mobilitare abbastanza materiale umano per il fronte. Il drone e la tecnologia dell'informazione funzionano come il grande equalizzatore sul campo di battaglia del 21° secolo, il che rende più difficile la guerra offensiva, simile alla mitragliatrice durante la prima guerra mondiale. Ciò che rimane è il bombardamento di materiali e persone su un fronte in gran parte statico, in attesa che una delle parti in guerra crolli. Ecco perché i graduali successi della Russia a est sono così decisivi, in quanto hanno superato le linee di difesa, meglio sviluppate, dell'Ucraina. Ogni ulteriore linea del fronte ucraino sarà più debole in difesa. Dal momento che l'Occidente con ogni probabilità non interverrà direttamente in Ucraina, la cruenta legge della matematica bellica impone che se la guerra di logoramento sarà combattuta fino all'ultima conseguenza, Kiev verrà sconfitta.

Logica di escalation e guerra di logoramento
Per Kiev l'unica possibilità realistica di ottenere una vittoria militare risiedeva in una ristrutturazione della verticale del potere russo, come apparve evidente con la rivolta delle truppe Wagner riunite attorno al capo mercenario Prigozhin [*7]. Ma questi venne poi eliminato dal Cremlino, in modo che così ora l'opposizione all'interno dell'oligarchia statale russa manca di un nucleo militare-organizzativo che possa innescare una rivolta oligarchica contro la disastrosa guerra di Putin; la quale rappresenta anche un disastro socio-economico e demografico per la Russia. È questo il motivo per cui in Occidente, attualmente, tutte le cattive notizie provenienti dal fronte economico russo vengono accolte con entusiasmo, in quanto speculazioni sulla destabilizzazione politica interna. Il Cremlino specula in modo simile. La campagna terroristica invernale della Russia contro le infrastrutture ucraine, in particolare contro il settore energetico ucraino, mira a erodere il morale e la resilienza del "fronte interno" dell'Ucraina, al fine di ridurlo al minimo, e infine distruggere la produzione di energia interna e la capacità di mobilitazione di Kiev. Le crescenti diserzioni nell'esercito ucraino, dimostrano il successo ottenuto da questa tattica di logoramento, nel contesto della guerra di logoramento [*8]. In effetti, realisticamente, ciò a cui entrambe le parti possono mirare è l'erosione della sovranità statale della belligerante parte opposta. Soprattutto nei confronti della Russia, è difficilmente concepibile un'altra forma di vittoria. Lo Stato ostile è sul punto di diventare uno Stato fallito: un simile obiettivo di guerra diventa davvero realistico in quanto si trova intessuto nel corso degli eventi di crisi. La crisi del capitale abbrutisce gli apparati statali, li  trasforma in apparati in decadenza: la guerra accelera tale tendenza. Il conflitto militare, in quanto forma finale di competizione geopolitica di crisi diventa infatti il mezzo in cui questo processo di crisi avrà d'ora in poi sempre luogo. Tuttavia, il Cremlino sembra avere la vittoria in tasca soprattutto grazie all'elezione del populista di destra Donald Trump.  Trump, durante la campagna elettorale, ha ripetutamente dichiarato che avrebbe potuto porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina attraverso i negoziati. Per il Cremlino, la prospettiva di una pace vittoriosa al tavolo dei negoziati sembra essere realistica, soprattutto perché gli Stati Uniti stanno ora entrando in un fascismo aperto che include un clima politico reazionario e una struttura di potere oligarchica; cosa che è anche una caratteristica della Russia dell'oligarchia del Senato di Putin. È ovvio che la crisi del capitale nei centri occidentali è ora progredita a tal punto che si stanno avvicinando alle strutture di potere politiche frantumate della semi-periferia post-sovietica. Uno sporco accordo geopolitico sul cadavere dell'Ucraina, preparato da leader autoritari di mostri statali oligarchici, fascisti e altamente corrotti, è ciò che il Cremlino spera quest'anno di ottenere. Cosa che ci riporta a quelle linee rosse del Cremlino citate all'inizio, le quali sono state superate dall'Occidente alla fine del 2024, sotto forma di attacchi missilistici di vasta portata sull'entroterra russo. Dal punto di vista di Mosca, sembra che questi attacchi potranno essere tollerati solo fino al 20 gennaio, allorché Trump entrerà in carica. Perché rischiare una guerra nucleare, quando la vittoria sembra così vicina? In Occidente – a Washington come in molte capitali dell'Ue – si sta diffondendo il panico dell'ultimo minuto. Gran parte di ciò che è stato avviato in politica estera da Washington o dall'UE dopo l'elezione di Trump, dovrebbe servire a rendere irreversibili tanto i processi quanto gli sviluppi, geopolitici. Bisogna che i pagliacci terroristi fascisti, che a Washington ben presto saranno in grado di vivere il loro unilateralismo, il loro nazionalismo e il loro imperialismo , vengano privati del maggior numero di opzioni possibile. L'Ucraina viene rifornita di armi per l'ultima volta, la sua posizione negoziale deve essere migliorata attraverso opzioni militari di vasta portata, mentre si vuole guadagnare tempo per qualsiasi negoziato grazie all'incapacità di un esercito russo corrotto di superare lo stallo dei droni sul fronte, e di passare così a profondi sfondamenti frontali.

La roulette russa nucleare
Ma in realtà si tratta solo di ridurre al minimo i danni, poiché la sconfitta dell'Occidente nella lotta per l'Ucraina, è stata a lungo discussa apertamente anche in Occidente [*9]. Per porre termine alla guerra, quanta Ucraina dovrà essere lanciata contro l'imperialismo russo? È questa la logica che si sta diffondendo anche nei luoghi decisionali occidentali. L'unica questione ancora in discussione, è se sarà possibile fornire una qualche sorta di sovranità al "resto dell'Ucraina". Il superamento dell'ultima linea rossa di Putin, il netto inasprimento voluto dagli Stati Uniti nell'interregno tra Biden e Trump, serve praticamente solo a far salire il prezzo che la Russia deve pagare per la sua vittoria in Ucraina. È stata una sorta di roulette russa nucleare, quella che alla fine del Novembre 2024 entrambe le parti hanno giocato. Mentre era in gran parte inosservato dal pubblico occidentale, il sistema globale tardo capitalista è rimasto per giorni sull'orlo dell'escalation nucleare. La differenza con la crisi dei missili di Cuba, è stata soprattutto nel fatto che, nel 1962, il mondo trattenne il fiato, per lo shock, mentre oggi invece le minacce di Putin suonano solo fastidiose, e vengono appena notate. La pulsione di morte, ammantata di ideologia, che nella sua agonia il capitale produce sotto molte forme, non si esprime solo attraverso furie individuali, negli attentati suicidi islamici, nell'ostinata negazione della crisi climatica da parte della Nuova Destra o nell'amore per la pestilenza da parte del fronte trasversale tedesco. Si esprime anche nella nostalgia per quel big bang che riporterebbe finalmente la calma sulle crescenti contraddizioni causate dalla crisi. È il desiderio del vuoto della morte che fa sì che la follia della guerra nucleare, per esempio, venga seriamente discussa [*10]. Appena sotto la superficie della retorica ufficiale degli interessi e delle sfere di influenza, alcune delle quali sono ormai già apertamente evidenti, si nasconde l'irrazionalità insita nel capitalismo. Nello scontrarsi con i suoi limiti sistemici interni ed esterni, il capitale minaccia di porre fine al processo di civiltà per mezzo di una grande guerra. Questa oggettiva tendenza autodistruttiva alla crisi, da parte  del capitale che si sta frantumando a causa delle sue contraddizioni, minaccia di essere scaricata nelle crescenti tensioni geopolitiche. La nuova turbolenza nella sfera geopolitica, la crescente tendenza alla guerra intesa come strumento politico, anche nelle regioni centrali, la disponibilità a correre rischi militari sempre maggiori, sono tutte espressioni della nuova fase di crisi in cui, dopo l'esaurimento dei cicli di deficit neoliberali, sta entrando il sistema globale capitalistico. Finalmente, l'epoca della crisi del neoliberismo, con la sua torre del debito globale, le corrispondenti bolle speculative e le sue guerre di ordinamento mondiale nella periferia, sta volgendo al termine, con la rielezione di Trump. A essa, ora segue la fase di quella che sarà un'aperta gestione autoritaria delle crisi, la fase dell'erosione dello Stato e dei conflitti militari a tutti i livelli, anche tra i centri del sistema mondiale (si veda "Una nuova qualità della crisi") [*11]. La Russia statal-oligarchica di Putin e la Bielorussia autoritaria, nel loro instabile autoritarismo, esprimono il futuro della gestione delle crisi.

Disturbo del mondo multipolare
Ora, la crisi sta soffiando sul collo di tutti i mostri statali, e tutti stanno cercando di compensare l'intensificarsi delle contraddizioni socio-ecologiche, così come il crescente potenziale di crisi, e la crescente instabilità attraverso l'espansione esterna, o attraverso il dislocamento delle contraddizioni sui concorrenti. Putin ha invaso l'Ucraina da una posizione di debolezza, proprio perché il suo cortile post-sovietico veniva sempre più eroso [*12]. Gli Stati Uniti, da parte loro, devono difendere la posizione del dollaro in quanto valuta mondiale, altrimenti degenererebbero in quella che sarebbe una sorta di Grecia irta di armi. E questo nel mentre che tutti gli attori devono sforzarsi di garantire risorse e materie prime a tutti i costi, di fronte all'avanzare della crisi ecologica. Il quadro dei negoziati imperialisti sull'Ucraina è cambiato a causa della pandemia, e delle relative difficoltà di approvvigionamento. Mentre, nel 1914, il primo round di escalation militare riguardava soprattutto l'integrazione geopolitica dell'Ucraina nei sistemi di alleanze concorrenti – nell'Unione Eurasiatica della Russia o nella UE e nella NATO – dopo la pandemia, ecco che i grandi giacimenti di risorse sono diventati il fulcro dei calcoli imperialisti nella crisi [*13]. Il progetto imperiale del Cremlino, l'impero dell'energia, si propone proprio il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime. Peraltro, anche gli Stati Uniti ora si stanno schierando apertamente in questa direzione per quel che riguarda l'Ucraina [*14]. Mentre nell'era neoliberista, erano soprattutto le eccedenze delle esportazioni a portare a conflitti commerciali e all'aumento del protezionismo, ora sono invece le opzioni militari tangibili, preformate dal processo di crisi, a essere prese in considerazione ai fini della realizzazione degli interessi statali. Più la crisi avanza, in quella che è la sua dimensione ecologica, tanto maggiore diventa la fame di risorse da destinare alla balbuziente macchina del riciclaggio. Lo scioglimento dei ghiacci nell'Artico, sta semplicemente alimentando una crescente corsa imperialista mondiale alle materie prime che si trovano sotto la calotta glaciale ora in rapido scioglimento [*15]. Fino ad arrivare così, alle bizzarre, stereotipate fantasie febbrili imperiali di Trump, che improvvisamente desidera la Groenlandia [*16]. Il punto di svolta, che dal neoliberismo porta al neonazionalismo , è stato segnato dall'impennata della crisi legata alla pandemia, quando per la prima volta dopo decenni è emersa un'ostinata dinamica inflazionistica [*17], la quale ha privato del carburante l'economia in deficit globale a lungo termine, alimentata fino ad allora da una politica monetaria espansiva [*18]. Le strozzature dell'offerta, e la pressione sulle catene di produzione globali hanno inoltre dato origine a un conclamato scenario di crisi delle risorse e delle materie prime. L'isolamento delle masse economicamente “superflue” della periferia, corrisponde pertanto, sempre più, a un estrattivismo dei centri militarmente sostenuto, dove la periferia viene ormai percepita solo alla stregua di un deposito di risorse. Tuttavia, la formazione autoritaria degli apparati statali, la crescente tendenza al capitalismo di Stato, e la crescente disponibilità all'uso di mezzi militari nel contesto dell'intensificarsi della crisi, la competizione statale imperialista; sono tutte cose accompagnate da dei processi di erosione statale. La formazione autoritaria dello Stato e i processi di erosione dello Stato, formano così i due momenti di uno stesso processo di crisi.

Dalla pace eterna alla guerra eterna
Uno sguardo ideologico-critico alle origini, alla fase di formazione del sistema mondiale capitalista nel XVIII secolo, ci può aiutare a far luce su questo suo attuale processo di decomposizione. Nel suo famoso trattato Sulla pace perpetua, il filosofo illuminista Immanuel Kant cercò di delineare le basi di una coesistenza pacifica tra gli Stati, in un ordine internazionale razionale. La preoccupazione centrale di Kant era quella relativa a un sistema giuridico vincolante, la formazione di una base giuridica per le relazioni internazionali, in grado di garantire quella pace eterna tra gli Stati che costituiva il titolo del suo trattato. Alla luce dell'esperienza storica degli ultimi secoli, l'argomentazione illuministica di Kant - che doveva rimanere cieca di fronte alle contraddizioni della socializzazione capitalistica - si rivela del tutto ideologica. Questo primo esempio di ideologia illuminista, tuttavia, per avvicinarsi alla realtà della crisi tardo-capitalista nella sfera geopolitica, deve essere semplicemente trasformato nel suo opposto. I mostri statali in crisi, possono mantenere l'illusione della pace interna solo attraverso l'espansione esterna. La disgregazione sociale e la conseguente instabilità politica fanno apparire la guerra come una via di fuga all'interno della logica imperialista della crisi. Mentre le tensioni interne aumentano, si accettano rischi di politica estera sempre maggiori. Si tratta di una tendenza oggettiva alla crisi che viene a crearsi attraverso le azioni soggettive di crisi-imperialista degli apparati statali in erosione. Questa logica di crisi-imperialista, di erosione interna e di espansione esterna, garantisce la guerra perpetua nella crisi mondiale del capitale, ormai pienamente in atto, a meno che il capitale non venga superato in modo emancipatorio. Ciò appare particolarmente evidente in quella regione post-collasso dello Stato che una volta era la Siria. Il regime zombie di Damasco è crollato sotto l'assalto delle milizie islamiste, poiché da tempo era già stato economicamente svuotato. Non c'era la base economica di un apparato statale moderno che dipendesse da una valorizzazione del capitale sufficientemente ampia. da non diventare selvaggio ed erodersi: il regime di Assad, esausto dopo una lunga guerra civile, a volte cercava rifugio nel traffico di droga per poter distribuire gratificazioni ai suoi racket [*19].

L'imperialismo di crisi in termini concreti
Nel giro di pochi giorni, il Cremlino ha perso il suo più importante alleato regionale; per la cui sopravvivenza, per anni, durante la guerra civile, la Russia ha pompato enormi risorse militari.  Nel gongolare del mondo occidentale per questa nuova catastrofe russa, caratteristica della discrepanza tra le ambizioni imperiali e le capacità del Cremlino, si rischia però di dimenticare l'analogo crollo dell'Afghanistan: il ritiro degli Stati Uniti dalla regione del collasso dell'Asia centrale è stato umiliante quanto lo è stato il ritiro della Russia dalla Siria. Qui, ancora una volta il fattore decisivo è la tendenza oggettiva alla crisi verso il collasso dello Stato, la quale si crea per mezzo dei conflitti imperialisti; e non certo quelle fugaci costellazioni geopolitiche attraverso le quali si manifestano le alleanze e le formazioni di campo in costante cambiamento. L'Iraq di Saddam Hussein, la Libia di Gheddafi o la Siria di Assad, viste dall'esterno, sembrano monoliti di potere impenetrabili; i processi di erosione all'opera all'interno, dall'esterno sono difficilmente riconoscibili, almeno fino a quando queste rovine statali della fallita modernizzazione capitalista non cominciano a crollare alla minima occasione, e liberano le forze centrifughe anomiche all'opera in esse. E' facile rovesciare questi regimi di modernizzazione truccati, come in Libia, e più recentemente in Siria, ma però essi non vengono sostituiti da un nuovo ordine statale; e questo a causa del fatto che la crisi mondiale del capitale sta privando lo Stato delle sue fondamenta economiche. Uno sguardo alla Libia, o all'Afghanistan in particolare, può illustrare assai bene verso dove la Siria minaccia di svilupparsi: in Libia – governata da clan in competizione – non c'è praticamente più alcun potere statale centrale, mentre in Afghanistan i talebani – nonostante la repressione più estrema, laddove alle donne viene letteralmente proibito di parlare –  non sono nemmeno in grado di stabilire una pace cimiteriale islamista. Sul piano interno, i talebani si trovano di fronte a una campagna terroristica da parte dello Stato islamico [*20]. Esternamente, l'Afghanistan è in un conflitto con il Pakistan, e che ha recentemente portato a un conflitto militare aperto [*21]. Qui, l'idea, alimentata dal culturalismo di destra, secondo cui l'islamismo avrebbe pacificato queste regioni al collasso socio-economico, si rivela essere solo un'ideologia. Pertanto, ciò che si profila all'orizzonte non è perciò la stabilità nel quadro dei regimi islamisti o fascisti, ma piuttosto quella guerra permanente che verrà condotta dai racket islamisti, o dagli apparati statali oligarchici in un processo di fascismo. I discorsi di pace di Trump o dell'AfD sono mera propaganda, simile ai discorsi di pace di Hitler poco dopo che gli era stato trasferito il potere [*22]. Non c'è alcuna guerra tra liberalismo e autoritarismo: questa è solo un'illusione alimentata dal declino del liberalismo. L'Occidente, un tempo liberale, del resto, a seguito della crisi sta facendo passi da gigante verso quei regimi della semi-periferia. Le strutture oligarchiche e la fascistizzazione sono espressioni della disintegrazione dello Stato sulla scia del processo di crisi in corso, che inevitabilmente spingerà questi mostri statali in conflitti sempre nuovi. Il crollo della Siria può essere utilizzato anche per studiare la fine dei sistemi egemonici legata alla crisi, così come la conseguente dinamizzazione e destabilizzazione della sfera geopolitica. Il declino egemonico degli USA [*23] spinge molte potenze regionali a sforzarsi di realizzare i propri piani imperiali attraverso dei mezzi militari [*24] Nel contesto di espansione indotta dalla crisi, molte piccole potenze emergenti stanno cercando di ereditare la potenza militare mondiale che ha perso il monopolio del potere militare. Questo vale non solo per la Russia, ma anche per potenze regionali come la Turchia e l'Iran.

Tre livelli di crisi-lotte imperialiste
Negli esempi dell'Ucraina e della Siria, possono essere identificati tre livelli di conflitti geopolitici e militari; il che contribuisce anche alla confusione nella valutazione e nell'interpretazione della crisi concreta e dei conflitti imperialisti. Da un lato, c'è il conflitto egemonico senza scopo tra l'Oceania e l'Eurasia, tra gli Stati Uniti in declino, con i loro sistemi di alleanze che si estendono attraverso l'Atlantico e il Pacifico, e il blocco di potere eurasiatico con la Cina al centro, la cui formazione deve essere silurata per mezzo di una strategia di contenimento. Il processo di crisi impedisce l'emergere di un nuovo sistema egemonico: gli Stati Uniti sono retrocessi, ma allo stesso tempo la Cina non è più in grado di ereditare l'egemonia dell'Occidente, come egemone. Ciò è reso evidente, ad esempio, dalla crisi in piena regola del debito, la quale ha fatto deragliare il progetto egemonico cinese della Nuova Via della Seta [*25]. Eppure gli apparati statali - sempre più coinvolti nelle dinamiche della crisi - non hanno altra scelta se non quella di lottare per il dominio. Soprattutto, Washington, per non sprofondare in una vera e propria crisi del debito, deve temere per la posizione del dollaro USA in quanto valuta di riserva mondiale. Originariamente, la guerra per l'Ucraina è iniziata come una guerra sulla linea del fronte tra Eurasia e Oceania [*26]. L'Occidente voleva impedire l'integrazione di Kiev nell'Unione Eurasiatica di Putin, mentre il Cremlino vede l'Ucraina come una parte essenziale della sua strategia da grande potenza. Questa lotta egemonica, si riflette anche nel crollo del regime di Assad, con il quale la Russia sta ora perdendo non solo il suo più importante alleato regionale, ma anche una base logistica per i suoi sforzi di espansione in Africa, dove la Francia si trova a essere sottoposta a forti pressioni. Gli Stati Uniti avevano pertanto interesse nel rovesciamento di Assad, ma questo è stato però in gran parte guidato da Ankara. La lotta egemonica senza speranza, in una certa misura automatica, tra Oceania ed Eurasia si trova a essere oscurata dalle crescenti aspirazioni imperialiste delle potenze regionali e centrali, le quali sono state in grado di guadagnare un maggiore spazio di manovra geopolitico proprio a causa dell'erosione dell'egemonia degli Stati Uniti. Il regime islamofascista di Ankara, ad esempio, sta cercando di far rivivere l'Impero Ottomano. L'Iran vuole diventare la principale superpotenza regionale in Medio Oriente; il che a sua volta spinge entrambe le medie potenze a entrare in conflitto con paesi arabi come l'Arabia Saudita e l'Egitto. La Siria, è un primo esempio di questa multidimensionalità dei conflitti di crisi-imperialisti. La guerra in Libano tra Israele e Hezbollah, si è trasformata senza soluzione di continuità nell'offensiva degli islamisti sostenuti dalla Turchia a Idlib, i quali hanno rapidamente posto fine al regime di Assad. L'asse geopolitico tra Teheran e Damasco – che ha permesso al regime dei mullah di proiettare il potere ai confini di Israele – è stato distrutto. La lotta per la bancarotta siriana, da parte sua, mette Gerusalemme e Ankara in rotta di collisione – non da ultimo a causa delle rimanenti aree autonome dei curdi siriani, dei quali l'islamofascismo turco vuole fare pulizia etnica – ma che Israele vede però come alleati naturali. Nel frattempo, in Turchia si stanno svolgendo manifestazioni di massa, che minacciano di conquistare Gerusalemme [*27]. Mentre a Gerusalemme, invece, si discutono gli scenari di una guerra contro l'islamofascismo turco [*28]. Caratteristica di questo sistema imperialista multi-dimensionale di crisi, è quindi il costante cambiamento di alleanze, alleanze di convenienza o di mera tolleranza, per cui la competizione e il conflitto possono talvolta essere praticati simultaneamente dagli apparati statali.  Nel caso della Siria, per esempio, la Turchia ha pugnalato alle spalle il Cremlino, ma allo stesso tempo entrambi gli Stati ora possono cooperare sull'energia nucleare, o sugli accordi sulle armi. La cooperazione a volte si trasforma in conflitto nel giro di poche settimane. Israele e la Turchia avevano lo stesso obiettivo strategico di eliminare il regime di Assad in Siria, ma i due stati sono ora in rotta di collisione. Tutto è in movimento, l'intero sistema è in continuo movimento, perché la crisi rende impossibile la formazione di sistemi egemonici stabili. Ora, gli Stati Uniti dominano solo da una posizione di forza militare e grazie alla minaccia di sanzioni e dazi, ad esempio contro l'UE, il Messico o il Canada. Il terzo livello di scontri e conflitti militari, è costituito dai prodotti della crisi post-statale, dalle varie milizie, da tutte le sette e dai mercenari prodotti dalla crisi. Tra questi ci sono soprattutto le milizie e le bande islamiste che Ankara ha mobilitato in Siria, per esempio; e che vengono ripetutamente strumentalizzate dagli apparati statali per raggiungere obiettivi geopolitici. La situazione è simile per quanto riguarda le bande mercenarie russe, o le formazioni naziste che sono state formalmente incorporate nell'esercito ucraino. Ma allo stesso tempo, queste forze militari post-statali stanno diventando sempre più numerose, sempre più importanti; fino a che non riusciranno a vincere il jackpot geopolitico e controllare i territori post-statali in Afghanistan, Libia o Siria. Ancora una volta, è la tendenza oggettiva alla crisi verso la s-nazionalizzazione e l'anomia a prevalere a lungo termine attraverso i conflitti imperialistici.

La lotta per la pace come momento parziale della lotta per la trasformazione
Si potrebbe anche sostenere che - a causa dell'arsenale esistente di armi nucleari - il tardo capitalismo si trovi ora in una sorta di permanente "crisi dei missili cubani". Le potenze nucleari si trovano più o meno apertamente impegnate in dei conflitti militari. Certo, si può obiettare che la diplomazia si sia ora adattata anche a questa nuova intensità del conflitto. Gli attacchi militari e le fasi di escalation, come quelle tra Israele e Iran - o nel contesto della guerra in Ucraina - sono inseriti in un dialogo diplomatico di minacce e di richieste che viene condotto dietro le quinte. Si tratta infatti di una forma di comunicazione perversa condotta con mezzi militari: Iran, Israele, Turchia, Russia, Stati Uniti; hanno annunciato in anticipo ai propri avversari i mezzi con cui sarebbero stati effettuati i loro attacchi militari, o le loro dimostrazioni di potere. In Russia, il dispiegamento di sistemi missilistici a lungo raggio è stato precedentemente annunciato dall'Occidente. Allo stesso modo, la Russia ha informato gli Stati Uniti poco prima del dispiegamento del suo missile a medio raggio con capacità nucleare contro l'Ucraina orientale. Ciò ha lo scopo di prevenire dinamiche di escalation non intenzionali. Ma basta un passo falso, un solo errore di calcolo, o un'interpretazione errata per spingere le potenze nucleari che stanno già combattendo una guerra a bassa intensità l'una contro l'altra a causa della crisi, in una situazione in cui l'opzione nucleare sarà presa in considerazione. La roulette nucleare russa tra l'Occidente e la Russia menzionata all'inizio, in cui le "linee rosse" di Putin in Ucraina sono state deliberatamente superate, potrebbe anche essere già andata storta. E, a un certo punto, una simile partita di poker geopolitica è sempre destinata ad andare storta. Le crisi economiche ed ecologiche che il sistema geopolitico dovrà assorbire aumenteranno, e diventeranno più intense; il che renderà non solo possibile, ma probabile a medio termine una devastante guerra su larga scala che ponga fine al processo di civiltà. Nella realtà, questa dinamica di crisi nella sfera geopolitica si traduce nella necessità di un movimento progressista di sinistra per la pace e contro la guerra. Ma allo stesso tempo, questo sembra essere impossibile, come si può vedere soprattutto nelle forze "fedeli alla Russia" attorno all'Alleanza Nazionalsocialista Sahra Wagenknecht (BSW) o all'AfD, parzialmente fascista. Tutta la retorica della pace può essere strumentalizzata dal Cremlino, in quanto parte della sua guerra psicologica contro l'Occidente. Di fatto, la sinistra tedesca si è ora disintegrata dividendosi in troll di Putin e in troll della NATO; uno sviluppo regressivo che era già evidente all'inizio della guerra per l'Ucraina [*29]. Il bizzarro pseudo-pacifismo pro-Cremlino, che di fatto invita l'Ucraina ad arrendersi all'imperialismo russo, così come è stato celebrato di recente alla “dimostrazione di pace” di Wagenknecht con il sostegno del Partito di Sinistra [*30], corrisponde a una sinistra-liberale desiderosa di guerra, che può essere collocata nell' ambito dei Verdi, per i quali le misure di escalation dell'Occidente non vanno abbastanza lontano; e che, dai caldi salotti tedeschi, invoca ulteriori campagne di mobilitazione in Ucraina. Come in quasi tutti gli altri campi di lotta, la pratica progressista ed emancipatoria può ora essere realizzata solo riflettendo e affrontando in modo offensivo il processo di crisi. Una lotta progressiva per la pace può essere condotta solo in quanto momento parziale di una lotta di trasformazione emancipatrice. Il capitale non solo passa alla crisi sociale ed ecologica mondiale, che è costantemente alimentata dalle sue contraddizioni interne ed esterne, ma minaccia anche di trascinare l'umanità in una grande guerra devastante. Questa semplice verità, ormai apertamente evidente, deve essere comunicata alle persone come parte di una prassi di pace trasformativa. Una prevenzione duratura della guerra è possibile solo nel post-capitalismo. L'acuirsi di una radicale consapevolezza della crisi e l'avvio di un ampio dibattito sociale sulle vie d'uscita dalla guerra capitalistica perpetua dovrebbero quindi diventare il fulcro di una politica di pace trasformativa - guidata da un istinto di sopravvivenza sublimato che risponde alla tendenza autodistruttiva del capitale. Vedi anche il testo “L'emancipazione nella crisi” [*31].

- Tomasz Konicz / 11 gennaio 2025 - Pubblicato l'11/1/2025 su Tomasz Konicz. Wertkritik, Krise, Antifa -

*** NOTA: Il lavoro giornalistico di Tomasz Konicz è finanziato in gran parte grazie a donazioni. Se vi piacciono i suoi testi, siete invitati a contribuire - sia tramite Patreon che con un bonifico bancario diretto, dopo una richiesta via e-mail:  https://www.patreon.com/user?u=57464083

NOTE:

1 https://www.konicz.info/2020/03/09/amerikas-demenzwahlkampf/

2 https://www.reuters.com/world/europe/putin-draws-nuclear-red-line-west-2024-09-27/

3 https://www.theguardian.com/world/2024/nov/17/biden-has-lifted-ban-on-ukraine-using-us-weapons-to-strike-deeper-into-russia-reports

4 https://www.reuters.com/world/europe/russia-launches-intercontinental-ballistic-missile-attack-ukraine-kyiv-says-2024-11-21/

5 https://www.n-tv.de/politik/EU-Russlands-Schattenflotte-steckt-hinter-Kabel-Sabotage-article25458399.html

6 https://francosenia.blogspot.com/2023/12/intanto-in-ucraina-lappetito-vien.html

7 https://edition.cnn.com/2023/06/26/europe/prigozhin-putin-wagner-rebellion-analysis-intl/index.html

8 https://apnews.com/article/deserters-awol-ukraine-russia-war-def676562552d42bc5d593363c9e5ea0

9 https://www.zdf.de/nachrichten/politik/ausland/selenskyj-nato-niederlage-ukraine-krieg-russland-100.html

10 https://www.mirror.co.uk/news/world-news/nato-countries-preparing-world-war-34151854

11 https://francosenia.blogspot.com/2022/06/il-tempo-dei-mostri.html

12 https://francosenia.blogspot.com/2022/02/miseria-post-sovietica.html

13 https://www.konicz.info/2022/06/23/was-ist-krisenimperialismus/

14 https://geopoliticaleconomy.com/2024/09/16/senator-lindsey-graham-ukraine-trillion-minerals/

15 https://www.konicz.info/2013/10/05/2639/

16 https://edition.cnn.com/2025/01/07/climate/trump-greenland-climate/index.html

17 https://www.konicz.info/2021/08/08/dreierlei-inflation/

18 https://www.konicz.info/2021/11/16/zurueck-zur-stagflation/

19 https://www.t-online.de/nachrichten/ausland/internationale-politik/id_100550114/syrien-assad-was-passiert-jetzt-mit-seinem-drogen-imperium-.html

20 https://www.aljazeera.com/news/2024/9/3/isil-claims-responsibility-for-deadly-kabul-attack

21 https://www.nytimes.com/2025/01/01/world/asia/pakistan-afghanistan-taliban.html

22 https://de.wikipedia.org/wiki/Friedensrede_vom_17._Mai_1933

23 https://www.konicz.info/2017/10/28/alte-neue-weltordnung/

24 https://www.konicz.info/2017/10/28/alte-neue-weltordnung/

25 https://www.konicz.info/2022/10/18/china-mehrfachkrise-statt-hegemonie-2/

26 https://www.konicz.info/2022/06/20/zerrissen-zwischen-ost-und-west/

27 https://www.timesofisrael.com/liveblog_entry/tens-of-thousands-attend-anti-israel-pro-palestinian-protest-in-istanbul/

28 https://www.theyeshivaworld.com/news/israel-news/2350558/israel-must-prepare-for-potential-war-with-turkey-state-committee-warns.html

29 https://www.konicz.info/2022/04/26/krisenimperialismus-und-krisenideologie/

30 https://www.berliner-zeitung.de/news/friedensdemo-berlin-wagenknecht-nie-wieder-krieg-die-waffen-nieder-liveticker-li.2259602

31 https://francosenia.blogspot.com/2022/10/le-cose-non-continueranno-essere-cosi.html

domenica 12 gennaio 2025

Le Ali della Paura …

Nato dallo sviluppo di alcuni appunti presi a proposito di Cyril e Samantha, due personaggi del film Il ragazzo con la bicicletta (2011), questo volume muove da una profonda preoccupazione filosofica, che attanaglia l’essere umano: come accettare la morte di Dio senza abbandonarsi a consolazioni e fedi sostitutive? Divenuti orfani dell’amore divino, come affrontare l’umana paura di morire senza negare la nostra condizione mortale e senza rifiutare il mondo e l’altro da sé?

(dal risvolto di copertina di: Luc Dardenne, "L'affare umano. Al di là della paura di morire". Meltemi, pagg. 160, €104)

Dio è morto e io sto bene
- Luc Dardenne lascia temporaneamente la macchina da presa per riflettere sulla vita.Tra Pascal, Freud e Lévinas -
di Alberto Anile

In un piccolo testo introduttivo, Luc Dardenne spiega che "L'affare umano" è nato da un grumo di appunti in vista di quello che sarebbe diventato "Il ragazzo con la bicicletta", ottavo lungometraggio scritto e diretto col fratello Jean-Pierre, pensieri poi riordinati in un vero e proprio "trattatello" filosofico. Il diminutivo si riferisce alle dimensioni (il libro,edito per la prima volta in Italia da Meltemi,consta di 150 pagine di piccolo formato) non certo all'argomento. Proviamo a riassumere. LucDardenne parte dalla "morte di Dio" proclamata da Nietzsche, in seguito alla quale l'uomo è costretto a ripartire da sé stesso, a cercare nuovi valori. Senza l'appiglio della religione, la prima conseguenza della morte di Dio è la percezione della nostra mortalità: «Per l'essere umano nascere vuol dire morire, ossia vivere la paura di morire», scrive Dardenne, e viene in mente il geniale titolo di un film di Zanussi, "La vita come malattia fatale sessualmente trasmessa". L'animale non è consapevole della vita e perciò neanche della morte, e così anche il bambino; ed entrambi possono essere invidiati per questo dall'uomo adulto.La vita e la morte sono quindi legate strettamente, per sbarazzarsi della seconda occorrerebbe paradossalmente eliminare anche l'altra; abolire il tempo, restando bloccati come Paul Newman e Robert Redford nel fermo immagine che chiude Butch Cassidy, oppure procedere all'indietro, come l'astronauta che nel finale di 2001 Odissea nello spazio ridiventava un feto. I riferimenti filmici sono nostri; malgrado sia scritto da un regista, ne "L'affare umano" non si parla mai di cinema, non viene citata neanche una pellicola. E questo è forse anche un giudizio di merito.
Dardenne prosegue il ragionamento cercando una via d'uscita a quella che, altrimenti, sarebbe una vita vissuta solo nell'angoscia dell'annientamento. E la trova nella vicinanza al prossimo: «Stare assieme è il modo umano di sfuggire alla paura di morire, di lenire la nostra sofferenza di essere separati, di dialogare tra di noi per costruire una democrazia, l'unica istituzione di vita comune che non sia fondata sulla paura di morire». Ci arriva guardando l'esempio della madre, fonte di amore per il proprio figlio, acqua a ristorare una sete di vicinanza che è anche desiderio di tornare in lei, di ricostituire l'indiviso: consolando quella condanna a morte che è la nascita, la madre apre un altro essere alla gioia dell'esistenza. E perciò nella compassione, nella solidarietà, nel darsi l'un l'altro che Dardenne trova la possibile fuga dalla paura della morte. E correre in soccorso di chi chiede aiuto è anche correre in soccorso di sé stessi. «Dimenticare sé stesso in favore di un altro», scrive, «dare priorità all'altro nella gioia, poiché l'apertura alla relazione con l'altro, che è possibile unicamente se la paura di morire è placata, è anche un modo di calmare la propria paura di morire, per l'adulto, di vivere nell'ignoranza relativa di essa». La profondità, e quindi l'utilità, di questo breve libro di riflessioni, è evidente. Ed è ammirevole che un regista, che con il fratello ha vinto due volte la Palma d'Oro a Cannes, dedichi tempo e intelligenza a pensieri alti e altissimi. Si citano Freud e Canetti, Boezio e Pascal,e soprattutto l'amato Emmanuel Lévinas (1906-95), il filosofo lituano naturalizzato francese che ha posto l'etica e la prossimità al centro dell'ontologia. Ma appunto,al contrario che nei diari raccolti in "Addosso alle immagini"(in Italia da il Saggiatore), i capitoletti numerati de "L'affare umano" non fanno mai riferimento al mestiere dell'autore; e sì che avrebbe potuto essere utile declinare il discorso attraverso scene di "Rosetta" e "L'enfant".
Secondo Paolo Stellino,che firma una bella introduzione al volume, non deve sviare il fatto che Luc Dardenne dedichi solo l'ultimo breve capitolo all'arte (e quindi al cinema),che «esprime la sofferenza umana» e che,«al contempo, esprime l'uscita da essa,la gioia di esistere»: si tratta di una pagina conclusiva, di una collocazione strategica. In questa scelta pare però di leggere una sfiducia nel proprio lavoro, o meglio: la consapevolezza che la fabbrica delle immagini non possa sostituire l'etica in senso più ampio. In altra parte del saggio, l'autore scrive che «l'immaginazione è figlia della paura di morire», che è stata fabbricata «la bolla immaginaria delle religioni» perché «la paura mette le ali»; che il Diciannovesimo secolo, in cui è nato anche il cinema, «è stato una gigantesca fabbrica di travaglio quotidiano» in cui sono state forgiate «delle consolazioni sostitutive per lenire il dolore» della morte di Dio. Sembra l'ammissione che occuparsi di sceneggiature, di set, di film -anche di bei film - non possa e non debba essere un alibi rispetto alle altre responsabilità dell'essere uomini.

- Alberto Anile - Pubblicato su Robinson del 21/4/2024 -

sabato 11 gennaio 2025

Il dibattito continua: Contro la Metafisica dell'Energia

L’Astrazione-Valore e L’Astrazione «Energia»
- di Sandrine Aumercier -

«L'energia non può avere lo stesso "status categoriale" del valore o del lavoro astratto (...). Ciò potrebbe essere concepito soltanto se il lavoro astratto fosse effettivamente la medesima cosa del lavoro fisico o dell'energia (come dire che una sonda che passasse vicino a Giove, per ricevene uno slancio di moto, eseguirebbe pertanto un lavoro astratto, o su di essa un lavoro astratto verrebbe fatto da Giove; la produzione di glucosio e ossigeno per mezzo della fotosintesi, insieme alle trasformazioni energetiche che lo accompagnano, sarebbe un lavoro astratto, ecc.). » ( Thomas Meyer, "Ignoranza o Realtà", exit-online.org, 2024).

La frase che ho riportato (e che si suppone dovrebbe criticarmi) costituisce un concentrato di interpretazioni errate che riguardano sia i rapporti tra il concreto e l'astratto, sia i rapporti tra energia e lavoro nel capitalismo. Il suo autore insiste nell'ignorare la dimensione astratta dell'energia e, per inciso, ne rifiutarsi di prendere posizione sul cosiddetto "comunismo high-tech" del suo compagno Tomasz Konicz. Di modo che la "critica radicale" possa prendere di mira l'intera società capitalistica pur continuando a escludere da tale critica la produzione industriale e il soggetto auto-cosciente dell'Illuminismo. Queste due co-estensioni del capitalismo vengono così salvate dalla critica. I comunisti del futuro saranno delle persone misteriosamente buone, illuminate e ragionevoli (così come lo sarebbe il filosofo-re di Platone, in versione comunista) i quali sapranno come fare a ordinare e gestire l'infrastruttura industriale capitalistica in maniera vantaggiosa. Saranno talmente altruisti da gestire questa infrastruttura senza che serva alcun sistema di remunerazione(cosa che costituisce l'unica condizione per cui il sistema industriale globale sia stato in grado di svilupparsi nel capitalismo). Per questo marxista ridotto male, e per i suoi compagni, il lavoro morto non sarebbe un lavoro astratto! Non una sola obiezione che mi sia stata rivolta finora per spiegarmi come reggerebbe questo prodigio teorico: bisognerebbe abolire il lavoro astratto, ma conservare una parte del lavoro morto, il quale perciò smetterebbe di essere lavoro astratto coagulato. E così questo lavoro morto dovrebbe essere accuratamente selezionato da un'umanità miracolosamente illuminata che ha ottenuto,non si sa come, un consenso planetario. Una fantasia allo stato puro! Quando, invece, la mia base teorica mi porta a dire che, al contrario, una simile capacità soggettiva di smistamento illuminato e di consenso planetario non esiste; si tratta solo di una finzione morale propagandata fin dai tempi moderni. Del resto, non c'è dubbio che la crisi stia progredendo, e insieme a essa l'inevitabile fine del sistema che conosciamo. La critica negativa non deve servire a prometterci la luna, ma a rimuovere ogni illusione circa il reale funzionamento del sistema che ci ha portato a questa catastrofe; senza però cercare inutilmente di salvare alcune "parti" di esso. In assenza di argomentazioni, a Mayer non è rimasto altro che accusare ancora una volta i suoi avversari di "darwinismo sociale", senza mai rispondere agli argomenti che gli sono stati opposti. Ovviamente non gli rimane altro da esprimere, se non questo riflesso pavloviano. Accusare gli altri di "darwinismo sociale", su un dibattito scritto, gli consente di passare, in negativo, per un benefattore dell'umanità. Egli così ci assicura generosamente la sopravvivenza dell'umanità grazie a quei mezzi tecnici che la sua fantasia gli suggerisce come necessari. Nel frattempo, chiunque eserciti una critica categoriale e ben argomentata del sistema industriale, sarebbe invece un infame malthusiano che vorrebbe sacrificare al proprio destino la maggior parte dell'umanità! Eppure è oggi, e non in futuro, che il sistema industriale sta distruggendo milioni di vite umane e non umane, avvelenando il pianeta lentamente, e in gran parte in maniera irreversibile. Nessuna produzione industriale - intendo dire, proprio nessuna, - sfugge a questo verdetto. Allora Meyer mi indichi un solo prodotto industriale che non contribuisca a questa devastazione, e che meriti di essere mantenuto dopo una ragionevole cernita (della quale peraltro non è in grado di dirci quale sarebbe l'istanza soggettiva). Tutto ciò che viene prodotto industrialmente, senza eccezioni, richiede quantità fenomenali di acqua e di energia, distanze geografiche che fanno il giro più volte della Terra, estrazione devastante di materie prime, innumerevoli processi chimici distruttivi, ecc. Rimando al mittente l'insulto: infatti è lui stesso che si rivela per essere un "darwinista sociale", promuovendo astrattamente la fine del denaro e delle merci, senza prendere in considerazione la realtà materiale del sistema industriale che ne costituisce la sostanziale co-estensione. Questa infrastruttura materiale, è essenzialmente distruttiva, e lo è in tutte le sue parti costitutive, proprio come il sistema di produzione di merci che l'ha generata. E io dico che se si interrompe l'accumulazione di denaro e la produzione di merci, ecco che allora anche la produzione industriale, con le sue miriadi di differenziazioni e divisioni - così come lo scambio internazionale di merci - vengono di fatto interrotti; e milioni di persone vengono immediatamente gettate nella discarica dei rifiuti. È questo ciò che è accaduto durante il primo lockdown della crisi del Covid. Possiamo immaginare cosa produrrebbe la stessa cosa su una scala molto più ampia e definitiva. Pertanto la fine del capitalismo non sarà certamente una transizione graduale, fatta nella gioia e nel buon umore. Costerà vite umane. Possiamo essere dispiaciuti per questo, ma non dipende dalla nostra buona volontà. Questa è una delle tante conseguenze della catastrofe nella quale ci troviamo e che non finirà all'improvviso il giorno in cui il capitalismo esalerà il suo ultimo respiro. Le persone dovranno reimparare a organizzarsi, e ovviamente dovranno farlo in un contesto sociale ed ecologico totalmente deteriorato, senza precedenti storici, a meno che il feticcio della merce non ci precipiti tutti, fino all'ultimo, in una fine spaventosa, simile alla processione dei ciechi di Brueghel. Nessuno può dire quale sarà il percorso collettivo che verrà intrapreso. La cosa non ha nulla a che vedere con le categorie che oggi pretendiamo di criticare, o con le "intenzioni generose" che il teorico crede di poter portare dietro! Del resto, difendere l'illusione secondo cui una parte del sistema industriale potrà essere salvata, modificata, migliorata e riorientata per un futuro post-capitalistico, rappresenta un inganno intellettuale e un incrollabile attaccamento al feticcio della merce; cosa assai problematica nel momento in cui si pretende di criticare le categorie fondamentali del capitalismo. Il fatto che Thomas Meyer e altri credano di poter sostituire le filiere produttive industriali globalizzate con un'organizzazione industriale comunista egualitaria, efficiente ed ecologica  (e probabilmente cibernetica, ma in modo non esplicito), e tutto questo senza soldi, testimonia, tra l'altro, un'ignoranza imperdonabile di tutti quei dibattiti sul "calcolo socialista" che hanno così tanto agitato il XX secolo, e che Robert Kurz ha giustamente deriso. Tutti questi dibattiti ci portano necessariamente alla soluzione cibernetica, e hanno come condizione di possibilità l'astrazione "energetica", la quale rimane alla base della produzione industriale. La cibernetica è infatti la figlia legittima della termodinamica. Non mi lascerò coinvolgere in una polemica così insensata, e a un simile livello di malafede. Ho solo preso semplicemente l'affermazione citata nell'epigrafe, come un pretesto per uno sviluppo che, spero - per i lettori meno ostinati - possa essere più proficuo. Il fatto che tutte queste interpretazioni errate siano universalmente diffuse, non le giustifica, né le rende più ammissibili. Viceversa, esse devono essere necessariamente confutate, con la frequenza e la metodicità necessarie. A differenza dei miei interlocutori, replico più di una volta alle obiezioni che mi vengono rivolte.

Chi pensa in modo astratto?
Astratto, non significa "ideale" o "fittizio", e in contrapposizione a una presunta concretezza sensibile. L'astratto designa – seguendo Hegel – il risultato di quell'operazione che consiste nell'isolamento, vale a dire astrazione, di tutti quegli oggetti, qualità e fenomeni dalla totalità dei processi dinamici e storici, che tale totalità fondano, e ne sono alla base. In tal senso, si può fare riferimento al piccolo testo satirico di Hegel, "Chi pensa astrattamente?". Hegel voleva liberarsi di tutte quelle fissazioni sulla comprensione per mezzo della dialettica speculativa. Tali  fissazioni si ripercuotono in ciò che la psicoanalisi chiama fantasia, e che la critica sociale chiama ideologia. Da parte sua, Marx poneva la radice di questo processo di astrazione nella separazione dei produttori privati dai loro mezzi di produzione. Ecco che così, la totalità che si forma alle loro spalle si presenta come qualcosa di estraneo, qualcosa in cui non riconoscono il frutto del proprio lavoro. Con Marx, a essere in grado di superare la frammentazione dei processi, indotta dalla divisione capitalistica del lavoro e dall'atomizzazione di tutte le attività, non è più la ragione. Se la critica dell'economia politica, intende fornire gli strumenti per tale superamento, ciò non sarà più in virtù della potenza del concetto - come in Hegel - quanto piuttosto in virtù della scoperta delle contraddizioni reali del modo di produzione capitalistico. Qui, non è possibile addentrarsi nella moderna e vertiginosa questione epistemologica relativa al rapporto tra il concetto (in senso hegeliano) e il reale (in senso materialista marxiano). Diciamo che l'operazione del materialismo dialettico, consistente nel «rimettere sui piedi la dialettica» non potrebbe consistere in nient'altro che nell'affrontare la dialettica da un altro punto di partenza, senza confutarla, dato che per Hegel la questione dell'inizio è irrilevante. Secondo questa ipotesi, l'unità speculativa del reale e del razionale, può effettivamente essere affrontata sia dal lato del reale che dal lato del razionale, senza che nell'approccio speculativo cambi nulla di sostanziale. L'insistenza su tutto il resto, sul negativo che non viene assorbito nel movimento dialettico, non costituisce la base di una confutazione della dialettica, poiché la dialettica - in quanto movimento del divenire - è sempre una dialettica negativa. La riconciliazione, denunciata dalla tradizione post-hegeliana, sia nella versione hegeliana (della fine della storia) che in quella marxiana (avvento di una società comunista di liberi produttori associati) continua a rappresentare le due versioni di quella che rimane una debolezza inclusa nella premessa del punto di partenza; vale a dire la fiducia riposta in un processo il cui futuro non è innocente (come direbbe Nietzsche) ma è determinato. contro l'intenzione teorica dei loro autori, sia nella sua premessa idealista che nella sua premessa materialista. Questa debolezza può essere contrapposta tanto a Hegel quanto a Marx senza che per questo venga inficiata l'essenza del pensiero dialettico, visto come l'unico in grado di cogliere negativamente la natura delle contraddizioni in gioco nella modernità. Ma torniamo a Marx. Per lui, l'esercizio del pensiero critico può mettere a nudo le contraddizioni reali, ma non può modificarle grazie alla comprensione astratta (una posizione che, del resto, non è in alcun modo in contraddizione con il pensiero hegeliano). La rappresentazione è sempre secondaria rispetto alle relazioni materiali in cui è radicata. Georg Lukács e Alfred Sohn-Rethel, hanno mostrato particolarmente bene le aporie della comprensione astratta, portate a un parossismo dall'idealismo trascendentale kantiano. Ma essi non hanno individuato il difetto nascosto della forma che si trovava ancora in Marx, e che è stato definitivamente confutato da Freud (senza fare riferimento a Marx): non è vero che la coscienza storica si sviluppa al ritmo naturale dello sviluppo delle forze produttive. Questo presupposto di Marx. costituisce un inganno idealistico, così come lo costituisce il suo prototipo hegeliano. Se questo fosse vero, allora più le forze produttive si sviluppano, più gli esseri umani – o la classe che si suppone portatrice degli interessi dell'umanità – svilupperebbero un'autocoscienza necessaria a qualsiasi progetto di emancipazione. Ma non esiste nulla del genere che ci possa permettere di convalidare empiricamente e teoricamente questa assurda tesi. L'opera di Freud, ci permette di capire il perché. Per mantenere il filo delle mie osservazioni, non mi occuperò nemmeno di tale argomento in questa sede. Torniamo pertanto alle condizioni poste dal modo di produzione capitalistico. Per produrre merci, il capitale costituisce la natura e gli oggetti del mondo in modo adeguato ai suoi bisogni. Così facendo, esso costituisce come "astratte", tanto le categorie più alte della scienza quanto gli oggetti più umili della vita quotidiana: per poterlo fare, li separa entrambi dai processi che ne sono alla base, e ce li presenta sotto forma di una falsa autonomia individuale. Li percepiamo come oggetti naturali, validi per sé stessi, capaci di soddisfare un bisogno naturale, e quindi di corrispondere a una "domanda"  posta nel vocabolario della scienza economica. Gli oggetti apparentemente più concreti sono, in questo senso, i prodotti degli stessi processi di astrazione delle categorie intellettuali che organizzano questa separazione stessa. È la separazione dei propri processi a rendere astratti gli oggetti fisici e gli oggetti del pensiero. Non il loro contenuto che viene presunto come concreto o astratto. L'astrazione "democrazia", non è né più né meno astratta dell'astrazione "baguette". In entrambi i casi, siamo invitati a gestirli ignorando la totalità dei processi socio-storici che li rendono possibili. Li riceviamo come prodotti naturalmente destinati a noi, sul modello di un adattamento armonico della domanda e dell'offerta. Tutto ciò che contraddice questa presunta armonizzazione della domanda e dell'offerta, viene considerato un errore che può essere riparato, o migliorato sulla strada della perfettibilità. A prima vista, qualcosa di simile si potrebbe dire anche riferito a qualsiasi società antica che ignori i propri stessi fondamenti culturali. Ma la differenza è che una società altra dalla nostra, non ha la pretesa di separare scientificamente i suoi feticci e i propri miti dalla totalità della vita sociale. Al contrario, in quelle società diventano un tutt'uno con la totalità  e si evolvono con essa. È solo in virtù dell'ambizione scientifica a spiegare "oggettivamente" e "razionalmente" ogni e qualsiasi fenomeno del mondo, estraendolo dal suo contesto storico per conferirgli l'idealità immobile dell'oggettività, che possiamo cominciare a parlare di astrazione, in quel senso in cui Hegel ha battezzato il termine. Ripetiamo: nella modernità, l'astrazione non designa il regno delle idee, né quello degli spiriti, o quello di una nuova metafisica. L'astrazione designa qualsiasi oggetto studiato isolatamente dalla totalità delle sue condizioni di esistenza. Gli oggetti della ricerca e della produzione, vengono resi astratti dalla loro atomizzazione funzionale che li trasforma in elementi separati dall'intero processo storico-sociale che li aveva resi possibili. Vengono separati – fino alla microparticella nanometrica – per il solo e unico vantaggio dell'ottimizzazione, diretta o indiretta, dei processi produttivi capitalistici. Il guadagno che ne risulta, in termini di conoscenza fondamentale, non è - come avviene per ogni valore d'uso - nient'altro che un prodotto di scarto del modo di produzione preso nel suo insieme. Per la scienza, questo "beneficio secondario" non può essere valido come giustificazione assoluta. Ma va da sé, che l'operazione che segue a questa astrazione è la ricerca permanente per re-inscrivere a posteriori l'oggetto separato nel contesto sistemico da cui è stato prima strappato. Questo, implica la progressiva costituzione di una teoria sistemica del mondo, la quale viene a essere costituita dalla successiva reintegrazione di tutti quei fenomeni che sono stati isolati e studiati separatamente. Ciò che è sistemico soi trova costretto a disattendere ancora una volta le qualità intrinseche dell'oggetto, e studiare solo i suoi scambi con il suo ambiente. Torneremo su questo punto.

L'astrazione crea una sfera intellettuale astratta, e una sfera materiale altrettanto astratta. Queste due sfere insieme, costituiscono il processo metabolico del lavoro astratto. Il lavoro astratto, a sua volta, è l'insieme dell'attività concreta della produzione di merci (secondo quelli che sono i criteri stabiliti dal tempo medio di lavoro sociale raggiunto a un dato livello di sviluppo della produttività) e dell'attività, altrettanto concreta, relativa a conoscere, organizzare e sviluppare scientificamente tale produzione che presiede alla metafisica tecno-scientifica del progresso. È questo è il motivo per cui nell'espressione marxiana del «dispendio produttivo di materia cerebrale, muscoli, nervi, mani, ecc. [*1]», la mano e il cervello, sebbene appaiano distinti alla coscienza dualistica, non costituiscono funzioni separate. Soggettivamente, la coscienza si attribuisce un suo status separato. Crede di essere al di sopra dei fenomeni di cui si occupa, e ignora totalmente le proprie determinazioni inconsce. La scissione della coscienza ,tra una funzione intellettuale astratta e una funzione manuale astratta, riflette la divisione sociale del lavoro in funzioni direzionali ed esecutive. Ma in realtà queste funzioni sono inseparabili nel processo complessivo combinato del lavoro astratto. La forma sociale si riflette tanto in un gesto manuale, o in un processo standardizzato, quanto in un habitus intellettuale, o in un'ideologia. Tutti quanti loro sono ugualmente ignoranti della loro comune origine sociale. In tal modo, la merce "concreta" non è meno astratta delle idee più astratte. Il lavoro "concreto" non è meno astratto del lavoro astratto, poiché il primo viene a essere semplicemente l'altra faccia del secondo. Su questo punto, l'apparente materialità concreta della merce e della sua produzione materiale - la dimensione fisica, percepibile e tangibile del valore d'uso - ingannano e ci fanno assumere come "concreto", ciò che invece è il risultato di un movimento di astrazione indispensabile al processo globale di produzione capitalistica. L'apparente immediatezza dell'oggetto è il prodotto di questo movimento di astrazione, dimenticato nell'oggetto stesso [*3]. Questo vale nel capitalismo, e vale per tutte le categorie apparentemente naturali, come l'economia, la politica, i processi di produzione, il lavoro, i bisogni, gli impulsi, la riproduzione sociale, le relazioni di genere, le dinamiche della popolazione, gli oggetti scientifici, ecc. Nessuno di questi oggetti di indagine, di discorso o di intervento, costituisce minimamente un oggetto naturale, ma vengono tutti costituiti come naturali, a partire dal modo di produzione capitalistico, il quale si basa su un'ontologia naturalista (Philippe Descola). Allora, chi è che pensa in modo astratto? Ogni processo di produzione, ogni processo di ricerca, ogni visione del mondo che scomponga il mondo stesso in elementi isolati, per interessarsi poi, solo in una seconda fase, agli "scambi" che essi intrattengono tra loro nella modalità intersoggettiva di dialogo tra individui separati (scambi di materia, di energia, di valore economico, ecc.) costituisce un pensiero astratto. Ciò che l'economia standard fa, nella modalità dell'analisi puramente circolatoria degli scambi tra produttori separati, la psicologia lo fa nel suo campo riducendo tutti i fenomeni a scambi intersoggettivi; e la scienza lo fa, riducendo tutti i fenomeni del mondo, precedentemente atomizzati, a scambi di materia ed energia. Gli storici e gli antropologi hanno dimostrato, tuttavia, che questa divisione della realtà in sfere o processi apparentemente indipendenti, le cui fasi sono segmentate in modo sempre più sottile, è assolutamente e del tutto moderna. Le persone che vivono nel capitalismo hanno l'astrazione sotto la pelle come se la respirassero. Come già detto, non si tratta del fatto che la condizione umana si basi sempre sull'ignoranza delle condizioni che la costituiscono, ma è l'operazione specifica della produzione moderna che richiede l'atomizzazione e la razionalizzazione di tutti gli elementi e di tutti i fenomeni della realtà, per poi reintegrarli in una visione sistemica; già denunciata da Hegel, a suo tempo, in quanto promozione del falso infinito. Potremmo chiamare questa concezione, la concezione del puzzle del mondo: ogni pezzo precedentemente isolato deve alla fine trovare il suo posto nel nuovo prodotto sintetico, il quale costituisce l'immagine del mondo capitalistico. Questo nella speranza di invertire il processo di sradicamento sociale che isola ogni pezzo del puzzle dal resto. Deve essere configurato, per adattarsi a un set sintetico a posteriori. È un po' come se dopo averti strappato la mano – o qualsiasi altro organo, oggetto, funzione – lavorassero sodo per attuare un trapianto d'organo, che deve magicamente equivalere a far sì che non sia successo nulla. In tal modo la totalità del mondo sarebbe stata allora sintetizzata dal rapporto di capitale, cancellando persino le cicatrici della sua istituzione; cosa che fortunatamente non è riuscita del tutto.

Conseguenze dell'astrazione scientifica sul trattamento degli oggetti della scienza
Le categorie scientifiche della produzione capitalistica sono così profondamente radicate nelle nostre abitudini di pensiero, che si manifestano nell'evidenza attraverso cui il realismo ingenuo ontologizza il mondo. Gli oggetti del mondo sembrano così adattarsi perfettamente alle nostre categorie immediate, proprio come il pane sembra adattarsi ai nostri bisogni, mentre invece esso non viene prodotto per soddisfarli, ma per alimentare l'accumulazione capitalistica. Questi oggetti sembrano parlarci del mondo così com'è, mentre in realtà ci parlano solo del mondo così come noi lo produciamo senza saperlo. I processi fisici che stanno alla base della costituzione storica dell'astrazione moderna, sono stati in grado di imporsi solo grazie all'aiuto delle nuove astrazioni scientifiche emerse con il capitalismo. Storicamente, a tutti i soggetti il lavoro astratto appare come un'imposizione a sottomettersi alle nuove condizioni di produzione. La loro dinamica, è dettata dal livello di produttività determinato dall'insieme delle attività produttive, le quali competono sul mercato a un determinato livello storico di sviluppo. L'astrazione è la conseguenza della separazione di tutti i produttori privati, i quali vengono socializzati solo a posteriori attraverso la vendita sul mercato dei loro prodotti; allo stesso modo in cui gli oggetti scientifici sono reintegrati, a posteriori, in una visione sistemica del mondo che viene vista come se fosse sempre più fluida e integratrice. La dimensione astratta del lavoro astratto, deriva da questa atomizzazione sia dei produttori che dei processi produttivi, così come dalla combinazione, a posteriori, dei prodotti del lavoro immessi sul mercato al servizio di quel "soggetto automatico" che i liberali traducono nella finzione della mano invisibile, o dell'equilibrio perfetto. Parlare degli oggetti della natura come se fossero oggetti naturali, è caratteristico di questa operazione inaugurale della scienza moderna, la quale inventa una nuova oggettività, risultante dai suoi stessi processi di astrazione. Gli oggetti della natura, ci vengono presentati, spiegandoci che essi sono al di fuori di essa, che non hanno nulla a che fare con il suo funzionamento, che noi ci limitiamo solo a trovare ciò su cui operiamo. Ma la scienza non è solo questo. Poi, in seguito, continua a spiegarci instancabilmente che essa stessa si limita solo a prolungare l'azione della natura, impadronendosi degli oggetti della natura allo scopo di trasformarli. La condizione della scienza moderna, è quindi quella di «porsi sia al di fuori della natura che dentro la natura». Dapprima, si separa dalla natura costituendola in quanto oggettività inerte; secondariamente, essa si reintegra in una tale natura oggettivata, naturalizzando le proprie operazioni all'interno del grande sistema naturale del mondo, di cui l'ecologia è il prodotto più emblematico. Lungi dall'essere un'obiezione all'economia, l'ecologia è una sua co-estensione storica, cosa che ci spiega perché è impossibile cambiare la traiettoria dell'una per modificare l'altra [*4]. I pezzi del puzzle, come effetto dell'astratto schiacciamento dell'esperienza del mondo, risultante in miriadi di oggetti separati che devono essere a loro volta reinscritti nel grande sistema "naturale" del mondo. Questo progetto trova il proprio culmine nell'ipotesi vitalista di una biosfera, che la tecnosfera dovrebbe soltanto imitare perfettamente, in modo che così tutto finisca un giorno per armonizzarsi perfettamente, secondo la teleologia tecno-scientifica. La scienza si costituisce in quanto eccezione alla natura, che essa riduce all'inerte raccolta dei suoi oggetti di indagine, mentre allo stesso tempo naturalizza tutti i prodotti dislocati da questa operazione, tra i quali annovera anche l'operazione soggettiva che viene messa sullo stesso piano i ogni e qualsiasi altro oggetto. Nasconde così la propria ontologia. È questa, infatti, la  vera e propria condizione del suo funzionamento moderno. Il cervello che compie una simile frammentazione, viene esso stesso concepito come funzione naturale – tra le altre – del mondo. Il cervello umano rimane sempre, al tempo stesso, il vertice della creazione che sottomette il mondo alla sua "intelligenza", oltre a essere un prodotto della natura uguale a qualsiasi altro, capace di riflettersi nella natura, tanto quanto qualsiasi altro oggetto. Se non prendiamo in considerazione queste due fasi dell'operazione tecnoscientifica – l'oggettivazione della natura esterna da una parte, e la successiva reintegrazione del soggetto della scienza in questa nuova natura dall'altra – non capiamo nulla delle contraddizioni moderne e rimaniamo instancabilmente invischiati nei suoi paradossi e nelle sue aporie. Per questa ragione, la questione metafisica della relazione tra parola e cosa, tra pensiero e realtà, diventa un'ossessione della filosofia moderna. Sottratta all'operatività universale della produzione tecno-scientifica, la questione della relazione tra spirito e materia, riemerge in relazione ai problemi filosofici dei quali si dimentica la genesi storica. L'ossessione postmoderna di volersi sbarazzare della metafisica, come se fosse una patata bollente, continua tuttavia ad attribuire carattere metafisico sia alle forme che ai contenuti del pensiero, e non a quelle astrazioni reali che governano gli atti sociali. Riassumendo: l'intervento scientifico minaccia e compromette la propria operatività in due fasi. Comincia, postulando una natura al di fuori di sé stessa, come se ci fosse un mondo di oggetti distinti dalla propria natura, che poi ne diventano i suoi oggetti di conoscenza; poi finisce per riunire ciò che ha separato infilando tutto nel falso continuum naturale degli oggetti della natura, nei quali include anche sé stesso, per addizione. Si comporta come quella bambina che dice: «Ho tre fratelli: Pierre, Ernest ed io» [*5]. E alla fine di tutto questo, trova il risultato della sua operazione, decurtato sotto forma di antinomie insolubili tra spirito e materia, soggetto e oggetto, concreto e astratto, ecc.. Il mondo viene così diviso in unità discrete, le quali diventano altrettanti oggetti scientifici studiati per sé stessi, indipendentemente l'uno dall'altro; si popola di un'infinità di oggetti "naturali", i quali costituiscono le diverse branche della scienza, siano essi esatti o umanizzati, ecc. Ecco perché la scienza non è più l'antica ricerca della verità che era ancora per Hegel, e che ha attraversato due epoche. La scienza diviene la collezione di tutte le branche di studio degli oggetti discreti del mondo naturale. La filosofia perde pertanto ogni carattere speculativo; anch'essa diventa, come tutte le altre, un'attività a sé stante svolta da filosofi professionisti e da singoli dilettanti. A questo positivismo scientifico, Hegel oppone una concezione della scienza in quanto movimento storico delle forme della mente, e che sono tutti momenti della verità del tutto. Egli afferma il movimento speculativo della filosofia, e lo fa nel momento stesso in cui diventa obsoleta. Crede di rimediare alle aporie della scienza moderna in un momento in cui esse sono in procinto di imporsi sulla realtà. Egli diventa così, con la sua determinazione a invalidarli, il più grande testimone delle impasse della scienza moderna. Ma la storia degli ultimi due secoli respinge nel reale il tentativo di Hegel, poiché lo scopo della scienza non è più la ricerca della verità (che rimane il progetto di Hegel) ma la ricerca dell'operatività. In tal modo, il pragmatismo teorizza come rilevante non ciò che è vero, ma ciò che funziona, ciò che ha effetti nella pratica [*6]. Il fatto che i calcoli matematici diano risultati che funzionano nel mondo reale, basta a convalidare la loro accuratezza. La questione della loro verità è irrilevante. La ricerca dell'operatività, si manifesta nell'alleanza tra scienza e ingegneria, e la cosa ha luogo fin dagli albori dell'era moderna, vale a dire ben prima che si iniziasse ufficialmente a parlare di "tecno-scienza" o di pragmatismo in filosofia. La scienza moderna è diventata essenzialmente tecnoscienza assai prima di avere la parola: è una conoscenza operativa degli oggetti della natura che rende possibile estendere indefinitamente le loro applicazioni tecniche e la padronanza locale dei loro effetti, senza alcuna considerazione per la questione della verità. Più aumenta questo controllo locale, più esso sfugge alle conseguenze globali. Tuttavia, esso ritiene di poter raggiungere la padronanza globale, continuando a estendere il regno aggiuntivo delle sue operazioni locali. Il pensiero speculativo è relegato a un'attività soggettiva, tra le altre, allo stesso modo della musica o della poesia. Non ha alcun impatto sul corso della realtà sociale, contrariamente a quanto immagina quando maneggia gli universali e crede di avere il mondo nelle sue mani.

L'astrazione "energetica" adeguata al metabolismo sociale del capitalismo
Che "l'energia" appaia come una cosa concreta – per esempio, fossile, solare o atomica – fa parte del processo di astrazione sopra descritto, per quanto i fisici spieghino instancabilmente che l'energia è un'astrazione. Infine, prendiamo sul serio i risultati del lavoro di matematici, fisici, sociologi e storici dell'energia [*7], i quali non solo analizzano l'invenzione moderna dell'astrazione “energia”, ma valutano anche la sua congruenza con le esigenze specifiche del capitalismo! La quantità "concreta" di energia necessaria a eseguire un lavoro "concreto", è astratta quanto lo è il processo storico che ha portato al suo emergere sotto forma di una delle ultime categorie della scienza moderna. Il marxismo si ferma sulla soglia della definizione scientifica dell'energia, mentre rifiuta una simile ingenua relazione quando studia, ad esempio, la categoria "denaro". E questa è davvero una cosa inaudita. Dato che il denaro è un mezzo di pagamento neutro materializzato dalla moneta, tanto quanto l'energia è una quantità oggettiva materializzata in un certo numero di kilowatt! Marx almeno intuiva questo problema, sebbene non lo teorizzasse come tale. Pertanto, dobbiamo cominciare tornando alle categorie di Marx. Se Marx parla del lavoro come di un «metabolismo con la natura» [*8], e così come parla altrove del «metabolismo sociale», lo fa per situare l'astrazione-valore in quello che è il suo rapporto con la produzione concreta di merci. Ma questa produzione concreta, è solo l'altra faccia del movimento astratto della valorizzazione del valore. L'astrazione-valore non è il movimento etereo che il termine astrazione potrebbe suggerire. "Astratto" non significa: «slegato dal concreto». Il carattere dell'astrazione - che è una caratteristica sociale - è la riduzione dei processi sociali alla loro grandezza fisica. Concreto e astratto, fisico e categoriale, non sono due sfaccettature che possono essere contrapposte l'una all'altra. Non esiste un buon lavoro concreto, che possa essere contrapposto al lavoro astratto, più di quanto non esista una buona energia concreta (per esempio, l'energia innocente del vento!) che possa essere messa in contrapposizione al suo concetto astratto di energia. La quantità di energia necessaria a effettuare un lavoro fisico, non è perciò una quantità concreta indipendente dalla sua astrazione, contrariamente a quanto ci suggerisce invece la frase di Thomas Meyer citata in apertura, e che ha tutta l'aria del luogo comune secondo il quale la fotosintesi non sarebbe un lavoro astratto. Così facendo, Meyer occulta quell'operazione capitalistica, la quale è tuttavia l'oggetto della sua critica. Egli, in tal modo, istituisce il lavoro astratto, rendendolo intercambiabile con tutto il lavoro fisico: dai fenomeni della natura alle prestazioni della macchina, e passando per il lavoro umano. Questa intercambiabilità costituisce il risultato di una riduzione di tutto il "lavoro" alla quantità astratta di energia necessaria per svolgerlo, e questo indipendentemente dalla sua determinazione sociale. È proprio in questo modo, che la creazione di valore attraverso il solo dispendio di energia umana viene occultata dalla teoria economica. Meyer agisce come se si potesse affermare una sorta di verità scientifica oggettiva sulla "energia", indipendentemente dal suo emergere capitalistico; come alcuni fanno a partire dalla presunta realtà eterna del "lavoro". Il «metabolismo con la natura» è un metabolismo sociale che costituisce teoricamente e scientificamente una natura adeguata alla sua efficacia. Non è che si trova la natura già bell'e pronta, ci si inventa il suo incontro con essa in una duplice operazione, in cui prima ci si estrae da essa per poi considerarsi come si fosse una parte ontologicamente identica a ciò da cui si viene estratti. Nel capitalismo, la scienza non è una falsa proiezione della natura che potrebbe essere rettificata grazie a una teoria più corretta, contraria al mito della sua perfettibilità indefinita. La scienza, praticamente  inventa la natura, in modo che diventi impossibile modificare questa relazione pratica con essa, mediante il solo esercizio della critica intellettuale. Quest'ultima è condannata alla sua immanenza. Il pensiero, per quanto acuto possa essere, diventa esso stesso un'appendice del regno degli oggetti frammentati della conoscenza, ereditando un'operazione di separazione dimenticata. Le sue raziocinazioni filosofiche e politiche, possono riempire gli scaffali delle biblioteche pur senza toccare nulla di ciò che avviene in pratica nell'organizzazione globale della produzione, nella ruota di cui  è un ingranaggio, inconsapevole di sé stesso. In questo contesto, la categoria dell'energia è la più alta astrazione, risultante dal tentativo di unificare i fenomeni frammentati della natura ai fini delle esigenze dello sfrenato sviluppo industriale del capitalismo (conseguente, come si è detto, all'operazione universale dell'astrazione scientifica di tutti i fenomeni coinvolti nella produzione capitalistica). La separazione degli oggetti nel mondo in unità discrete, ci costringe a studiare le loro interazioni misurando gli scambi di materia ed energia che hanno con il loro ambiente. Si tratta quindi di costituire questi oggetti in tanti sistemi e sottosistemi che possono poi essere suddivisi e messi in relazione indefinitamente come tante scatole nere. Lo studio sistematico delle loro interazioni, la necessità di ricostruire l'unità perduta della natura, fecero della termodinamica la scienza ormai essenziale dei fenomeni naturali, mettendola al posto della vecchia metafisica. La messa in funzione di tutto ciò che esiste, ci impone di calcolare il suo costo energetico, postulando pertanto una legge di conservazione dell'energia, che sarebbe come la riserva naturale di un ipotetico movimento perpetuo del capitale! È questo è il motivo per cui la nozione di energia informa tutte le branche della scienza moderna, e arriva fino contaminare ideologicamente dei campi in cui essa non ha alcuna rilevanza. L'Energitismo (con William Rankine, Wilhelm Ostwald e Pierre Duhem in particolare) e l'atomismo (con Ludwig Boltzmann e Willard Gibbs in particolare), aprirono un dibattito che coprì la seconda metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento; un dibattito che si risolverà a favore dell'atomismo e della meccanica statistica. Tuttavia, la meccanica statistica portò solo il progetto energetico a un livello superiore, cosa che avrebbe richiesto poi una deviazione, attraverso una successiva teoria dell'informazione e dell'entropia dell'informazione (Claude Shannon). Nell'uno o nell'altro dei campi contrapposti, in quel momento, l'energia è alla base di tutti i fenomeni fisici, sia intesa come la natura ultima del reale, sia intesa come la nostra apprensione matematica e la misura del nostro grado di ignoranza di una realtà inconoscibile in sé stessa. L'importante è notare che essa costituisce in tutti i casi una forma di metafisica, alla quale si attribuisce la capacità di unificare tutto l'intero campo frammentato della scienza: sia con una teoria unificata della realtà, sia con una teoria unificata della misurazione dell'informazione che abbiamo di questa realtà. Si tratta fondamentalmente del risultato dell'atomizzazione di oggetti scientifici, e della traduzione di fenomeni atomizzati in procedure meccanizzabili e formalizzabili. Questa preoccupazione, che sembra essere una ricerca puramente fondamentale, e che tocca questioni filosofiche ultime, si trova pertanto a essere sotto l'influenza di un nuovo vincolo sociale, la sistematizzazione di tutte le attività produttive sotto il capitalismo. Il lavoro fisico era divenuto misurabile nel diciannovesimo secolo, con la nozione di energia. Tutti i processi della natura e della società diventano così un lavoro fisico che può essere razionalizzato nella produzione. Il lavoro umano e il lavoro delle macchine sono resi commensurabili dal concetto di energia. La natura bifida del lavoro astratto consiste in una doppia astrazione, quella di un dispendio di lavoro fisico rappresentato nel suo costo energetico; e quella di una creazione di valore che si suppone sia rappresentata nei prezzi e nei salari. Il carattere dell'astrazione non riguarda solo la logica del valore, ma ovviamente anche il lavoro fisico coinvolto nella produzione di valore. Il lavoro fisico è astratto, in quanto è assegnato al suo costo energetico. Crea valore nella misura in cui tutta l'attività sociale viene ridotta alla realtà del suo processo fisico. Quanto più il lavoro è considerato come un dispendio fisico "concreto", tanto più esso occulta la logica del valore su cui si fonda. Non c'è nulla di più astratto che ridurre un processo di produzione – che è una relazione sociale – a un dispendio di energia. Questo riduzionismo energetico, è quello del capitale stesso. Non è quello di Marx (tranne nei suoi momenti di debolezza)! Il dispendio del cervello, dei muscoli, dei nervi, delle mani, è il modo in cui il capitale si avvicina alle funzioni atomizzate del corpo umano; così come si avvicina a tutti gli altri oggetti della natura divisi in fenomeni isolati. Affinché il gesto manuale diventi quello di una macchina che lo sostituisce, affinché l'operazione intellettuale diventi quella di un computer che la sostituisce, bisogna che tutti i fenomeni debbano essere stati ridotti al comune denominatore del loro dispendio di energia. È questo ciò che permette di eludere sistematicamente la logica del valore, e continuare a far credere che sia indifferente – persino emancipatorio – il fatto che il lavoro venga svolto da una macchina, piuttosto che da un essere umano. Ciò non è cosa da poco, dal momento che la creazione di valore globale si esaurisce gradualmente, precipitando l'intera società capitalistica in una crisi irreversibile di valorizzazione. Pertanto, dal punto di vista del capitalismo, il lavoro astratto è identico al lavoro fisico. Contrariamente a quanto affermato nella frase evidenziata, il lavoro astratto e il lavoro fisico costituiscono le due facce – astratte e concrete – di un unico processo di astrazione capitalistica. Da questo punto di vista, sono identici.

È questo il motivo per cui il capitalismo inventa il lavoro nello stesso identico momento in cui inventa l'energia. Al di fuori del capitalismo, le due categorie non hanno alcun senso: criticare il lavoro e voler mantenere il concetto di energia, equivale a criticare il capitalismo e voler mantenere il denaro e le merci. "Lavoro astratto", è il nome dato dalla critica dell'economia politica a tutto ciò che il sistema capitalistico può intendere solo come una quantità intercambiabile e razionalizzabile di lavoro fisico, nella completa ignoranza del rapporto sociale che organizza la logica del valore. Robert Kurz non ha mai smesso di portare avanti questa intuizione, sottolineando il fatto che l'astrazione risiede proprio nella riduzione del lavoro concreto a un astratto dispendio di energia umana (cervello, muscoli, nervi, mani) [*9]. Questo lo ha persino portato a essere erroneamente criticato per la sua concezione energetica del lavoro. Marx stesso, è stato talvolta letto in questo modo. Ma Kurz risponde bruscamente a Lohoff, Meretz e Heinrich su questo punto [*10]. Il principale fraintendimento riguardo la questione energetica risiede nel non comprendere che l'astrazione ha luogo nel riduzionismo fisicista del capitalismo stesso. In tutti i suoi scritti, Kurz su questo è inequivocabile. Citerò solo un passaggio, tra le decine di passaggi di questo tipo, in cui Kurz si oppone a Michael Heinrich: «Heinrich nega la determinazione marxiana della sostanza intesa come energia umana astratta reale, come una "astrazione fisiologica" specificamente capitalistica, volendo vedere in essa una "interpretazione naturalistica", vale a dire un "fondamento che non sia affatto sociale, persino quasi naturale". Heinrich vuole contrapporre all'astrazione fisiologica reale il sociale , come se il momento naturale dell'uomo non fosse astratto precisamente in modo capitalistico, come se non fosse lì che risiede la qualità negativa realmente reificante del feticcio del capitale, il quale è esso stesso socialmente costituito. Heinrich, tuttavia, rimane incapace di indicare quale sia il contenuto della sostanza del valore [*11]». Ripetiamo: astrazione non è sinonimo di qualcosa di ideale o di non concreto, ma traduce il risultato dell'operazione reale di astrarre un fenomeno dalla totalità delle sue determinazioni storiche per ridurlo alle sue prestazioni meccaniche. Questo, è ciò che il capitalismo fa con l'attività umana. Comprendere il lavoro come semplice dispendio fisiologico, è reso necessario dalla ricerca permanente di una combinazione più efficiente e competitiva dei fattori produttivi. Riduce il lavoro umano e meccanico al loro comune denominatore energetico. Meyer invece, commette esattamente l'errore opposto a quello che Kurz rimprovera a Heinrich. Heinrich non vede che il riduzionismo energetico non è quello di Marx, ma quello del capitale. Meyer, da parte sua, naturalizza la categoria dell'energia, ponendosi così sullo stesso piano del capitalismo. Egli equipara il dispendio energetico a un concetto scientifico secondario, che secondo lui potrebbe essere staccato dall'emergere storico del lavoro astratto, e reso valido di per sé stesso, quando invece il concetto di energia rappresenta la condizione stessa dell'emergere del lavoro astratto. Senza la nozione di energia, non esiste alcuna "contraddizione in processo". In assenza di  tale nozione, a nessun'altra società è mai venuto in mente di concepire come identici, dal punto di vista del loro dispendio energetico, l'esecuzione di una carrucola e lo sforzo di un essere vivente per sollevare un peso. Tutta la produzione industriale si basa su una tale identità astratta. Per il capitalismo, il lavoro non è altro che un'attività meccanica che può essere sostituita e razionalizzata all'infinito, sia in termini energetici che economici. Non c'è alcuna società, ci sono solo delle quantità astratte di energia, la quale viene spesa al fine di mantenere o di aumentare il tasso di produttività sul mercato competitivo. La produzione industriale funzionalizza, automatizza e ottimizza tutte le fasi della produzione, sia quelle meccaniche (la catena di montaggio) che quelle intellettuali (l'algoritmo). Tale riduzionismo meccanicistico, trasforma la totalità del mondo umano e non umano in un mero serbatoio di materia e di energia,in un sistema disincantato di forze produttive universali e combinate, privo di qualsiasi mediazione simbolica. Ma il sistema capitalistico non sa quello che fa: per esso non esiste il lavoro astratto e pertanto non c'è alcun valore-lavoro. Non conosce altro se non il lavoro meccanico atomizzato e ridotto alle sue funzioni ottimizzate e razionalizzate. Il capitalismo non chiama questo tipo di lavoro, "astratto", ma lo chiama concreto e naturale. E' essenziale dover insistere su questo, in modo da evitare così qualsiasi inutile disputa sulle parole. Secondo questa nuova visione, a "funzionare" è l'intero universo, vale a dire, che esso si trasforma spendendo una certa quantità di energia, la quale, miracolosamente, rimane globalmente costante. Chiamare astratto questo riduzionismo fisicalista, costituisce già un risultato di quello che è un approccio critico, il quale sottolinea la falsa evidenza della categoria di energia. Non si tratta più della categoria naturale celebrata dai liberali, dai neoliberisti e dagli ingegneri, ma è la condizione materiale necessaria alla sostituibilità del lavoro fisico nel capitalismo (che mira costantemente alla combinazione ottimale dei fattori di produzione). In virtù di questa astrazione, l'energia umana e l'energia meccanica subiscono un riduzionismo che le rende commensurabili e sostituibili l'una all'altra. L'energia è il più alto livello di astrazione scientifica che il sistema capitalista si concede al fine di poter universalizzare il lavoro. Il che gli permette di rendere commensurabili tra loro tutte le attività produttive, in base alla loro riduzione meccanica e a un quanto energetico che costituisce la faccia materiale della logica del valore. È la controparte materiale dell'astrazione, che ora la critica dell'economia politica scopre insieme alla teoria del valore. Proprio allo stesso modo in cui il termine "economia" assume un'estensione massima, in modo da poter così designare finalmente qualsiasi idea di gestione e di organizzazione, ecco che il termine energia viene presupposto, in ultima analisi, come rappresentante l'intera struttura della realtà. Pertanto, con tutto il rispetto per le divagazioni degli specialisti dell'energia, la categoria dell'energia non ci dice nulla sulla natura in sé. Qualsiasi tentazione di naturalizzare questa categoria e gli oggetti della natura che la scienza moderna accarezza, equivale a un'approvazione acritica del processo di astrazione che costituisce la produzione industriale moderna. Importare tale categoria in un mondo pre o post-capitalista, equivale a generalizzare gli occhiali capitalistici che mettiamo sul naso del mondo. In questo modo - per fare un esempio - la fotosintesi non è un lavoro astratto più di quanto non lo sia il "lavoro" fisico, tranne che per il capitale stesso. Assimilare la pianta a un convertitore di energia, è esattamente ciò che fa l'agricoltura industriale. Quando l'agricoltura industriale prende il sopravvento sul processo di crescita delle piante, produce semi, suolo, fertilizzanti, ingegneria genetica, ecc. vale a dire, "mezzi di produzione" come tutti gli altri, per mezzo dei quali deve razionalizzare e ottimizzare l'economia e l'energia che produce. Per questo motivo nel settore delle biotecnologie è comune parlare dell'impianto come di una piccola fabbrica biochimica, che poi può essere riprodotta anche nei cosiddetti processi industriali biomimetici. Il seme standardizzato svolge un lavoro morto allo stesso modo della gallina che depone le uova in batteria: un essere vivente trasformato in una macchina di produzione, come tutte le altre macchine di cui il capitalismo ricopre il mondo, a eccezione degli esseri umani. Sotto il capitalismo, la fotosintesi è lavoro morto, come tutti i fenomeni della natura requisiti dal capitale nella sua inestinguibile sete di nuove aree di espansione e risorse energetiche. E solo perché il lavoro morto non produce direttamente valore, ciò non significa che esso non sia parte integrante della logica del lavoro astratto!

Lo status categoriale della nozione di energia
Pertanto, i problemi energetici sono solo esclusivamente problemi capitalistici. Ma è già prevedibile che, se questi problemi saranno diventati nel frattempo insolubili, un mondo post-capitalista li erediterà. Questa eredità velenosa potrebbe costringere le società del futuro a continuare a pensare alla produzione in termini di energia, e questo nella folle speranza di mantenere, sulle rovine del mondo, gli spazi di produzione industriale. Ma questo avverrà sotto gli auspici di un inesorabile e fatale collo di bottiglia energetico. In tal caso si può dire che non solo il sistema attuale sta distruggendo il pianeta, ma ci sta anche derubando della possibilità di un nuovo rapporto con il mondo e di un'uscita dalle sue categorie. Una prospettiva emancipatrice, tuttavia, non può porre questa angosciante osservazione come se si trattasse di una necessità naturale. L'energia dei fisici e degli ingegneri non ha, immediatamente, lo stesso "status categoriale" del valore, dal momento che essa non costituisce di per sé una categoria critica, quanto piuttosto una categoria affermativa dei processi produttivi emersi all'interno del capitalismo. Questa categoria affermativa, viene ripresa come tale anche da Meyer. Tuttavia, nella prospettiva di un'analisi delle categorie operative del modo di produzione capitalistico, spetta solo alla teoria criticarlo, in particolare allo stesso modo in cui si critica lo Stato, la forma-soggetto, la metafisica della storia o la dissociazione sessuale. Questa critica è stata avviata dai molti autori che hanno evidenziato la dimensione entropica dell'economia (Nicholas Georgescu-Roegen, Herman Daly, Robert Ayres), ma è stata lasciata incompiuta a causa della loro naturalizzazione delle categorie di energia e di entropia, così come dalla loro naturalizzazione dell'economia. Spetta ora a noi, collocare l'energia nella sua genesi storica, in quanto «astrazione ideale che scaturisce da un'astrazione reale» [*12]. L'entropia designa - nel corso di un processo di trasformazione materiale - la produzione di energia "inutilizzabile" proveniente da energia "utilizzabile". Va da sé che questa energia è "inutilizzabile" solo nella prospettiva di una società del lavoro che tende a sfruttare al massimo tutte le energie disponibili. Una simile società è pertanto condannata a muoversi in direzione della massima entropia. D'altra parte, non ha senso parlare di energia "inutilizzabile" dal punto di vista dei continui processi di trasformazione che avvengono in natura. La natura ricicla i propri "rifiuti" (i quali, in realtà, è del tutto inappropriato chiamarli così) nel corso di quei processi universali che hanno impiegato miliardi di anni per differenziarsi. La produzione industriale non ricicla nulla, o quasi, non per mancanza di volontà, come ci piace dire, ma perché la cattura dell'energia materializzata nei convertitori di energia non può fare altro che portare a una spirale entropica. Catturare energia significa inevitabilmente prenderla da qualche altra parte ( dal momento che la sua quantità totale viene preservata). Significa anche, ad ogni turno di cattura, cioè durante ogni conversione di energia, aumentare il bilancio finale di entropia. A differenza di tutte le ideologie circolari, la produzione industriale non può essere resa "circolare" proprio perché si basa su convertitori di energia. Questi convertitori non hanno nulla a che fare con la natura [*13]. Sono legati al particolare telos della produzione capitalistico-industriale: catturare l'energia per produrre su scale sempre più grandi. L'entropia è quindi la nozione che spiega un limite incontrato dal capitale nella frammentazione funzionale e nella successiva ricombinazione degli elementi frammentati della produzione industriale, così come nella messa in funzione di tutto ciò che esiste. Solo il capitalismo industriale – basato sui convertitori di energia – implica per definizione un bisogno illimitato di energia, e una visione energetica del mondo. Spetta a una teoria critica dare conto di ciò, rifiutando di naturalizzare il concetto di energia, i processi energetici e, di conseguenza, la produzione industriale e lo sviluppo tecno-scientifico che da esso dipendono. La combustione del legno, che ha dominato quasi tutta la storia umana prima del capitalismo, non è qui un'obiezione: quei gruppi umani possono aver avuto bisogno di grandi quantità di legno, ma non hanno basato il loro rapporto sociale su una produzione espansa che richiedeva innumerevoli processi ad alta intensità energetica. L'attività muscolare - essa stessa subordinata a credenze e valori che la trascendevano - imponeva un limite assoluto all'espansione energetica, e ostacolava qualsiasi autonomia della categoria energetica. Quegli esseri umani avevano altri scopi sociali, oltre a ottenere energia! Dire che bruciando legna, consumando cibo o applicando la loro forza muscolare, stavano "consumando energia" non ha più senso che dire che stavano "lavorando". La critica del valore può incorporare nel suo corpus teorico la critica dell'energia, solo se vuole sviluppare un'analisi adeguata del degrado entropico del pianeta Terra, il quale potrebbe distruggere ogni prospettiva di emancipazione. Il pianeta spazzatura, il riscaldamento globale, la distruzione della biodiversità, sono fenomeni entropici generati dalla produzione capitalistica industriale, la quale si basa interamente sull'astrazione "energia" in quanto contropartita materiale dell'astrazione-valore. Tutta la produzione industriale richiede la nozione di energia come astrazione adeguata ai processi di commensurabilità di ogni lavoro fisico, compresi, come abbiamo detto, quelli del cervello umano e della sua replica artificiale. Va da sé, contrariamente a tutta un'ideologia post-operaista e neoliberale, che il settore terziario non è più "immateriale" di quanto lo siano i settori primari o secondari. Per quanto riguarda la distruzione quantificata dell'ambiente, essa suggerisce che si tratta di un impatto negativo che potrebbe essere controllato. Tuttavia, questa distruzione non è di natura tale da poter essere controllata in una società industriale, dal momento che essa è consustanziale alla società del lavoro e al suo corollario, la categoria astratta dell'energia. Una società industriale post-capitalista è quindi una contraddizione in termini. Le "leggi della natura", e la "natura umana" (di cui nessuna antropologia è in grado di dare una definizione definitiva) non hanno nulla a che fare con questi fenomeni. Ci si arrende alla moderna metafisica dell'energia - tanto più perché ci si ostina a descrivere l'energia come se fosse una quantità fisica concreta e senza tempo, o a descrivere il dispendio di energia come una realtà antropologica e trans-storica, proprio allo stesso modo in cui alcuni parlano di merci, di lavoro, di denaro o di economia per descrivere le società non capitaliste. Finché la produzione industriale continuerà, l'energia sarà considerata come una quantità positiva da razionalizzare e risparmiare, trascinando l'umanità in una strozzatura termodinamica attribuibile solo ai rapporti di produzione capitalistici-industriali e in nessun modo a una presunta natura umana. Anche se l'umanità odierna fosse irreversibilmente feticizzata da queste categorie e quindi condannata alla sua rovina, ciò non costituirebbe in alcun modo la prova della naturalezza di questo destino.

- Sandrine Aumercier, 8 gennaio 2025 - Pubblicato su GRUNDRISSE. Psychanalyse et capitalisme -

NOTE:

[1] Karl Marx, Il Capitale, Libro I.

[2] Kornelia Hafner, Gebrauchswertfetichismus, in Diether Behrens (a cura di), Gesellschaft und Erkenntnis. Zur materialistischen Erkenntnis- und Ökonomiekritik, Friburgo, ca ira, 1993.

[3] Vedi Theodor W. Adorno, "Soggetto e oggetto", in Modèles critiques, Parigi, Payot, 1984.

[4] Come mostra brillantemente Daniela Russ in "Produktivistische Ökologie: Der Energiebegriff der klassischen Moderne und seine Implikationen für eine kritische Soziologie", Berliner Journal für Soziologie, 2023.

[5] Jacques Lacan, Il seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione, Parigi, Éditions de la Martinière, 2014, p. 92.

[6] Pacal Engel, Richard Rorty, À quoi bon la vérité?, Paris, Grasset, 2005, p. 59.

[7] Alcune suggestioni tra le altre: Henri Poincaré, La science et l'hypothèse, Paris, Flammarion, 2014 [1902]; Richard Feynman, in The Feynman Lectures on Physics, vol. I: Mainly Mechanics, Radiation, and Heat (New York: Basic Books, 2011 [1964], p. 33; Cara New Daggett, La nascita dell'energia, Londra, Duke University Press, 2019; Werner Kutschmann, "Die Kategorie der Arbeit in Physik und Ökonomie", in Leviathan, Sonderheft 11, 1990, tradotto in francese sul sito Grundrisse; François Vatin, Le travail. Économie et physique 1780-1830, Parigi, PUF, 1993; Anaël Marrec, "Incroci di vedute con Alain Gras e Charles-François Mathis: approcci sistemici nella storia dell'energia", Cahiers François Viète, III/12, 2022.

[8] Karl Marx, Il Capitale, Libro I, op. cit., p. 199.

[9] Si vedano, ad esempio, le parole inequivocabili di Robert Kurz in "Der Unwert des Unwissens", Exit! 5; v. anche The Substance of Capital, Parigi, L'échappée, 2019 [2004-2005], in particolare il capitolo 3. Si veda in particolare p. 55: "Il lavoro astratto è quindi un certo stato dell'identità formale feticistica moderna, ma si riferisce a una quantità energetica di forza-lavoro effettivamente spesa, in altre parole a un contenuto materiale e quantificabile [...]".

[10] Si veda, ad esempio, la confutazione di Michael Heinrich contro questa lettura naturalistica di Marx in "Der Unwert des Unwissens", op. cit. Si veda anche il rimprovero di naturalismo energetico rivolto a Kurz da Norbert Trenkle, "Socialità non sociale. La contraddizione tra l'individuo e la società come questione centrale di una teoria sociale critica", Jaggernaut 3, Crisis & Critique, autunno 2020, e la mia critica in The Energy Wall of Capital, Albi, Crisis & Critique, 2022.

[11] Robert Kurz, Geld ohne Wert, Berlino, Horlemann, 2012, p. 192-193.

[12] Alfred Sohn-Rethel, La pensée-marchandise, éditions du Croquant, Broissieux, 2010, p. 119.

[13] Anaël Marrec, "Incroci di vedute con Alain Gras e Charles-François Mathis: approcci sistemici nella storia dell'energia", op. cit. Parlando degli ingegneri che hanno una "visione piuttosto dogmatica dell'energia che proiettano nel passato", Alain Gras aggiunge giustamente: "Il sistema energetico come lo conosciamo oggi ha una particolarità, ovvero che si basa su convertitori. E questo è ciò che determina la nozione di sistema nel nostro paese. Le interazioni e le interconnessioni tra le diverse tecnologie sono legate alla capacità di mobilitare energia. Quindi tutti i sistemi nel nostro paese sono sistemi energetici.»