mercoledì 22 gennaio 2025

l’anacronismo capitalistico…

 

Tesi su fascismo e nazismo in Jacques Camatte: critica dell'anacronismo fascista e della sinistra
- di "Comunismo Gotico" -

Il pensiero di Jacques Camatte - in testi come "La rivoluzione comunista: tesi di lavoro" e "La mistificazione democratica" - ci offre una profonda visione critica del fascismo, del nazismo e del loro rapporto con il consolidamento del capitalismo nella sua fase di dominio reale. Questa riflessione si dispiega non solo per mezzo dell'analisi storica dei regimi fascisti, ma anche attraverso quella che è la sua critica al riformismo rivoluzionario e alla sinistra contemporanea, la quale assai spesso non riesce a cogliere le dinamiche del capitale.

1. Il fascismo come consolidamento del capitale
Camatte descrive il fascismo e il nazismo in quanto momenti storici di transizione verso il dominio reale del capitale: il fascismo non fu un mero incidente politico, ma piuttosto un movimento che, pur presentandosi come anticapitalista, finì per essere funzionale alla riproduzione del sistema capitalistico. Con il pretesto di essere dei movimenti "anti-sistema", il fascismo e il nazismo hanno eliminato tanto elementi di destra quanto di sinistra, imponendosi in quanto forze che hanno consolidato il capitalismo per mezzo di una "rivoluzione conservatrice", la quale ha cercato di preservare e riorganizzare le gerarchie sociali ed economiche. Il fascismo, fu anche un fenomeno culturale che recuperò elementi del Romanticismo insieme a una critica del progresso industriale, che in Germania era già stata sviluppata da movimenti come il Wandervogel,  o in altri precedenti discorsi ecologisti. Camatte sottolinea il modo in cui queste correnti, sebbene apparentemente contrarie al capitale, finirono per esserne assorbite. Tale aspetto culturale, che spesso si perde nelle analisi più economicistiche, rivela il modo in cui il capitale abbia la capacità di appropriarsi anche di quei movimenti che vengono presentati come contrari alla sua logica.

2. La mistificazione democratica e il fallimento della sinistra
La critica di Camatte alla democrazia, è fondamentale per capire in che modo il fascismo sia emerso come una risposta "anti-sistema" che ha beneficiato delle contraddizioni democratiche. Camatte, spiega che la democrazia, in quanto forma di organizzazione borghese, dissimula l'alienazione fondamentale dell'essere umano sotto il capitale. Questa mistificazione porta le classi subalterne a confondere l'emancipazione politica con l'emancipazione sociale, creando così un terreno fertile per il fascismo, che riesce a sfruttare le frustrazioni collettive e a reindirizzarle verso forme di mobilitazione autoritaria. La sinistra contemporanea - nella sua difesa acritica della democrazia - ripete tale errore. Camatte, critica il modo in cui molte correnti di sinistra non riescano a capire il fatto che il capitale non si riproduca solo attraverso le istituzioni democratiche, ma che esso usi anche la democrazia, come feticcio per nascondere il suo dominio strutturale. Così facendo, la sinistra finisce per rafforzare quelle stesse logiche che essa cerca di combattere. Inoltre, Camatte sottolinea come il feticismo della democrazia si manifesti anche in quei movimenti che cercano di utilizzare il parlamentarismo, o la partecipazione istituzionale, come se fossero strumenti di cambiamento. Tutto questo, ben lungi dall'indebolire il capitale, rafforza invece la sua egemonia perpetuando l'alienazione del proletariato rispetto a quella che è la sua capacità rivoluzionaria.

3. Elon Musk e l'anacronismo fascista
Nel contesto contemporaneo, figure come Elon Musk evocano un ritorno simbolico agli elementi del fascismo. Il suo omaggio alle ideologie autoritarie, o la sua retorica del cosiddetto "genio individuale" e della "conquista tecnologica" si trovano inscritti in un immaginario che celebra le gerarchie e la leadership messianica, ricordando i grandi leader fascisti. Tuttavia, un simile anacronismo non va inteso come se si trattasse di un ritorno letterale al fascismo del XX secolo; ma bensì va visto come un aggiornamento ideologico che mantiene la sua funzionalità all'interno delle strutture del capitale contemporaneo. La critica di Camatte al fascismo e al nazismo diventa rilevante proprio al fine di analizzare questo fenomeno. Musk non rappresenta una rottura con il sistema capitalista; al contrario, ne incarna la sua continuità in delle forme nuove. L'esaltazione dell'individuo, in quanto salvatore tecnologico, è compatibile con le logiche di valorizzazione e di accumulazione del capitale. La sua narrazione si basa sulla promessa di un futuro tecnologico che, come il classico discorso fascista, sposta le tensioni sociali verso un orizzonte di progresso astratto.

4. La necessità di una rottura radicale
Per Camatte, il problema non riguarda solo la continuazione del fascismo come ideologia, ma consiste nell'incapacità, da parte del movimento proletario, di superare le forme democratiche, le quali perpetuano il dominio capitalistico. Nelle sue tesi, egli propone una rottura radicale con il quadro concettuale che consente al capitale di continuare a riprodursi. Ciò implica non solo una critica del fascismo e della sua funzionalità storica, ma anche della sinistra che rimane intrappolata nelle forme politiche tradizionali. È da questa rottura che deve partire, e va attuata, una profonda comprensione delle dinamiche del capitale; comprensione che non può essere ridotta a quella relativa a un mero rapporto di sfruttamento economico. Camatte, insiste sul fatto che il capitale si manifesta sotto forma di una relazione totale,  la quale comprende tutte le sfere della vita umana, comprese le forme culturali, politiche e sociali. Pertanto, bisogna che qualsiasi tentativo di superare tale relazione debba andare ben oltre le strutture superficiali, e mirare a una trasformazione globale.

5. Verso una nuova prospettiva rivoluzionaria
In ultima analisi, il pensiero di Camatte ci invita a riflettere su come costruire una prospettiva rivoluzionaria, la quale non ripeta però gli errori del passato. Ciò richiede l'abbandono della mistificazione delle istituzioni democratiche e del progresso tecnologico, viste come soluzioni alle contraddizioni del capitale. Quella che egli propone invece è una nuova concezione della comunità umana, basata su una relazione non mediata dal valore, o dalle strutture alienanti del capitale. Questa comunità, che Camatte chiama Gemeinwesen, implica un ritorno a delle forme di organizzazione sociale che rifiutino quelle dicotomie tra individuo e società, tra interno ed esterno, che sono state fondamentali per la riproduzione del capitale. La Gemeinwesen non è un ideale utopico, bensì una possibilità che emerge dalle contraddizioni stesse del capitale e dalla lotta per superarlo. L'analisi che Jacques Cammatte fa, del fascismo e del nazismo, così come la sua critica della democrazia e della sinistra contemporanea, rimane uno strumento essenziale che ci consente di comprendere le trasformazioni del capitalismo. In un mondo in cui l'anacronismo fascista emerge sotto forma di figure come Elon Musk, diventa fondamentale riprendere la critica camattiana per riuscire a identificare il modo in cui queste ideologie funzionano in quanto estensioni del capitale. Solo una rottura radicale con le strutture democratiche e capitalistiche, può aprire la strada a una vera emancipazione umana. Ciò richiede non solo una rigorosa analisi teorica, ma anche la capacità di immaginare e costruire alternative che trascendono le attuali logiche del sistema.

- fonte: Comunismo Gotico -

martedì 21 gennaio 2025

Intanto in Germania, nella Terra dei Colpevoli …

La consegna delle chiavi
- come il centro democratico della Germania in crisi apre la strada al fascismo -
Tomasz Konicz [***]

La disinvoltura e la scioltezza con cui si sta verificando la fascistizzazione della Germania nella campagna elettorale del 2025 può davvero far venire le vertigini. Sta avvenendo tutto in rapida successione, ed è quasi impossibile prendere fiato o fare una pausa di riflessione. Erich Kästner ha paragonato la dinamica fascista prima del passaggio di potere nel 1933 a una palla di neve, che con il passare del tempo degenera in una valanga che poi difficilmente potrà essere fermata. Oggi la Germania si trova coinvolta in una valanga bruna di questo genere. Le manifestazioni antifasciste su larga scala dell'anno scorso [*1], promosse come risposta alle espulsioni incostituzionali nei quartieri dell'AfD, sono rimaste senza effetto. Nessuna procedura di messa al bando contro l'AfD è all'orizzonte, mentre invece l'AfD ha potuto apertamente includere nel suo programma elettorale [*2] le deportazioni di massa sotto il nome di "Remigration". A partire dalla legislatura del 2019, sembra che abbastanza realisticamente ci possa essere, come prevede anche l'AfD nei suoi documenti strategici un regime decisamente fascista.
("Im Land der Täter") Nella Terra dei Colpevoli,  i loro eredi politici si stanno preparando a "prendere il potere", di nuovo. Ma in realtà questo non è un fattore decisivo. Del resto, sono proprio le forze del centro democratico a consentire una transizione senza attriti e senza sforzo verso la gestione fascista della crisi. Il grembo da cui è nato è ancora fertile, ma questa volta non sembrano esserci nemmeno le doglie del parto. Da un lato, ci sono i partiti della destra democratica, come la conservatrice CDU e l'economicamente liberale FDP, i quali da tempo sono impegnati in una competizione fascistoide per superare l'AfD. Ma anche gli altri partiti, come la SPD, i Verdi e il Partito della Sinistra, hanno da tempo capitolato all'egemonia della destra, e di conseguenza hanno riadattato la propria retorica. La ridicola figura del leader della FDP, Christian Lindner - che scrive lettere d'amore libertarie di destra a Elon Musk [*3], per poi ritrovarsi estromesso dalle luci della ribalta, dall'AfD [*4] - è solo un sintomo di questa tendenza generale al fascismo da parte del centro neoliberale, che alla fine ne resta divorato. La CDU sta ampliando la richiesta fascista di deportazioni di massa di persone con un background migratorio, includendo la richiesta di revoca della cittadinanza ai cittadini con doppia cittadinanza che hanno commesso reati penali [*5] L'irrigidimento costante del regime di internamento per i rifugiati, che sotto la pressione dell'AfD viene perseguito da tutti i partiti, è ora arrivato allo slogan “letto, pane e sapone[*6] . La responsabilità penale a partire dall'età di 12 anni [*7] , il lavoro forzato per i disoccupati (già introdotto congiuntamente dalla CDU e dall'AfD a Schwerin)[*8] , i tentativi pubblici di riabilitare le SS, [*9]  eccetera; quando i tabù della civiltà vengono infranti quotidianamente, dopo che la società tedesca è stata completamente travolta dalla valanga fascista, niente fa più scandalo. L'AfD ha potuto ottenere la sua vittoria ideologica finale in seguito all'attentato islamista di Solingen nell'autunno del 2024 [*10] , allorché il Presidente federale Steinmeier ha dichiarato che i rifugiati, e non l'estremismo, sono il nemico pubblico numero uno. Nel fare ciò, il Grüßaugust supremo della Repubblica Federale di Germania ha semplicemente seguito la logica fascista, attraverso la personificazione delle cause della crisi; e questo nell'anno in cui i crimini dell'estremismo di destra hanno raggiunto un nuovo massimo storico, il quale era già molto sopra il livello dei crimini islamisti (a parte il fatto che l'islamismo non è altro che una forma di ideologia fascista della crisi specifica della sfera culturale islamica [*11] , la quale si scatena in tempi di crisi con meccanismi simili: estremismo di centro, mania identitaria, crisi di competizione). Lo slogan "Fuori i rifugiati!" è ora dottrina dello Stato tedesco. Tutto questo risponde a una logica interna alla crisi capitalistica. Al centro del processo di crisi globale, la macchina dello sfruttamento capitalista è sempre più in affanno, anche nella RFT, e pertanto all'interno delle sue élite funzionali si sta ora organizzando un passaggio di consegne quasi senza problemi, alla fine del quale si cambia la modalità di gestione della crisi. Questa volta, il fascismo sbiadito in quanto forma terroristica di crisi del dominio capitalista viene accompagnato da una trasformazione opportunistica dell'intero sistema politico, che cerca di adattarsi ad esso attraverso l'autoritarismo, la produzione di risentimento e il populismo. Il “passaggio di consegne” fascista, per restare alla metafora, sta avvenendo anche all'interno dei partiti democratici.

In che modo la democrazia divora i suoi figli
Sconvolge la borghesia liberale e i patrioti costituzionali che credono nella democrazia, il fatto che la transizione dalla gestione democratica a quella autoritario-fascista della crisi sia così fluida. E questo vale non solo per la Repubblica federale di Germania, ma soprattutto per gli Stati Uniti. Il teorico della crisi, Robert Kurz, aveva descritto questo sviluppo, già all'inizio del millennio, nel suo saggio "La democrazia divora i suoi figli. Osservazioni sul nuovo radicalismo di destra" [*12], le cui previsioni erano corrette. La democrazia capitalista si basa sulla concorrenza generale del mercato, attraverso la quale il processo feticistico di un'illimitata valorizzazione del capitale viene infine perfezionato. Tutto il discorso democratico, vale a dire, la "competizione tra partiti democratici", ruota principalmente intorno all'economia, ossia, all'ottimizzazione della valorizzazione del capitale. L'assurda costituzione orwelliana della democrazia capitalista si basa proprio sul fatto che gli occupanti del tapis roulant capitalista perfezionano sotto la propria direzione lo sfruttamento e l'asservimento alle premesse del processo di valorizzazione del capitale. Ma non appena il sistema comincia a vacillare a causa dell'intensificarsi delle contraddizioni interne ed esterne del processo di valorizzazione, non appena scompaiono le gratificazioni materiali derivanti dalla sua sottomissione delle parti sostanziali delle classi medie, ecco che, quasi naturalmente, cominciano i corrispondenti sforzi – fuori dalla logica interna del discorso democratico – volti a spingere la logica della valorizzazione fino al più barbaro estremo. L'accresciuta sottomissione ai vincoli pratici legati alla crisi del capitale, viene poi accompagnata dall'esclusione e infine dall'estinzione dei concorrenti, o delle fasce economicamente superflue della popolazione; che ora vengono ideologizzate in modo da personificare il processo di crisi. In questo processo, nel mirino di queste permanenti campagne diffamatorie di destra ci sono due gruppi di popolazione: oltre ai rifugiati e alle persone con un background migratorio, sono soprattutto i disoccupati e le fasce emarginate della popolazione ad essere di nuovo – come è avvenuto all'inizio del 21° secolo, quando sono state applicate le famigerate leggi sul lavoro Hartz IV [*13] – costruite in quanto immagini dei nemici. L'inasprimento e l'aumento della repressione praticata nei confronti dei rifugiati, soprattutto durante la campagna diffamatoria alla fine del 2023 [*14], ora devono essere applicati anche contro gli emarginati "locali". Potenzialmente, però, a essere nel mirino, saranno tutti i gruppi economicamente "superflui". La rinnovata dinamizzazione del fascismo nella Repubblica Federale, i confini ormai quasi fluidi tra il centro e gli "estremisti" [*15], possono quindi essere comprese solo in relazione alla recente crisi in atto nella Repubblica Federale Tedesca: il fascismo è soprattutto un'ideologia della crisi. La Germania è in una crisi economica, che è esacerbata a partire dal suo modello economico incentrato sulle esportazioni [*16]. L'ondata di crisi innescata dalla pandemia ha poi scosso la globalizzazione su cui si basavano i campionati mondiali di esportazione della Germania. L'inflazione ostinata, emersa dal 2020, in poi ha significato che le banche centrali hanno dovuto porre fine alla loro politica monetaria espansiva, la quale per decenni era stata alla base dell'economia neoliberista della bolla finanziaria e dei corrispondenti cicli di deficit globale. Il sistema mondiale è entrato così nell'era della crisi della stagflazione [*17]. Con le strozzature dell'approvvigionamento e il sovraccarico delle catene di produzione globalizzate, le tendenze al protezionismo e alla deglobalizzazione sono pertanto finalmente riuscite a prevalere durante la pandemia, con gli Stati Uniti al centro, sempre più concentrati sull'integrazione verticale [*18], sul  Nearshoring [*19] e sulla reindustrializzazione. La guerra in Ucraina ha rappresentato un altro shock dirompente per il processo di globalizzazione [*20].

L'ideologia tedesca in crisi
Il modello economico tedesco, che dall'introduzione dell'euro e dall'attuazione dell'Hartz IV mirava a raggiungere eccedenze di esportazione – cioè l'esportazione di debito, disoccupazione e deindustrializzazione – ha però esaurito la sua forza. La crisi della globalizzazione, alla quale la Deutschland AG si è adattata, costituisce lo sfondo effettivo dell'accelerazione della crisi economica nella Repubblica Federale. Con l'industria delle esportazioni, tuttavia, anche quelle forze all'interno delle élite funzionali tedesche che si opponevano al rafforzamento dell'estrema destra per i propri interessi economici, oggi si trovano ancora più sulla difensiva [*21]. In tale contesto, finisce per essere anche particolarmente devastante la vittoria elettorale di Trump, in quanto essa elimina in gran parte la pressione esterna a combattere le tendenze fasciste nella Repubblica Federale. Finora l'ideologia dell'AfD è stata in conflitto con gli interessi dell'industria dell'export, la quale ha sempre dovuto fare attenzione alla buona reputazione internazionale del Made in Germany – danneggiato nel 2018 dagli orchi nazisti di Chemnitz, pompati e pieni di metanfetamine durante le loro rivolte, simili a pogrom, contro i migranti [*22]. Dopo la crisi dell'industria tedesca delle esportazioni, e la continua miseria economica, tutto questo è in gran parte giunto al termine: mentre il neoliberismo predicava la benedizione dei mercati aperti, tutti gli attori rilevanti si stanno attualmente superando a vicenda nel richiedere la chiusura delle frontiere, insieme a isolamento e restrizioni all'immigrazione, dopo che l'economia delle esportazioni a lungo termine è collassata. Appare ovvio che qui – con l'urgenza dell'isolamento, dell'etnia, della nazionalizzazione, ecc. – vediamo semplicemente il riflesso ideologico dello sconvolgimento verificatosi nello sviluppo globale della crisi [*23], la quale ora dà una spinta al prefascismo tedesco. Vista da lontano, l'intera faccenda sembra decisamente ridicola. Per anni, la Germania ha beneficiato della globalizzazione a causa di enormi surplus commerciali in quanto parte della sua politica del "beggar-thy-neighbor"[impoverisci il tuo vicino], con l'esportazione di debito e di disoccupazione [*24] Le contraddizioni della crisi del capitale sono state semplicemente esportate, mentre la corporazione degli economisti tedeschi è stata oltraggiata dalle montagne di debiti all'estero che le eccedenze commerciali tedesche inevitabilmente producono. Ora che queste eccedenze di esportazioni e gli squilibri commerciali globali hanno portato con sé le corrispondenti ricadute protezionistiche, anche per l'ex campione del mondo delle eccedenze di esportazioni, la crisi sta tornando; mentre la sensazione di essere stati traditi si sta diffondendo tra le classi medie in una crisi, le cui cause a loro volta si trovano al di fuori delle prestazioni tedesche, e ora anche fuori della comunità nazionale. La Germania ha sofferto, ha stretto la cinghia, ha patito la fame, per adattarsi perfettamente alla corsa al successo della globalizzazione neoliberista – e ora soffrirà duramente nella grande svolta verso la deglobalizzazione.L'odio della destra verso le personificazioni ideologiche delle dinamiche di crisi in rapido aumento innescate da questo cambiamento di paradigma si concentra sui rifugiati, sulle persone con un background migratorio, sui disoccupati e sulle persone socialmente svantaggiate, come da consolidata tradizione. Nel contesto dell'estremismo fascista di centro che si manifesta in tempi di crisi, la competizione sociale darwinista, nazionalista e talvolta semplicemente razzista nella crisi, coincide ora in larga misura con la realtà della crisi tardo-capitalistica. Mentre l'intero discorso liberale, secondo cui la Germania ha bisogno di molti immigrati, con il progredire della crisi economica sta sempre più scomparendo dalla sfera pubblica. Quasi tutte le forze dello spettro politico della RFT hanno ormai seguito la linea dell'AfD in modo da allucinare il fenomeno migratorio e i rifugiati come un male fondamentale della malata Deutschland AG - il che significa che la crisi sistemica del capitalismo e il ruolo della Repubblica Federale nel suo sviluppo possono essere convenientemente ignorati. Questo vale anche per i Verdi, il cui candidato cancelliere vuole apertamente deportare i rifugiati disoccupati [*25]. E vale anche per il cosiddetto Partito della Sinistra, che sta cercando di copiare il populismo di Wagenknecht - che era il mero accompagnamento ideologico alla formazione del fronte trasversale - in tutta serietà opportunistica sotto forma di demagogia sociale [*26] Sulla questione dei rifugiati, l'uniformità all'interno dell'intero spettro politico sembra ora aver assunto un sapore addirittura totalitario. Non c'è quasi più nulla che possa fermare il cammino dell'AfD verso il potere, ora che l'effetto civilizzante dei grandi surplus commerciali sulla politica interna tedesca si sta sempre più esaurendo. Ma anche l'agitazione contro quello che sarebbe il secondo grande nemico, dopo lo scoppio della crisi economica – contro i disoccupati – non sarà più in grado di contribuire alla formazione di una politica economica sostenibile: l'abolizione provvisoria e tiepida del lavoro forzato nella Repubblica Federale, che è stata attuata dalla cosiddetta coalizione semaforo di SPD, Verdi e FDP, ora, sotto la pressione della destra dovrà essere abolita di nuovo. Infatti se la CDU, la SPD, la FDP, l'AfD o il BSW dovessero fare la loro parte, le leggi sul lavoro Hartz IV verrebbero reintrodotte nel 2025.

Il soggetto in crisi 
Il riflesso della crisi, promosso dalla destra in una serie di campagne denigratorie contro gli emarginati sociali - dalla FDP alla CDU all'AfD - consiste in una ripresa dei metodi sadici di disciplinamento e di abbassamento dei costi della merce lavoro, attuati all'inizio del XXI secolo nell'ambito del programma Hartz IV e dell'Agenda 2010 [*27]. La fascistizzazione della Repubblica Federale sta infatti facendo ritorno al suo luogo d'origine, ma su un gradino più alto della scala, perché la destra tedesca avverte istintivamente che questo programma di assoggettamento ha rappresentato l'inizio della sua ascesa politica. Si tratta infatti di un riflesso autoritario che sta riaffiorando in ampi strati della popolazione di fronte alla crisi economica, come avvenne circa un quarto di secolo fa. Già nel 2010 lo psicologo sociale Oliver Decker aveva riassunto questa economizzazione delle ideologie autoritarie e di destra, alimentata dall'Agenda 2010, come segue [*28]: «La costante attenzione agli obiettivi economici - o più precisamente: la richiesta di sottomissione alle loro premesse - rafforza un ciclo autoritario. Porta a un'identificazione con l'economia, per cui le richieste di rinuncia a favore di quest'ultima portano al tipo di aggressione autoritaria che si scatena contro le persone più deboli». Maggiore è la pressione esercitata sul salariato autoritario, maggiore è il suo bisogno di vedere le persone più deboli spremute e sfruttate come lo è lui stesso. Questo “ciclo autoritario” forma anche quel pantano che, in interazione con le ondate di crisi del XXI secolo, prepara la strada al fascismo tedesco. Il nesso causale tra l'impoverimento e l'esclusione dei disoccupati, e il peggioramento delle loro condizioni di lavoro, viene ignorato e lascia il posto a riflessi irrazionali di odio e di sadismo, che preparano il terreno per le ideologie neofasciste della crisi. All'inizio del XXI secolo, la neoliberista “politica della rinuncia” - vale a dire, la sottomissione alle premesse del processo di valorizzazione - ha promosso l'aggressione autoritaria contro le vittime della crisi, sulla quale si basano anche le ideologie populiste ed estremiste di destra. L'ideologia neoliberale dell'asservimento, che spesso strumentalizza un concetto vuoto di libertà, ha costituito il terreno di coltura per le ideologie della crisi di destra. I concetti di estremismo centrista e ribellione conformista sono quindi indispensabili per comprendere il successo della Nuova Destra e del neo-nazionalismo in quanto eredi del neoliberismo. È proprio qui che, di fronte all'aggravarsi della crisi del 2025, la destra vuole tornare. E questo programma di sottomissione costerà loro qualcosa - l'inasprimento del “reddito di cittadinanza” già deciso alla fine del 2024 non porterà a risparmi, ma a costi aggiuntivi per centinaia di milioni [*29]. Parlare di abusi di massa da parte dei disoccupati è solo una chimera ideologica. Il capitalismo, come culto della morte rivitalizzato dal feticismo del capitale [*30] , come religione secolare [*31] che richiede il sacrificio umano, entra qui pienamente in scena. Attraverso la sofferenza, attraverso il sacrificio - preferibilmente dei membri più deboli e indifesi della società - la Germania deve riconquistare il favore del Capitale nel suo slancio contraddittorio, nella sua condizione di soggetto automatico che devasta l'umanità e il mondo dal punto di vista sociale ed ecologico, e nella sua smisurata coazione allo sfruttamento. Lavori forzati, fame, abolizione del congedo malattia retribuito, campi di lavoro, riduzione dei costi salariali: si può risentire tutto il vecchio programma, lo stesso discorso che si basava sull' insistenza contro i disoccupati pigri al momento dell'attuazione della Hartz IV. E non si tratta solo dei partiti di destra, ma anche in questo caso abbiamo a che fare con un'uniformità quasi totalitaria. Ancora una volta, tutta la faccenda ha un tocco di ridicolo, ad esempio quando i politici dell'SPD usano esattamente le medesime frasi per scagliarsi contro i disoccupati, come facevano i loro predecessori all'inizio di questo millennio. «Non c'è nessun diritto di essere pigri», la frase incendiaria usata dall'allora Cancelliere Gerhard Schröder [*32], è stata ripetuta anche dal leader dell'SPD Lars Klingbeil nell'autunno del 2024 [*33]. Naturalmente, l'SPD è anche in grado di immaginare di sostenere la riduzione totale dei sussidi per i cittadini e la reintroduzione del lavoro forzato, come richiesto dalla CDU.

Nuova disfunzionalità tedesca
Il problema interno del capitalismo con questo ricorso riflessivo al sadismo del lavoro è solo che - da una prospettiva puramente economica - ora è disfunzionale. In Germania, Hartz IV e Agenda 2010 hanno avuto successo. perché hanno abbassato il prezzo medio del lavoro durante la fase ascendente della globalizzazione, riducendo così il costo unitario del lavoro nella Repubblica Federale. Nell'era della globalizzazione, ciò ha permesso la vera e propria esplosione dei surplus commerciali tedeschi all'inizio del XXI secolo, soprattutto con l'introduzione dell'euro. Tuttavia, questa via d'uscita dalla crisi, in cui le economie si rifugiano in una politica di “beggar-thy-neighbour” [impoverisci il tuo vicino], è bloccata di fronte al crescente protezionismo e alla deglobalizzazione della "Deutschland AG". Queste misure non faranno altro che aggravare la crisi sociale, senza che tuttavia ci sia alcun “ritorno” sotto forma di boom delle esportazioni. Né i mercati di vendita extraeuropei né i Paesi dell'eurozona - che stanno soffrendo per mano del principale sadico dell'austerità tedesca, Wolfgang Schäuble - potranno nuovamente permettere eccedenze commerciali tedesche così estreme. Tuttavia, ciò che sicuramente verrà ottenuto con questa sadica ripetizione del sistema Hartz IV, è l'instaurazione definitiva del lavoro forzato nella RFT, grazie al quale un'ulteriore caratteristica della gestione fascista della crisi potrà trovare spazio nella crisi sistemica che si sta manifestando. Come già spiegato più volte, questa dinamica fascista, che si sta trasformando in una valanga, trae la sua apparente inevitabilità dal fatto che nasce in modo del tutto naturale a partire dall'ideologia tardo-neoliberista prevalente [*34], e dall'identità nazionale tardo-capitalistica [*35] . Ignorando l'irreversibile crisi sociale ed ecologica, per cui il capitale deve fallire perché ne è esso stesso la causa, l'ideologia e la pratica del prefascismo tedesco appaiono quasi inevitabili; sembrano inoltre rispondere agli interessi dei salariati, i quali possono così sperare che al loro posto verranno colpiti gli Altri - gli emarginati, gli stranieri, i rifugiati, le minoranze, gli anziani, gli incapaci di lavorare, i gay, i transessuali, ecc.. Le mostruose menzogne, puramente suicide, su cui si basa questo estremismo fascista di centro diventano visibili solo attraverso una riflessione radicale sul processo di crisi, il quale è necessario che vada sempre di pari passo con la fuga dalla prigione del pensiero ideologico e identitario del tardo capitalismo. Deportazioni, repressioni, chiusura delle frontiere e formazioni statali autoritarie non supereranno la crisi del capitale, né nella sua dimensione economica né in quella ecologica [*36] . La crisi non proviene dall'esterno, ma è fatta in casa. Il livello di produttività globale, la crisi climatica - non possono essere semplicemente chiusi fuori o espulsi alle frontiere. Anche il calcolo su cui si basa la mania isolazionista europea e americana, secondo cui il sarebbe, per primo, il Sud globale a diventare inabitabile nella crisi climatica, ragion per cui, nel mentre, noi del Nord dovremo quindi isolarci da subito, alla luce delle molte incognite della prossima catastrofe climatica appare del tutto illusorio. Un collasso della Corrente del Golfo, che potrebbe verificarsi nel giro di pochi anni, colpirebbe in modo particolarmente duro proprio l'Europa e l'America nord-orientale -  le regioni in cui la destra ha avuto un successo particolare nel divulgare il proprio potenziale isolazionismo assassino di massa [*37]. Se esistesse ancora una sinistra in grado di agire da forza progressista, secondo quella che è la propria concezione, affronterebbe attivamente questa semplice e ovvia verità e ne farebbe la base di una pratica di trasformazione emancipatrice: Ogni speranza di mantenere il processo di civilizzazione, può essere sostenuta solo a condizione che il capitale, il quale è in agonia, venga superato [*38]. Ecco il punto archimedeo che consentirebbe una mobilitazione antifascista di successo, basata sulla realtà della crisi. Solo così si potrebbe combattere efficacemente e con successo il culto fascista della morte. Nella crisi permanente del tardo capitalismo, l'unico interesse che può essere formulato in maniera razionale, è l'interesse per una rapida trasformazione del sistema.

- Tomasz Konicz, Pubblicato il 18/1/2025 su Tomasz Konicz.Wertkritik, Krise, Antifa -

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1 https://www.konicz.info/2024/01/31/ein-letztes-mal-antifa/

2 https://www.t-online.de/nachrichten/deutschland/innenpolitik/id_100571646/afd-parteitag-in-riesa-alice-weidel-laesst-die-maske-fallen.html

3 https://nachrichten.ag/deutschland/lindner-verteidigt-musk-deutschland-braucht-mut-wie-milei/

4 https://www.tagesschau.de/inland/bundestagswahl/parteien/weidel-musk-100.html

5 https://www.focus.de/politik/deutschland/pass-weg-fuer-kriminelle-cdu-legt-nach-laesst-aber-entscheidende-fragen-offen_2de31ee3-ca90-435a-9f8d-ead567469fdc.html

6 https://www.zdf.de/nachrichten/politik/deutschland/merz-asylpolitik-migration-cdu-csu-wahlprogramm-100.html

7 https://www.n-tv.de/ticker/CDU-fordert-schaerferes-Jugendstrafrecht-article25055763.html

8 https://www.focus.de/politik/deutschland/nach-thueringer-vorbild-schwerin-verhaengt-arbeitspflicht-fuer-buergergeld-empfaenger_id_260607674.html

9 https://www.morgenpost.de/politik/article242439534/Nach-Krah-Aussagen-AfD-Politiker-normalisiert-SS-Verbrechen.html

10 https://www.tagesschau.de/inland/gesellschaft/anschlag-solingen-104.html

11 https://www.konicz.info/2021/08/17/von-gruenen-und-braunen-faschisten-2/

12 https://exit-online.org/textanz1.php?tabelle=autoren&index=29&posnr=49

13 https://www.konicz.info/2013/03/15/happy-birthday-schweinesystem/

14 https://www.kontextwochenzeitung.de/debatte/667/die-extreme-mitte-9310.html

15 https://www.konicz.info/2022/10/27/radikalitaet-vs-extremismus/

16 https://www.konicz.info/2024/01/25/leerlauf-der-exportdampfwalze/

17 https://www.konicz.info/2021/11/16/zurueck-zur-stagflation/

18 https://www.konicz.info/2024/01/09/vertikal-gewinnt/

19 https://www.konicz.info/2023/11/20/neue-kapitalistische-naehe-2-0/

20 https://www.konicz.info/2022/05/24/eine-neue-krisenqualitaet/

21 https://www.konicz.info/2023/12/26/konjunktur-fuer-faschismus/

22 https://www.saechsische.de/kultur/5-jahre-nach-den-ausschreitungen-neonazi-achse-chemnitz-dortmund-ist-eine-einbahnstrasse-YBFWXIHAFEKUJYZXU3RS2674SY.html

23 https://www.konicz.info/2022/05/24/eine-neue-krisenqualitaet/

24 https://www.konicz.info/2012/12/21/der-exportuberschussweltmeister/

25 https://www.msn.com/de-de/nachrichten/politik/robert-habeck-macht-klare-ansage-an-syrer-ohne-arbeit/ar-AA1x1UyM

26 https://www.konicz.info/2022/11/07/rockin-like-its-1917/

27 https://www.konicz.info/2013/03/15/happy-birthday-schweinesystem/

28 https://www.welt.de/politik/deutschland/article10442527/Wirtschafts-Fixierung-schuert-autoritaere-Aggression.html

29 https://www.welt.de/wirtschaft/plus254289756/Buergergeld-351-Millionen-Euro-fuer-Zusatz-Termine-der-heikle-Preis-der-neuen-Haerte.html?utm_source=pocket_reader

30 https://www.konicz.info/2022/10/02/die-subjektlose-herrschaft-des-kapitals-2/

31 https://www.konicz.info/2014/01/07/die-prophezeiung/

32 https://www.manager-magazin.de/unternehmen/artikel/a-126811.html

33 https://web.de/magazine/politik/spd-chef-buergergeld-ansage-recht-faulheit-40110276

34 https://www.kontextwochenzeitung.de/politik/376/neo-aus-liberal-wird-national-5145.html

35 https://konicz.substack.com/p/europa-im-identitaetswahn

36 https://www.konicz.info/2022/01/14/die-klimakrise-und-die-aeusseren-grenzen-des-kapitals/

37 https://www.konicz.info/2024/02/23/von-oekonomischen-und-oekologischen-sachzwaengen/

38 https://www.konicz.info/2022/10/12/emanzipation-in-der-krise/

lunedì 20 gennaio 2025

«Quando avrà inizio, e quando finirà il nostro giorno?»

Un Nomos degli apolidi
- di Noah Brehmer -

La resistenza palestinese usurperà per sempre l'immagine offerta dai colonizzatori come di un popolo palestinese esiliato, mutilato, brutalizzato e non morto. Ogni volta che il muro di una prigione viene sfondato, sulla scena politica viene improvvisamente registrata una nuova forma di vita: «cogliere l'attimo e da lì spaziare senza limiti». Per quanto temporanei siano questi fotogrammi, e per quanto spettacolare sia la portata della catastrofe che si abbatte sui territori per cancellarli, rimarranno sempre valide tutte le potenzialità a partire da una relazione con la terra che vada al di là di quelle che ci vengono offerte dalle leggi, dai territori e dagli Stati-nazione dell'ordine politico moderno. La giustizia palestinese, «è troppo seria per essere lasciata agli Stati», come decenni fa ebbe a osservare Mustapha Khyati [*1]. Ecco che così una volta ancora la questione palestinese ci chiede di valutare se i limiti del diritto e della governance territoriale possano davvero essere degli strumenti di liberazione. In quanto siamo stati già informati, per oltre un secolo, che esistono delle alternative – ossia, il fondamento giuridico liberale della cittadinanza e dei diritti umani – ecco che vediamo come queste forme proposte non superino mai completamente le zone di esclusione. Esclusioni - come ha notato una volta C.L.R. James - che sono irrevocabilmente fondate su una "dottrina razziale": la convinzione che «la razza nazionale, il ceppo nazionale, il sangue nazionale è superiore a tutte le altre razze nazionali, ceppi nazionali e sangue nazionale» [*2]. Come osservò in modo acre e ironico persino il nazista Karl Schmidt: «In principio c'era il recinto». L'arrivo della pace, come episodio costitutivo della statualità, poggia su recinti spaziali ed è per questo che «non è stata l'abolizione della guerra, quanto piuttosto il suo contenimento, a costituire il grande problema centrale di ogni ordinamento giuridico» [*3] . In sostanza, la legalità è esclusiva: essa persiste solo nella misura in cui uno Stato può mantenere la sua posizione di “supremo proprietario della terra”. Lo Stato, che si pone come misura di giustizia per l'interesse generale, si basa quindi sempre su una legge dell'apparenza, che nasconde i suoi fondamenti nell'ambito di uno nomos: quel dominio territoriale nel quale «si incontrano lo spazio e il diritto, l'ordine e l'orientamento» [*4]. Se da un lato non possiamo ignorare la questione di quale strada debba prendere la giustizia palestinese - e lo Stato-nazione è certamente presente in questi dibattiti - dall'altro possiamo di certo trovare nei modi di vita del popolo palestinese un movimento contro il nomos della forma-Stato: originare, includere, possedere. Come ha recentemente notato Abdaljawad Omar, l'insorgenza palestinese viene organizzata attraverso la «decisione non sovrana, la resistenza emerge come uno sforzo per deformare la condizione coloniale, un compito che è anche '”senza forma“ e che cerca di abbattere la condizione coloniale nel mondo, avviando un processo di decomposizione» [*5].  Attraverso un dialogo con la nozione di negritudine della tradizione radicale nera, si può comprendere, in generale, come la modernità abbia reso degli squatter permanenti tutti coloro che si trovano al di fuori del recinto etno-suprematista [*6]. È a partire da questa posizione di squatter che possiamo capire in che modo la rivendicazione palestinese della propria esistenza possa essere considerata come un atto sedizioso di tradimento contro lo Stato di diritto. E come osserverà William C. Anderson, se: «L'Apolidia è assai più che una mancanza di cittadinanza: ti rende un essere inesistente, un'ombra. E allora perché non abbracciare quell'oscurità in cui ci troviamo, l'oscurità che siamo, e organizzarci attraverso di essa e con essa? Usare le condizioni che lo Stato ci ha imposto per orientare le nostre azioni più radicali, anziché chiedere allo Stato di cambiare, dato che ormai dovremmo sapere che non lo farà di certo. Lo Stato non fa per noi. Questo genere di lavoro, l'arrangiarsi e il costruire partendo esclusivamente da dove siamo, è sempre stata un'abilità dei neri, ma il mondo che ci circonda ci chiede di farlo con intenzioni ancora più rivoluzionarie» [*7]. Ancora una volta, il movimento palestinese ha aperto radicalmente alla possibilità di pensare a questa apolidia come se essa fosse qualcosa di più che una politica di desiderio, o una mancanza negativa. La trascendentale mancanza di casa degli apolidi - i quali sono sì rifiutati, ma rifiutano anche di rivendicare la statualità come base dell'essere - appartiene al nomos degli apolidi.

Naturalmente, la questione palestinese è questione ebraica, e in più di un senso. Qui, sosterrò che la giustizia palestinese può essere messa in un dialogo generativo con la traiettoria storica della giustizia ebraica. Concettualizzata rispetto al telos dello Stato-nazione, la si può ora ritrovare nell'eredità dell'insurrezione palestinese vista come un momento decisivo della liberazione dell'ebraismo rispetto alla rappresentazione dell'onnipotente concezione israeliana dell'“ebreo”: un soggetto pre-discorsivo, a-storico, ontologicamente radicato nei popoli esiliati del regno di Giudea; e resuscitato grazie all'assistenza degli Stati-nazione della modernità e delle loro tecniche avanzate di governance, securizzazione e desiderio totalizzante di controllare e ripulire il territorio dall'altro non europeo. La distruzione delle mura della cosiddetta ontologia ebraica contemporanea, da parte della tradizione rivoluzionaria palestinese, ha incoraggiato nuove possibilità di appartenenza, quale la "Yidishkeyt": il mondo dell'essere ebreo esiliato [*8]. Nel suo nucleo, al pari di altre forme di vita esiliate, anche la Yidishkeyt, se è un'ontologia, è esistenzialmente precaria: un dominio contestato di significato che - rispetto ai dogmatismi morali impliciti in un ritorno all'essere autentico - antepone l'etica dell'esistenza. Come ha ben detto Edward Said, nell'appartenenza diasporica si abita e si dà inizio, mentre nell'appartenenza ontopolitica si dà origine e ci si rinchiude [*9]. Basandosi sulla distinzione di Said, Adam Hajyahia ha giustamente notato che il movimento palestinese del ritorno, in contrasto con il discorso sionista,  «evita la purezza» e «rifiuta la totalità». Non si tratta, come afferma Hajyahia, di: «un desiderio negativo di qualcosa che manca [...] ma di un principio redentore che persegue l'abolizione delle condizioni che rendono l'esilio la sola possibilità rimasta.» [*10]. Come si porrebbe, il nomos palestinese, in dialogo con una durée trans-storica dell'apolidia? Che cosa comporterebbe promuovere una politica dell'esilio: una politica organizzata intorno alla nostra co-appartenenza agli Stati e al capitale? Cosa avrebbero da condividere, i movimenti storici e contemporanei dei popoli esiliati, con il nomos palestinese di oggi? Per rispondere a tutte queste domande, ci sono molti percorsi cui rivolgersi. Per me, in quanto persona ebrea - da tempo estranea all'appartenenza ebraica a causa del paradigma sionista - il mio percorso, come quello di molti miei compagni, è consistito nella ricerca delle tradizioni antisioniste ed esilianti del mio popolo, attraverso organizzazioni come il Jewish Labor Bund: un importante movimento antisionista fondato a Vilnius, dove vivo. Gran parte di questa ricerca si è svolta in un archivio di Vilnius chiamato Judaica Research Centre, dove ho potuto accedere a documenti storici dei primi due decenni del movimento bundista. È in questo periodo che si è verificata la più intensa collaborazione con altri movimenti comunisti socialisti e anti-autoritari della regione. Quali sono allora questi contributi e qual è la loro importanza per i nostri movimenti di oggi?

Il Bund, contribuì alla questione irrisolta dell'autonomia dei movimenti anticapitalisti, sollevando criticamente questa questione attraverso il principio dell'autodeterminazione nazionale. Il Bund ha trovato nell'ebraismo non solo un'identità che si riproduce nella repressione, ma anche un'esperienza vissuta, e una conoscenza sociale della rivolta e della sopravvivenza. Poiché il Bund ha co-fondato il Russian Social Democratic Labor Party , la questione dell'autonomia delle minoranze in un movimento che cospirava per abolire lo Stato e tutte le disuguaglianze di genere, razziali, religiose e nazionali, solo un anno dopo la sua fondazione, è diventata un dibattito strategico essenziale. Citando il Manifesto del Partito Comunista in un congresso bundista del 1902, Martov, cofondatore sia del Bund che del RSDLP, affermò che «dovevano essere accolti come base per l'appartenenza al movimento comunista, solo gli interessi comuni del proletariato, indipendentemente da ogni "nazionalità"». Vedendo il comunismo come la liberazione dell'umanità dal nomos dello stato-nazione, Martov vedeva la liberazione come se fosse la dissoluzione dell'ebraicità nel nomos di una terra post-capitalista, dove l'essere sociale è libero dal giogo dell'identità etnica e geografica imposta territorialmente. Nonostante la sua eventuale rottura con il RSDLP, e da lì con i bolscevichi, su questa questione dell'autonomia all'interno del movimento comunista confederato il Bund introdusse criticamente il concetto di ciò che qui chiamerò autonomia confederata – sì, sto alludendo alla tradizione curda – vista come strategia per affrontare la questione dell'inclusione delle tradizioni radicali, e delle pratiche di sopravvivenza collettiva delle minoranze della classe operaia, nel movimento comunista apolide. Ad esempio, come è stato magnificamente illustrato nelle note del Congresso del 1911, il Bund sottolineava che la sua richiesta di riposo il sabato veniva fatta  «non per ragioni religiose o nazionali, ma per ragioni puramente economiche [sociali]». Una giornata al riparo dal lavoro, è un bene sia per la classe operaia ebraica che per la classe operaia in generale. In quanto organizzazione anticlericale, il Bund ha preso dall'ebraicità solo ciò che ha contribuito all'emancipazione universale, lasciando stare tutti quegli aspetti che considerava essere solo un mero risultato dell'interiorizzazione collettiva traumatica della repressione, come ad esempio l'identità. La politica di autonomia confederata del Bund, venne ulteriormente enfatizzata nel suo anti-territorialismo. Il Bund era ferocemente critico, tanto nei confronti dei partiti socialisti regionali che centralizzavano lo Stato come apparato organizzativo della classe, sia del movimento socialista sionista, il quale sosteneva che il percorso dell'emancipazione di classe ebraica, sarebbe stato raggiunto solo in quanto maggioranza etnica di uno Stato-nazione. Questa opinione si è formata in stretto dialogo -  come ho letto dai documenti storici - con i primi protagonisti del nazionalsocialismo. L'autonomia bundista articolava una relazione con l'“abitare” che non conferiva il possesso, l'origine o l'inglobamento. La politica abitativa del Bund sarebbe stata concettualizzata attraverso il principio di “hereness”. Nel "Doikeyt" si enfatizzava radicalmente l'importanza dell'appartenenza al luogo in cui ci si trova; un'apertura di sé stessi alle storie di quel luogo; una solidarietà con quanti condividono un legame, una condizione, nelle lotte di esistenza nel qui e ora. In questo senso, il qui dell'hereness taglia il tempo storico lineare dell'impero e afferma l'adesso come un dominio di rottura, di emergenza e di antagonismo. Il cambiamento non può aspettare: cominciamo dove siamo, con chi siamo. Tuttavia, come mi ha scritto di recente un compagno palestinese, mentre gli ebrei si dissociano dall'entità genocida e recuperano le loro radici esiliate, diviene fondamentale farlo alla luce dello sforzo di porre fine al genocidio dei palestinesi e di altri popoli esiliati. Così, proprio come il nostro movimento di solidarietà sarà favorito dal rendere intercambiabili le nostre rispettive strategie e tradizioni di apolidia, dobbiamo a nostra volta rendere intercambiabili anche le nostre storie di oppressione.  Come prosegue il compagno, «riconoscere i palestinesi come vittime e sopravvissuti dell'Olocausto e il popolo ebraico, soprattutto quello ucciso dai nazisti, quello che non si è mai identificato e ha resistito attivamente al sionismo, come una delle moltitudini di vittime in corso della Nakba». Cominciamo ad assumerci ora questi compiti, notando la profonda risonanza trans-storica tra il doikeyt e il concetto palestinese di sumud. Sumud, come il doikeyt, suggerisce una pratica ribelle relativa all'abitare, contro le architetture di cancellazione messe in atto dagli oppressori. Come formula Shivangi Mariam, il sumud è una «spazialità dell'attesa, laddove la geografia che è stata resa inaccessibile ai palestinesi viene immaginata di nuovo, e rivissuta nel tempo, dove vengono costruite le infrastrutture generative della vita quotidiana. Qui ogni assenza si carica di presenza spettrale, come un tempo più lungo di questo tempo, un tempo fantasma che supera e fa esplodere le frontiere degli orologi dei colonizzatori» [11]. Come una politica che offra una forma di appartenenza senza uno Stato ma in un “luogo”, la doikeyt può essere considerata una strategia contemporanea per rafforzare la nostra solidarietà e i nostri legami di co-appartenenza con il sumud della resistenza palestinese e con altri popoli apolidi odierni.

Il 29 ottobre 1957, un movimento di senzatetto, forte di 35.000 persone, preparò la prima espropriazione di massa di terra nella periferia di Santiago del Cile. Chiamando il loro territorio autonomo La Viktoria, gli abitanti fecero della loro abitazione criminalizzata della terra un punto di riferimento per una fondazione fondamentalmente diversa della politica: sui diritti sociali e sulla proprietà. Come osserva splendidamente Marcello Tari, «ad abitare un territorio [deappropriato] non sono mai gli individui, ma i soggetti potenziali; a poter abitare un luogo non è una popolazione, ma delle forme di vita; a portare avanti la lotta non è un soggetto, ma una forza anonima». In breve, il nomos degli apolidi non è tanto una forma, quanto piuttosto un sistema di atti di smantellamento. Più che di un atto di riappropriazione o di counter-enclosure, si tratta di un commoning, di un de-enclosing; cosa che è allo stesso tempo il divenire di un nuovo orientamento alla terra come nostra in comune. Facendo appello alla memoria della Comune di Parigi, non si tratta tanto di decretare o di proclamare l'abolizione dello Stato e del capitale, quanto piuttosto di abbandonarsi al movimento reale della loro negazione [*12]. La tradizione esiliata intercomunitaria, della quale fanno parte gli antisionisti ebrei e la resistenza palestinese, ci insegna che la politica inizia nel momento in cui viene attaccata la separazione che si impone tra lo Stato e la società civile: nel momento in cui il “politico” viene reclamato da quel territorio che un tempo governava. Quando i fondamenti della politica si emancipano dalla problematica del dominio territoriale e tornano alla domanda di fondo: «Quando avrà inizio, e quando finirà il nostro giorno?». "Se distruggendo tutte le mappe conosciute / si cancellassero tutti i confini / dalla faccia di questa terra / direi di / fare un falò / per reclamare e cantare / la persona umana" - KEORAPETSE KGOSITSILE -

Questo saggio è dedicato alla memoria di Marina Vishmidt. Marina mi è sempre stata vicina come lettrice critica, mentore e co-cospiratrice nella mia pratica di scrittura e organizzazione politica. Sebbene questo saggio sia stato scritto dopo la sua scomparsa, le sue premesse sono state sviluppate grazie alla sua gentile guida di compagna ebrea e comunista anti-Stato. Va anche detto che il saggio è nato da una conferenza che ho tenuto alla Fiera anarchica del libro di Riga nel maggio 2024: sono grato agli organizzatori per avermi offerto uno spazio per iniziare a elaborare questi pensieri. Infine, i “pensieri” stessi - va notato - fanno parte di una costellazione più ampia di ricerche portate avanti da compagni palestinesi, ebrei e altri che hanno raccolto la vocazione dell'esilio. Nei loro modi diversi, si chiamano da Dabartis, Obecno, Tämänhetkisyys, Doikat o Sumud: un diffusore di forme autonome. https://dabartis.com/

Noah Brehmer - postato su  Blind Field, il 31/12/2024

NOTE:

[1] Mustapha Khyati, "Due guerre locali", Internazionale Situazionista, 1967.

[2] C.L.R. James, Marinai, rinnegati e naufraghi, 1953. 10-11.

[3] Carl Schmidt, Nomos della Terra (1950), Telos Press, 2006. 74.

[4] Piuttosto che liquidare la filosofia di Schmidt come un'aberrazione nazista di un progetto politico modernista europeo altrimenti rispettabile, dovremmo guardare a Schmidt come a una vera e propria luce sull'essenza della modernità europea e della sua crisi.

[5] Abdaljawad Omar, "Forme sanguinanti: oltre l'Intifada", Critical Times (2024) 7 (2): 304–317.

[6] Come formulato da Saidiya Hartman in Looting, a cura di Andreas Petrossiants e Jose Rosales, Diversity of Aesthetics, 2023.

[7] Wiliam C. Anderson, La nazione su nessuna mappa: anarchismo nero e abolizione, AK Press, 2021, 91.

[8] Eppure, come ha ben osservato Abdaljawad Omar durante il suo discorso alla BICAR di quest'anno, una tale rottura dell'onnipotenza ebraica, come un ritorno della fragilità ebraica, è essa stessa operazionalizzata dallo stato israeliano come un meccanismo chiave per giustificare la violenza sovrana contro i perpetratori. La rottura dell'ontologia ebraica deve quindi essere qualcosa di più di una pratica di diventare fragili, di diventare vittime, ma di diventare esili, un diventare apolidi.

[9] Edward Said, Inizi: intenzione e metodo. Regno Unito, Granta Books, 2012.

[10] Adam Hajyahia, "Il principio del ritorno della Palestina: le rotture represse del tempo sionista", Palestine Issue, Parapraxis Magazine, 2024.

[11] Shivangi Mariam Raj, "Dietro le quinte", in Undocumented International, numero. 51, Il funambolo.

[12] Kristin Ross, Lusso comune: l'immaginario politico della Comune di Parigi, Verso, 2015, 79.

domenica 19 gennaio 2025

Miracoli Letterari…

Blowing Rock, Nord Carolina, 1951. Blackburn Gant, la cui esistenza è stata segnata fin da piccolo dalla poliomielite, sembra condannato a trascorrere una vita tra i morti come unico custode del piccolo cimitero. Il lavoro si addice alla sua personalità introversa e lo turba meno del contatto con i vivi. Ma quando il suo migliore e unico amico, Jacob Hampton, è inviato a combattere in Corea, questi gli affida la giovane moglie incinta Naomi. Anche lei è un’emarginata: povera e senza un’istruzione, lavorava come cameriera prima di incontrare Jacob. I due si erano innamorati perdutamente e si erano sposati contro il volere dei ricchi genitori di lui, provocando uno scandalo nella comunità. Isolati e respinti da tutti e spaventati dalla possibilità che Jacob non faccia più ritorno, Blackburn e Naomi si fanno forza a vicenda finché un tremendo inganno sconvolgerà le loro vite. Ma nessun segreto può essere custodito per sempre. Appassionante e intenso, Il custode è un romanzo sui legami d’amicizia, sulle contraddizioni della famiglia e su cosa significhi davvero amare.

(dal risvolto di copertina di: Ron Rash, "Il custode". Traduzione di Tommaso Pincio. La Nuova Frontiera, pagg.256, €19)

Il ragazzo del cimitero accanto
- Jacob è un guardiano di tombe nel North Carolina degli anni Cinquanta. Il destino gli affida la moglie del suo migliore amico. E un segreto -
di Gabriele Romagnoli

Che cosa custodisce veramente Blackburn, l’addetto al cimitero di una cittadina del North Carolina? Le tombe? Un segreto? La propria rabbia? Un uomo giovane e robusto, ma segnato dalla poliomielite contratta da bambino che l’ha reso, come dicono dalle sue parti, “un afflitto”: un volto difficile da guardare per i segni rimasti. Se il comandamento di una società solidale è «non lasciare indietro nessuno», questo custode è la prova di una trasgressione di massa. A tenerlo lontano sono i suoi coetanei, i suoi concittadini, persino la sua famiglia, che si trasferisce in Florida soddisfatta di avergli trovato, tramite una raccomandazione, quel lavoro. Non sarà sorprendente che Blackburn si trovi più a suo agio con i morti, che con i vivi. Con due eccezioni. La prima è Jacob, l'unico ragazzino che non abbia mai manifestato né provato  repulsione per il suo aspetto, anzi lo abbia scelto per amico, siglando con lui un autentico patto di sangue. La seconda è Naomi, la giovane donna, appena diciassettenne, di cui Jacob si innamorerà, sposandola contro il volere dei genitori benestanti. A suo modo anche Naomi è un'afflitta. è illetterata, orfana di madre, figlia di un umile coltivatore del Tennessee. Straniera e sospetta per la comunità in cui fa irruzione per un lavoro stagionale e a cui porta via il predestinato. Comunità è una parola tanto bella quanto sopravvalutata, il suo valore dipende dal verso in cui cade la medaglia. Per chi non ne fa parte è spesso quello sbagliato.

Siamo all'inizio degli anni Cinquanta. Gli Stati Uniti non paghi della Seconda guerra mondiale, mandano i loro figli a combattere in Corea. Jacob è tra questi. Parte mentre la moglie aspetta il loro primo bambino. Nella sequenza che apre il romanzo ingaggia un duello mortale con un nemico su un fiume ghiacciato. Lo uccide e, per un miracolo letterario, sopravvive. Noemi, affidata a custode, percependo l'ostilità della famiglia acquisita e di tutta la cittadina, si fa portare oltre il confine dello Stato, a casa del padre. I due sono separati dagli eventi, dalla storia e dallo spazio. Quando giunge un telegramma che annuncia: «Jacob è ferito, in ospedale, ma è vivo e tornerà», i suoi genitori ordiscono un piano complesso quanto ingenuo. Fanno credere alla nuora lontana che lui sia invece morto, e a lui che a morire sia stata lei, con la bambina che portava in grembo, per un aborto fatale. Al custode tocca seppellire i non morti e accogliere i non vivi. All'insaputa l'uno dell'altro, Jacob e Naomi cercano, senza riuscirci di riprendere il filo delle loro esistenze, di compiacere chi dice di amarli, di trovare un senso e una luce che mancano.  È una situazione classica che nasce nella tragedia greca e arriva fino alla telenovela passando per Shakespeare, un melò tinto di nero e popolato da sopravvissuti. A renderla originale è la figura di un deus ex machina inedito, il più umile dell'Olimpo, il guardiano di un cimitero e di molte altre cose.  Blackburn è la mano del destino. Perché dalle dita ha scambiato il sangue con Jacob quando erano ragazzi: perché poi le ha posate, quelle dita, lui solo, sul grembo di Naomi per sentire i primi movimenti della nuova vita. Riluttante perfino per il ruolo di anti-eroe, Blackburn vede la storia addensarsi alla sua finestra come un temporale e si prepara a uscire allo scoperto. Portandolo in un riparo, o invece offrendosi agli elementi?

Ron Rash è un costruttore di dilemmi morali . Li affonda in un tempo trascorso perché è convinto che il passato arrivi fino a noi e in uno spazio altrettanto remoto giacché pensa che ogni luogo sia, in potenza, universale. Certo, gli anni '50 e i villaggi della profonda America aiutano a tenere in piedi una trama che Internet risolverebbe in mezzo secondo. Non è questo il punto cruciale a cui vuole giungere. Il punto è mettere il personaggio di fronte alla scelta e alla responsabilità che ne deriva. Fargli balenare l'offerta della felicità non come una tangente, ma come un meritato riscatto e stare a vedere se accetta o rifiuta. Nel momento decisivo del romanzo il custode del cimitero diventa il custode della verità, ma la verità di per sé non salva, non tutti almeno. È invece uno strumento come altri: bisogna saperla maneggiare. Ed è a questo punto che si rivela la decisiva incarnazione di Blackburn come custode della morale, del gesto che affonda le proprie origini nella memoria, perché non si smette di amare chi non c'è più, né di onorare ciò che non ricambia. Come spesso nei romanzi di Rash una tempesta, la discesa dell'oscurità, un imprevisto evento naturale fanno da detonatore al destino, che è già contenuto nelle cose, nel paesaggio e nell'uomo. Bisogna soltanto sapersi guardare dentro, dove custodiamo la verità su noi stessi e il viatico alla nostra salvezza.

- Gabriele Romagnoli - Pubblicato su Robinson del  28/4/2024 -

sabato 18 gennaio 2025

L’identità di Re Mida

Zero-Identità (estratti di traduzione non pubblicati)
- di Robert Kurz -

Ma, nella socializzazione capitalista, da dove proviene tutta questa follia bovina di un'essenziale “identità” di tipo nazionale, regionale, culturale, politico, sessuale e/o di altro tipo? Se alla problematica del legame sociale, nel corso del processo di modernizzazione, è stata data la falsa etichetta di “identità”, allora non può che trattarsi della sovra-compensazione di quella che è una nuova e ulteriore carenza. Il cambiamento avvenuto nella forma del vincolo comune storico e culturale, ha evidentemente avuto come conseguenza che esso, senza perdere il suo carattere coercitivo, abbia incominciato a perdere la sua funzione “protettiva”; ed é stato proprio per questo motivo che, a causa dell'angoscia causata da un simile cambiamento, abbia dovuto immediatamente essere assolutizzato in quanto “identità”. Pertanto, la questione della cosiddetta “identità” rimane legata alla perdita dell'evidenza, e arriva fino al carattere sociale forzato (ma non abolito).  [...]  Una simile vita, fatta di continui soprusi e infiniti oltraggi che, oltretutto, non si verificano nemmeno nell'ambito di un affidabile sistema di riferimenti ai quali potremmo abituarci; una siffatta vita genera invece, a quanto pare, lo strano desiderio di avere una “identità” fissa. [...] Non si tratta, peraltro, di un cambiamento dell'individuo in sé stesso, che proviene dall'interno, nato dal processo diretto uomo-natura, e costituito da un'esperienza autonoma che potrebbe persino rendere piacevole il cambiamento d'identità. Al contrario, si tratta, per ciascuno individuo, di un cambiamento imposto e non mediato, un cambiamento cieco che segue le leggi feticistiche del capitale. Ecco da dove deriva, da un lato, la strana reciprocità tra il cambiamento istituzionalizzato e la rottura permanente dell'identità, e dall'altro un'ideologia della “identità” che si manifesta come una ricerca di fissità all'interno del processo infinitamente sfrenato del folle e demente feticcio sociale. [...]   Ma ovviamente modernizzazione significa anche una crescente perdita di significato. La struttura che qui si scatena, e che si trasforma in un uragano permanente è, a coronamento di tutto, priva di contenuto, il vuoto totale; il nirvana del denaro per la precisione, ma non come nirvana finalmente e definitivamente placato, bensì, al contrario, come un nirvana che, inutilmente e senza tregua, attraversa e travolge il mondo. Non solo il denaro non ha né senso né fine, se non quello della sua valorizzazione come capitale, ma rappresenta soprattutto questo paradosso di una forma senza contenuto. Eviscerato fino all'ultimo residuo percepibile, di ogni metallo prezioso, che era già di per sé un contenuto in decomposizione, il denaro capitalizzato diventa il nulla tangibile, la dura apparenza, lo zero impegnato in un processo inquietante.  [...]  Ora, sotto questa forma, il loro contenuto diventa vacuo e si trasforma in un'infinita aleatorietà che non permette più di cogliere il minimo senso. Pertanto, non si tratta affatto della semplice istituzionalizzazione del cambiamento in quanto tale - cambiamento esteriore, cieco e imposto - ma di qualcosa di ben più grave: si tratta di un cambiamento perpetuo che, storicamente, sprigiona e libera sempre più assenza di contenuto, di insignificanza, di assurdità e di un'aleatoria assoluta casualità, nella misura in cui impone a tutte le cose e a tutte le relazioni la forma-merce, consegnandole così all'assurdo processo di auto-valorizzazione del denaro. Nella forma del denaro capitalizzato, quello che si spalanca è un vorace buco nero che, a velocità sempre più crescente, inghiotte la materia, la sensibilità, il mondo e la realtà. Il mondo viene desensibilizzato, dis-estetizzato (ci basta guardare fuori dalla finestra) e la natura distrutta. Nella modernizzazione in quanto crisi in processo, gli esseri umani si dibattono, presi nella tenaglia del duplice attacco del cambiamento alienato e della crescente assenza di qualsiasi contenuto; e di conseguenza si aggrava simultaneamente anche il problema dell'identità prodotta proprio da questa stessa struttura. Infatti, sebbene in ultima analisi anche un cambiamento di identità imposto potrebbe essere persino sopportato, se esso avesse un significato in termini di contenuto, la progressione verso una totale assenza di contenuto è invece insopportabile. Questa condizione di nonsenso in processo, ovvero risultante dal processo in modo sempre nuovo e peggiorato, corrisponde anche, con l'aumentare della durata di tale processo, allo status interiore degli individui e dei soggetti stessi: il loro adattamento a questa struttura del processo li rende soggetti integrali del denaro. In altre parole, ora la loro identità consiste nel non averne. Si sono trasformati in soggetti svuotati e privi di contenuto: pronti e in grado, persino obbligati, di assorbire tutto e il contrario di tutto, ma sempre nell'unica forma di quella che è ormai la loro personale particolarità aleatoria, in quanto assimilazione - a partire dalla loro posizione zero - del «duro niente»: oramai separati per sempre dal contenuto sensibile e dal suo godimento (dei veri e propri Mida).  È in questo modo che - in maniera al tempo stesso perversa e paradossale - viene ottenuta l'identità assoluta, nella quale l'impossibilità logica è diventata una realtà; ma di certo conquistata al prezzo di un'identità-zero assoluto. La natura insopportabile di questa forma-soggetto genera, con ancora più tanta forza, il desiderio di un'identità soddisfatta, significante e significativa, che sfugga alla forma demente e perpetua del cambiamento, o che ne rimanga indipendente; ma dal momento che la propria identità-zero in quanto soggetto del denaro non può essere messa in discussione, d'ora in avanti non si potrà parlare altro che di pseudo-identità: sintetiche, in sé e a priori non vere, dolorosamente coccolate e poi comunque fatte evaporare dall'irrequieto nirvana del denaro, dalla stessa identità-zero.

- Robert Kurz - fonte @Palim Psao

Più Sinistra, e meno Malinconia !!

"The Benjamin Files", di Fredric Jameson
- di Bruna Della Torre -

«Forse, se vogliamo imparare a leggere correttamente Benjamin, e a trarre nuova energia dalle sue profezie – per quanto "vagamente messianiche" esse possano essere state – dobbiamo ancora una volta cominciare a distinguere le forze comuniste e fasciste che sono in atto sotto la superficie della politica mondiale, e riarticolare in maniera autocosciente una lotta nella quale lui aveva qualcosa da dire». ( Fredric Jameson, da "The Benjamin Files") -

Era questo, il libro che mancava. Hegel, Marx, Sartre, Adorno e Brecht avevano già il loro posto di rilievo nel lungo scaffale fitto di libri di Fredric Jameson, dedicati al problema che guida tutta la sua opera: il rapporto tra marxismo e forma, titolo di un altro grande libro che ha dato origine alle "Modernist Papers", "The Antinomies of Realism", e al più recente "Allegory and Ideology", tra gli innumerevoli altri. Il nome di Lukács rimane ancora assente, ma forse è proprio questo l'autore che percorre tutti gli altri libri. Ma perché Jameson ha impiegato così tanto tempo prima di arrivare a dedicare un intero libro all'opera di Benjamin? Egli ci fornisce alcuni indizi: all'inizio del testo, ci dice, usando la nomenclatura di Roland Barthes, che «l'opera di Benjamin è troppo "leggibile" perché ci si possa rendere conto che essa è incomprensibile». Ma anche Hegel è difficile, Marx non è facile, Sartre è tortuoso, Brecht è esigente e Adorno è un incubo anche per coloro che lo amano. E poi, quando guardiamo alla produzione intellettuale di Jameson, è ovvio che la difficoltà degli autori non è mai stata un ostacolo alle sue analisi. Il titolo ci dà un'altra indicazione. Allude a qualcosa di assemblato, che è stato conservato negli anni e aggiunto all'ultimo minuto, come se tutto fosse come una raccolta di schede, di fascicoli, di appunti che Jameson ci consegna nelle nostre mani. Ma a differenza dei "Modernist Papers", i quali in realtà sono una raccolta di articoli, il libro su Benjamin mira proprio a rendere esplicita l'impossibilità di scrivere un libro su questo autore, la cui forza risiede proprio nella sua protesta contro la sistematizzazione filosofica. Jameson, nel libro difende tutta una serie di tesi controverse. Una di queste, è che l'opera di Benjamin non è costituita da dei libri, con l'eccezione, forse, di "Strada a senso unico": «una scatola di cioccolatini che dovrebbe arrivare con un avvertimento: sostanze che creano dipendenza!». In quel libro, Benjamin stuzzica il lettore - dice il critico - ponendolo in attesa di un'opera che non arriva e che è costruita come una sorta di eisensteiniano "montaggio di attrazioni". Come Lacan, con i suoi "Seminari", e Gramsci, con i suoi "Quaderni del carcere", anche l'opera di Benjamin non consisterà in libri, ma in "esperimenti": corrispondenza, lavoro di recensore, diari, citazioni (da cui Benjamin trae un nuovo genere letterario, secondo Jameson) e il saggio. In quest'ultimo, Benjamin avrebbe trasceso Adorno e Lukács, realizzando in tal modo «un'esposizione sinfonica di toni e di livelli, un'esecuzione virtuosistica che si estende dall'esercizio dello strimpellare di un bambino, al sublime». In ogni caso, vale la pena notare come Jameson suggerisca che la crisi della filosofia borghese del XX secolo, e la crisi della narrazione di cui Benjamin ha parlato nei suoi scritti, sia stata incorporata come elemento interno del suo lavoro. Quindi, come scrivere un libro su qualcuno che ha rifiutato questa forma nel suo stesso pensiero?

The Benjamin Files, tuttavia, non è solo un commento all'opera di Benjamin e all'impossibilità di commentarla, ma è piuttosto una revisione della posizione di Jameson su di essa. Premette di essere stato uno dei responsabili dell'associazione dell'opera di Benjamin alla cosiddetta "malinconia di sinistra"; un'espressione creata dal filosofo berlinese per designare l'opera di Erich Kästner, esponente in letteratura del movimento della "Nuova Oggettività", e uno degli scrittori più popolari degli anni '20 in Germania. In seguito, questa espressione, a partire dall'omonimo libro di Enzo Traverso, viene fatta aderire una volta per tutte alla teoria critica. Jameson corregge sé stesso: caratterizzandola in tal modo, egli aveva lasciato da parte «il conversatore aggressivo, il commentatore attento e il diagnostico dello Zeitgeist, il giornalista ambizioso e lo scribacchino, l'amante e il viaggiatore del mondo». Insomma, più sinistra, e meno malinconia. Il critico ci mostra pertanto che in Benjamin c'è molto di più da esplorare, rispetto a quei passaggi logori già diventati ormai quasi slogan della sua opera; come i riferimenti all'angelo della storia e alla critica del progresso (necessari, certo, ma oggi troppo carichi di luoghi comuni). In Benjamin, c'è il marxismo al di là della teoria della lotta di classe, suggerisce Jameson. Però, questo non è un argomento di Benjamin. Il suo contributo risiederebbe altrove. In effetti, "luogo" è un buon termine, dal momento che esso è uno dei punti più originali e più interessanti della lettura di Jameson: consiste nel mostrare che nell'opera di Benjamin  esiste un forte elemento spaziale, una sorta di cartografia che si estende oltre il tema architettonico dei Passages. I testi su Berlino, Parigi, Mosca e Napoli vengono brillantemente analizzati nel libro. Queste ultime due città costituiranno due poli della sua opera: Napoli, immagine di un mondo preborghese; Mosca, come società post-borghese. Benjamin cercò dei modi per poter riuscire a superare l'individualismo capitalistico che univa le due città. In mezzo, la "Cronaca di Berlino", come mappatura che muove verso una sorta di Bildungsroman, e la Parigi di Baudelaire, immagine di una città che scompare, il cui spleen getta la sua ombra sulla Repubblica di Weimar. Se nelle mani di Baudelaire la città diventava come un libro, dice Jameson, in Benjamin si potrebbe parlare della stanza/spazio in quanto forma: la città, considerata come una stanza [riferimento all'interno borghese], la stanza trasformata in una città a sé stante. E questi spazi sono popolati dal flâneur, dal collezionista, dal giocatore d'azzardo, dalla prostituta, dal bambino, dal criminale; personaggi della fisionomia pre-romanzesca [leggi anti-psicologica] di Benjamin, sulla scia di Balzac e Dickens. Benjamin voleva diventare «il più importante critico letterario della Germania». Ciò nonostante, Jameson sostiene che nella sua opera, tuttavia, non troviamo una storiografia della forma letteraria: «nessun grande interesse per il romanzo (intervista Gide, ma si infiamma solo leggendo Adrienne Mesurat), nessuno sguardo storico sul futuro del linguaggio poetico, non c'è nemmeno una visione storica dell'evoluzione del dramma, e questo nonostante Brecht, nonostante Asja, Piscator, gli espressionisti, Ejzenštejn, Cocteau [...]». Invece, dice Jameson, Benjamin appare più interessato ai margini: alle fiabe, all'occulto (la Cabala e l'astrologia), al racconto, alle curiosità culturali come Baudelaire e Kafka (i quali, secondo lui, non facevano ancora parte del canone). Qui, così come in altri momenti dell'opera, c'è un forte dialogo con il libro di Michael Jennings, "Walter Benjamin. Una biografia critica" [Einaudi, 2015]; un contributo importante al dibattito sull'eredità di Benjamin negli ultimi anni. Jameson se la prende con Jennings, per il quale Benjamin era il più grande critico letterario del periodo. Forse sarebbe meglio riformulare: per Jameson, Benjamin è anche un grande critico letterario, per cui, però, il dibattito su forma e generi rimane una questione secondaria: l'affermazione è audace, polemica e ci indirizza alla novità del libro. La proposta di Benjamin - dice Jameson - è scandalosa: per lui, nel campo dell'arte e della letteratura, il grande criterio di valutazione non è la critica immanente, bensì la politica. Ragion per cui, per quel che riguarda il suo ruolo nel campo della critica letteraria, sarebbe un errore accostarlo ad altri critici, come Adorno e Lukács. In Benjamin, non c'è nulla, dell'arte o della letteratura, che venga visto come un rifiuto del feticismo della merce, come voleva Adorno. Nessuna teoria del romanzo o dei generi letterari, come sosteneva Lukács. Il segno della critica letteraria, artistica e culturale di Benjamin rimarrà il suo elemento antiestetico. E non solo, ma anche: più linguaggio, meno forma. L'obiettivo di Benjamin sarebbe quello di «trasporre la crisi nel cuore stesso del linguaggio». La vicinanza con il post-strutturalismo appare evidente: infatti, per quanto incredibile possa sembrare, il rapporto tra teoria critica e post-strutturalismo rimane ancora un dibattito poco esplorato, dal momento che il "tabù" del postmodernismo ha favorito la separazione radicale tra le due tradizioni. Nel suo nuovo libro Jameson ,solleva il vespaio.

Non un teorico della lotta di classe, quindi, né un sostenitore della forma e dell'autonomia dell'arte, ma piuttosto uno che pensa alle conseguenze dell'emergere della società e della politica di massa nell'ambito della cultura, dell'arte, della tecnologia, della pedagogia. Benjamin sarebbe stato pertanto un teorico della sperimentazione, senza una specifica proposta estetica: «il suo sperimentalismo si muove attraverso salti imprevedibili, dal mezzo al genere, e dalla forma e dallo stile, alla distribuzione, indeterminabili in anticipo», scrive Jameson. L'idea è quella che Benjamin volesse allenarci a una nuova sensibilità. Jameson svolge un'analisi molto interessante del ruolo di Daguerre, uno dei padri della fotografia, e di questa tecnologia nel lavoro di Benjamin. Il suo entusiasmo per l'URSS, per le nuove nozioni della produzione popolare e della scrittura operaia – basti ricordare l'ammirazione che Benjamin nutriva per Tretyakov – avrebbe portato il suo lavoro in questa direzione post-individualista, dice Jameson. L'autore che ha teorizzato la crisi della narrativa nel celebre saggio "Il narratore: considerazioni sull'opera di Nikolai Leskov" – il più perfetto di Benjamin, sostiene Jameson – disprezzava il romanzo in quanto forma borghese, gastronomica e culinaria. Contrariamente a quanto voleva Adorno, il sole brechtiano non tramontò mai sull'opera di Benjamin e continuò a illuminare di vitalità la sua esperienza intellettuale. In questo senso, l'analisi dell'importanza, avuta da Brecht e dal dramma, per l'opera di Benjamin è un altro aspetto distintivo del libro. In Germania e nei paesi che seguono il suo orientamento alla lettura (fortemente influenzati da Adorno), l'impatto di Brecht viene visto come un episodio isolato nell'opera di Benjamin (vale la pena ricordare che Adorno, quando organizzò la sua opera, cercò di limitare l'influenza del drammaturgo, separandola in un unico libro, i "Saggi su Brecht"***). Jameson va in controtendenza, e mette in evidenza il ruolo centrale che il teatro epico di Brecht ha avuto nella scrittura di Benjamin, segnato dalla scomposizione di ogni atto o evento nelle sue parti costitutive, e dalla sua successiva denominazione. Per il critico, questo è il gesto benjaminiano per eccellenza: «la rottura, il divario, la separazione». È l'erede del procedimento brechtiano di smontare scene, episodi e ricomporli in modo diverso (abbiamo qui i due momenti del "Verfremdungseffekt"). In Brecht, questi episodi autonomi hanno una loro unità, conferita da una descrizione precedente, da una canzone o dal suo stesso nome, proprio come avviene negli scritti di Benjamin; suggerisce Jameson. Questo, sottolinea il critico, richiede al lettore di essere sempre come una sorta di traduttore (in effetti, la traduzione appare anche come un altro aspetto fondamentale della sperimentazione di Benjamin). Questo assorbimento benjaminiano di Brecht fece impazzire Adorno nel momento in cui Benjamin lo informò che il metodo del suo progetto dei "Passaggi" era un "montaggio letterario": «non è necessario dire nulla, ma solo mostrare». Benjamin, come Brecht, voleva sfuggire al soggettivismo, allo psicologismo, andando nella direzione di un'estetica (e della scrittura) più oggettiva, che lo avrebbe anche allontanato da Proust. Per questo motivo, sostiene Jameson,il suo genere è  il Denkbild, non il frammento. Jameson sostiene che la concezione dell'estetica di Benjamin trascende i limiti della letteratura e del linguaggio, e va nella direzione di una nuova estetica, legata all'emergere delle masse. Questi non saranno un oggetto di studio nel suo lavoro, ma una nuova categoria, che richiede un nuovo modo di pensare. In questo senso, Jameson rilegge il saggio "L'opera d'arte nell'era della sua riproducibilità tecnica" come un testo di Ideologiekritik, che mira a neutralizzare la teoria estetica tradizionale e a dimostrare il carattere prescritto delle sue categorie. Questo sarebbe il suo oggetto centrale, più del cinema, della tecnica o del film; proprio come di solito risalta nella lettura di questo testo. Uno dei grandi temi di Benjamin, in questa chiave, sarebbe il declino: dell'aura, della narrazione, dell'artigianalità, dell'esperienza, ecc.

L'opera di Benjamin, sottolinea Jameson, è segnata dalla lotta mortale tra fascismo e comunismo, lotta che illumina tutto ciò che ha scritto. Senza empatia rispetto a questo momento, il suo lavoro non può essere compreso. Siamo ancora in grado di riconoscere entrambe queste forze nel mondo di oggi? In ogni caso, è in tal modo che Jameson guida la nostra lettura, basata sui dilemmi politici che affrontiamo oggi, manifestati, ad esempio, nelle due grandi tendenze dell'espressione culturale in epoca contemporanea: «un'immaginazione distopica che culmina nell'apocalisse, ovvero una fissazione sul tempo presente così completa da rendere il futuro inutile e inimmaginabile». "The Benjamin files" non è un libro di "commento" sull'opera di Benjamin, almeno non lo è nel senso accademico abituale. Jameson va ben oltre. A molti non piace il suo stile, segnato dalla discontinuità, dal ragionamento ermetico e dalla profusione di riferimenti letterari, filosofici, storici, ecc. Spesso sembra che aderire al suo pensiero – il suo pensée sauvage (Lévi-Strauss), e che egli attribuisce anche a Benjamin – sia come entrare in un vortice. Jameson non si legge: noi indaghiamo, scaviamo. Nei suoi libri, ci sono sentieri che ci fanno perdere, come in un labirinto. Come Benjamin (e come Brecht), non risparmia lavoro al lettore, il quale deve riflettere da sé solo sulle ragioni e sulle non ragioni del suo "montaggio". Si interessa anche di politica, di ciò che rimane lucido o delirante (mai tiepido) nella teoria critica. Per questo, non solo egli è uno dei migliori interpreti di questa tradizione, ma ne fa parte lui stesso, sempre disposto a tradire le teorie che gli fanno da guida, a violare le opere su cui si sofferma, a spingere gli autori con cui si confronta in quegli abissi che essi stessi hanno cercato di evitare. Per questo egli parla di «trarre forza» dalle profezie di Benjamin, perché, come nel caso del racconto, questa forza non si dona facilmente a noi. Ha bisogno di essere conquistata, a volte con la forza, a volte contro le stesse intenzioni dello scrittore. Questa procedura non può competere con le esigenze di facilità e trasparenza dell'era dei social network, e della traduzione automatica che sta mandando in pensione sia il lettore che il traduttore. La capacità di raccontare qualcosa di originale su Walter Benjamin oggi, e di orientare quella che fino a oggi è stata l'interpretazione della sua opera, non è un fatto secondario del libro. E la cosa grandiosa degli scritti di Jameson, consiste nel fatto che possiamo anche non essere d'accordo con le sue interpretazioni, senza che però per questo esse perdano la loro forza. A un certo punto del libro – che ha molti più elementi interessanti di quelli che ho potuto esporre qui – Jameson discute la nozione di arte avanzata di Benjamin, la quale non si arrende all'imperativo del "nuovo". Seguendo Breton e i surrealisti, per lui arte moderna significava anche cercare il potenziale rivoluzionario di ciò che è fuori moda. Nulla, oggi, è più di moda della teoria critica. Dobbiamo adempiere al compito che Jameson ci lascia in eredità, e sapere come fare a estrarre il potenziale rivoluzionario che essa ha. In modo che così sopravviva e anche noi.

Bruna Della Torre - Pubblicato su Blog da Boitempo il 24/2/2022 -

*** - Saggi su Brecht instaura un dialogo attualissimo tra due grandi menti del Novecento – due esuli, due tedeschi – presentando una ricca raccolta di scritti di Walter Benjamin, realizzati tra il 1930 e il 1939, sull'opera drammatica e poetica dell'amico e tutore Bertolt Brecht. Brecht e Benjamin si incontrarono alla fine degli anni '20 in Germania. Entrambi i marxisti, impegnati nel potenziale emancipatorio delle pratiche culturali, divergevano e concordavano su argomenti diversi come il fascismo e l'opera di Franz Kafka. Di fronte alla sovversione nazista della Repubblica di Weimar e alla degenerazione stalinista della rivoluzione in Russia, hanno lottato per mantenere vive le tradizioni della critica dialettica dell'ordine esistente e dell'intervento radicale nel mondo al fine di riformarlo.

venerdì 17 gennaio 2025

E’ un buon segno!

È un buon segno, quando un prodotto (certo, una merce! Perché? Cos'altro avete voi da offrire?!!???) crea scompiglio, e forma degli schieramenti contrapposti, la cui partecipazione a uno dei due - piuttosto che all'altro - non sembra derivare dall'appartenenza ad altre precedenti categorie! Come dire, c'è qualcosa di nuovo... E quand'è così, avviene sempre che il prodotto (la merce) di cui sopra diventa come una sorta di cartina di tornasole, a partire dalla quale potete scegliervi - come dire - la compagnia. Se vi dico Cazzullo o Travaglio, Giordano Bruno Guerri o Giampiero Mughini ... voi? Ci andreste a cena? Attenzione, perché se rispondete sì, a questo punto rischiate di dover fare a meno della mia compagnia come vostro commensale. Ecc..
È stato questo che ha finito per caratterizzare una serie TV, come "M. Il figlio del secolo" - tratto da un romanzo di Scurati, e arrivata solo al secondo episodio degli 8 che ne promette - creando due schieramenti rispetto ai quali ciascuno può misurare il proprio senso critico a 360°. Arte, cinema, politica, storia, economia, sociologia, filosofia, psicologia, e Psicoanalisi: insomma, chi più ne ha più ne metta; perché il piatto è ricco. Del resto, come ha detto Godard, anch'io «sono sempre stato convinto del fatto che un uomo e una donna che non amano gli stessi film, alla fine divorzieranno!». Così, anche qui, mentre si parla e si legge di "M", cominciamo a guardarci negli occhi con sospetto. E a partire dal sospetto di... fascismo!!
Il fascismo, lo sappiamo com'è andata la cosa, e la serie tv ce lo ricorda: senza socialismo niente fascismo!
È bastato l'interventismo nella prima guerra mondiale, in cui, nel nome del nazionalismo appena scoperto, si unirono allegramente socialisti e sindacalisti rivoluzionari, per dare le basi a quello che di lì a poco sarebbe stato il fascismo. Poi, che anche Gramsci e Togliatti siano stati interventisti, mentre invece Bordiga no, be' questa è tutta un'altra storia, ma non credo che mai nessuno ci farà sopra una serie TV, per quanto non si possa mai sapere...
Ma torniamo al fascismo e alla paura della nascente borghesia italiana che, in una simile situazione, ritenne che la cosa migliore fosse quella di affidarsi a un energumeno, un po' tanto vigliacco e opportunista, che alla direzione dell'Avanti aveva già preferito i soldi provenienti da chi si sa e di cui lo aveva rifornito Filippo Naldi. Il resto è storia. O meglio il resto è M, il figlio del secolo che ci racconta in maniera impeccabile (da Oscar) e con uno stile coinvolgente (da doppio Oscar) come sono andate le cose. Per cui guardatevelo, se volete sapere come sono andate davvero sto cazzo di cose, per quanto possano anche non essere andate esattamente in quel modo. Non importa. Sulla scena che state guardando, quello che vedete (splendidamente interpretato), è un uomo che odiava sé stesso - e di conseguenza odiava tutti - perché non era riuscito a essere quello che, da ragazzo, avrebbe tanto voluto essere. Il conto lo ha fatto pagare a tutti i suoi contemporanei, e oltre. Continuiamo a pagarlo anche noi, voi sapete come.
Se volete leggere una critica migliore di questa (ci vuol poco) e più dettagliata, allora vi consiglio quella di John Dillinger Jr..
Io, intanto mi vado a scaricare le due puntate seguenti!