lunedì 22 settembre 2025

Tutti al mare ?!!???

Gli Stati Uniti pianificano di espellere centinaia di migliaia di palestinesi da Gaza
- Il progetto di trasformare la Striscia di Gaza nella "Riviera del Medio Oriente" sta prendendo forma e sostanza all'interno dell'amministrazione Trump -
- di Jean-Pierre Filiu -

Mercoledì 27 agosto, Trump ha tenuto un importante incontro alla Casa Bianca sulla situazione e il futuro della Striscia di Gaza. Erano presenti il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, nonché il suo predecessore in questo incarico, Jared Kushner (anch'egli genero del presidente degli Stati Uniti) e Tony Blair, ex primo ministro britannico, ma soprattutto inviato speciale per il Medio Oriente, dal 2007 al 2015, di un quartetto guidato dagli Stati Uniti. Si sarebbe potuto immaginare che la carestia che minaccia l'enclave palestinese e l'orrore in cui sono immersi i suoi abitanti sarebbero stati all'ordine del giorno di una simile riunione. Tuttavia, il Washington Post ha rivelato che le discussioni si erano invece concentrate sul piano del presidente di trasformare la Striscia di Gaza nella "Riviera del Medio Oriente". Si tratta dell'impropriamente chiamata "Fondazione umanitaria per Gaza" (GHF), guidata da un evangelico molto vicino alla Casa Bianca, che si dice abbia redatto un documento di 38 pagine che dettaglia le diverse fasi dell'attuazione di questo piano.

Un approccio immobiliare
Un tale piano, in questa fase, potrebbe anche non essere ufficiale, ma merita tuttavia tanta più attenzione proprio perché offre un punto di vista privilegiato sul modo di operare dell'amministrazione Trump, di gran lunga la più anti-palestinese in tutta la storia degli Stati Uniti. In quel testo non si legge il minimo riferimento al diritto internazionale, così come non si considerano mai i palestinesi come se fossero un popolo, limitandosi a riferirsi agli "abitanti di Gaza". Quella che viene declinata, è una logica puramente transazionale nella forma del "deal" immobiliare, tanto caro a Trump, Witkoff e Kushner, visto che si tratterebbe di "valutare", in dieci anni, la Striscia di Gaza in 300 miliardi di dollari (255 miliardi di euro, al cambio attuale), contro un valore che oggi viene considerato pari a zero. Si riesce pertanto a capire meglio l'associazione con Eric Blair a tutte queste discussioni, dal momento che, per otto anni, egli aveva sostenuto come lo sviluppo economico dei territori palestinesi sarebbe stata la chiave per la pacificazione del conflitto israelo-palestinese. Il progetto,si chiama "GREAT" (acronimo di "Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation”) e il suo obiettivo dichiarato è quello di "trasformare" un "alleato dell'Iran in un prospero sostenitore  degli accordi di Abramo". L'identità palestinese di Gaza e della sua popolazione viene così cancellata a favore di una ricomposizione geopolitica del Medio Oriente, avviata da Trump nel 2020, alla fine del suo primo mandato, con la firma di accordi di pace tra Israele e quattro Stati arabi, primo fra tutti gli Emirati Arabi Uniti. Così facendo, la Casa Bianca spera di coinvolgere finalmente l'Arabia Saudita in questa dinamica, dove il progetto ha già previsto che le due arterie stradali che attraversano la “trasformata” Striscia di Gaza portino il nome dei leader sauditi ed emirici. Per quanto riguarda invece la “zona industriale intelligente”, che costeggerebbe il confine con Israele, essa porterebbe il nome di Elon Musk, mentre lungo la costa verrebbe creata una “Riviera Trump” (sic!) sul modello delle Palm Islands di Dubai. Sulle rovine di quelle attuali, sorgerebbero delle nuove città, completamente digitalizzate e potenziate dall'intelligenza artificiale.

Sotto tutela
La chiave per lanciare un progetto del genere, è l'attuale GHF (Gaza Humanitarian Foundation), le cui distribuzioni di aiuti, a partire dalla primavera, sono state tuttavia costellate da ripetute stragi, al punto da essere state definite “Hunger Games”. La GHF intende escludere le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie, coordinando le proprie operazioni con l'esercito israeliano, la cui attuale offensiva contro la città di Gaza mira a respingere centinaia di migliaia di civili verso il sud dell'enclave, e verso i siti di distribuzione della GHF. L'obiettivo è quello di creare all'interno delle “zone di transizione” un ambito “libero da Hamas”, nel quale sarebbe previsto un “trasferimento volontario” per centinaia di migliaia di civili. La presentazione del GREAT prevede il trasferimento di un quarto della popolazione di Gaza e, per attenuare la brutalità di un simile diktat, sostiene che una piccola parte potrebbe essere autorizzata a tornare, qualora lo desiderasse. Tuttavia, ciò che viene effettivamente prospettato è l'espulsione definitiva di circa 400.000 palestinesi sui 2,1 milioni di abitanti che conta l'enclave. La GHF avrebbe anche il compito di “validare” e addestrare dei gazawi che si occuperanno della futura sicurezza dell’enclave. Attualmente, l’embrione di tale forza è costituito da una banda di saccheggiatori palestinesi, sostenuti e armati da Israele, ma ripudiati dalle loro stesse famiglie proprio a causa di questa collaborazione. Dopo sei mesi o un anno, a seconda dell'avanzamento dell'offensiva israeliana, verrebbe creato un “Trust”, vale a dire una tutela, associata a una società fiduciaria. Con questo trust, si fonderebbe la GHF, mentre l'esercito israeliano conserverebbe invece il diritto di intervenire in qualsiasi momento. Solo in un secondo momento questo trust si evolverebbe poi in un governo formale dell'enclave, e questo avverrebbe nel corso di un “periodo di transizione” necessario all'emergere di un'“entità palestinese riformata e de-radicalizzata”. In nessuna circostanza viene mai menzionata l'Autorità palestinese di Ramallah (Cisgiordania). Il piano specifica che l'attività di questo trust verrebbe facilitata attraverso la partecipazione di partner arabi, e resa più proficua grazie all'intensificazione delle partenze “volontarie”. Già il solo fatto che un documento del genere possa esistere, ed essere oggetto di discussione, la dice assai lunga sul grado di collusione e sul senso di impunità, raggiunti da Israele e dagli Stati Uniti nella loro guerra contro Gaza. Più in generale, rivela anche come, dopo due anni in cui abbiamo lasciato che donne, uomini e bambini di Gaza fossero abbandonati a un simile orrore, tutto questo stia diventando il nostro mondo .

- Jean-Pierre Filiu - Pubblicato su Le Monde il 21/9/2025 -

sabato 20 settembre 2025

BANALITÀ GENOCIDARIE…

La questione dell'intenzionalità genocida in relazione a Gaza
- di Emmanuel Faye -

   La contrapposizione, tra la situazione disperata della popolazione civile a Gaza e la persistente negazione da parte di coloro che si rifiutano di riconoscere l'intenzionale distruzione della popolazione palestinese, appare essere abissale. Di fatto, le testimonianze e le analisi degli storici, degli osservatori e dei critici israeliani non vengono prese sul serio. La stessa cosa vale anche rispetto alle decisioni e alle azioni della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale dell'Aia, che vengono screditate, o ostacolate. Ma probabilmente ciò smette di essere sorprendente se consideriamo il fatto che ogni impresa genocida viene sempre accompagnata da dei discorsi di negazione, i cui meccanismi sono noti. Qui, non si tratta di dimenticare il massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, e il sequestro di ostaggi israeliani. Lo Stato di Israele ha il diritto di difendersi in modo proporzionato contro ogni aggressione. Tuttavia, qualunque possa essere la posta in gioco per la leadership israeliana, da un lato, e di quelle palestinesi dall'altro, la popolazione palestinese bombardata a Gaza, costantemente sfollata e ridotta alla fame dal blocco israeliano, non rappresenta una minaccia esistenziale. Non c'è niente che possa giustificare la gravità della distruzione deliberatamente inflitta a questa popolazione, le cui infrastrutture sanitarie ed educative sono ora distrutte. E non c'è niente che autorizzi i discorsi disumanizzanti che hanno fatto i leader politici e militari israeliani. A fronte del coraggioso lavoro di ONG, giornalisti, storici e giuristi delle varie corti internazionali, cosa mai può fare un filosofo di fronte a una situazione genocida come quella che viene subita dalla popolazione palestinese di Gaza? Se è, in primo luogo, responsabilità dei giuristi stabilire se si sia verificato un genocidio, il filosofo può e deve, a nome dell'umanità, intraprendere un'analisi critica dei motivi teologici, ideologici, storici e politici che orientano e governano coloro che perpetrano dei crimini di guerra, dei crimini contro l'umanità e dei genocidi. Spetta a lui respingere i discorsi di odio, da qualunque parte essi provengano.

  In un articolo su Le Monde pubblicato l'11 giugno 2025, lo storico Vincent Duclert riteneva che, nel caso della popolazione civile di Gaza, fosse controproducente focalizzarsi sulla qualificazione di genocidio. Parlare di crimini contro l'umanità, così come lo fa la Corte penale internazionale, avrebbe prodotto più effetto, andando a pesare direttamente sui leader chiamati in causa. Ci si può certamente chiedersi perché questa qualifica di genocidio, più difficile da stabilire dal momento che bisogna provare la realtà dell'intento sterminatore, sarebbe più decisiva di quella dei crimini contro l'umanità, altrettanto atroci sul piano fattuale. Tuttavia, oltre al fatto che un genocidio colpisce l'insieme di un intero gruppo umano, è proprio la sua dimensione intenzionale a fare la differenza. L'esistenza di un intento genocida solleva delle questioni che il concetto giuridico di crimini contro l'umanità non solleva allo stesso modo. Che cos'è che spinge delle menti a mettere deliberatamente in atto l'annientamento di un gruppo umano? Che cosa avviene in un pensiero per far sì che esso arrivi a una simile radicalità? Come avviene che si venga a costituire una mentalità genocida individuale, o collettiva? Se quella che è la questione dell'intenzionalità sterminatrice nei genocidi, viene affrontata troppo raramente, ciò avviene senza dubbio perché - imponendo la formula della "banalità del male", definita a partire dall'assenza di pensiero, e quindi di movente, nei responsabili della Soluzione Finale, Hannah Arendt ha neutralizzato questa questione, la quale è tuttavia ben documentata nelle dichiarazioni di Eichmann. È riuscita così a scagionare esplicitamente degli autori come Carl Schmitt e Martin Heidegger, la cui responsabilità, nel legittimare la politica nazista di annientamento (il primo attraverso la sua dottrina del "nemico esistenziale", il secondo attraverso le sue ingiunzioni a porsi come fine - a lungo termine - lo "sterminio totale" del nemico interno), si era rivelata particolarmente pesante

  Tuttavia, per tornare alla questione del Medio Oriente, ci sono diverse dichiarazioni, da parte di funzionari israeliani, che testimoniano oggi l'esistenza di un'intenzione sterminatrice. I riferimenti fatti da Netanyahu agli Amalechiti - questo popolo da sterminare nel Deuteronomio, tra cui donne e bambini - sono di una grande radicalità, anche se, incriminato per crimini contro l'umanità e per crimini di guerra dalla CPI, Netanyahu ha successivamente cercato di minimizzare la portata delle sue dichiarazioni. Resta il fatto che la sua comunicazione formale alle truppe dell'IDF: «Ricordate che cosa vi ha fatto Amalek», pubblicata il 3 novembre 2023 da "The Times of Israel", non poteva certo rimanere senza conseguenze. Lo stesso vale per le proposte del ministro della Difesa, che equiparano gli abitanti di Gaza a degli «animali umani». Molte altre dichiarazioni, potenzialmente genocide, da parte di ufficiali israeliani, sono state raccolte e pubblicate dallo storico israeliano Lee Mordechai. Ricordiamo anche l'episodio in cui, durante un discorso all'ONU, il 27 settembre 2024, il Primo Ministro di Israele ha mostrato, esponendola, una mappa del suo Paese, che non comprendeva la Striscia di Gaza o la Cisgiordania, come se volesse ratificarne la loro cancellazione, con tutte le conseguenze prevedibili per la popolazione palestinese che vi abita. Questa volontà della "Grande Israele" degli Ebrei, che sarebbe biblica, nega ai palestinesi il diritto di continuare a vivere in quel luogo. L'intenzione politica del governo israeliano non si limita pertanto a voler combattere Hamas. L'obiettivo appare essere più ampio e radicale. È questo il motivo per cui è importante analizzare l'intenzionalità sterminatrice all'opera, e le sue motivazioni.

   La formazione di un pensiero genocida è ora documentata. Si forma quando i leader politici e militari si convincono che un'intera popolazione, e non solo un esercito, rappresenta una minaccia esistenziale per la loro nazione. La sofferenza subita, per loro giustifica la necessità di lottare per sradicarla. Hanno pertanto deciso di distruggere uomini, donne e bambini in nome della legittima difesa. Il senso di una comune appartenenza all'umanità e il rispetto per la vita altrui sono scomparsi dalle coscienze. Fino a oggi, questo radicalismo sterminatore si è sempre basato su una prospettiva messianica, o teologica, fuorviante. Per le versioni più estreme, possiamo citare la volontà hitleriana di costruire un Reich millenario "purificato" da ogni elemento "non ariano", oppure la demonizzazione dei Tutsi, operata da parte di alcuni leader religiosi Hutu. Una delle questioni che oggi si pone, è pertanto quella di determinare, con uno studio approfondito, svolto al fine di effettuare una critica, quali sono state le rispettive visioni messianiche che hanno ispirato nelle loro azioni, tanto i suprematisti israeliani quanto i fondamentalisti evangelici americani che li sostengono, a partire dalla radicalizzazione politica che ciò implica. Lo studio critico delle intenzionalità genocide, rimane essenziale per poterle disinnescare a lungo termine. Tuttavia, nell'immediato futuro, queste domande che implicano la comprensione del presente, e quindi del nostro futuro, non sono tuttavia né le uniche né le più urgenti. La realtà di ciò che sta accadendo attualmente a Gaza, offende l'umanità di tutti. Dobbiamo perciò fare tutto il possibile per porre fine a questa situazione.

-  di Emmanuel Faye, pubblicato sulla Tribuna de L'Humanité il 19 settembre 2025 -

«Tutto sotto controllo sulla nave che affonda» !!

È impressionante vedere leggere Robert Kurz discutere di "Intelligenza Artificiale" e processi produttivi già negli anni '80!!

«Ed è proprio la ricerca sulle attuali nuove tecnologie, in particolare la microelettronica, l'informatizzazione e "l'intelligenza artificiale"(AI), nella loro relazione concreta con il futuro del processo di valorizzazione capitalistica, a far sì che queste vaghe speranze scoppino come delle bolle di sapone. Infatti, a differenza di tutti quelli che sono stati i precedenti impulsi di innovazione tecnologica, di portata simile, vediamo come questi nuovi supporti tecnologici abbiano, per la prima volta, un vero e proprio potenziale di automazione puro, il quale è ben lungi dal favorire - com'è avvenuto con l'industria automobilistica fordista - una prospettiva più ampia ai fini di una rinnovata capacità del capitale di assorbire forza lavoro viva su larga scala.  Ed è questo che distingue, fondamentalmente, le nuove tecnologie da tutte le precedenti epoche di industrializzazione che ci sono state nella storia capitalista.

   Queste nuove tecnologie, non potranno assorbire nuovamente delle grandi quantità di salariati, né per quanto riguarda la loro vera e propria produzione, né per quanto riguarda quelle che saranno le loro implicazioni che interesseranno le “vecchie” industrie, oppure (ancora più difficilmente) per tutte le produzioni non industriali; ma piuttosto, al contrario, esse sostituiranno ed elimineranno il lavoro produttivo umano, in progressione geometrica, da tutti i settori della riproduzione sociale.  Chi crede ciecamente in un nuovo boom dell'accumulazione industriale, realizzato attraverso e grazie alle “nuove tecnologie”, dovrebbe imparare qualcosa di più sull'informatica contemporanea:

   "Macchine grandi e costose, verranno acquistate solo se saranno dotate di una certa quota di intelligenza artificiale incorporata. Gli eventuali errori, e incidenti, verranno diagnosticati dalle stesse unità attive e intelligenti [...]. Attualmente, nella gestione e nella produzione di merci, si rende quotidianamente necessaria dal 50 al 60% della popolazione attiva. Grazie a un'automazione fino ad ora inimmaginabile, sotto l'impatto dell'informatica e della tecnologia dell'intelligenza artificiale, tale percentuale scenderà (!) al 5-6%  [...]. Per la più parte degli scienziati di questo settore, si tratta chiaramente di una rivoluzione tecnologica imminente, tanto che io non capisco perché non sia stato fatto quanto meno uno studio sociologico che esaminasse queste potenziali trasformazioni. Chi si aspettava che il numero dei disoccupati sarebbe salito a 6 milioni?"; come ad esempio ha detto il professore di informatica Jörg Siekmann (Kaiserlautern), portavoce della commissione per l'intelligenza artificiale della società per l'informatica.  

   Ora, questa previsione attuale, che coincide anche con degli altri studi competenti fatti negli ultimi anni (cfr. ad esempio COY, 1985), e che solo ora sta raggiungendo un alto livello di concretezza, smentisce tutti quei teorici astratti della sovraccumulazione, per quel che riguarda una presunta “nuova accumulazione accelerata di capitale” imminente, considerata come se fosse una “legge eterna”; così come smentisce l'errata logica causale empirica delle teorie delle cosiddette “onde lunghe”, la quale stabilisce un collegamento apparentemente inevitabile tra nuove tecnologie e nuovi cicli di accumulazione di lunga durata».

- Robert Kurz, da “Tutto sotto controllo sulla nave che affonda” (1989), ne: "La crisi del valore di scambio", pp. 99-100. -

grazie a @Marcos Barreira

venerdì 19 settembre 2025

La fine del sanguinamento della Testa della Medusa…

Superflui di tutto il mondo, unitevi !
- di Robert Kurz -

   Il capitalismo non è una possibilità, quanto piuttosto una minaccia per l'umanità. E minacciati, cominciano ora a sentirsi anche molti di quelli che guadagnano bene. La logica che sta dietro questo sistema è tanto semplice quanto brutale: alla fine, il diritto all'esistenza ce l'ha solo chi è redditizio. E non basta più il profitto in sé, ma bisogna che esso soddisfi anche alla regola della redditività, che oggi viene posta sempre più in alto, in termini capitalistici finanziari. Ciò significa due cose: in primo luogo, che il capitale è insaziabilmente avido di lavoro umano, il quale deve essere trasformato, secondo quello che è il fine proprio della valorizzazione irrazionale, in sempre più capitale. È a partire da un simile punto di vista che le persone sono perciò solo un materiale, forza lavoro, "manodopera" e nient'altro. Va anche detto che, in secondo luogo, il lavoro è "valido" soltanto a livello di redditività. L'ambizione capitalista di sfruttare la forza vitale umana, è costretta a rispettare questo modello. E questa brutalità essenziale, rimane sempre annidata, in agguato, nell'inconscio dell'ordine del sistema. È così talmente terribile che non c'è nessuno che lo ammetta, nessun manager, nessun ideologo. Ma esiste, e in ultima analisi, per principio, afferma che: «Tutti coloro che non sono in grado di lavorare, sono delle "vite senza valore"». Ne fano parte tutti i bambini e tutti gli adolescenti che non hanno ancora la capacità di lavorare; a meno che non siano già serviti come materiale per il lavoro, non appena sono stati in grado di camminare. Lo è anche tutto ciò che malato, invalido, ecc., e che rappresenta solo un fattore di costo. E ovviamente tutti gli anziani, i quali non sono più in grado di lavorare, e  per i quali vale la stessa cosa, a meno che non siano utilizzabili anche sul letto di morte. Infine, ci sarebbero anche i disoccupati, che pertanto diventano così dei disoccupati inutili. La logica capitalistica emette questa sentenza non solo sui singoli, ma lo fa anche su tutti quelli che costituiscono i loro  rispettivi ambiti e istituzioni: la formazione, l'istruzione, l'assistenza, i servizi sanitari, l'arte e la cultura, ecc., sembrano essere tutti dei costi morti che andrebbero eliminati.

   Ovviamente, qualsiasi società che dovesse mai mettere in pratica una tale logica, collasserebbe immediatamente. Ma si tratta tuttavia della logica del capitale, che in quanto processo fisico è completamente cieco e insensibile. Per far sì che il capitalismo lasci vivere l'umanità, in modo che essa possa essere il materiale per soddisfi le sue richieste insaziabili, bisogna che esso venga, in qualche modo, illuso. Originariamente, la sopravvivenza in un simile contesto, vale a dire quelle che erano le "esigenze non redditizie", erano di competenza delle donne. Ma tuttavia il processo di valorizzazione, di suo, non avrebbe mai disprezzato in alcun modo la carne femminile, ossia "il nervo, il muscolo, il cervello" (Marx). Pertanto, in tal modo, sulle donne avrebbe poi finito per gravare un doppio fardello: non importava se si parlasse di società capitalistiche di Stato dell'ex blocco orientale, dei centri occidentali o delle baraccopoli del Terzo Mondo: dopo la fine del lavoro quotidiano, per loro cominciava il lavoro che riguardava l'opera di riproduzione per quella parte della vita che dal punto di vista capitalista, era "indegna di essere vissuta". Le donne, da sé sole, avrebbero finito col soccombere da tempo sotto questo doppio peso, oppure la società si sarebbe dissolta. È stato questo il motivo per cui lo Stato ha dovuto creare anche nella redditività quelle aree derivate dalla "vita indegna di essere vissuta", per mezzo di imposte, di contributi e di sistemi assicurativi, e perciò, è stato in un certo qual modo, grazie al "sanguinamento" del proficuo processo di valorizzazione. A seconda della sua entità, ciò è stato visto come se fosse più o meno ..."sociale". E la critica storica del capitalismo si è pertanto in gran parte limitata alla quantità di questo sanguinamento, mentre quella che era invece la sua terribile logica fondamentale è rimasta nell'ombra, e del tutto intatta. E questo è stato reso possibile (con delle interruzioni di crisi, mentre il processo di valorizzazione era storicamente in corso, ed è stato pertanto in grado di assorbire quello che funzionava come un Lavoro sempre più redditizio. Ma tuttavia, con la Terza rivoluzione industriale, una tale espansione ha finito per arrestarsi. Il metro di misurazione della redditività è ormai troppo elevato, e sempre più persone valide non riescono a trovare lavoro. Di conseguenza, il sanguinamento che fuoriusciva dalla valorizzazione, per irrorare le aree secondarie, si è esaurito.

   Ridiventa così visibile la testa di medusa della logica capitalista intrinseca, finora rimasta nascosta. In tutto il mondo, i “non redditizi” devono pertanto sperimentare la loro relativa o assoluta “svalutazione della vita”. Con una conseguenza ferrea, vengono colpiti per primi i disoccupati di lungo periodo, i bambini e gli adolescenti, i malati, i disabili e gli anziani. A seconda del paese e della sua situazione rispetto al mercato mondiale, ciò può avvenire con maggiore o con minore velocità, ma ci stiamo tutti muovendo, irresistibilmente, in quella direzione. Anche nella Repubblica Federale Tedesca, che è solo relativamente "ricca", in senso capitalista, come altrove, i pagamenti delle assicurazioni vengono ridotti, l'assistenza sanitaria, e quella ai malati e agli anziani viene ridotta, le pensioni sociali vengono cancellate, gli asili nido vengono chiusi. Nelle scuole l'intonaco cade dalle pareti, il materiale didattico diventa obsoleto e marcisce. E a quanto pare sembra non finire mai, a fronte di sempre nuovi progetti di tagli. In silenzio, viene messa una croce su tutta la riproduzione sociale. (...) Le classi politiche ed economiche si riferiscono solo alla silenziosa fisica sociale capitalista. Di conseguenza, la vecchia e impotente critica al capitalismo, limitata al mero sanguinamento della valorizzazione, è destinata a scomparire. I vecchi esperti del miglioramento sociale hanno cambiato mestiere a causa della limitazione cosmetica che riguarda i danni dovuti al deterioramento. Così, i presunti becchini del capitalismo si sono riciclati come aiutanti del becchino della società umana. Sotto delle circostanze storicamente nuove, il vecchio ruolo sindacale socialdemocratico è diventato, in termini di contenuto sociale, il suo contrario. (...) Laddove la capacità di governare avrebbe dovuto essere sacrificata nel nome della resistenza sociale, vediamo che invece, al contrario è la resistenza sociale a essere sacrificata in nome della capacità di governare. Ma le cose non si fermeranno qui. Ciò che viene proclamato come se fosse un sacrificio per ottenere una presunta manutenzione sostanziale delle aree vitali "non lucrative", non è altro che una parte di un percorso che ci porta verso lo storico vicolo cieco dell'auto-cannibalismo capitalista. Questo sistema non si lascia più ingannare dalla sua stessa biofobia. Ed è proprio l'assurdo principio di redditività ciò che deve essere abolito: "superflui" non redditizi di tutto il mondo, unitevi!

- Robert Kurz - pubblicato come: "Unrentable, vereinigt euch!", pubblicato su Neues Deutschland, il 02.05.2003 -

giovedì 18 settembre 2025

Al di là del Bene e del Male !!!

Israele nella Crisi Globale del Capitalismo
- di Herbert Böttcher -

L'espansione della guerra contro Hamas
Il governo Netanyahu ha deciso di espandere la guerra contro Hamas. Oltre alla presa di Gaza City, i piani riguardano anche la distruzione di Hamas nei campi profughi della Striscia di Gaza. C'è da aspettarsi che i combattimenti per la città di Gaza si concentrino nella zona dei grattacieli a ovest della città. Tanto nella città, quanto nei campi profughi, la popolazione civile, strumentalizzata da Hamas e usata come "scudo umano", viene sempre più coinvolta nei combattimenti. A rischio, sono anche le vite dei ostaggi rapiti da Hamas, che si presume si trovino a Gaza City. Con l'espansione della guerra, aumenterà l'orrore per la popolazione, così come il numero dei morti. I piani per espandere la guerra sono accompagnati da delle forti critiche dentro Israele. Tra i critici si vedono anche alcuni governi europei, ivi compreso il governo federale tedesco, che intende limitare la propria fornitura di armi a Israele. Mentre anche negli altri stati dell'Unione Europa si va sgretolando il sostegno a Israele, vediamo che allo stesso tempo esso è anche oggetto di critiche da parte dell'opinione pubblica internazionale, alimentata dall'antisemitismo che oggi si manifesta a livello globale, e che colpisce direttamente gli ebrei in quelle che sono le loro stesse vite. Inoltre: «Dal 7 ottobre 2023, vediamo che gli ebrei in Europa assistono a come l'antisemitismo sia in aumento, e come essi siano sempre più perseguitati. Il bilancio delle ultime settimane: in Austria, una coppia è stata cacciata via da un campeggio perché parlava ebraico; in Grecia, una nave da crociera con dei turisti israeliani, a causa delle violente proteste, non ha potuto attraccare; in Italia, dei turisti israeliani sono stati espulsi da un ristorante; in Spagna, un intero gruppo di ebrei francesi è stato prelevato da un aereo», scrive Benjamin Graumann, presidente della Comunità ebraica di Francoforte [*1]. Le critiche a Israele vengono legittimate a partire dalla reale sofferenza e dalla situazione disperata della popolazione Palestinese. Nel dibattito su Israele e sui palestinesi, quelle che si scontrano sono delle posizioni identitarie [*2]. Ciò è probabilmente dovuto alla necessità di un chiaro posizionamento in termini di contenuti, e anche a partire dal desiderio di un’univoca identificazione in quella che è l'appartenenza a un gruppo. Si tratta di stare moralmente da una parte, e di appartenere ai corrispondenti ambiti sociali mentre, al tempo stesso, si deve anche essere capaci di agire. In una corrispondente logica di campo, appare pertanto impossibile dare simultaneamente "solidarietà a Israele" e sensibilità verso le sofferenze dei palestinesi. E come ultima cosa, ma non meno importante: sotto la pressione della necessità di essere chiari, vengono perse di vista le contraddizioni sociali e morali. Bisogna riflettere su di esse, anziché ignorarle in modo moralizzante e identitario, dal momento che questo potrebbe costituire un prerequisito essenziale ai fini di una riflessione critica circa l'orrore associato all'attacco portato avanti da Hamas, con l'obiettivo di distruggere Israele, e riflettere anche su quelle che sono state le conseguenze belliche per la popolazione palestinese.

Le duplice natura dello Stato di Israele
Una riflessione critica deve, da un lato, tener conto della duplice natura di Israele, visto in quanto progetto di salvezza per gli Ebrei perseguitati e minacciati di sterminio - e in questo senso esso va visto come progetto contro l'antisemitismo - mentre, dall'altro lato, si tratta di uno Stato capitalistico che va visto in un contesto di crescente crisi globale, insieme a tutte le contraddizioni e le aporie distruttive che questo comporta. Contro le strategie di Hamas, volte alla distruzione di Israele, e contro il sostegno che esse ricevono dagli Stati del cosiddetto Medio Oriente - e dall'antisemitismo relativo a Israele che l'accompagna - nei conflitti attuali, diventa indispensabile difendere Israele. Ciò implica una critica del ruolo svolto da Hamas. Hamas non è un movimento di liberazione, ma abbiamo a che fare con un'organizzazione terroristica che mira alla distruzione di Israele. Della sua strategia fa parte la cinica e minacciosa messa in scena della barbarie contro Israele, la strumentalizzazione della sua stessa popolazione, usata come ostaggio nella lotta contro Israele, e l'oppressione e la fame della propria popolazione. Ancora una volta e nuovamente, la fame e la miseria a Gaza viene attribuita quasi esclusivamente a Israele e al suo attuale governo. Tutto ciò accade in una situazione segnata dal declino del capitalismo, laddove diventa sempre più evidente che anche le ex grandi potenze si trovano coinvolte nei processi di questo declino. Da un lato, tutto questo mette in discussione le cosiddette strategie antimperialiste, che funzionano ancora secondo lo schema personalistico della liberazione degli oppressi dai loro oppressori; e che a partire da questa prospettiva vede la lotta dei palestinesi oppressi contro Israele, vista come una potenza imperiale, o come un rappresentante del Potere nel cosiddetto Medio Oriente. Allo stesso tempo, il crollo del Il dominio capitalistico si trova associato a dei processi di crisi sempre più acuti e accompagnati da dei crescenti processi di imbarbarimento, di pensiero identitario, e soprattutto da un crescente antisemitismo, in quanto modo per affrontare la crisi. Tali processi di trasformazione, che sono stati osservati negli ultimi anni in numerosi Stati  in decadenza, a livello globale trovano sempre più espressione nelle azioni delle vecchie grandi potenze. In un misto di autoritarismo e di militarizzazione, le politiche identitarie e la repressione determinano le azioni degli attori politici – guidate e accompagnate da una "bruta borghesia" e da una feticizzazione della normalità, la quale viene intesa come protezione dal degrado per mezzo di strategie socio-darwiniane. In Germania, il sostegno alla militarizzazione e alla disponibilità alla guerra diventa così il test decisivo per la lealtà politica. Le repressioni sono dirette in primo luogo contro i migranti, e in ultima analisi contro tutti coloro la cui forza lavoro è ora "superflua", se vista nel processo di valorizzazione capitalista, così come anche contro coloro che presumibilmente si sottraggono all'obbligo del Lavoro. Essi, vengono tutti identificati come se fossero una minaccia, nel mentre che le minacce ecologiche, sempre più mortali per le persone, vengono ignorate; così come vengono ignorati i processi di divisione sociale. L'escalation della violenza distruttiva diventa politicamente "accettabile", e viene socialmente accettata e attuata anche nei diversi contesti sociali. Tutto questo è connesso alla crisi della valorizzazione del lavoro, e alla crisi di riproduzione che l'accompagna, alla disintegrazione del lavoro e della famiglia, o a quella dei rapporti sociali, che, nella concorrenza, si trasformano in una lotta barbara e anomica di tutti contro tutti, dove regna il "diritto del più forte". In quanto Stato capitalistico, anche Israele si trova soggetto a questi processi di crisi, e alle aporie e alle contraddizioni che li accompagnano, solo che questo avviene in una situazione nella quale Israele - in quanto "ebreo" tra gli Stati - si trova a essere sempre più attaccato dall'antisemitismo, senza che possa però ricorrere all'antisemitismo, come modo per affrontare la crisi. Dopo la disintegrazione del Partito Laburista, causata anch’essa dalla crisi, in Israele si è instaurato un governo autoritario e fondamentalista di destra, il quale ora scommette sull'espansione della colonizzazione dei territori palestinesi – in Cisgiordania – e protegge i coloni in maniera autoritaria e repressiva. Il governo Netanyahu ha minato lo Stato di Diritto, ha smantellato le strutture democratiche, così come la separazione dei poteri, e questo malgrado la proteste di gran parte della popolazione; concedendo così più potere al fondamentalisti dell'estrema destra, dividendo e frammentando il paese, in modo tale che oggi le persone emigrano da un paese che avrebbe dovuto invece offrire rifugio ai perseguitati. Processi finalizzati alla repressione e alla legittimazione autoritaria, hanno oggi il loro proseguimento in una guerra che solleva dubbi sul fatto che essa sia giustificata come autodifesa contro la distruzione,e che possa essere addirittura associata a dei processi politici interni che minacciano di portare all'autodistruzione di Israele.

I piani attuali del governo Netanyahu
Le decisioni del governo Netanyahu di espandere la guerra si confrontano anche con le proteste in Israele. L'ex primo ministro Olmert, parla di una «guerra [...] senza obiettivi, ovvero di una chiara pianificazione senza prospettive di successo» [*3]. In tal modo, il governo Netanyahu si allinea all'azione irrazionale degli altri attori politici in quella che è la decadenza del capitalismo. Ovviamente, lui è disposto a mettere a rischio gli ostaggi che si trovano nei quartieri alti di Gaza City e nei campi rifugiati, pur di ottenere un obiettivo indefinito e generico come quello della distruzione di Hamas, oltre ad accettare più morti e il peggioramento della situazione della popolazione civile palestinese. In una dichiarazione dell'ufficio di Netanyahu, il gabinetto di sicurezza «ha approvato cinque principi per porre fine alla guerra [...]: la smilitarizzazione della Striscia di Gaza, il controllo militare della zona costiera da parte di Israele e la creazione di un un'amministrazione civile che non sia subordinata né ad Hamas né all'Autorità Palestiniana (AP)» [*4]. Ancora non è chiaro  come questi obiettivi verranno strategicamente raggiunti, e quale sia il significato dei citati termini di rischio per la popolazione civile, per gli ostaggi e per l'invio di Soldati israeliani. C'è da temere che altre persone fuggiranno. I campi profughi sono già sovraffollati e le condizioni igienico-sanitarie sono disumane. Con l'invasione militare delle aree prese di mira, ad aumentare è anche il rischio per gli ostaggi. Il Capo di Stato Maggiore dell'esercito israeliano ha anche messo in guardia contro una conquista totale della Striscia di Gaza [*5]. L'obiettivo legittimo di Israele, vale a dire, di difendersi dalla minaccia di distruzione, senza alcuna mediazione con la questione che ci siano obiettivi e strategie concrete e determinabili, così come le sue prospettive di successo, così facendo rischia di diventare una legittimità nell'ambito della quale ogni mezzo appare come se fosse a priori giustificato. E questo perché in tal modo tutto ciò deriva direttamente dal bisogno di autodifesa. I partner della coalizione fondamentalista di estrema destra, chiedono la conquista dell'intero territorio e l'espulsione di tutti i palestinesi, mentre i partiti all'opposizione rifiutano tutto questo. Queste costellazioni, e il rifiuto di una discussione ponderata, a causa delle posizioni identitarie del governo, probabilmente, continueranno a promuovere la divisione della società israelita. Un progetto militare irrazionale e autoritario come l'occupazione di Gaza, rischierebbe anche di consumare quelle che sono delle risorse necessarie alla coesione sociale, e finirebbe perciò per logorare la società stessa. Anziché considerare tutto questo, sembra che, sotto la pressione di membri estremisti di destra del governo, oltre a una possibile occupazione di Gaza, ci sono anche dei piani per la costruzione di migliaia di unità abitative, e per l'espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Un lato di questa irrazionale attuazione, sembra essere la megalomania nazionale. In un simile contesto, diventa così sempre più difficile riconoscere i limiti dell'azione militare. E tuttavia questi limiti vano sottolineati, come dimostrano tutte le esperienze di guerre di ordinamento mondiale, a causa del fatto che, nel combattere le strategie di guerriglia dei gruppi terroristici, le forze armate possono ottenere solamente un successo parziale.

Crisi globale del capitalismo e dell'antisemitismo
Il terrorismo contro Israele, che mira alla sua distruzione, così come il fuoco delle critiche dentro Israele, non possono essere separati, né dalla crisi globale del capitalismo né dall'antisemitismo, che nel bel mezzo di questa crisi si sta intensificando a livello globale. La teoria critica, nella tradizione di Horkheimer e di Adorno, insisteva sul fatto che il capitalismo e l'antisemitismo sono interconnessi, e questo nella misura in cui l'antisemitismo dev'essere inteso come una reazione proiettiva rispetto alle crisi e alle distorsioni associate al capitalismo. [*6] Nella crisi globale, diventa chiaro come il capitalismo abbia raggiunto i suoi propri limiti logici e storici immanenti. Il lavoro, "eliminato" sotto la pressione della concorrenza, ormai non può più essere compensato, né dall'espansione dei mercati, né dall'accumulazione sui mercati finanziari. Insieme alla produzione di plusvalore, ciò che entra in collasso simultaneamente è la riproduzione, la quale al plusvalore è intrinsecamente legata. Ecco che così, anche la possibilità di una regolamentazione statale va a sbattere contro i propri limiti. Nei cosiddetti Stati al collasso, lo statalismo si dissolve in una lotta tra bande, e persino le ex grandi potenze stanno lottando, in piena crisi, per l'autoaffermazione globale. Tutti quanti, pretendono di compensare la loro debolezza economica per mezzo della militarizzazione. L'imperialismo diventa così un imperialismo dell'esclusione e della delimitazione, che, nella decadenza, ciò che mette in evidenza non è la sua forza, bensì la sua debolezza . Per mezzo dell'antisemitismo, ogni crisi - a causa delle quali oggi le persone soffrono per colpa del decadimento del capitalismo - può essere proiettata sui presunti colpevoli. In questo modo, "gli" ebrei, che dominano il mondo “come padroni del denaro e dello spirito” nell'ambito di una cospirazione ebraica immaginaria, vengono resi responsabili delle crisi; sia per mezzo di un antisemitismo manifesto e strutturale che si esprime attraverso una critica del capitalismo che si è ridotta alla critica del capitale finanziario, sia attraverso fantasie complottistiche e personalizzazioni. Nel contesto della situazione in atto nel cosiddetto Medio Oriente, lo Stato di Israele, in quanto "ebreo" tra gli Stati, viene ora messo sul banco degli imputati, e reso responsabile della desolante situazione, soprattutto a causa di quello che oggi i palestinesi devono soffrire. Gli attacchi contro Israele offrono agli attivisti - così come all'opinione pubblica mediatica nel capitalismo in decadenza - l'opportunità di compensare la propria impotenza, e di processare la crisi, proiettandola. Se il potere di Israele si è rotto, andando in pezzi - secondo quel desiderio di cui si nutre l'antisemitismo redentore dei nazisti –, ecco che ora i palestinesi potrebbero essere liberati, e il mondo corrotto e socialmente lacerato potrà tornare a essere un mondo pacifico. In tale situazione - in cui l'obiettivo del capitalismo, irrazionale e compulsivo, di moltiplicare denaro/capitale per amore della cosa in sé, e dove questa cosa acquista sempre più importanza, e in modo sempre meno regolamentato e sempre più spensierato e allucinato, e dove il tutto avviene nel bel mezzo della disintegrazione -  c’è sempre più bisogno di una discussione ponderata su Israele, ivi comprese le critiche alle forze nazionalisti di destra e fondamentaliste religiose che determinano la politica del governo. La presunta complessità della situazione «sembra suscitare il desiderio di chiarezza e di appartenenza». Nelle posizioni assunte, l'attenzione è meno sull'oggetto e più «sui rituali di inclusione ed esclusione che creano identità e definiscono l'appartenenza un gruppo» [*7]. La riflessione critica è necessaria anche in relazione alla situazione, in modo che Israele, come progetto di salvataggio, non sia oggetto di azioni irrazionali volte alla sua distruzione. In questa riflessione questo dovrebbe essere chiarito, invece di collocare Israele come se fosse un “cattivo speciale”. Anche in Israele si stanno manifestando problemi analoghi a quelli di altri Stati capitalistici in crisi. Esclusione e militarizzazione, tra le altre cose, attuate secondo lo schema amico-nemico, così come la stigmatizzazione irrazionale del "colpevole", la personalizzazione delle relazioni, l'irrazionalismo nelle azioni e nella governance, la corruzione, l'autoritarismo e l'orientamento a destra, insieme alle prospettive do identità nazionali, uniscono tutti gli stati capitalisti nella crisi, nonostante tutte le differenze graduali e socioculturali.

Campi controversi e contraddizioni nella discussione su Israele e la guerra di Gaza
-  "Catastrofe umanitaria" come genocidio...?
Si discute sulla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. E' indiscutibile che la popolazione civile soffra a causa dei conflitti militari, così come per la disastrosa situazione dell'approvvigionamento. Ciò che è controverso riguarda  la "questione della colpa". Il governo israeliano si affida, con ragione, alla difesa contro il terrorismo barbaro e cinico di Hamas e di altri gruppi islamici che mirano alla distruzione di Israele. A Gaza, vediamo anche questo terrorismo che si manifesta come terrorismo contro la popolazione palestinese, la quale viene utilizzata come scudo umano per proteggere i luoghi in cui Hamas si è barricata. I fondi internazionali destinati alla popolazione civile, sono stati utilizzati per la costruzione di bunker [*8]. La popolazione palestinese è stata militarmente trasformata in una massa manovrabile, sfruttata in maniera propagandistica contro Israele, e a quanto pare con successo. Il terrore di Hamas viene ampiamente ignorato, a eccezione di qualche obbligatoria prese di distanza. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei tedeschi è a favore di una maggiore pressione su Israele, e questo senza nemmeno mettere in discussione il ruolo svolto da Hamas. Sebbene Hamas esponga al pericolo una parte della popolazione civile, anziché garantirne la protezione, Israele si trova al centro delle critiche dei media e dei movimenti sociali. Si esige la liberazione della Palestina, senza criticare tutte le misure repressive di Hamas, ivi compresa l'oppressione – a volte omicida – sulle donne e sulle diversità di genere. Quelli che sono gli attori più diversi, propagandano una soluzione a due Stati, vista come soluzione universale, in quella che è invece una situazione in cui sempre più Stati sono in "caduta libera" a causa del calo dell'accumulazione di capitale. Di fronte al terrore sterminatore di Hamas, Israele si difende con una guerra che viene combattuta in un'area densamente popolata, dove sono stati scavati tunnel per proteggere i combattenti di Hamas, e dove le strutture civili sono strumentalizzate per essere poste al servizio della guerra terroristica. Il governo di Israele non sembra disposto a riflettere su fino a che punto dovrebbe spingersi l'autodifesa e l'eliminazione di Hamas. L'allucinazione della destra spinge a un  irrazionale e distruttivo "più o meno!", che deriva dal diritto all'autodifesa in maniera astratta e secondo una falsa immediatezza. Come già detto, non si intravede un obiettivo strategico che possa essere raggiunto nella lotta a Gaza. Ciò è stato confermato anche dai critici israeliani, ivi compreso all'interno dello Stato e dell'esercito. In ultima analisi, questo potrebbe aprire le porte alla realizzazione di alcuni piani fondamentalisti di estrema destra, volti allo spopolamento della regione, e che a loro volta creerebbe spazio per gli insediamenti. L'intenzione espressa da Netanyahu, di costringere l'emigrazione volontaria del maggior numero possibile di residenti di Gaza, punta in tale direzione [*9]. Il ministro delle Finanze, di estrema destra, Smotrich, ha dichiarato che Gaza deve essere completamente distrutta, la popolazione concentrata in piccole "aree umanitarie", nel sud, e "motivate" a emigrare. Il Ministro della Difesa, Katz, sogna di costruire una "città umanitaria" sulle rovine del città di Rafah, nel sud di Gaza [*10]. La fame e le malattie, soprattutto le malattie infettive causate da scarsa igiene, si stanno diffondendo. Gli accampamenti sovraffollati sulla spiaggia e nel centro, fanno parte delle zone di evacuazione in continua espansione, le cosiddette zone sicure, che non sono nemmeno al sicuro dalle bombe che vengono sganciate. La responsabilità del disastro viene attribuita principalmente a Israele, e non al terrorismo di Hamas. Si discute se Israele, o il Il governo israeliano, possa essere accusato di genocidio. In tale contesto, vengono utilizzati dei concetti che sono al di là della loro definizione in quanto termini di combattimento, oppure avviene che definizioni comuni vengano ridefinite e adattate a un uso specifico. Questo può soddisfare il bisogno di sfogare la rabbia, esprimere indignazione, e forse anche trasmettere la sensazione di poter agire, malgrado tutta l'impotenza. Nel bel mezzo di un dibattito emotivo, nel quale si lotta confusamente contro dei concetti poco chiari, è ancora necessario sforzarsi di chiarire concettualmente. Così vale la pena ricordare che il termine genocidio – secondo la definizione data dallo specialista in Diritto internazionale Raphael Lemkin – implica «l'intenzione sistematica e duratura di voler distruggere una comunità etnica» [*11]. Pertanto il termine genocidio si riferisce a una distruzione deliberata di un gruppo etnico in quanto tale. È esattamente questo è ciò che significa genocidio, nel suo senso letterale. Però, insistere su delle precisazioni concettuali non è di per sé neanche "innocente" o "oggettivo", perché potrebbe servire al fine di relativizzare una situazione catastrofica, o di dichiarare che poi non è "così grave". Per poter criticare Israele, senza restrizioni, e mantenendo un "cuore puro" in relazione all'antisemitismo, il partito «Die Linke» ha deciso di non basarsi più sulla definizione di antisemitismo dato dall'International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), riferendosi piuttosto alla definizione data dal "Jerusalem Declaration on Antisemitism" (JDA) [*12]. Per decisione del Congresso del Partito, Die Linke strumentalizza una definizione che appartiene al contesto di un discorso scientifico e che ha una funzione euristica. Visto nel contesto politico, questo diventa un marcatore di identità. Inoltre, Wolter menziona il problema della reificazione di simili definizioni, e dei loro limiti: essi non possono rendere giustizia ai processi e ai cambiamenti sociali visti nel contesto in cui si articola l'antisemitismo [*13].

- La "fame" come Strategia militare?
Uno dei principali punti di discordia è rappresentato dagli aiuti alimentari. Appare indiscutibile che, dopo il collasso del "cessate il fuoco", a marzo, a Gaza arrivano meno aiuti umanitari urgenti. Al di là di quella che è una disputa sulle statistiche e sulle definizioni su cui esse si basano, si tratta di una situazione disumana e scandalosa. Sebbene Hamas sia il principale responsabile della situazione disperata della popolazione, poiché, da un lato, una simile situazione è conseguenza del suo attacco terroristico e, dall'altro, Hamas strumentalizza la sua stessa popolazione nella lotta per la distruzione di Israele; Israele si trova però di fronte all'accusa di voler affamare la popolazione di Gaza, e di ordinare di spara sulle persone in cerca di aiuto. Philipp Peyman Engel, enumera su "Jüdische Allgemeine", quanto Israele abbia reso possibile e realizzato in termini di aiuti, e critica il fatto che questo non viene preso in considerazione in quella che è la «guerra dell'informazione e delle immagini» [*14]. Centinaia di tonnellate di aiuti umanitari marciscono al sole sul confine con Gaza, perché l'ONU e altre organizzazioni non le hanno raccolte. Inoltre, l'Egitto ha completamente chiuso il confine con Gaza, e da quel lato non consente la consegna di aiuti umanitari a Gaza. Un altro problema, legato al fame, è quello relativo alla distribuzione di cibo e medicine precedentemente organizzata sotto la responsabilità dell'ONU, nel momento in cui gli aiuti umanitari sono stati dirottati da Hamas, per nutrire i propri combattenti, o venduti a prezzi esorbitanti per rifinanziare la propria organizzazione. Per contrastare Hamas e i suoi collaboratori, è stata creata la "Gaza Humanitarian Foundation!" (GHF). Il suo obiettivo è quello di distribuire cibo senza passare attraverso Hamas. Durante la distribuzione si sono verificate ripetutamente scene caotiche che hanno provocato morti. A contribuire al caos, è il sabotaggio da parte di Hamas riguardo la distribuzione attraverso GHF; al fine di rafforzare la vecchia pratica della distribuzione. Per fare questo, mette sotto pressione le persone che ricorrono all'aiuto di GHF. Nelle lotte intorno ai centri di distribuzione, l'esercito israeliano ha ferito a morte delle persone, con colpi di arma da fuoco, in un centro di distribuzione. Nei media tutto questo circola sotto il titolo «Israeliti sparano alle persone che chiedono aiuto». Più vicina alla verità potrebbe essere però la versione secondo la quale i soldati, in una situazione caotica e che sembrava minacciosa – paragonabile ad altre situazioni militari – sono stati sparati dei colpi di avvertimento in direzione di una folla [*15]. Anche questo è più che problematico, e dovrebbe essere criticato, ma è in qualche modo diverso dalle spiegazioni che suggeriscono che l'esercito israeliano spara indiscriminatamente a delle persone che cercano aiuto. Le situazioni sono caotiche e difficili da sbrogliare. Riflettono l'anomia che si può osservare anche in altre regioni in declino del sistema mondiale globale, ma che però difficilmente ricevono l'attenzione dei media. Le "atrocità" sono ovviamente peggiori e più scandalose quando possono essere associate agli ebrei, o allo Stato ebraico. È importante chiarire che, in queste percezioni e rappresentazioni, a essere virulento è lo stereotipo antisemita del "doppio standard". Il problema sorge quando questo è strumentalizzato per giustificare in modo semplicistico le azioni dell'esercito Israeliano. Allo stesso modo, le azioni discutibili di Hamas non possono essere utilizzate come giustificazione immediata per le azioni dell'esercito israeliano, né possono esonerare il governo israeliano dalla sua responsabilità umanitaria. Quest'ultimo ha il la responsabilità di migliorare la distribuzione dei prodotti alimentari e gli aiuti umanitari, ed evitare vittime civili.

Confusione politica
Intanto, su iniziativa del Regno Unito, abbiamo visto i governi di 26 paesi che hanno chiesto la fine immediata della guerra a Gaza. Solo i cinici, possono ignorare l'impulso umanitario che risuona in una simile richiesta. Allo stesso tempo, è degno di nota che altre richieste come quella di «cessate il fuoco», o «il ritorno al vecchio sistema di distribuzione degli aiuti umanitari», «il rispetto del diritto internazionale», «la fine dei piani di reinsediamento», ecc., siano tutte dirette principalmente a Israele. Hamas, con i suoi piani per distruggere Israele, con la sua strategia terroristica a tutti i livelli del conflitto e la sua repressione contro la popolazione palestinese, ne rimane fuori. Anche il governo federale tedesco – che, tra l'altro, notoriamente non è particolarmente scrupoloso per quel che riguarda la fornitura di armi ai regimi terroristici o alla militarizzazione – limita la sua fornitura di armi a Israele, indipendentemente dalla ragion di Stato tedesca. Il diritto internazionale viene invocato all'unisono. Già anche negli anni precedenti, il diritto internazionale veniva trattato in modo molto arbitrario. Ricordiamoci, ad esempio, per esempio, la guerra della NATO nell'ex Jugoslavia, o la guerra degli Stati Uniti in Iraq. Con la progressiva disintegrazione delle strutture egemoniche e con gli associati conflitti tra le grandi potenze, che si contendono sempre più aspramente le rispettive basi economiche e lottano militarmente per la propria influenza politica – sia con la guerra, sia attraverso la militarizzazione, spinte dall'obiettivo di tornare a essere «pronte per la guerra» –, il diritto internazionale diventa sempre più completamente obsoleto [*16]. La stessa cosa vale anche per quel che riguarda la soluzione dei due Stati, ripetutamente richiesta da diversi attori. Il suo potere apparentemente magico può essere sviluppato solo purché non venga demistificato dalla questione della provenienza delle risorse finanziarie per la costruzione di uno Stato nel mezzo di quello che appare come un collasso degli Stati, in un capitalismo in fallimento entro i suoi limiti logici e storici. A rimanere totalmente senza risposta, è la questione di come Israele possa sopravvivere in una situazione globale sempre più anomica, a fronte di quelle che sono tutte le minacce e le strategie di sterminio che continuano ad esistere; e questo nel contesto di una situazione di crisi globale che dà origine ad allucinazioni antisemite, fino ad arrivare all'allucinazione di un antisemitismo redentore. Che cosa induce gli attori politici a prendere posizione contro Israele, per quanto sia nel contesto della società civile, (quasi) senza dire una parola? Gli obiettivi e le strategie di Hamas? Perché non si fa alcuna pressione sui sostenitori del Hamas, per esempio, in Iran e in Qatar? Perché il governo federale tedesco non chiede il rilascio degli ostaggi di Hamas, sebbene tra loro vi sono anche dei cittadini tedeschi? Di fronte all'aumento dei conflitti globali, gli attori politici intendono rimuovere almeno questo conflitto dall'agenda?  È possibile che si possano permettere di agire in modo da ignorare Hamas e le sue vittime, poiché non riescono, o non vogliono, a resistere alla pressione pubblica mondiale dell'antisemitismo visto come forma di proiezione del superamento della crisi? sembra essere stato soprattutto il presidente francese Macron ad aver ceduto alle pressioni post-coloniali dell'opinione pubblica francese, quando ha riconosciuto la Palestina. Forse l'ignoranza su Hamas ha a che fare con il fatto che Israele viene ancora ritenuto responsabile, mentre che Hamas sembra invece essere al di là del bene e del male. In ultima analisi, il focus delle critiche e le delle richieste che vengono fatte a Israele, contribuiscono a legittimare Hamas e a delegittimare Israele. In fin dei conti, la strategia di Hamas funziona. Nel bel mezzo di un tempesta di indignazione antisemita, ottiene indirettamente ragione.  Il suo terrorismo ha pagato, quantomeno sui media, ed è stato premiato. Nell'opinione pubblica, la sua propaganda è stata ben accolta, così come sono state ignorate le sue strategie barbariche.

E alla fine: annientamento del mondo e autodistruzione di Israele?
Robert Kurz, nel suo libro "Weltordnungskrieg" (La guerra d’ordinamento mondiale) - pubblicato per la prima volta nel 2003 -  ha chiarito che «In un clima mondiale di concorrenza finalizzata al reciproco annichilimento, e di minaccia permanente all'esistenza sociale e, simultaneamente, di quella che è una precaria ricchezza monetaria speculativa - che può svanire in qualsiasi momento - quella che fiorisce è una diffusa volontà di annientamento, la quale agisce al di là di tutte le “situazioni di rischio” esterne, ed è altrettanto astratta e vuota di contenuto quanto lo è la forma sociale che costituisce la base del processo di valorizzazione del capitale.» [*17]. Tuttavia, un tale processo di crisi si trascina ormai da quasi 25 anni. La crisi del processo di valorizzazione del capitale, si aggrava nel contesto di tutti le cosiddette crisi multiple. Il motore dell'accumulazione gira a vuoto, dal momento che il Lavoro, visto come Il suo "carburante", si sta esaurendo sempre più. In tal modo, il vuoto metafisico del processo di valorizzazione diventa storicamente tangibile. Ma pur nel suo vuoto, il processo di valorizzazione del capitale continua a essere soggetto alla compulsione di continuare a proporsi nel mondo reale sensibile. Questa contraddizione non può essere risolta; a meno che non si arrivi a un sorpasso emancipatorio del capitalismo, dove questa contraddizione diverrebbe obsoleta. Ma se continua così, il mondo sensibile rischia di essere trascinato nel vortice dell'annientamento. Non è certo un caso che, nei processi di crisi attualmente aggravati e moltiplicati, sono presenti anche diversi temi legati alla morte: a partire dalla morte eroica, sostenuta dal disponibilità a dare la vita per la libertà e per la democrazia, passando per gli attentati suicidi glorificati come martirio, e fino alla delegittimazione dell'esistenza umana, così come avviene nelle discussioni malthusiane sulla politica demografica e sulla delegittimazione fondamentale della vita umana nell'anti-natalismo. La morte non viene limitata solo alle discussioni, ma la vediamo svolgersi realmente in mezzo alle crisi, e viene indirizzata principalmente contro i "Superflui", nel disperato tentativo di gestire la crisi del capitalismo e mantenere simultaneamente in vita il suo vorace cadavere, anche dopo morto. L'allucinazione antisemita, in quanto modo proiettivo di superare le crisi, ha accompagnato il capitalismo in tutte le sue crisi, fino allo sterminio degli ebrei nel nazismo. La crisi attuale, la quale ora si sta aggravando drammaticamente, si accompagna anche a un'allucinazione antisemita diretta contro tutti gli ebrei e, non meno importante, contro Israele in quanto Stato. Questo Stato venne creato per proteggere, a lungo termine,  gli ebrei dall'antisemitismo e dallo sterminio. Si tratta di un vero e proprio progetto per salvare gli ebrei, ma non sta al di sopra delle relazioni capitalistiche, essendo parte di esse ed essendo coinvolto nelle dinamiche della crisi capitalistica e nel suo potenziale di sterminio. In un simile contesto, la difesa di Israele, vista come progetto di salvezza degli ebrei, somiglia in qualche modo al tentativo di salvare il mondo e la vita delle persone dall'essere consegnati al vuoto del nulla. Allo stesso tempo la politica fondamentalista e di estrema destra di Israele rivela le potenzialità che spingono Israele verso l'autodistruzione. Se ciò dovesse accadere, l'autodistruzione di Israele verrebbe così a essere un'espressione dell'autodistruzione del mondo nel capitalismo; promossa a partire da un'allucinazione antisemita, che sogna la distruzione di Israele vedendola come la salvezza del mondo.

- Herbert Böttcher - Pubblicato il 2/9/2025 - fonte: EXIT!

NOTE:

[1] Benjamin Graumann, Die Juden sind allein in Europa [Gli ebrei sono soli in Europa], in: FAZ del 18.8.25, https://www.faz.net/aktuell/politik/inland/antisemitismus-in-europa-juden-fuehlen-sich-bedroht-110642849.html.

[2] Cfr. Udo Wolter, Moralischer Maximalismus [Massimo morale], in: Jungle World 26/2025, https://jungle.world/artikel/2025/29/kritik-des-antisemitismus-israel-solidaritaet-moralischer-maximalismus.

[3] Kölner Stadt-Anzeiger de 6.8.25.

[4] Cfr. Kölner Stadt-Anzeiger de 9.8.25.

[5] Kölner Stadt-Anzeiger de 15.8.25.

[6] Cfr. Herbert per maggiori dettagli Böttcher, Projektiver Antisemitismus, «rohe Bürgerlichkeit» und gesellschaftlicher Wahn [Antisemitismo proiettivo, "borghesia bruta" e allucinazione sociale], in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, n. 22, Primavera 2025, 50-85.

[7] Udo Wolter, vedi nota 2.

[8] Cfr. Contantin Wißmann, Tragödie und Farce, in: Publik-Forum n. 15/2025.

martedì 16 settembre 2025

Un po' di sano "benealtrismo" !!?!!! Massì, facciamolo

Nel cuore del Mediterraneo orientale, c'è una terra divisa da più di quarant'anni, dove un popolo è stato scacciato dalle proprie case, i villaggi svuotati, le chiese ridotte a stalle, il patrimonio culturale distrutto o trasformato in resort low-cost.
No, tranquilli, non stiamo parlando della Giudea o della Samaria. Ma, piuttosto, di Cipro, la terra dimenticata d’Europa, laddove l’occupazione è così talmente stabile oramai, che l’ONU ci ha costruito sopra il suo campo estivo. Nel 1974  – in una mossa piena di amore fraterno e di precisione militare – in risposta a un colpo di Stato sostenuto dalla giunta greca, la Turchia invase il nord dell’isola. È da allora, che il 37% del territorio cipriota si trova inesorabilmente sotto occupazione turca, e da allora sono stati sfollati più di 200.000 greco-ciprioti. Solo che ai tempi, non c’era alcuna telecamera di Al Jazeera, e così è come se la cosa non fosse davvero avvenuta. Fatto sta che, i greco-ciprioti, purtroppo per loro, non sono come i palestinesi...
Eppure, se Israele avesse fatto una cosa simile, sarebbe stato come se avesse occupato una fetta di Stato sovrano europeo, deportato la popolazione locale, e riempito la zona con dei coloni portati dal continente.
Pertanto, si sarebbe allora dovuto parlare di "apartheid", di "pulizia etnica", di "genocidio culturale". Ma invece, chissà perché, con Ankara, il massimo ottenuto, è stata una dichiarazione preoccupata da parte dell’Unione Europea, seguita poi, però, solo da una stretta di mano e un accordo sui migranti!
Visto che, a conti fatti, l’Europa, sì, è un po' preoccupata… ma certo non fino al punto di far saltare il patto che riesce a tenere i Siriani fuori da Vienna!
La Repubblica Turca di Cipro Nord, è l’unico Stato al mondo che neppure Google Maps prende sul serio!
Oh, certo, c'è anche un’entità statale - la Repubblica Turca di Cipro del Nord - riconosciuta però solo dalla Turchia, e da qualche appassionato di geopolitica alternativa.
Una specie di Disneyland ottomana, dove le regole internazionali sono assai facoltative, i monasteri bizantini diventano moschee (o casinò) e i giornalisti stranieri sono accompagnati gentilmente alla porta; con volo diretto per Istanbul.
Nessun embargo, nessuna risoluzione ONU! Le truppe turche ci sono lì da 50 anni, e ci rimangono in forze, ma gli è che a quanto pare, loro non sono “occupanti”, ma sono solo, come dire, affezionate al paesaggio.
Fatevi una domanda; ma così, solo per gioco: se domani - per esempio eh -  Israele mandasse 40.000 soldati a occupare Ramallah, progettando di rimanerci per i prossimi cinquant’anni, e ci piantasse sopra delle colonie, con tanto di bandiere e di supermercati kosher, quale pensate che sarebbe la reazione internazionale? Ma a Cipro, invece, la NATO si limita solo, durante le esercitazioni congiunte, a farsi i selfie, nel mentre che l’UE continua ad aprire nuovi fondi per “l’integrazione” del nord; e in questo scenario, gli attivisti per i diritti umani sembra che abbiano smarrito la loro bussola (o magari l’hanno messa in vendita su eBay per vedere se riescono a finanziare un altro documentario sul colonialismo israeliano.    
Va detto che, in questa situazione, i greco-ciprioti non tirano razzi, non scavano tunnel e non gridano slogan in TV.
Al massimo scrivono delle lettere indignate a Bruxelles, che poi vanno a finire nel cassetto “varie ed eventuali”. Forse dovrebbero imparare a gridare “libertà” in inglese o in arabo, e costruire qualche ONG grazie ai fondi del Qatar.
Magari, forse, allora li ascolterebbero. In fondo, la lezione è assai chiara: le occupazioni non sono tutte uguali. Anche fra di esse, ce n'è qualcuna che è più uguale delle altre.
Alcune riescono a indignare, mentre altre le si tollerano, e certe, come quella turca a Cipro, vengono perfino dimenticate.
Ma si sa, la morale internazionale è un po’ come le connessioni Wi-Fi in una tenda dell’ONU: c’è, ma va a intermittenza!

lunedì 15 settembre 2025

La Speranza !!

«Chi non ha visto la strada all’alba tra due file di alberi, tutta fresca, tutta viva, non sa cosa sia la speranza. La speranza è una determinazione eroica dell’anima, e la sua forma più alta è la disperazione sormontata. Si pensa sia facile sperare. Ma spera solo chi ha avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle bugie in cui ha trovato una sicurezza che erroneamente prende per speranza. La speranza è un rischio da correre, anzi è il rischio di tutti i rischi. La speranza è la vittoria più grande e più difficile che un uomo possa ottenere sulla sua anima... La speranza può essere raggiunta solo attraverso la verità, a costo di grandi sforzi. Per incontrare la speranza, bisogna essere andati oltre la disperazione. Quando si va al termine della notte, si incontra un’altra alba.»

- GEORGES BERNANOS, "Conférence aux étudiants brésiliens", Rio de Janeiro -

«La postura decoloniale non è forse il culmine di un’alienazione che non vuole morire? Rifiutare di rompere con il paradigma del padrone e dello schiavo non significa forse perpetuarne la logica? Come uscirne, se non rivendicando “a qualunque costo” – ed Elgas usa questa espressione deliberatamente – la possibilità di essere liberi? Essendo sé stessi e l’altro, particolare e universale, in un unico movimento? Rifiutando il rifugio di incerte consolazioni per essere pienamente nel mondo senza negare i tempi e i luoghi da cui proveniamo? “O mio corpo, fai sempre di me un uomo che si interroga!”, scrive Fanon alla fine del suo capolavoro "Pelle nera, maschere bianche". A leggere il suo "I buoni risentimenti", appare chiaro che Elgas ha imparato la lezione.»

- Dalla Prefazione di Sophie Bessis a: Elgas* "I Buoni Risentimenti. Saggio sul Disagio Postcoloniale", Traduzione dal francese di Lorenzo Alunni. Edizioni E/O 2023 -

* El Hadj Souleymane Gassama, noto come Elgas, è giornalista, scrittore e dottore in sociologia. Nato a Saint-Louis, è cresciuto a Ziguinchor, in Senegal, e vive da oltre quindici anni in Francia. Le sue ricerche si concentrano in particolare sulle questioni di identità, demografia e democrazia nel continente africano e sulle sue relazioni con la Francia.

domenica 14 settembre 2025

IO LI ODIO I "NAZISTI dell'ILLINOIS" ?!!??? (foto I.A.)

Credo che questa domanda ce la dovremmo porre tutti!

Oggi, il mondo sembra somigliare un po' troppo da vicino a quelli che furono i primi momenti a partire dal 12 dicembre 1969 (minchia, se ne è passato di tempo!), quando allora, che le bombe le mettevano gli anarchici, si doveva, vittime di un PCI che contribuiva a "creare il mostro", cercare di trovare il modo - sganciandosi da un Valpreda che li per li apparve essere troppo compromesso e in odore di provocazione - di salvare capra e cavoli.
«Un compagno non può averlo fatto!»; così cantò la prima canzone di risposta (si sarebbe dovuto aspettare, di li a poco, "La strage di stato", per riuscire a dire qualcosa di sensato da usare contro la marea...) Figuriamoci che per affermare che no, che anche i "compagni" possono fare cose terribili, abbiamo dovuto aspettare la voce sensata di Oreste Scalzone a ricordarci, in epoca facebook, che anche i compagni "sbagliano" (qui la faccina, se è il caso, mettetecela voi, ché il mio senso dell'umorismo è terribile!) e fanno cazzate. Oggi, invece,abbiamo a che fare con un altro "pilastro" novecentesco. Quello dell'odio. Trascorsi gli anni di Sanguineti (Edoardo, quello con una "t" sola, beninteso) e del "diritto all'odio" - che ci veniva ricordato persino sulle magliette di Derive Approdi (ne conservo anch'io una, e ogni tanto la indosso, per andare a dormire!) - oggi ci viene ripetuto da ogni dove che no, che "odiare" (il concetto viene espresso anche e soprattutto in inglese) non è cosa buona da praticare, in alcun modo. Sembra che su questo siano tutti d'accordo ormai, quasi una sorta di campagna antifumo, ma per il benessere del fegato! Piuttosto che dei polmoni…
Per poter sostenere la loro tesi, secondo cui Tyler Robinson non può essere un compagno (su Mangione - nella foto con Tyler fatta dalla A.I. hanno preferito calare il silenzio, per mancanza di argomenti e per manifesta coda di paglia, come a suo tempo hanno fatto in Italia per Cospito) arrivano così a propinarci persino brutte vignette fatte in proprio - come se fossero documenti storici accademici - per dimostrare la loro tesi, arrivando ad asserire che in una famiglia di destra nascono e crescono necessariamente tutti di destra, fino alla morte. Dimentichi, come sono, che questa cosa, mentre vale manifestatamente per personaggi come Di Battista, è stata, e viene continuamente, smentita dalla verità della Storia, laddove non è affatto raro che si diventi "compagni" proprio per reazione all'avere una famiglia fascista; anche perché di compagneria figlia di operai ne conosco ben pochi, e la cosa la dico in un consapevole empito di "individualismo metodologico", e da figlio di operaio! Insomma, la chiudo qui, vi sto dicendo che, contrariamente a quanto dicono Veltroni & Gad Lerner, quello che ha sparato "senza sbagliare", uccidendolo, su un "fascista dell'Illinois" (scommetto che il film è piaciuto a tutti, haters e non!!), ha fatto ciò che la sua coscienza gli ha suggerito, e che fareste bene a guardare ai precedenti, in tal senso. Volendo, potete pensare anche a voi stessi, e a tutte le volte che, per convenienza o altro, avete inghiottito l'ingiustizia - la frase sbagliata detta da qualcuno sul treno, al bar, sul posto di lavoro,dovunque - e ve ne siete stati zitti. Niente di più, niente di meno.