lunedì 9 giugno 2014

Superflui

superflui

Paradossi dei diritti umani
di Robert Kurz

Intrappolate nella visione del mercato, che riconosce l'essere umano solo come un'astrazione sociale, le organizzazioni di difesa e protezione delle vittime sono destinate al fallimento.

Da sempre, sono esistite idee nel cui nome gli eserciti si sono messi in marcia, gli esseri umani sono morti, i paesi devastati e le città distrutte. L'ultima potenza mondiale e i suoi vassalli non fanno eccezione: insieme alle portaerei, i carri armati e gli elicotteri da combattimento dell'esercito di invasione in Iraq, è stata nuovamente mobilizzata l'idea dei diritti umani in modo da poter presentare al mondo un documento di legittimazione. Ma quel che è degno di nota è il fatto che i critici di un tale processo si richiamino alle stesse idee. Le milioni di persone che, in tutto il mondo, hanno protestato contro i piani di guerra non parlano un linguaggio ideologico differente da quello del governo nordamericano. Quando si tratta di principi, Noam Chomsky afferma le stesse cose di George Bush. E' nel nome dei diritti umani che avviene il diluvio di bombe; è in nome dei diritti umani che si assistono e si consolano le vittime. Solitamente i critici dicono che la realtà non concorda con le idee. Se c'è un diritto umano alla vita e all'integrità fisica, come possiamo allora accettare che gli interventi militari occidentali uccidano più persone innocenti di quanto facciano le attività dei dittatori e dei terroristi?
Gli Stati Uniti - è quel che si dice - utilizzano i diritti umani solo come pretesto per gli interessi del tutto profani del potere e dell'economia; a loro non interessa la situazione giuridica della popolazione, ma solamente il petrolio. E per esso - così continuano le argomentazioni - esistono due pesi e due misure: nel mondo, dove chi è al potere si fa notare per il suo buon comportamento, lasciando per esempio che i bombardieri nordamericani facciano base nel loro territorio (come in Turchia, probabilmente, o in Arabia Saudita), l'autonominatisi polizia mondiale occidentale non ha nulla da obiettare contro il saccheggio, la persecuzione e la mattanza di interi gruppi della popolazione, o contro la condizione dittatoriale. Nessuno di questi argomenti è falso in assoluto, per quel che concerne i fatti. Il problema sta nell'interpretazione di tali fatti. Si tratta solo di un'incoerenza del potere imperiale occidentale, che calpesta i suoi propri principi? In questo caso si potrebbe in qualche modo rivendicare questi principi, almeno secondo la loro natura, e il potere puro non avrebbe alcuna legittimazione? Oppure le cose si verificano in modo diverso, e gli interventi per niente umanitari corrispondono del tutto, e realmente, alla logica dei diritti umani? In tal caso l'errore sarebbe dei critici, i quali ignorano l'essenza di questi principi. A prima vista, quest'idea sembra assurda. Il contenuto dei diritti umani non consiste forse nel riconoscimento universale di tutti gli individui, in modo uguale, senza nessuna differenza? Allora come può essere compatibile con i diritti umani, la mancanza di rispetto per la vita di tanti individui? Chi così argomenta, dimentica che il processo, del tutto normale e quotidiano, della socializzazione globale per mezzo dei mercati implica un non-riconoscimento permanente di innumerevoli vite umane. Quando i bombardieri "high-tech" degli Stati Uniti sganciano il loro carico fatale sui giusti e sugli ingiusti, eseguono in modo attivo e violento la stessa logica che si svolge, con un'estensione assai maggiore, passiva e silenziosa, per mezzo del processo economico. Anno dopo anno, milioni di persone (bambini inclusi) muoiono di fame e di malattie per la semplice ragioni che non sono solvibili.
E' vero che l'universalismo occidentale suggerisce il pieno riconoscimento di tutti gli individui, in egual misura, in quanto "esseri umani in generale", dotati dei famosi "diritti inalienabili". Però, allo stesso tempo, è il mercato universale quello che costituisce il fondamento di tutti i diritti, inclusi i diritti umani elementari. La guerra per l'ordine del mondo, che uccide le persone, viene portata avanti a favore della libertà dei mercati, che ammazza ugualmente le persone e, insieme ad essa, anche a favore dei diritti umani, in quanto questi non sono immaginabili senza la forma del Mercato. Dobbiamo affrontare una relazione paradossale: il riconoscimento per mezzo del non-riconoscimento, o, al contrario, il non-riconoscimento per mezzo del riconoscimento. L'apparente contraddizione si dissolve quando chiediamo la definizione di essere umano che sta dietro ad un tale paradosso. La prima formula di questa definizione recita: "L'essere umano" è in linea di principio un essere solvente. Il che ovviamente significa, di conseguenza, che un individuo del tutto insolvente non è un essere umano. Un essere è tanto più somigliante all'uomo quanto più è solvente, ed è tanto più inumano quanto meno soddisfa a tale criterio. Se nel suo testamento, un milionario eccentrico lascia la sua fortuna al suo cane, secondo questa logica l'animale cosìm arricchito è un essere umano di maggior grado rispetto al bambino di una baraccopoli. Tuttavia, la solvibilità in questo esempio costituisce solo una caratteristica esteriore contingente. Ma se intendiamo la definizione di essere umano come relazione sociale, che naturalmente un animale non può intrattenere, allora la caratteristica della solvibilità indica che si tratta di un soggetto del sistema produttore di merci. Solo un essere che guadagna denaro può essere un soggetto del diritto. La capacità di entrare in una relazione giuridica è legata, pertanto, alla capacità di partecipare in qualche modo al processo di valorizzazione del capitale.
Secondo tale definizione, l'essere umano dev'essere capace di lavorare, necessita di vendere sé stesso, o di vendere qualche cosa (in caso di necessità, gli organi del proprio corpo), la sua esistenza deve soddisfare il criterio di redditività. Questo è il presupposto tacito del diritto moderno in generale, quindi anche dei diritti umani. In principio, questo diritto venne chiamato "diritto naturale". In particolare, i filosofi dell'Illuminismo occidentale vedevano gli individui come se uscissero direttamente dal corpo materno sotto la forma "naturale" di soggetto del diritto. Tuttavia, questa forma è puramente sociale, così poco naturale quanto un contratto di affitto o il progetto di un missile intercontinentale. C'era solo una ragione ideologica per parlare qui di "naturalezza": le forme sociali del moderno sistema produttore di merci, del "lavoro" astratto, della razionalità d'impresa e del mercato totale erano considerate come le forme "naturali" della convivenza umana. L'essere umano - così si afferma a tutt'oggi - si socializza per mezzo delle merci, del denaro e del mercato secondo "leggi naturali", esattamente come il castoro costruisce dighe e come l'ape raccoglie il nettare per l'alveare. E, come il mercato presuppone che gli esseri umani concludano contratti giuridici per tutti i loro processi vitali, la supposta naturalezza del capitale e del mercato aveva la necessità di includere anche una supposta naturalezza dell'essere umano come soggetto del diritto. I diritti umani dovevano essere solo la garanzia elementare di questa forma sociale: il riconoscimento universale dell'"uomo" esclusivamente secondo questa definizione. Tuttavia, dal momento che l'essere umano reale, l'individuo vivo, non nasce in nessuno modo conforme ad un automatismo biologico, come soggetto della valorizzazione e del diritto, si apre un divario sistematico tra l'esistenza reale degli individui e questa forma sociale. In un certo modo, questo divario non è solo un divario "ontogenetico", attinente agli uomini come individui, ma anche "filogenetica", legata allo sviluppo storico della società. Quindi, la costituzione del capitalismo e della forma giuridica universale corrispondente fu così poco naturale che solamente nel corso della modernità questo sistema sorse, e si impose contro la vigorosa resistenza dell'essere umano. Originariamente, il "lavoro" astratto non era un "diritto" per cui tutti gli uomini sospiravano, ma un rapporto coercitivo, imposto con la violenza da parte di chi stava sopra nei confronti di chi stava in basso, al fine di trasformare gli esseri umano in "macchine per fare soldi". Si può così osservare, nella forma giuridica moderna, un doppio intreccio paradossale del "riconoscimento" e del "non-riconoscimento". Il diritto implica, nella sua essenza, una relazione di inclusione e di esclusione. Di universale c'è solo la pretesa al dominio assoluto di questa forma. Come è già stato mostrato dalla caratteristica esteriore della solvibilità, si tratta del dominio di un'astrazione sociale, incarnata nella forma del denaro e, di conseguenza, del diritto. Però questa forma astrae l'esistenza fisica, i bisogni corporali, sociali e culturali dell'essere umano, riducendolo ad un mero esser-ci, in qualità di unità di dispendio di energia per il fine in sé della valorizzazione monetaria. L'"essere umano in generale" cui si riferiscono i diritti umani è un essere meramente astratto, cioè, l'essere umano in quanto portatore, e allo stesso tempo schiavo, dell'astrazione sociale dominante. E solo come tale essere umano astratto, viene universalmente riconosciuto. Tuttavia, questo significa che tale riconoscimento include un non-riconoscimento: i bisogni materiali, sociali e culturali sono esclusi dal riconoscimento fondamentale. L'uomo dei diritti umani viene riconosciuto solo come un essere ridotto all'astrazione sociale; pertanto, viene ridotto, secondo l'espressione del filosofo italiano del diritto, Giorgio Agamben, ad una vita "nuda e cruda", definita puramente da un fine esterno ad essa.
Il famoso "riconoscimento" in realtà è una pretesa totalitaria nei confronti della vita degli individui, i quali sono forzati a sacrificare apertamente la loro vita per il fine, tanto banale quanto realmente metafisico, della valorizzazione infinita del denaro attraverso il "lavoro". Solo secondariamente, per una rimanenza di vita che serve a dire il vero solo alla rigenerazione a favore del fine totalitario, sono autorizzati a qualificare la propria vita reale. La soddisfazione delle loro necessità è solo un prodotto residuale di quell'automovimento metafisico del denaro cui sono sottomessi, per mezzo del loro riconoscimento in quanto soggetti astratti del diritto. Tale riconoscimento paradossale (dell'essere umano astratto) fatto attraverso il non-riconoscimento (dell'essere umano vivo e sociale) ottiene la sua straordinaria forza di persuasione dal fatto che le cose potrebbero andare peggio. Per cui, il non-riconoscimento relativo contenuto in questo riconoscimento meramente astratto potrebbe convertirsi, in qualsiasi momento, in un non-riconoscimento assoluto, cioè: quando gli esseri umano vengono rimossi dal movimento totalitario del fine capitalista in sé, cioè, quando non possono più essere soggetti di quel fine. In tal caso, perdono anche la "capacità di essere riconosciuti" come essere umani meramente astratti, cessando di essere, secondo quella definizione, essere umani in generale: sotto questo aspetto, valgono "oggettivamente" come un frammento di materia, come meri oggetti naturali, come pietre, code di cavallo o mosche della patata. Il marchese de Sade fu il primo ad annunciare, nel XVIII secolo, una tale conseguenza, con tutta la sua cinica arguzia. Sotto tale minaccia, la possibilità di essere riconosciuti solo come essere umano astratto, ridotto, si trasforma nella discutibile fortuna di possedere per lo meno, sotto questa forma, negativa e fantasmagorica, vigore sociale ed una certa somiglianza con l'uomo. Sebene il riconoscimento sia meramente negativo e presupponga una sottomissione, nemmeno i "caduti" sfuggono alla pretesa totalitaria del sistema. La sottomissione degli uomini alla forma astratta viene nobilitata nel "diritto umano" perché questa sottomissione viene considerato un vantaggio in confronto a quelli che, anche se non sono più sottomessi, hanno smesso del tutto di essere uomini.
Una volta apertosi questo divario sistematico tra la pura esistenza degli esseri umani ed il "diritto a sottomettersi", gli individui non sono per natura "uomini", in questo senso, possono solo trasformarsi in esseri umani, così definiti in quanto soggetti del diritto mediante un selettivo "processo di riconoscimento". Il procedimento di selezione può essere "oggettivo" (secondo le leggi della valorizzazione e della situazione del mercato) o può essere effettuato soggettivamente (secondo la definizione ideologica o politica di "amico" e di "nemico"). Secondo questo procedimento, l'esistenza reale degli individui può essere rigettata, rifiutata come una merce non riconosciuta dal mercato che viene considerata "superflua". E, se necessario, i missili, come "ultima ratio", le bombe atomiche porranno fine al "processo di riconoscimento", al fine di ridurre gli individui che non sono più suscettibili di riconoscimento, alla categoria della materia fisica.
Per questo motivo, la promessa dei diritti umani è da sempre una minaccia: se non si possono soddisfare le condizioni tacite che definiscono, nella modernità, l'"essere umano", allora deve venir meno il riconoscimento. Tuttavia, per la maggioranza delle persone, attualmente queste condizioni tacite non sono più realizzabili, sebbene si sforzino fino ad arrivare all'auto-rinuncia, che consiste nell'accettare la sottomissione alla forma astratta del denaro e del diritto. La fine della loro esistenza, come "danni collaterali" del mercato mondiale o dell'intervento della polizia mondiale, è prevedibile.
Quest'amara constatazione non vuole testimoniare contro i motivi dei molti individui ed organizzazioni che difendono le vittime in nome dei diritti umani, e che spesso mostrano coraggio di fronte alle forze dominanti. Ma questi sforzi somigliano al lavoro di Sisifo, se non si arriva a superare la forma paradossale e negativa della società mondiale, la quale ha il potere di dare una definizione di quelli che in modo generale sono "esseri umani" e, di conseguenza, di definire i diritti umani.

- Robert Kurz - Marzo 2003 -

fonte: Pimienta Negra. Critica Radical de la Cultura

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