lunedì 23 ottobre 2006

...fra sorrisi, canzoni e lacrime



"La morte verrà all'improvviso...."
...E chi ci pensava alla morte, in quel 1967, dove tutto aveva ancora da succedere? Curiosamente, la ricordo ancora la Siracusa di quell'anno. Stranamente nebbiosa. Quasi a volerci far giocare un ruolo che non era propriamente nostro. Era cominciato bene, quell'inverno. Ci dispensava sogni da "rive gauche"; sogni che avevano ancora da essere sognati. Ci si preparava a "tempi interessanti"!
"Tutti morimmo a stento......."
...e invece, curiosamente, diversamente da quella canzone che faceva tremare le vene dei polsi, quell'anno cominciammo a vivere; sul serio. Prima lentamente, quasi con sussiego. Ci aggiravamo per la città vecchia con fare da cospiratori. La notte cominciammo a fare qualche scritta sui muri antichi di qualche edificio. Giravano libri, quasi di contrabbando; e dischi! Fra i dischi c'erano anche quelli (finora due vinili) con lo stesso cerchio, di colore diverso, da dentro il quale ci guardava quella faccia. Canzoni da cantare di notte, sulle scalinate di un tempio di Athena travestito da duomo, o sui moli di un porto. Fra basi americane, da buttare a mare, e vie dione e nizza che somigliavano pericolosamente a via del campo, fra vestiti di Rossini non ancora indossati e inverni, con campanili che non sembrano veri, non ancora visti. Timorosi, ancora, di giocarci il nostro destino, promuovevamo i primi scioperi per banalità "concrete", quali orari ed aule e banchi! Solo i picchetti erano abbastanza duri da far trasparire la rabbia. Ma ci volevano le lacrime, per ripulirci gli occhi e farci guardare con chiarezza a quel che eravamo! Arrivarono in un due di dicembre, dove il sole, stranamente caldo per quel mese, sembrava quasi un oltraggio. Arrivarono quando qualcuno cominciò a morire, sotto i nostri occhi. Una morte molto più vicina di quella avvenuta, appena un anno prima, e di cui non avevamo potuto, allora, valutarne la portata. Quello era un mito, e i miti non muoiono mai. Questi invece erano "sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi". Ed erano morti, fucilati in una brutta piazza! Il vinile era arrivato, come uno sparo, quasi. Con quei morti impiccati, appesi ad un albero. Davano qualcosa in televisione, di quei tempi: storie dell'anno mille, con Bene e Parenti. Tratto da un romanzo di Malerba. Geniale! Cominciava con una battaglia e tre sopravvissuti che si mettevano in marcia, per sfuggire alla morte ed arrivavano, ad un certo punto ad un albero, da cui pendevano decine di impiccati. Un sugello visivo per una canzone che colpiva come una coltellata, fra costola e costola. Da allora in poi fu quello, almeno per me, la diapositiva che vedevo quando pensavo che stavamo per morire. Tutti, a stento! Ma non si viveva a stento, in quell'anno. Tutt'altro. "Giorno e notte convinti di far cose importanti", ci stavamo ritagliando e cucendo addosso quei vestiti che alcuni di noi avrebbero continuato a indossare, anche quando sarebbero finiti irrimediabilmente fuori moda.
"...sorella morte lasciami il tempo..."
Ne avevamo di tempo, a quei tempi! Ma non lo sapevamo. Qualcuno, di lì a tre anni, avrebbe parlato perfino di "tempo per la galera"! Ma il nostro tempo di allora ci serviva tutto; ne avevamo un disperato bisogno. Dovevamo parlare, agire, sognare, bere, fumare, camminare, correre, amare, sperare. Dovevamo vivere. Imparare a farlo. Fabbricare la nostra conoscenza di "quella semplicità che era difficile a farsi", misurarla su quelli che erano diversi da noi, per quanto fossero uguali a quello da cui molti di noi provenivano. Studenti.......e operai. Senza niente da mediare per potersi riconoscere. Parte del nostro liceo lo svolgemmo fra la montedison, di giorno, di mattina presto, e i bar di Neapolis, di notte, a consumare birra e conoscenza. Violenza, anche. Ricordo ancora, con estrema chiarezza, quelle facce da ultimi, mentre scendevano da un automobile, in piazza Archimede. Reclutati altrove, in qualche altro angiporto, di una qualche città non troppo distante, che venivano a "darci una lezione" (imparammo anche quella, come avremmo imparato tutte le lezioni successive; ma a modo nostro!). Li ricordo mentre tiravano fuori i loro arnesi, mentre non facevano a tempo, a tirarli fuori, subito affrontati e rimessi in macchina dai "nostri" ultimi. Angeli custodi (caduti) che ci guardavano con dolcezza. E qualcuno di loro, magari si sarà anche impiccato in cella, per la sua "Marì". Ma quella sera erano "con" noi. E Fabrizio De André cantava in sottofondo, ridendosela sotto i baffi!
"...ben più della morte che oggi ti vuole..."
........si pensava alla vita che ci aspettava altrove. Isolano di un'isola lontana, che aveva cominciato da tempo a starmi stretta; anche se amavo rimanere al di là del ponte che "separava" l'isola, in cui Archia aveva ravvisato il profilo di un'anatra, dal resto della Sicilia. Mi preparavo ad andar via, lontano. Preparativi lunghi un anno. Conclusisi anch'essi con la "mia" buona novella! Niente avviene per caso. Lasciavo il liceo, con un voto non troppo alto, ricevuto nonostante (o grazie ad un) cinque in condotta - dopo aver subito il mio primo processo - per aver diffuso, durante gli orari delle lezioni, un giornale contenente un volantino con la faccia di un Cristo, recante la scritta "wanted", contestualmente ad una serie di reati di cui il nazareno si sarebbe macchiato. Posso dire a mia "discolpa", come dichiarai al tempo, di essere stato assolutamente estraneo a qualsiasi forma di "cristianesimo", fermo restando tutto il mio rispetto per le posizioni espresse in quel volantino; e per quelle espresse ne "la buona novella"! Comunque ne ero fuori, e alla stazione mi aspettava quel famoso "treno arruginito" che non mi avrebbe più riportato indietro, con la "aggravante" di avere qualche "indirizzo in tasca". Ma erano indirizzi che portavano verso "cattive strade". Le migliori cattive strade!
"....mi cercarono l'anima a forza di botte...."
il primo disco "fiorentino" di fabrizio, in una firenze ancora a me quasi sconosciuta. Cominciai a conoscerla piano Firenze, protetto dalla mia diffidenza. Il colore dei miei occhi era sbagliato, ma le persone erano quelle giuste. Non misi molto tempo in mezzo, anzi punto (la rincorsa era stata presa), e mi trovai ben presto dove volevo essere. Fra piazza Indipendenza e l'assalto di un manipolo di fascisti alla casa dello studente, prospiciente la locale sede del "movimento sociale", forse stuzzicati da una selva di canzoni che li "salutava" dal nostro ultimo piano (dovevano essere canzoni non troppo a loro gradite, temo); e via Cavour e l'occupazione della banca dove evitavano accuratamente di pagarci i pre-salari. Banca da cui era venuto, in forza, a cacciarci via, nientedimeno che il servizio d'ordine della "Galileo" di Firenze, tanto per ricordarci chi comandava in quella città! No. Non erano venuti in pace! Ma eravamo giovani, e destinati a rimanerlo, e, quella volta, qualcosa imparammo. Avremmo avuto tempo di metterlo in atto, quel che imparammo!
"....proprio nel giorno in cui la decisione è mia sulla condanna a morte o l'amnistia."
mai l'avremmo sperato (non dico "aspettato") un disco come storia di un impiegato! Abituato com'ero a guardare a De André con quel rispetto misto ad ammirazione che fa sì che tu possa anche accettare il silenzio su certi argomenti; e goderne quasi. Abituati a non dover pretendere, quasi fosse un rapporto di amore, nessun riconoscimento o adesione, quel disco ci travolse come un grido, cui finalmente ci si poteva unire. Alzando i pugni contro il cielo! Non fu affatto un caso che, in quello stesso anno, qualcuno, stanco di respirare l'aria dei secondini, salisse sui tetti delle murate; riuscendo a far scendere in strada, i pugni stretti per la rabbia, un intero quartiere. Santa Croce brucia! E, come cantava il mio amico David insieme alla sorella Chiara (per le strade di Firenze, però, fra Borgo Allegri e via dell'Agnolo; e non da un palco), ....." e non si respira più....non si respira più....muore Giancarlo Del Padrone!". Fino a tal punto, non gli andava più di respirare la stessa aria di un secondino, a lui e molti altri. Compresi quelli rinchiusi fuori dal carcere. Ma, ancora una volta, era stata loro, la decisione sulla condanna a morte, o sull'amnistia!
"....la sua morte sarà molto romantica........."
forse qui sarebbe stata più adatta una canzone di Brassens, ma io non amo molto Brassens! Se devo scegliere un "francese", scelgo Brel, e il suo corpo che urlava. Lo scelgo col cuore. Se devo scegliere col cervello, allora scelgo Ferré, e la sua amarezza e l'odio e la rabbia. Ma se devo pensare al 1974, allora penso che nessuno muore per delle idee. Si può morire per delle persone, tutt'al più! Penso a Luca, in macchina, in piazza Alberti, che aspetta fuori della banca. Penso alla rapida marcia indietro, quando vede Sergio e Pasquale fatti segno ad una gragnuola di colpi, all'uscita da quella maledetta banca, coi pochi soldi dentro in un sacco della nettezza. Pochi soldi per un sogno! Un sogno finito, anche questo, in una brutta piazza di periferia, con una pallottola in testa. Un sogno finito per amore. Per amicizia. "Non ci torno in galera. Ci sono stato e non ci torno!", ripeteva spesso. Forse anche lui non voleva più respirare la stessa aria di un secondino! Adesso dorme su una collina, a Settignano. Dorme insieme ad Annamaria, sua sorella. Ogni tanto vado a trovarli.
"È colpa di chi muore comunque è meglio che io vada"
E sicuramente era stata "colpa" loro! Ci avevano lasciato, in mezzo alla strada cattiva, con un groppo in gola e con gli occhi velati. Veniva quasi voglia di chiuderli, quegli occhi. Per il poco che riuscivano a vedere, non valeva continuare a tenerli aperti! E invece, come avviene sempre in questi casi, ingoiammo le lacrime, oramai quasi asciutte, e ci rimboccammo le maniche. Persone amiche, dipendevano da noi. Rinchiusi dietro le sbarre, non bastavano loro le sole canzoni....per poter continuare a saper volare. Avevano bisogno di affetti e di avvocati, e di parole. Avevano bisogno di speranza, di sapere che la speranza non era morta fuori. Di modo che potesse continuare ad essere amorevolmente coltivata anche dentro! Rimpiangerò sempre di aver buttato via quelle lettere, un giorno, solo perchè sapevo che qualcuno sarebbe venuto a cercarle, una mattina, alle sei, nella mia, come in molte altre case. Ma non si buttano mai via, impunemente, le parti di te stesso. Poi finisce che ti ci svegli la notte!
"Mi svegliai sulla quercia l'assassino era fuggito "
Questa volta invece avrei dovuto aspettarmela, "coda di lupo" e il suo "generale capelli corti"! Avrei dovuto aspettarmela, nello stesso momento in cui mi resi conto che le canzoni, cantate di più (mentre si aspettava il nostro "little big horn"), erano proprio quelle di Fabrizio De André! Ci doveva pur essere una ragione, in questo. Rimini e le sue rivoluzioni perdute, era un altro regalo. Uno dei tanti. Solo che stavolta eravamo in molti a capirlo, ad amarlo, a tenerselo stretto quel regalo. Forse avrebbe dovuto farcelo prima, mentre eravamo nel chiuso e nel fumo del palazzetto dello sport, a Bologna! Ma i tempi interessanti erano finiti. Eravamo pronti per tuffarci nelle "perversioni private" della vita quotidiana, di cui sapevamo assai poco. Ci portavamo dietro solo qualche "bomba a mano" per pescare, e qualche sorriso da esibire nei "teatri di posa". E De André era l'unico "cucchiaio di legno" che ci era rimasto per poter continuare a scavare nella nostra storia. Prima di arrivare al punto in cui smetteva di essere la nostra storia, e diventava la storia di ciascuno di noi, dapprima. Per, infine, diventare "ciascuno la sua propria storia". E la "fortuna" che ci aveva permesso di arrivare, vivi, fino a lì, era adesso pronta ad innamorarsi della "malinconia"!
"...in vida e in sa morte....."
Niente treni arrugginiti! Credo di averlo già detto, ma ogni volta che mi scappa di pensare ad "un treno arruginito che possa riportarmi indietro da dove son partito", mi viene in mente "pane e cioccolata" di Franco Brusati, con un Nino Manfredi immigrato in Svizzera, quando apre lo sportello del treno che dovrebbe ripotarlo indietro da dove è partito, ma non regge alla vista di un tale che canta "odor di nebbia odor di lombardia"; e si costringe a chiudere in fretta il suddetto sportello per tornare a rifugiarsi, da clandestino stavolta, nella solita Svizzera. Cazzo se ci ho pensato in quell'anno, mentre tutto cadeva a pezzi, di azzerare l'orologio! Rimetterlo a prima degli eventi. Riportarlo indietro, al 1967. Impresa disperata. Inattuabile, come quella che ancora oggi, di tanto in tanto, mi torna in mente e che mi permetterebbe di ricominciare i giochi. Tornare indietro, solo prima del 1967. Avere un'altra chance! "Quando tutto era ancora intero". Prima di poterla sapere e prima di poterla tradire, quella cosa! Prima di dover leggere lettere "vere di notte e false di giorno". Prima! Prima di vedere la signorina anarchia che cammina fianco a fianco al suo assassino. Molto prima! Visto che non era possibile, allora, quell'anno me ne andai a Berlino!
"La domenica delle salme non si udirono fucilate "
Finisco qui, con un verso da questa canzone immobile. Probabilmente avrei dovuto smetterla prima, ma non ho mai imparato quando è il momento di smettere. Non ho mai imparato né questa, né molte altre cose. Credo che passerò il resto della mia vita, facendone tranquillamente a meno.

5 commenti:

FM ha detto...

credo che le volte che ho riletto di queste canzoni che valgono anni si avvicinino ai numeri da tre cifre. eppure, ogni volta non riesco a fare a meno, proprio come nel titolo che hai messo oggi, di alternare i sorrisi alle lacrime.
Grazie.
Un abbraccio

Anonimo ha detto...

ciao,sono il fratello più piccolo di Del Padrone Gian carlo,ho vissuto la sua morte che avevo 6 anni e lo ricordo poco, non so come l'avete vissuta voi e come erano i vostri ideali, per me e stato rappresentato come un martire, e cosi lo leggo a 39 anni su i blog. e mi chiedevo, cosa vi ha lasciato dentro quella morte. e come è stata vissuta da voi "giovani", ed oggi cosa dici che forse era sbagliato o giusto che cambieresti, a me e ai miei genitori, ci ha dato tanta sofferenza ed io leggo le poesie e le canzoni a lui dedicate, in qualche modo mi lasciano la tristezza di averlo conosciuto poco, spero che tu mi risponda perche è un pezzo della mia vita che non conosco. Un augurio di Buona Pasqua da Gian Franco.
c.genovesi@alice.it

BlackBlog francosenia ha detto...

ciao.
Non ho conosciuto di persona tuo fratello, tutto quello che so di lui l'ho appreso dai compagni che me ne hanno parlato. Ricordo la reazione di allora, a quella morte. Ed era fatta di rabbia. La rabbia generale che si respirava quella notte, in santa croce. Una rabbia che ha attraversato in lungo e largo quegli anni, e le persone che eravamo. Posso solo aggiungere che rifarei tutto quello che ho fatto, e posso anche dirti che le persone come tuo fratello - che ancora mi capita di incontrare - portano dentro qualcosa di prezioso. Portano dentro quella vita che io ancora vorrei.

un abbraccio e salud

--
-- Franco Senia --
http://francosenia.blogspot.com/
http://picasaweb.google.com/francosenia
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" Ci fu una generazione che volle rispondere a tutto.
Allora gli chiesero e dovette rispondere di tutto."
- Erri De Luca, Aceto, Arcobaleno -
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Riccardo Venturi ha detto...

Un abbraccio a tutti da Riccardo e da Adriana, che ha trovato in rete la cosa che segue e che vorrei farvi leggere. Sta sul sito di un ragazzo di Livorno, Marco: http://marco2000.altervista.org/link.htm ; è quasi in fondo alla pagina.
Si tratta di una poesia, o di una canzone, scritta non sappiamo da chi e datata "Perugia, marzo 1974". Crediamo che provenga a sua volta da una galera.
Ci abbiamo fatto una pagina apposita sulle "CCG" (http://www.prato.linux.it/~lmasetti/canzonicontrolaguerra/canzone.php?lang=it&id=5785), ma vorrei riprodurla anche qui. Sperando che il fratello di Giancarlo possa leggerla, e con un saluto da parte di chi non ha mai smesso e non smetterà mai di ricordare.

"Forse da qualche parte..."

24/02/1974

Firenze, carcere delle Murate

Giancarlo Del Padrone

Detenuto di 20 anni, ucciso da una raffica di mitra delle guardie durante una rivolta pacifica mentre si trovava sui tetti del carcere.

Ragazzo,
senti il rumore del tuono?
forse da qualche parte un uomo sta lottando.
Lotta per te, per me, per tutti,
ma pochi sanno dirgli grazie......

Ragazzo,
senti lo stillicidio della pioggia?
forse da qualche parte
una vita si sta spegnendo
e questa pioggia è l'eco di un lontano dolore....

Ragazzo,
senti il peso di questo improvviso silenzio?
forse da qualche parte un uomo è stato vinto,
fucili di venduti fratelli
gli hanno impedito di gridare "Libertà!".

Ragazzo,
il dolore di uno
dovrebbe essere il dolore di tutti
e non è giusto che
mentre tu piangi
altri ridono
e mentre tu ridi
altrove altri si disperano.

Ragazzo,
al prossimo tuono
non spaventarti,
alla prossima pioggia
non chiudere la tua finestra,
al prossimo silenzio
mettiti a gridare con rabbia!

Perugia marzo 1974

FM ha detto...

La poesia, che reca come sottotitolo, "Ricordando Del Padrone, ragazzo di vent'anni fucilato alle Murate", è stata scritta da Horst Fantazzini (e porta la dedica al figlio Loris) e, almeno nell'edizione di "Ormai è fatta" che ho io, si trova in appendice.
Un abbraccio,
F