martedì 25 settembre 2018

Ribellione: la tragedia e la farsa

ribellione

Nel 1924, Joseph Roth pubblica il romanzo "La Ribellione", nello stesso anno in cui pubblica anche "Hotel Savoy" (Roth aveva debuttato nella narrativa nel 1923, con il romanzo "La Tela di Ragno”). Il 1924 è anche l'anno della morte sia di Kafka che di Joseph Conrad, e ad una prima occhiata il romanzo di Roth - soprattutto a causa del titolo - può sembrare che voglia riferirsi ad un ambito già frequentato proprio da Conrad (in particolare il romanzo "L'Agente Segreto", pubblicato da Conrad nel 1907, a proposito di un gruppo di terroristi che nel 1886 tenta di far saltare in aria l'osservatorio di Greenwitch). Ma anche se non è così (il protagonista del romanzo di Roth - Andreas Pum - non è né un rivoluzionario né un terrorista), il tema della rivoluzione (e della ribellione, dello spionaggio e della rivolta) emerge frequentemente nell'opera di Roth. Perfino nel suo romanzo più noto e più tradizionale, "La Marcia di Radetzky", il tema compare nel contesto dell'impero austro-ungarico, e proprio a Brody, la cittadina di frontiera con la Russia dove era nato lo stesso Roth, e dove confluivano spie, disertori, contrabbandieri, ecc., e che nel corso della prima guerra mondiale verrà completamente cancellata dalle cartine geografiche. Nella sua "Ribellione", Andrea Pum entra quasi a malincuore, suo malgrado, spinto dalle circostanze e dalla sorte avversa (Roth, quando parla della "caduta" di Pum, usa ironicamente il termine "Destino" scrivendolo con la maiuscola). Quello che avrebbe potuto spingerlo alla ribellione - il fatto della perdita della propria gamba, in guerra - diventa, al contrario, proprio quello che  lo rassicura e lo tranquillizza per tutta la vita: gli viene data una medaglia e gli viene concessa una licenza per poter suonare l'organetto per le strade di Berlino; e poter così ricevere, in tal modo, denaro dai passanti. Il romanzo comincia con Andrea che è già senza un gamba, e poi prosegue, fiducioso, finché, salendo su un tram, non incrocia la strada di un borghese contrariato, con il quale si mette a litigare. Il conducente del tram si schiera dalla parte del borghese, e Andreas finisce in prigione, perdendo anche la sua licenza per suonare l'organetto. In maniera simile a quella usata da Kafka ne "Il Castello", anche Roth parla di come l'anonimato burocratico dello Stato sia coinvolto nel Destino di Andreas Pum: dopo la lite avvenuta sul tram, la sua licenza viene revocata e confiscata, e subito dopo subisce sia le violenze della polizia che l'arbitrio del sistema giudiziario. Ed è in prigione - mentre riflette sull'ingiustizia del trattamento che ha subito, lui, che è un veterano di guerra - che Andreas si decide alla "ribellione". E dalla prigione esce devastato ed invecchiato, con la barba e con i capelli bianchi (come dice Olga ne "Le Tre Sorelle" di Cechov, «Stanotte, sono invecchiata di dieci anni»). Anche Andrea Pum, così come accade al K. di Kafka, viene assorbito da quello che è l'ingranaggio anonimo dello Stato.

ribellione berlin

Ed è nel 1929, cinque anni dopo "Ribellione", che Alfred Döblin pubblica il suo romanzo "Berlin Alexanderplatz". Il romanzo di Döblin è più lungo e più complesso di quello di Roth, ma entrambi ci parlano - facendo uso della loro rispettiva scala - dei bassifondi di Berlino e della conversione di due individui alla ribellione. Se Andreas Pum finisce in prigione nella parte finale di "Ribellione", Franz Biberkopf, il protagonista del romanzo di Döblin, esce di prigione già nella prima pagina (la costruzione è analoga: Biberkopf esce di prigione diretto in città; Andrea Pum esce dall'ospedale diretto in città, verso la sua vita postbellica, munito della sua medaglia, delle sue stampelle e del suo permesso di suonare l'organetto.
«Questo libro racconta la storia di un ex operaio delle costruzioni e dei trasporti», comincia Döblin, «Franz Biberkopf, di Berlino. È uscito di prigione dove ha scontato una pena per delle vecchie storie, ed ora è di nuovo a Berlino e vuole vivere una vita decente». Ma anche nel suo caso, come in quello di Andreas Pum, tuttavia, la vita ha altri piani per Biberkopf: «Per tre volte, questo destino sbatte contro l'uomo ed interferisce con il suo progetto di vita. Colpendolo con l'inganno ed il tradimento». A metà esatta del romanzo, a causa di una rapina andata storta, Biberkopf viene scaraventato fuori da un'auto e viene investito - gli dev'essere amputato il braccio destro «all'altezza dell'articolazione della spalla, gli vengono estratti pezzi dell'osso della spalla, le contusioni al torace e alla coscia destra, per quanto si può dire al momento attuale, sono di minore importanza.»

ribellione treno

È ovvio che la morte sia un tema costante nella letteratura, che appare in tutti gli autori, a partire dalle sue apparizioni più dirette e più metaforiche (ad esempio, uno dei migliori saggi di Sebald tratta proprio del motivo della morte ne "Il Castello" di Kafka). Tuttavia, per quel che riguarda Roth, il tema viene ampliato e disseminato in tutta una serie di motivi e di dettagli, che si riferiscono, ad esempio, alla dissoluzione dell'impero austro-ungarico, o ai milioni di cadaveri della prima guerra mondiale. Uno dei motivi correlati, attiene al destino dei corpi dei personaggi di Roth; una preoccupazione, questa, ricorrente nell'autore.
In un racconto del 1925, "Lo Specchio cieco", Roth racconta la storia di Fini, un'innocente giovane donna che lavora in un ufficio e che viene sedotta da un uomo più anziano, poco incline all'igiene e alla gentilezza. Fini troverà l'amore fra le braccia di un giovane rivoluzionario il quale, però scompare misteriosamente. Intuendo il peggio, commette suicidio gettandosi nel Danubio. Il suo corpo viene recuperato, ed il racconto termina con la sua dissezione in una scuola di medicina. Anche "La Ribellione" termina allo stesso modo: Andreas Pum, dopo ch'è morto nel bagno diurno dove lavorava, viene portato all'Istituto di Anatomia per essere dissezionato, «nonostante gli mancasse una gamba».
Nel racconto che venne pubblicato postumo, nel 1940, "Il Leviatano", Roth racconta la storia di un mercante ebreo che vendeva coralli marini e che non ha mai visto il mare. Quando decide di imbarcarsi - spinto a farlo da un suo amico di Odessa - la nave affonda: «Più di duecento passeggeri sono andati a fondo insieme alla Phönix. Naturalmente, sono morti affogati», scrive Roth nell'ultima pagina del libro, e conclude: «ti assicuro che egli apparteneva ai coralli, e che il fondo dell'oceano era la sua unica patria». Nel suo saggio dedicato a Roth, Coetzee definisce "Il Leviatano" come l'opera più apertamente ebraica e folcroristica di Roth. A fronte di questo, è significativo che un tale destino del corpo del commerciante di coralli - sul fondo dell'oceano - fosse già stato evocato da Roth in un altro testo - questa volta, giornalistico - ora antologizzato nel libro "Ebrei Erranti". Si tratta del testo di "Un ebreo va negli Stati Uniti", in cui Roth ricorda quella che è una particolarità dell'ebreo dell'est, abituato all'erranza terrestre, che ora si confronta con il mare:
«Chi, come l'ebreo dell'est, porta nel sangue la profonda consapevolezza che ogni momento può essere di fuga, non si sente libero su una nave. In che direzione andare, per salvarsi, se succede qualcosa? Sono millenni che si salva. Sono millenni che avviene sempre qualcosa di minaccioso, e sono millenni che scappa sempre. Cosa può succedere? Chi lo può sapere? Forse che non può scoppiare un pogrom anche su una nave? Dove andare allora? Se la morte sorprende un passeggero su una nave, dove seppellire il morto? Gettare il corpo in mare. Ma il vecchio mito dell'arrivo del Messia descrive esattamente la resurrezione dei morti. Tutti gli ebrei che vengono seppelliti in terra straniera, dovranno rotolare sotto terra fino ad arrivare in Palestina. Ma i morti che vengono gettati in mare, resuscitano anche loro? C'è la terra sotto l'acqua? Quali strane creature vivono lassotto) Il corpo di un ebreo non può essere dissezionato. Completo e intatto, l'uomo deve tornare ad essere polvere»

ribellione con la moglie

Molti dei romanzi di Joseph Roth si assomigliano nella forma: brevi capitoli organizzati dentro delle sezioni più ampie. "La Ribellione", per esempio, consta di diciannove capitoli; "Destra e Sinistra", del 1929, è un po' più grande, ha venti capitoli, divisi in tre sessioni. Entrambi i romanzi ripetono un procedimento ricorrente in Roth: l'apparizione di un personaggio, nel bel mezzo di una narrazione, che interrompe bruscamente e devia la rotta che fino a quel momento era stata stabilita per il protagonista, o per i protagonisti.
Per quel che riguarda "La Ribellione", il taglio avviene con l'apparizione del borghese sul tram, che fa delle considerazioni rabbiose a proposito di Andreas Pum, l'invalido di guerra senza una gamba che si trova sul tram. Nel caso di "Destra e Sinistra", ci troviamo a seguire la storia di Paul Bernheim, il figlio di un banchiere che fin dall'infanzia è stato destinato al successo - è bello, raffinato, piace alle donne e agli uomini, va a studiare in Inghilterra, domina la conversazione dei salotti con una varietà di argomenti, ecc. Fino al momento in cui appare  Nikolai Brandeis, un uomo più vecchio, di pelle scura, molto alto e distinto, ricchissimo ed arrivato dall'est, dopo la prima guerra mondiale. Contrariamente al borghese de "La Ribellione", il quale appare nel bel mezzo della storia e poi sparisce (lasciando solo gli effetti del suo intervento per quel che è il destino di Andreas Pum), Brandeis compare e rimane, dapprima inafferrabile, ma poi comincia a dare, poco a poco, indizi riguardo quelle che sono le sue origini ed il suo passato.
«Io ricordo ancora il momento in cui Paul Bernheim promise di diventare un genio», è la prima frase, in "Destra e Sinistra", ad essere annunciata da un "io" che non si manifesterà mai (come se il romanzo avesse interamente luogo nella dimensione aperta da quell'io nel mio ricordo). Oltre tutto, la narrazione si articola a partire da questa attesa della genialità di Paul Bernheim e del suo dubbio manifestarsi nella vita futura. Ecco l'altro tema forte in Joseph Roth: l'articolazione fra passato e futuro, fra attesa e proiezione (in altre parole, il tema del messianesimo, che occuperà, in quegli stessi anni, Kafka, Walter Benjamin, Scholem e, più avanti, Agamben, Sebald). Tale costruzione verrà utilizzata nuovamente da Roth, pochi anni dopo, nel suo romanzo "Giobbe. Romanzo di un uomo semplice", del 1930 (un anno dopo "Destra e Sinistra", perciò), ma all'inverso: Paul Bernheim genera una grande aspettativa che con il trascorrere della narrazione si svuota; Menuchim, da parte sua, l'ultimo figlio di Mendel Singer, protagonista di "Giobbe", nasce deforme, epilettico e ritardato - ma reca in sé la profezia di un rabbino: passerà tutto, «e come lui ce ne saranno pochi in Israele».

Der Schriftsteller Joseph Roth (1.v.l.) in einem Café in Amsterdam, ca. 1936

C'è ancora qualche dubbio circa quale sarebbe stato l'ultimo libro di Joseph Roth pubblicato in vita: è morto il 27 maggio del 1939, a Parigi, ed in quello stesso anno venne pubblicato il suo romanzo "La milleduesima notte". Esattamente un anno dopo, nel maggio del 1940, con l'invasione nazista dell'Olanda (dove era stato pubblicato), l'intera edizione del libro venne distrutta, rendendo così impossibile individuare con esattezza in quale momento del 1939 fosse stato stampato il libro (i dettagli del suo successivo salvataggio, anche con tutto il fatto della distruzione nazista, rimane qualcosa che dev'essere ancora investigato).
La questione del titolo, è anch'essa fondamentale, in quanto i due titoli disponibili ["Die Geschichte von der 1002","La milleduesima notte", e "The string of Pearls", in inglese]: il titolo adottato dall'edizione in inglese fa riferimento alla collana di perle che viene donata ad una prostituta che si fa passare per una contessa, per compiacere lo Scià di Persia durante la sua visita a Vienna verso la metà del secondo decennio del XIX secolo; il titolo originale, tuttavia, ci porta in direzione di una riconfigurazione ironica della tradizione letteraria orientale, rappresentata in materia metonimica dal riferimento al libro delle Mille e una Notte. La cosa si potrebbe adattare ad una lettura - fatta sia sulla scia post-coloniale di Said, quanto sulla decostruzione operata da Derrida - attenta al modo in cui Roth, mentre da una parte sollecita il discorso dell'orientalismo, dall'altro lo disfa e lo mette in discussione a partire dalla sua base stessa, come fa nella scena in cui i ballerini, a Vienna, vestiti alla moda "orientale" nel corso di una loro esibizione per compiacere lo Scià, sembrano richiamare delle vecchie fotografie viste da lui durante l'infanzia.
In un certo senso, il titolo dato da Roth fa riferimento a questo orientalismo, suggerendo che ciò che si trova al di là della storia classica, tradizionale, è per l'appunto la traversata, la mescolanza fra oriente ed occidente - quella che nel romanzo ha luogo con la visita dello scià a Vienna, una all'inizio, e l'altra alla fine del romanzo. Il procedimento strutturale ricorrente di Roth consiste anche in questo: lo Scià è in primo piano nelle prime 50 pagine del romanzo, e poi scompare all'improvviso - per dare origine a due personaggi che gli gravitano intorno (il Barone che ha l'idea di trasformare la prostituta in contessa, e la donna stessa, innocente e ignara, che riceve in regalo la collana).
L'ultimo romanzo di Joseph Roth è frivolo alla superficie (balli e danze, prostitute, bevute, ufficiali dell'esercito, sfilate, caffè, ecc.) ma è meticolosamente costruito nella sua duplicità: il romanzo fa continuamente riferimento a menzogne e travestimenti, agenti segreti che osservano dietro gli angoli, storie che circolano alle spalle, figure di cera che imitano personalità reali, scambi di identità e denaro falso.

ribellione palazzi

In questo senso, il romanzo di Roth è ancora una volta un commento della frase di Marx circa la ripetizione, sulla tragedia e la farsa (una ripetizione ed un commento che va da Hegel a Zizek e che continua a muoversi). E questo perché lo Scià di Persia visita Vienne due volte, all'inizio e alla fine del romanzo - e la collana di perle che dà in regalo all'inizio, viene recuperata alla fine, e molti personaggi dicono che tutte le sventure e le disgrazie sono cominciate da lì.
Nella lettura che della frase di Marx viene fatta da Derrida, per esempio, l'enfasi è sul ritorno degli spettri, dei fantasmi, che spingono lo sguardo del presente in direzione del passato - qualcosa che ricorre anche in Roth, nella sua visione del mondo, in quanto per lui l'impero austro-ungarico era uno spettro che continuava ad essere sempre presente, attuale, altrettanto esotico quanto la Persia appariva agli orientalisti del XIX secolo (all'arrivo dello Scià a Vienna nel XIX secolo, Roth mescola quelle che sono due idee fittizie: l'orientalismo ed il monarchismo).

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