domenica 30 settembre 2018

Interruzioni di liquidità

crisis

Ecco cosa secondo J.P.Morgan potrebbe causare la prossima crisi finanziaria
- di Ryan Vlastelica -

Il salvataggio di ieri diventerà il rischio di domani?
Per il mercato azionario statunitense sono passati dieci anni dalla crisi finanziaria che ha scatenato quella che si è rivelata essere una profonda depressione, che ha provocato alle persone la perdita di milioni di posti di lavoro e delle loro case, ed ha decimato il mercato azionario, con l'indice S&P 500 che ha perso più della metà del suo valore. I governi e le banche centrali di tutto il mondo hanno adottato misure massicce per fermare la crisi, ma, ironia della sorte, queste misure potrebbero semplicemente rivelarsi come le basi per la prossima crisi. Questo secondo J.P.Morgan che in una recente nota ha analizzato sia le cause che le risposte alla crisi. Secondo la banca di investimento, l'economia continua ad essere sostenuta dalle misure straordinarie adottate nel 2008, ma i cambiamenti che queste misure hanno causato rispetto all'ambito - che hanno già cominciato ad operare e che accelereranno già nel prossimo anno - costituiscono un rischio che viene sottovalutato.
Un primo passo fondamentale, compiuto durante la crisi finanziaria, è stato quello di un massiccio stimolo monetario, ivi incluso il Troubled Asset Relief Program - a partire dal quale, il governo ha acquistato asset tossici da istituzioni finanziarie indebolite - ed il Quantitative Easing, a partire dal quale la Federal Reserve ha acquistato titoli di Stato al fine di abbassare i tassi di interesse e stimolare maggiori investimenti, e rendere così le azioni più attraenti. Complessivamente, le banche centrali hanno acquistato qualcosa come 10.000 miliardi di dollari in asset.
«Ora ci si aspetta che questo aggiustamento si inverta, in misura rilevante a partire dal 2019. Un tale deflusso (o la mancanza di nuovi afflussi) potrebbe portare ad un declino delle attività e ad interruzioni di liquidità, e potenzialmente potrebbe causare una crisi finanziaria,» ha scritto J.P.Morgan. «La caratteristica principale della prossima crisi saranno le gravi interruzioni di liquidità, in quanto risultato di quegli sviluppi del mercato avvenuti a partire dall'ultima crisi.»
Le modifiche alla politica della banca centrale vengono ampiamente considerate come un rischio per le azioni, che in una certa misura si sono trovate nel più lungo rialzo di mercato mai avvenuto dopo l'abisso della crisi. Barry Bannister, direttore della "institutional equity strategy" presso la Stifel, ha scritto recentemente che le azioni si trovavano nella "zona di pericolo", e che l'aumento dei tassi di interesse potrebbe innescare un mercato al ribasso con «le azioni che crollano più rapidamente di quanto la Fed possa reagire.»
Separatamente, la Fed ha ridotto le dimensioni del suo bilancio, che per mezzo dei vari cicli di quantitative easing era stato aumentato fino a 4.500 miliardi di dollari. L'inversione del bilancio patrimoniale viene visto come il costante segnale di allarme da parte di Wall Street.
J.P.Morgan si è riferito al suo ipotetico scenario come alla "grande crisi di liquidità", ed ha affermato che il momento in cui potrebbe verificarsi «verrà in gran parte determinato dalla velocità cui avverrà la normalizzazione della banca centrale, dalle dinamiche del ciclo economico, e da vari eventi particolari come l'escalation della guerra commerciale condotta dall'attuale amministrazione statunitense,» come si può leggere sul rapporto.
Le modifiche alla politica monetaria avranno implicazioni anche per quanto riguarda il mercato obbligazionario. Dopo aver toccato il suo minino del 1,4%, nel luglio del 2016, il rendimento a dieci anni del titolo del tesoro statunitense è salito al 2,97%. Questo significa che i prezzi delle obbligazioni sono scesi, in quanto i prezzi e i rendimenti si muovono in maniera inversa gli uni rispetto agli altri. Se il giugno del 2016 segna un punto di svolta per il mercato obbligazionario in crescita, questo potrebbe avere delle implicazioni significative per quanto riguarda il rischio per tutte le classi di attività.
«Negli ultimi vent'anni, la maggior parte dei modelli di rischio, per compensare il rischio azionario, si basavano (correttamente) sulle obbligazioni. Al punto di svolta della correzione monetaria, questo assunto molto probabilmente fallirà. Ciò aumenta il rischio di coda per i portafogli multi-asset», ha scritto J.P.Morgan. «Nella prossima crisi, probabilmente le obbligazioni non saranno in grado di compensare le perdite azionarie (a causa dei tassi bassi e degli ampi bilanci).»
Il mese scorso, Jeffrey Kleintop - chief global investment strategist alla Charles Schwab - ha avvertito circa il fatto che il livelli globali di indebitamento potrebbero esacerbare l'aggravamento della prossima grida finanziaria.
Citando i dati provenienti dall'International Monetary Fund, ha scritto che alla fine del 2016 - il periodo più recente in cui sono a disposizione i dati -  il debito globale si è attestato sui 164.000 miliardi di dollari. Ciò rappresenta il 225% del PIL globale, e una crescita di 50.000 miliardi di dollari rispetto ai livelli precrisi finanziaria.
«Mentre un elevato onere del debito non è necessariamente un problema di per sè, esso aumenta però la vulnerabilità del sistema in caso di shock - in particolare, uno shock che alzerebbe i tassi di interesse,» scrive Kleintop. «In teoria, tutto quel debito significa che le potenziali perdite derivanti da un aumento dei tassi di interesse verrebbe ad essere più costoso rispetto al passato, specialmente se combinato con un dollaro più forte che fa salire il costo in dollari dei debiti al di fuori degli Stati Uniti.»
J.P.Morgan non ha previsto una crisi nel breve termine, affermando che gli attuali squilibri nell'economia USA sono «ampi ma non eclatanti», e che «la mancanza di gravi squilibri suggerisce che la prossima recessione avrà meno probabilità di innescare una crisi nello stile di quella del 2018.» Lo scenario di recessione più probabile, aggiunge, «sembra più mite di quello del 2008 e più simile a quello del 1990 o del 2001.»
Attualmente, viene assegnato un 25% di probabilità che nel prossimo anno abbia inizio una recessione, «non lontana da quella che è la media storica del 17%.»

- Ryan Vlastelica - Pubblicato il 12 settembre 2018 -

fonte: MarketWatch

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