Tesi sulla teoria dei bisogni - di Günther Anders -
(seguita da una discussione fra: Theodor W. Adorno, Günther Anders, Bertolt Brecht, Hanns Eisler, Max Horkheimer, Herbert Marcuse, Hans Reichenbach, Berthold Viertel)
Nota di JPB de "Les Amis de Némésis":
Questa discussione ebbe luogo il 25 agosto 1942, probabilmente a casa di Theodor Adorno, negli Stati Uniti, e vediamo qui riunita quella che era una cerchia di sodali di Horkheimer e di Adorno. Molte discussioni di questo genere sono state conservate e pubblicate nel contesto del XII volume delle "Gesammelte Schriften" [“Opere Complete”] di Marx Horkheimer (Fischer Verlag, 1985), e questa discussione può essere trovata alle pagine 579-586. Tuttavia si tratta di una delle rare discussioni in cui si vede apparire Günther Anders, il quale in questo caso è l'autore delle Tesi che sono oggetto della discussione. Come Anders fa notare altrove, benché fosse in confidenza sia con Herbert Marcuse - a casa del quale aveva provvisoriamente vissuto - che con Bertolt Brecht - di cui era stato segretario particolare - egli non faceva parte di questa stretta cerchia di discussioni, e non godeva di particolare considerazione [*1]. Abbiamo evidenziato, mettendoli fra parentesi, i termini tedeschi la cui traduzione in francese ci è sembrata particolarmente suscettibile di controversie.
Tesi sui «bisogni», sulla «cultura», sul «bisogno di culture», sui «valori culturali», sui «valori»
(Thesen über « Bedürfnisse », « Kultur », « Kulturbedürfnis », « Kulturwerte », « Werte »)
Obiettivo: chiarire la domanda emersa nel corso di queste discussioni: «tutti i bisogni che riguardano dei valori culturali o morali elevati devono essere considerati come artificiali?»
1 - Il carattere di artificialità è proprio della natura umana. In altre parole, la domanda che si manifesta nell'uomo supera ab ovo l'offerta contenuta nel mondo. Di conseguenza, l'uomo è costretto a produrre egli stesso un mondo che sia in grado di soddisfare i suoi bisogni. La produzione di questo mondo e di questa società, vale a dire questo divenire culturale (Kultivierung), non si esaurisce affatto in un dominio riservato, la «cultura», ma esso ha come oggetto il mondo e la società umana tutta intera.
2 - Il carattere artificiale dell'uomo viene inoltre ulteriormente accentuato dal fatto che quest'ultimo diventa il prodotto dei suoi stessi prodotti. In quanto, soprattutto in un sistema economico che non si adegua ai bisogni degli uomini ma a quelli del mercato, in cui l'uomo non è adatto ad affrontare le esigenze dei suoi stessi prodotti, nasce una differenza, uno «scollamento» (Gefälle) fra l'uomo ed il prodotto. Inoltre, per soddisfare i suoi propri bisogni, l'economia deve produrre dei bisogni nell'uomo: tali «bisogni nati nel vassallaggio» sono certamente artificiali, ma in nessun caso essi meritano di venire considerati come altrettanti bisogni culturali, benché l'economia si sforzi di farli passare per tali.
3 - Il divenire culturale del mondo e della società si trasforma in dominio specifico denominato «cultura» facendo ricorso ai seguenti processi: 1) La direzione del divenire del mondo rimane sempre nelle mani della classe dominante. Essa è monopolio dei gruppi sociali più elevati. Il dominio monopolistico dei gruppi sociali elevati diviene un dominio «elevato» (ad esempio, il potere del clero in Israele). 2) Dove le forme di dominio, di organizzazione e di cultura (A e B) entrano in collisione sotto l'egida di un terzo dominio (C), quest'ultimo impedirà loro di impegnarsi in uno scontro reale: da quel momento in poi, A e B devono rispettarsi reciprocamente, senza perciò convertire l'altro: ciascuno diviene per l'altro un «valore culturale». Per Filone di Alessandria, che era un ebreo ortodosso, nonostante la sua ripugnanza per ogni rappresentazione immaginaria, le rappresentazioni animali egizie avevano «del valore» poiché nel mondo ellenistico alessandrino coesistevano sia la religione egiziana che quella ebraica. Quindi, un «valore culturale» non è altro che un potere neutralizzato. Questo concetto di cultura è il concetto moderno. Poiché la nostra cultura comincia con la fine delle guerre di religione: la Summa teologica di Tommaso d'Aquino è diventata un valore culturale anche per i protestanti.
4 - Una volta che è stato rimosso dalla vita quotidiana, una volta neutralizzato, ciascun fenomeno rassomiglia ad un’«opera d'arte». Cominciamo a godere di quello che non si ha il diritto di combattere.
5- L'atteggiamento che si adotta nei confronti del mondo «neutralizzato» della cultura, viene chiamato come «essere colto» (die Bildung).
6- La neutralizzazione del dominio culturale, prodotta dalla pacificazione delle religioni e dallo spirito di tolleranza, viene quindi completata per mezzo del carattere mercantile proprio del capitalismo. Ma nei confronti del mondo della cultura servito su un piatto attraverso la merce, non è possibile essere «colti». Il «bisogno di cultura» viene prodotto esso stesso, e non si differenzia in alcun modo da qualsiasi altra sete di merce che viene prodotta dal capitalismo. - Il termine di «valore» che fa parte dell'espressione «valore culturale» non ha più niente a che vedere col fatto di dare valore (Wertschätzung), che era stato all'origine dei valori culturali, ma che ora designa niente più che un semplice valore di mercato.
7- Il «valore» nel senso della filosofia dei valori è anche una categoria che viene illusoriamente sublimata (verblümte). Generalmente, questo «valore» è un fine che viene sublimato (l'obiettivo del dominante, formulato ad uso e consumo dei dominati) oppure una proprietà sublimata (la proprietà del dominante, formulata ad uso e consumo dei dominati). Colui che presenta un fine come se fosse un «valore universale» non fa altro che nascondere il suo interesse particolare. Questa operazione («il potere anonimizza sé stesso») è particolarmente evidente nel concetto di dovere (des Sollens), il quale si presenta come un comandamento senza comandante. Fino a Nietzsche, nessuno aveva percepito la mostruosità di un comandamento senza comandante.
8- La domanda dalla quale siamo partiti non può quindi trovare una risposta semplice, come «sì» o «no», poiché è costituita da delle categorie evanescenti che si diluiscono nelle nostre mani. Ad essere decisivo è che: sotto l'effetto del monopolio del potere, il processo del divenire culturale si è trasformato in dominio; originariamente, l'azione finalizzata a rendere culturale l'insieme della vita sociale riguarda dei «valori» specifici, e non una religione specifica. La famosa consegna del mezzo litro di latte ("Pint Milk"), se fosse realmente prevista o veramente realizzata, sarebbe la realizzazione culturale più autentica [*2]. Cosa che per me non è né una metafora né un paradosso.
- Günther Anders -
DISCUSSIONE
Reichenbach: Anders ha fatto uso del concetto di valori culturali in maniera che ha incluso in esso categorie positive e negative. Ma ci si può anche riferire ai valori culturali esclusivamente in senso positivo, e allora non possiamo trattarli come se fossero dei vecchi mobili. Si deve perciò far ricorso alla critica culturale (Kulturkritik).
Anders: Il concetto di cultura non esisteva nell'Antichità, e neppure nel Medioevo.
Reichenbach: Poteva non esserci il concetto, ma c'era la cosa.
Anders: Nella filosofia greca, la discussione estetica non faceva mai riferimento all'arte, ma alla bellezza di un corpo o a quella di una tecnica. Per Platone, la musica fa parte della politica.
Reichenbach: Credo che tu stia confondendo estetica ed arte.
Marcuse: Nell'Antichità, la funzione svolta dagli oggetti artistici era così totalmente differente da quella odierna che difficilmente può essere classificata nell'arte.
Reichenbach: Ma ciò che voi oggi designate come arte può essere pensato in modo tale da includere anche la pratica dei Greci.
Marcuse: Una prima di Eschilo non era un prodotto artistico, si veniva letteralmente risucchiati.
Horkheimer: Credo che Reichenbach abbia visto qualcosa di decisivo quando ha detto che ad essere determinante non è solo quello che pensavano i Greci a proposito della loro produzione artistica, ma che per fare teoria dobbiamo anche tener conto del significato che aveva una stele o una tragedia. Affermare che in questa materia era decisivo solo lo spirito greco sarebbe altrettanto erroneo che dire che dobbiamo fare uso solo dei nostri concetti artistici moderni.
Adorno: Io credo che le categorie fondamentali che hanno portato al concetto di arte autonoma fossero in gran parte preformate già nell'Antichità. Sarei incline a credere che ad Atene la tragedia greca non fosse più integrata in maniera così diretta rispetto al mondo religioso come vuole farci credere Wilamowitz-Moellendorff. L'opera d'arte relativamente autonoma e compiuta è già esistita nei periodi più decisivi dell'Antichità.
Marcuse: Se seguiamo questa strada, perdiamo di vista il fatto che l'arte greca non conosceva affatto il momento della cultura.
Adorno: A Pompei, non c'è altro che cultura
Brecht: Trovo assai utile la divisione dei concetti di cultura e di arte.
Marcuse: L'arte non deve per forza far parte dei valori culturali.
Anders: Credete che in Nuova Guinea vi siano arte e cultura? Per decidere, non c'è bisogno di prendere in considerazione l'insieme della vita sociale che c'è laggiù [*3]. E comunque non possiamo affrontarlo con le nostre categorie.
Reichenbach: Io continuo a credere che fra la cultura della Nuova Guinea e la nostra si possano fare benissimo dei confronti.
Anders: Ma fra quelle popolazioni non esiste nemmeno la parola per designare la cultura, e ciò che non può essere designato attraverso una parola non esiste.
Adorno: La modalità di unificazione quale si presenta attraverso il concetto di cultura mira ad un'unificazione della società a partire dai suoi obiettivi sociali. Abbiamo inventato la cultura solo a partire dal momento in cui si è posta la questione di un aumento della barbarie.
Horkheimer: Il concerto di libertà, come appare in Anders, mi sembra un po' problematico. Dopotutto, gli uomini non si sono creati una forma di società, ma si sono stabiliti sotto la pressione della situazione esterna. Questo fale fino ad oggi, fino al capitalismo monopolistico.
Anders: A differenza dell'animale, il quale continua a produrre sempre di nuovamente dei prodotti stereotipati ed uno stile di vita immutabile, l'uomo crea tipi di mondo differenti, ed ha quanto meno una libertà passiva.
Horkheimer: Riguardo alla terza parte del testo fornito da Anders, vorrei sollevare un'obiezione storica: tu dici che Nietzsche, Stirner e Marx avrebbero rimesso in discussione il dovere (das Sollen), io vorrei dire che è stato tutto l'insieme della cultura borghese ad averlo fatto. Alla base di questa cultura si trova la consapevolezza che non esiste alcun dovere. Il dovere è un'ipotesi di assistenza, che viene formulata allorché è già stata persa la fede nella cose. Su questo soggetto si incontrano, sia Sade che tutto il movimento dell'Illuminismo. La borghesia è quella classe che, in fondo, non ci crede. Bisogna perciò includere nella comprensione della cultura questo fatto che essa esiste solo in quelle epoche in cui non si crede più ai valori culturali. E' solo per delle ragioni di prestigio sociale che si appendono alle pareti delle case dei bei dipinti. Ed è Schopenauer ad aver ragione quando dice, a proposito del comandamento morale, che gli uomini non avrebbero più osato nemmeno attraversare la strada se fossero state governate solo dalla religione e dalla morale. La morale non ha il peso che le viene attribuito. Nel mondo borghese, è chiaro che tutta la cultura proviene solamente dal dominio. Gli uomini sanno che la società ha una tendenza immanente a non dover essere governata da un Potere. L'idea di una società senza classi non è nata nel cervello di Marx, ma piuttosto essa è inerente a ciascuna azione volta ad instaurare una società umana. Il potere ha sempre una cattiva coscienza, i potenti hanno sempre dovuto parlare a bassa voce, la bocca vicino all'orecchio. E' sempre stato necessario convincere gli uomini che niente è possibile senza i comandamenti ideologici. In tutto ciò che chiamiamo arte o poesia si trova l'intuizione di quel che sarebbe il mondo senza alcun potere. Quando si dibatte di cultura, non si dovrebbe trascurare tale aspetto. E' a causa del fatto che si è costretti a dare alla masse qualcosa come la cultura, che si ammette tacitamente che l'utopia vive e pulsa nel fondo dei loro cuori. La cultura, significa inchinarsi davanti al bene che c'è nell'uomo. Vorrei riassumere:
1) La società borghese è caratterizzata dall'assenza di fiducia nella morale, nella bellezza, ecc..
2) Il fatto di aver sempre bisogno della cultura rende evidente che nella massa esiste un'intuizione della vera società, della società senza classi. Tutto ciò che io trovo degno di essere affermato, si avvicina alla società senza classi, il resto diventa polvere, come avviene con le bugie.
Anders: La questione di sapere perché si debba dovere (warum man sollen soll) è stata senza dubbio espressa ovunque, non solo dagli autori che tu citi, ma la borghesia stessa non ha mai avuto dubbi a riguardo. Si è creduto al dovere, cosa che gli ha dato molto forza.
Horkheimer: Si, ma solo perché l'universale era contenuto. I nostri padri non facevano il bene per rispetto del dovere, ma perché pensavano che fosse preferibile che farlo fosse meglio per tutti. Erano solo i kantiani a credere al dovere. L'esigenza di offrire agli uomini dei valori culturali è sempre stato puramente ideologico. I bisogni primari degli uomini non si pongono affatto in questa prospettiva.
Reichenbach: Posso immaginare una società nella quale verranno realizzati dei valori culturali, ma senza che per questo vengano misurati come mezzi al servizio delle classi dominanti
Brecht: Non temi che la cultura possa sempre essere fondata sui bisogni della classe dominante? Che questi valori culturali possano tutti essere espressi in termine di profitto?
Reichenbach: Questo non mi sembra inevitabile.
Anders: I valori virtuosi posso essere definiti in maniera diversa rispetto a quelli che vengono definiti in termini di potere e di dominio? Non esistono valori se non quelli che sono tali per un particolare gruppo sociale dominante.
Reichenbach: Allora una società socialista non conoscerebbe più alcun valore culturale.
Brecht: La produzione culturale potrebbe ancora esistere, ma più sotto forma di beni culturali.
Anders: Se attraversi un villaggio e senti cantare un bambino, questo può essere definito come cultura, ma non si tratterebbe di un bene culturale, non sarebbe una merce.
Horkheimer: E' difficile dire come sarà una società socialista. Ai nostri giorni, in ogni caso, i dischi in vinile esistono essenzialmente per rovinare l'idea di una società socialista. Perché dovremmo definire come valore culturale una cosa di cui sappiamo solo che non serve a nient'altro che a impedire l'avvento di una società senza classi? I bisogni, come quelli legati al latte, devono essere soddisfatti. Ma in una situazione come quella attuale, in cui periscono innumerevoli persone, non si possono mettere sullo stesso piano di uguaglianza, i bisogni in generale ed il bisogno di latte.
Reichenbach: Io credo che anche il latte possa essere usato per consolidare il dominio di classe, tanto quanto la cultura. La società capitalista utilizza tutto. Il problema posto da una critica della cultura consiste nel domandarsi che cosa, nella cultura, meriterebbe di essere salvato.
Brecht: Anders direbbe che vogliamo salvare la musica. Oggi. è il latte quello che vogliamo salvare, perché vediamo che, per mancanza di latte, le persone deperiscono. La musica, quanto ad essa, non fa altro che ostacolare il passaggio alla società senza classi.
Reichenbach: in questo senso, non vedo alcuna differenza fra latte e vinili.
Horkheimer: Per prima cosa, devi mostrarci, da che punto in poi dobbiamo essere contro il latte. Reclamare del latte è immediatamente politico, non lo è reclamare musica.
Reichenbach: Ma cosa succede se il disco contiene un messaggio rivoluzionario?
Marcuse: In quel caso il messaggio rivoluzionario diviene esso stesso un valore culturale.
Horkheimer: Nel momento in cui così tanti esseri umani muoioni di fame, ed in cui il momdo minaccia di trasformarsi in macchina del terrore, non possiamo dare valore a dei dischi.
Eisler: Il latte può essere usato come una leva per la cultura, ma sicuramente non vale il contrario. Il latte riunisce la verità più profonde, mentre i dischi trasmettono la più deplorevole mediocrità.
Adorno: L'idea di un salvataggio per trasferimento, come quello dell'eredità Lukacsiana. contiene qualcosa di sbagliato, poiché presenta l'accesso alla società senza classi come se fosse un luogo sotto l'autorità dei guardiani, che decidono per esempio che conviene salvare Bach, mentre Schumann dev'essere gettato via. L'idea del salvataggio verso l'altra riva contiene l'immagine di un'istanza, di un meccanismo di selezione, rispetto al quale la società senza classi dovrebbe al contrario rimanere estranea. Mentre la questione si presenta sotto la seguente forma: fra un bel po' di latte, oppure meno latte ma dei dischi in più, si deve scegliere il latte.
Reichenbach: Non si tratta di creare un'istanza, ma nel momento in cui si salva la cultura bisognerà domandarsi: cosa succederebbe, e cosa vogliamo? La critica culturale è parte della lotta di classe.
Horkheimer: Questo significa che oggi cultura significa criticare la cultura.
Marcuse: L'idea di salvare per trasferimento è sbagliato a partire dal fatto che i valori culturali in questione non esistono più.
Brecht: Bisognerebbe per esempio distinguere fra le arti ed i prodotti artistici. La cultura non ha grandi possibilità di sopravvivenza se, come dice Reischenbach, si lascia coinvolgere nella lotta di classe, se abbandona il suo carattere di merce?
Reischenbach: Ma noi non combattiamo affatto il carattere della merce. La musica per esempio potrà essere salvata solo se un giorno esisteranno ancora delle persone in grado di ascoltarla adeguatamente.
Marcuse: Cos'è che rende Hölderlin un valore culturale?
Brecht: La situazione attuale nel suo insieme.
Reichenbach: Anche se salviamo dei libri, ci saranno degli uomini capaci di leggerli?
Viertel: Perché mai dovremmo decidere che cosa gli uomini dovranno leggere, lo sceglieranno da soli.
Reichenbach: Non credo affatto che in una forma sociale migliore, tutto sarà automaticamente in ordine.
POST-SCRIPTUM DEL TRADUTTORE [dal tedesco al francese]
Di solito, il tedesco «Kultur» si traduce con il francese «civiltà». Il testo di cui sopra, tuttavia, non ci consente di farlo, dal momento che la Kultur si trova ad essere sottomessa ad una polisemia fluttuante: a volte significa la civiltà, nel senso largo dell'insieme degli atti di una medesima forma storica di società umana, e a volte essa designa la cultura in senso stretto (nel senso della sfera culturale). Dal momento che il proposito delle Tesi di Anders è proprio quello di denunciare l'attuale illusione che fa della cultura (in senso francese) una sfera separata, presunta come superiore alle altre, e dimostrare che al contrario, almeno in una società di mercato, l'insieme dei comportamenti e delle pratiche dominanti, «culturali» o meno, che vengono prodotti secondo la medesima artificialità ed al servizio dei medesimi obiettivi di «avvassalamento» nei confronti del sistema dominante, il termine «culturale» assume quindi un'estensione variabile e testimonia, ci sembra, fino a che punto l'industria culturale sia diventata esemplare, paradigmatica, prototipica, per il sistema di produzione nel suo insieme, anticipando quindi, almeno a questo riguardo, quella teoria dello spettacolo che svilupperà e renderà coerente una simile idea una quindicina di anni più tardi, in Francia (allo stesso tempo si vedrà fino a che punto, nel 1942, la coscienza di questo punto nodale fosse rimasta frammentaria e solitaria, al punto che i partecipanti alla discussione si mostrano in tal senso particolarmente reticenti e indigenti). Quindi, per conservare il carattere unico del termine in tedesco, l'abbiamo tradotto sistematicamente con «cultura», senza mai alternarlo con «civiltà», come avremmo potuto fare. Va notato che l'ampia portata del termine, che si giustifica in una prospettiva critica come quella che abbiamo evocato, vale a dire per opporsi ad una civiltà che scimmiotta la cultura e si nasconde continuamente dietro di essa, ha oramai portato a termine il compito di generalizzarsi nel discorso corrente, positivo ed elogiativo, dal momento che ormai esistono pochissime occasioni, atteggiamenti e, soprattutto, stupidità, rispetto alle quali non si senta dire che siano «culturali» oppure che «è la loro cultura» (indossare un chador, ed il regolamento interno di un'impresa; una bevanda gassata, e il tatuaggio sul culo; l'aggressione in piena strada, e l'utilizzo del telefono cellulare; il matrimonio omosessuale, e i fumetti; e pure tutto il resto). Quel che voglio dire, è semplicemente che tutto questo non dovrebbe essere discusso, in quanto si tratta, come diceva Anders, di un «valore culturale» (della cultura come valore). Quanto a sapere se un tale «valore» è davvero, come ha aggiunto Anders, un «potere neutralizzato», non c'è niente di meno sicuro: la presunta neutralizzazione rivela più una questione di come questi diktat appaiono nella loro realtà, piuttosto che come un Potere neutralizzato, e sarebbe preferibile parlare di una neutralità detournata dal Potere, poiché in questa miscela è evidente che è il Potere che rimane in ultima analisi l'elemento dominante, e che mantiene la sua traiettoria. Semplicemente, ormai è riuscito a far prendere la servitù per una libertà, e questo non è affatto un piccolo successo; e non si tratta più del potere specifico di questa o di quella ideologia, ma di un Potere universale della forma merce, e della mentalità che essa diffonde in quanto ideologia materializzata. I pretesi «valori» si sono uniti al valore, rispetto al quale, essi, che già non erano poi questa gran cosa, sono poco più che un improbabile parte che viene estratta. Quanto alla vergogna dovuta ad una simile confusione, inedita e assolutamente incredibile, fra servitù e libertà, l'umanità impiegherà un certo tempo a farla dimenticare, qualunque cosa accada: poiché si tratta di una vergogna che, senza dubbio, getta su di essa un'ombra duratura e pesante. In tutta la memoria dei bipedi, siamo mai caduti così in basso?
Dal punto di vista che viene difeso su questo sito, si può aggiungere che, tanto l'esposizione di Anders quanto la successiva discussione, soffrono di una concezione monolitica e invasiva del bisogno. Dal momento che tutto è bisogno, non può che trattarsi di differenziarlo, perfino di mettere gli uni contro gli altri dei bisogni «reali» e dei bisogni «artificiali», dei bisogni «buoni» e dei bisogni «cattivi», dei bisogni «naturali» e dei bisogni «culturali», ecc., vale a dire opporre la sopravvivenza proletaria al lusso borghese. Un po' più avanti, nello stesso volume di inediti di Horkheimer, possiamo leggere questa frase orripilante: «Fra i bisogni ci sono delle differenze di valore, e noi abbiamo bisogno di una scala di valori» (p.576). Un dibattito così erroneo non può portare altro che ad opporre le sciocchezze degli antichi (che considerano come più «nobili», più «elevati», più «umani», i bisogni meno immediatamente materiali) a quelle dei moderni («il senso artistico può essere pensato solo come legato al mezzo litro di latte. La cultura comincia con l'alimentazione. I bisogni più bassi si basano sulla coltivazione, quelli più elevati sulle bistecche. Abbiamo bisogno di forza per fare il burro, e non abbiamo bisogno di forza per la gioia [*4]», (ivi). Questa visione dell'essere umano come stomaco da riempire (o come esteta da soddisfare) e della società vista come istanza che rifornisce il cosiddetto riempimento ha altrettanta dignità del discorso pubblicitario che ci stordisce in ogni supermercato. In un tale contesto, quello di cui non abbiamo mai «bisogno» è della libertà attiva, dell'umanità pratica, del dialogo decisionale, della verità applicata, del piacere intelligente (dell'intelligenza come piacere): dal momento che tutto questo, infatti, eccede la presunta sfera del bisogno, il quale non è altro che il falso concetto del consumo (sull'argomento si può leggere l'esposizione che ne fa Luc Vendramin in "Desiderio e bisogno". Ma nonostante l'oscurità di un orizzonte reso plumbeo dal concetto di bisogno, grazie ad Anders possiamo notare alcuni importanti chiarimenti:
1 - Innanzitutto, Anders introduce un tema che in realtà è molto marxiano (visto che è proprio Marx che nella sua "Introduzione alla critica dell'economia politica" scriveva che «la produzione non produce solo un oggetto per il soggetto, ma anche un soggetto per l'oggetto» [*5] a cui nell'insieme dei suoi scritti darà molteplici formulazioni e sviluppi, contrapponendo alle stupidaggini sui bisogni umani i bisogni del sistema e, in particolare, quelli dell'economia di mercato. Questo punto, assolutamente centrale per ogni seria critica del capitalismo, permette di gettare immediatamente un meritato discredito sull'ipotesi naturalistica o utilitaristica dei «bisogni umani» (che cosa diventa il concetto di «bisogno» se lo può avere anche la logica economica astratta, o il funzionamento di una macchina?); ma ci consente anche di verificare quanto sia inutile dissertare a proposito di una qualsiasi natura umana, dal momento che nello stato di individuo alienato l'essere umano non è altro che una mediazione passiva ed un semplice passaggio obbligato per la realizzazione del valore, mentre quest'ultimo - ed esso solo - è il principio attivo del mondo. Non si tratta più di lamentarsi circa dei presunti bisogni umani più o meno soddisfatti male dall'economia, e renderli gratuiti, ma di bisogni ermeticamente intrinseci al sistema di dominio economico, non esistendo altro presupposto che esso. L'alienazione non si riduce più ad una deviazione rispetto ad una sostanza preesistente, ma culmina nella proliferazione della sua stessa logica, della sua stessa necessità: il terreno dell'illusione realmente esistente sperimentato nel corso di millenni nella sola sfera della religione, e che per tutto questo tempo è rimasto estraneo alla produzione materiale. Questa separazione ormai è stata abolita, e la menzogna religiosa ha assunto il controllo di tutta la vita profana, come era stato annunciato sin dall'inizio dal nascente protestantesimo. Per riassumere questo nuovo dominio generalizzato, nel 1967 Debord aveva scritto che «Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.» (La società dello spettacolo, tesi n°9). E nel 1956 Anders, da parte sua, precisava: «quando il fantasma diventa realtà, il reale diventa fantasmatico [...] la menzogna si realizza come verità, in breve: il reale diventa rappresentazione delle sue rappresentazioni [...] la totalità è meno vera della somma delle verità dei suoi elementi; ovvero, rovesciando la famosa frase di Hegel: la totalità è la menzogna, e la totalità soltanto [...]» (Die Antiquiertheit des Menschen, passim, Tome I, Beck, 1987). Quindi, se quelli che chiamiamo i bisogni umani non sono altro che una mimesi sociale meccanica il cui senso rimane del tutto trascendente, allora il termine di «bisogno» non può più essere mantenuto. D'altronde, e la Discussione che abbiamo pubblicato lo dimostra, tutti quelli che intendono mantenere questo concetto vengono necessariamente respinti dall'attacco adottato da Anders: ne è la prova il fatto che nessuno risponde su quel terreno, che tuttavia, contrariamente a ciò che verrà davvero discusso, è di grande interesse, e riesce a catturare una "libido sciendi" abbastanza assopita da tutto il resto.
2 - E' questo il senso profondo di ciò che Anders chiama in maniera maldestra Kultivierung del mondo, il suo «divenire culturale». Anders lo esprime chiaramente quando scrive che il carattere artificiale, eterogeneo della «cultura» (come sistema di bisogni, vale a dire come bisogno del sistema) non riguarda affatto la sfera separata della cultura, ma la totalità del processo sociale. Se la cultura è stata storicamente la prima sfera della produzione ad essere interamente nelle mani della borghesia (XIX secolo), che poi attraverso la merce «democratizzata» (XX secolo), una zona remota lontana dal bisogno materiale profano che non dipende da un'equipaggiamento produttivo avanzato (il romanzo si scrive con una penna e con la carta), essa potrebbe per questa ragione perfino servire da modello per la distruzione e la ricostruzione sul mercato della totalità delle altre parti della produzione (generalizzazione della passività dello spettatore o del lettore nella figura antropologica del consumatore). In Anders questo corrisponde rigorosamente alla necessità di criticare l'arte in quanto tale, necessità che era stata alla radice di tutti i movimenti artistici temporaneamente rispettabili, e poi, alla fine, alla radice di quella teoria dello spettacolo, che ne fu la conclusione coerente. Le palinodie sulle qualità culturali da preservare implicano che il divenire merce dell'arte sia presente come uno straripamento dell'economia verso un settore più autentico, come se fosse il bacio velenoso dato del denaro all'ispirazione poetica, ma, quali che siano gli elementi che permetto di sostenere effettivamente un analisi di questo genere (come la dialettica interna di un'opera, su cui Adorno ha fornito delle magnifiche intuizione per quanto riguarda il campo musicale), trascura quello che è centralmente il ruolo di pioniere giocato dall'arte nel processo di globalizzazione del mercato. In altri termini, non ha alcuna lezione da dare alla realtà profana, ma non si possono analizzare e comprendere le forme, ed il successo, dell'alienazione moderna senza servirsi delle tecniche di soggiogamento sperimentate dall'arte. In un'epoca in cui tutti i ruoli e tutte le funzioni sociale sembrano essere screditate e ricoperte di vergogna, come avviene nel periodo successivo al '68, solo l'artista trova ancora l'impudenza di affermare il proprio orgoglio professionale, di presentarsi come «creatore»: prova così che quell'ambito, assai prima della sua attuale caricatura mediatica, si era letteralmente fuso con il sistema dominante. L'estensione permanente dello spettacolo va esattamente di pari passo con il travestimento in opera d'arte di qualsiasi oggetto utile; e, con l'invenzione di una miriade di oggetti nuovi che rivendicano la stessa dignità, anche se rimane fuori dalla loro portata perfino il carattere utilitario più modesto.
3 - Nel corso della discussione, nessuno reagisce all'utilizzo che fa Anders della citazione di Platone, che a noi appare invece essere particolarmente opportuna. A proposito di Platone, si è soliti osservare che egli sosteneva che i poeti dovevano essere banditi dalla Città (La Repubblica), attribuendogli stupidamente una sorta di rigidità dovuta alla sua ammirazione per Lacedemone, e odio per la bellezza (alcuni secoli dopo, Rousseau subì il medesimo processo, a proposito della sua Lettera a d'Alembert, così spesso premonitrice dello spettacolo moderno). Andres sembra averlo capito assai meglio: a Platone, l'attività specifica della poesia non sembrava utile ai fini di una pratica di bellezza, ma piuttosto la considerava dannosa in tal senso. La bellezza, agli occhi di Platone, si collocava nel grado di perfezione che poteva essere raggiunto per mezzo di un'azione, nel modo in cui, per parlare come Hegel, univa il proprio concetto e si mostrava all'altezza della sua stessa verità. Quindi, è l'insieme delle attività e degli oggetti umani ad essere sottoposto al giudizio estetico; il quale giudizio estetico perciò non è più semplicemente estetico, ma rientra piuttosto nella ricerca della verità. E' proprio a causa della sua opposizione al feticismo di una sfera specializzata (e non solo in quanto imitazione delle speculazioni pitagoriche sull'argomento) che Platone, come sottolinea Anders, era arrivato a mettere la musica nella sfera della politica. Quindi, ciò che agli occhi di un lettore moderno potrebbe essere considerato come una sorta di refuso tipografico, al contrario è giustificato a partire dall'unita profonda nella sua ricerca dell'armonia, nella musica così come nella politica. E' questo ad esempio quello che non comprende il matematico Reichenbach, che replica: «tu confondi l'estetica con l'arte».
Tutte queste incertezze relative all'arte e alla cultura, nel cui proseguimento speriamo più o meno segretamente, rispecchiano sul loro terreno un errore ancora più deplorevole, da parte dei partecipanti a questa discussione, e che attiene alle prospettive del capitalismo stesso. Questi intellettuali esiliati dalla vecchia Europa, arrivati nel bel mezzo del produttivismo americano, subiscono l'illusione di trovare lì, davanti ai loro occhi, una vigorosa fonte di abbondanza che avrebbe potuto, una volta sconfitti i nazisti, essere generalizzata a tutto il pianeta (in seguito, il piano Marshall avrebbe preso una tale direzione), fare progredire la popolazione mondiale tutta intera, sopprimere la mancanza e la penuria, «soddisfare i bisogni». Va precisato fino a che punto una simile credenza si sia rivelata insufficiente, per non parlare del carattere embrionale della loro analisi del capitalismo, della sua natura, dei suoi limiti? Questo capitalismo, appare loro come il male (secondo un giudizio etico), come un sistema spregevole ma forte, in grado di trionfare in maniera durevole (secondo un giudizio storico). In sostanza, i suoi presunti nemici comunicavano con i suoi propagatori per proclamare, sebbene con rammarico, la loro propria utopia. Così, Horkheimer confidava, nel corso di una discussione su «Bisogno e cultura in Nietzsche»: «se il capitalismo incomincia nel presente a soddisfare i bisogni materiali, compresa quella di calmare le nostre inquietudini, noi dobbiamo comprendere che il nostro pensiero, perfino quello di Nietzsche, subirà una traformazione radicale, non appena gli uomini verranno tutelati rispetto alle minacce immediate» (ivi, p.565). Ancora una volta, è Brecht a mostrarsi come quello più lucido, facendo notare (durante una discussione su Huxley e sul suo "The Brave New World"): «credo che il socialismo non abbia mai avuto come obbiettivo quello di "soddisfare" i bisogni materiali. Il socialismo trova davanti a sé uno stato di mancanza pianificata, che vuole sopprimere. Allora dove, in realtà, esisterebbe attualmente una vera tendenza a soddisfare realmente, e su grande scala, i bisogni?» (ivi, p.575).
Dunque, la mancanza di coesione e la precarietà teorica caratterizzano assai chiaramente questa discussione. Se paragoniamo, per esempio, rispetto a questi errori, il testo dal titolo "Preliminari per una Definizione dell'Unità del Programma Rivoluzionario", scritto da Debord e Canjuers nel 1960, si può facilmente vedere come l'unica via di uscita consisteva in realtà, e consiste sempre, nell'abbandonare la contemplazione artistica per l'azione rivoluzionaria sperimentale, e sostituire il consumo della cultura con la costruzione della vita.
- Les Amis de Némésis - Pubblicato domenica 20 luglio 2003 -
NOTE:
[*1] - In particolare, Anders ricorda che: «E' interessante constatare come in questi anni critici venne fatto un tentativo di di mettere intellettualmente in relazione due cerchie che non erano strettamente legate, la cerchia brechtiana e quella della Scuola di Francoforte. Nel corso di uno dei seminari, tenni una breve conferenza che conteneva già la filosofia della cultura (Kulturphilosophie), che ho poi presentato nel mio volume letterario e filosofico "Mensch ohne Welt", soprattutto nella sua prefazione. Allora abitavo a casa di Herbert Marcuse. Probabilmente era stato lui a proporre che io partecipassi a quel seminario. Inoltre frequentavo Eisler e Brecht, e anche loro due vennero associati al progetto, in modo che c'è stato veramente questo tentativo di raggruppare due formazioni di musica da camera, che suonavano separatamente, per farne una piccola orchestra» (op.cit., p.361). Quanto a Brecht, egli aveva annotato nel suo "Arbeitsjournal" (p.510): «13/8/42 - Horkheimer, Pollock, Adorno, Marcuse, Eisler, Stern (Anders), Reichenbach e Steuermann discutono a casa di Adorno di Brave New World di Huxley. Questo Huxley si preoccupa per alcuni fenomeni dei tempi moderni. Constata un abbassamento dei bisogni culturali. Crescono gli acquisti di ghiacciaie, diminuisco gli acquisti di Huxley. Se si soddisfano troppo i bisogni fisici (il vicepresidente Wallace ha già promesso un bicchiere di latte per ogni abitante), ne soffrono i bisogni spirituali. E' la sofferenza ad aver fondato la cultura; perciò, se la sofferenza scompare, allora ci sarà la barbarie? Il dott. Pollock, economista dell'Istituto di Ricerca Sociale (un tempo a Francoforte, adesso a Hollywood) è convito che il capitalismo sia in procinto di sbarazzarsi delle sue crisi, semplicemente per mezzo di opere di interesse pubblico. Marx non poteva prevedere che un giorno il governo avrebbe fatto costruire delle strade! Eisler ed io, piuttosto stanchi per quanto abbiamo camminato, siamo impazienti e ci "siamo seduti dalla parte del torto", in mancanza di un altro posto dove metterci. 22/ 8/42 - A casa dei Francofortesi. Reichenbach come tutti i socialdemocratici è preoccupato, "l'eredità" deve potersi rifugiare senza alcun danno nella società senza classi. La questione del salvataggio dei beni culturali non lo lascia dormire, mentre io mi assopisco. Invano gli si spiega che i beni culturali hanno la stessa funzione di tutti gli altri beni, la funzione di merce. La sinfonia di Beethoven sottomette semplicemente il proletario al resto della "cultura", che per lui è una barbarie. Naturalmente, verranno salvate solo le arti che partecipano al salvataggio dell'umanità. La cultura deve abbandonare il suo carattere di merce, per diventare cultura. Ma come si può preservare la comprensione per la cultura? Sono le arti ad incaricarsene (producendo questa comprensione), la musica di Schönberg rende comprensibile quella di Beethoven. I proletari devono liberare la produzione tutta intera dalle sue catene, e la produzione artistica così come tutte le altre.»
[*2] - L'espressione di "Pint Milk" si riferisce alla promessa fatta dagli uomini politici del New Deal (in particolare dal ministro dell'agricoltura Henry A. Wallace, membro dell'ala di sinistra dell'amministrazione Roosevelt) di fornire ad ogni bambino un mezzo litro di latte al giorno, Nel 1954, Mendés-France, un altro progressista, obbligherà i bambini a bere in classe il loro latte quotidiano.
[*3] - Il testo tedesco presenta una lacuna che l'editore tedesco ha colmato in questo modo. Al contrario, a noi sembra probabile che Anders abbia voluto dire esattamente il contrario, ossia che è impossibile attenersi a delle categorie occidentali moderne già bell'e pronte, semplicemente esportandole, e che invece è necessario prendere in considerazione l'insieme della vita sociale in Nuova Guinea, al fine di situare ogni pratica in maniera appropriata, cioè alla luce di questa totalità.
[*4] - Ripresa dello slogan nazista «Kraft durch Freude» («La forza attraverso la gioia»), volto ad ispirare una pratica burocratica della ginnastica.
[*5] - Marx Engels Opere, Volume 13, p.624.
fonte: Les Amis de Némésis