sabato 31 dicembre 2016

Prima prendiamo L’Avana

cohen

Nel 1957, Esther Cohen era tornata a Montreal dalla sua luna di miele. Entusiasta, aveva raccontato al fratello che Cuba era un paradiso per i turisti, e L'Avana una città voluttuosa, paradisiaca, piena di casinò, sale da ballo e bellissimi alberghi. Due anni dopo, nel 1959, Fidel Castro avrebbe preso possesso dell'isola e ben presto si sarebbe confrontato direttamente con gli americani. Era il 1961. Nel marzo di quello stesso anno, Leonard Cohen prese un volo diretto da Miami a L'Avana per andare a vedere da vicino la rivoluzione, e partecipare di persona del momento storico in cui avrebbe avuto inizio un governo il cui sistema politico gli sembrava incredibilmente attraente e promettente, l'edificazione di un paese che sarebbe diventato un paradiso per il bene comune degli individui.

Nell'immaginario di Cohen, la guerra civile spagnola aveva assunto proporzioni mitiche. Vi era stato assassinato il suo eroe letterario, Federico Garcia Lorca, una figura che avrebbe dato un'impronta particolare alla sua visione artistica e che per cinquant'anni avrebbe influenzato la sua opera. Allora, in Cuba, Cohen vedeva l'opportunità di poter partecipare alla sua guerra e di essere presente in quel movimento di liberazione dall'oppressione del potere.
Subito dopo essere arrivato, l'artista si ritrovava all'Avana, a discutere fino a tarda notte; a fare amicizia con prostitute, magnaccia, scrittori, artisti, comunisti americani e con ogni genere di personaggi notturni moralmente ambigui. In quel frangente, Cohen, mentre si trovava sulla spiaggia di Varadero, venne arrestato con l'accusa di spionaggio da una dozzina di soldati rivoluzionari armati di fucili mitragliatori cecoslovacchi arruginiti. Dopo un interrogatorio durato ore, alla fine riuscì a convincerli che si trovava a Cuba in viaggio di piacere, perché era un seguace del nuovo regime, e non in quanto parte di un'invasione americana, di cui si vociferava. Non appena i miliziani si ritennero soddisatti con le spiegazioni del poeta, aprirono una bottiglia di rum e diedero luogo ad una sorta di festa, di cui si possono vedere diverse foto che ritraggono Cohen in posa da soldato insieme agli uomini che lo avevano arrestato.

Nonostante tutto quello che accadeva sull'isola, il canadese non era riuscito a sfuggire alle abitudini e alle usanze della tradizione ebraica, così qualche giorno dopo un ufficiale del suo paese, a mezzanotte, bussò alla porta dell'albergo in cui era ospitato per portarlo al consolato e spiegargli che sua madre, nel più rigoroso stile iperprotettivo ebraico, aveva contattato i funzionari politici per localizzarlo e sapere se stesse bene. Il rivoluzionario Cohen doveva comunicare con sua madre.
In una lettera al suo editore, Jack McClelland, Leonard Cohen raccontò le peripezie occorsegli la notte in cui venne invasa Baia dei Marranos e scherzò sul fatto che per lui sarebbe stato meglio morire nel corso dell'attacco aereo, di modo che così le vendite del libro che stava per essere pubblicato a Montreal, "The Spice-Box of Earth", sarebbero schizzate alle stelle. Quello che allora non sapeva era che sei anni più tardi il suo nome sarebbe stato conosciuto a livello mondiale, e non come scrittore ma come musicista, una carriera iniziata nel 1967, all'età di 35 anni, per quadagnare un po' di soldi, dal momento che come scrittore non era riuscito a conseguire una sicurezza finanziaria.
Ma ben presto, a Cuba, aveva capito che il nuovo regime sarebbe stato ancora più dittatoriale, brutale ed oppressivo di quello vecchio. Anni dopo, avrebbe scritto a suo cognato: «Faccio parte di quei pochi uomini della mia generazione che hanno avuto interesse per la realtà cubana, quanto bastava per andare a vederla con i propri occhi, senza essere stati invitati, e per soffrire la fame quando ebbero finito il denaro, non essendo disposti a ricevere i sandwich di un governo che stava assassinando i prigionieri politici».

Da quel momento, le frontiere e le relazioni diplomatiche di Cuba con i paesi come il Canada cominciarono a chiudersi, e migliaia di turisti vennero rinchiusi nelle prigioni che si riempivano di prigionieri politici. Fu allora che Cohen decise che era arrivato il momento di lasciare l'isola, perciò ogni giorno si recava all'Aeroporto Internazione José Martí, per cercare di trovare un posto su quelli che sarebbero stati gli ultimi voli da Cuba a Miami. Dapprima con scarsa fortuna, Cohen alla fine riuscì a trovare un posto, solo che al momento di salire a bordo venne improvvisamente arrestato e portato ad una stazione di polizia. Qui, un ufficiale lo informò che non avrebbe lasciato Cuba, dal momento che nel suo zaino era stata trovata una foto che lo ritraeva vestito da miliziano insieme ad altri soldati e dalla quale si deduceva che era un disertore. Il suo falso passaporto canadese - lo avvertì l'ufficiale - non lo avrebbe aiutato a scappare. Nel frattempo, come se si trattasse del copione di un film di Hollywood, sulla pista di atterraggio era esplosa un'enorme confusione, nel momento in cui alcuni soldati avevano cominciato ad evacuare con la forza i cittadini cubani da un altro aereo. Il soldato che gli avevano messo di guardia venne chiamato urgentemente per affrontare la crisi improvvisa, e Cohen prese il suo zaino e si incamminò nervosamente verso l'aereo, ripetendosi: «Non ti voltare, continua a camminare, ce la puoi fare, cammina...». Quel giorno, Leonard Cohen salutò per sempre L'Avana.

Ma il danno ormai era stato fatto. Quel movimento che prometteva, o che per lo meno nella mente di Cohen sembrava essere il progetto di un ideale pratico che avrebbe permesso di fare della vità sociale un'attività più coesa e comprensibile, lo aveva assolutamente deluso. A Cuba, aveva capito che non avrebbe mai fatto parte della collettività, aveva capito che sarebbe stato un individuo la cui opera si sarebbe basata sulle stanze private e chiuse del suo cuore, con la sua vita di personaggio immaginario per eccellenza di quella sua stessa opera da poeta tragico.
Da quel trambusto e da quello stordimento si allontanò viaggiando verso Hydra, la piccola isola greca dove cominciò a lavorare al suo capolavoro, il romanzo Beatiful Losers, usando tutto ciò che i Caraibi non gli avevano dato: calma, senso di individualità, un proprio spazio.

Cuba è il prologo al primo capitolo in cui l'autore di "So Long, Marianne" rinuncia ad esser parte della collettività e diventa un individuo la cui vita è una costante pulsione di ossessioni circolari che formano una sorta di unità multidirezionale. Cohen è come un rotolo di spago, i cui estremi vanno a comporre una sfera, partendo da direzioni opposte per poi incontrarsi sorprendentemente in cima, e riconoscersi come parte di una tale unità, per poi continuare il loro cammino di nuovo in direzione contraria fino al fondo della sfera.
La poesia, l'ebraismo, la sua mania per le donne, le droghe, lo Zen e, soprattutto, il suo lavoro di compositore sono le ossessioni che sebbene appaiano contraddittorie si ripetono più volte nel corso della sua vita. Sono state queste le attività per mezzo delle quali ha cercato le risposte che lo avrebbero salvato, che avrebbero alleviato la sua costante depressione, che avrebbero dato senso alla sua vita come artista e come individuo, per poter così esplorare e sfruttare le possibilità poetiche della vita.
Il miracolo di Leonard Cohen affonda le sue radici nel fatto che il suo lavoro è quello di un artista che ha compreso che l'arte è in grado di sublimare il tragico, e che attraverso l'estetica del suo linguaggio ha mutato la sua oscurità in un fuoco di luce.

cohen a cuba

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