Il sistema è rotto
- di Michael Roberts -
In un articolo di fine anno, il biografo di John Maynard Keynes, l'economista Lord Robert Skidelsky scrive: «Cerchiamo di essere onesti: nessuno sa cosa sta succedendo oggi nell'economia mondiale. Il recupero rispetto al crollo del 2008 è stata inaspettatamente lento. Ci troviamo sulla strada della buona salute o siamo impantanati in una "stagnazione secolare"? La globalizzazione sta arrivando o se ne sta andando?»
E continua: «I politici non sanno che pesci pigliare. Spingono le solite (ed insolite) leve e non succede niente. Si supponeva che il quantitative easing avrebbe riportato nuovamente l'inflazione a livelli utili. Non è stato così. Si supponeva che la contrazione fiscale avrebbe ripristinato la fiducia. E non l'ha fatto».
Skidelsky dà la colpa di tutto questo allo stato della macroeconomia - e ci ricorda la famosa visita della regina Elisabetta alla London School of Economics nel bel mezzo della Grande Recessione del 2008, quando la regina chiese al gruppo di eminenti economisti: perché non si fossero accorti di cosa stesse arrivando? E loro risposero che non sapevano perché non lo avevano saputo!
Skidelsky va avanti a considerare le diverse ragioni dell'incapacità da parte degli economisti ufficiali di vedere l'arrivo della crisi, così come di riuscire a capire ora che cosa fare. Una delle ragioni potrebbe essere dovuta al fatto che l'istruzione economica si concentra su modelli irrealistici e su formule matematiche, piuttosto che cogliere "il quadro intero". Skidelsky sostiene che gli economisti si sono tagliati fuori dalla «comprensione comune di come funzionano le cose, o di come dovrebbero funzionare». Quest'analisi segue a quella svolta recentemente da Paul Romer, il nuovo economista capo presso la Banca Mondiale, che, nel dare le dimissioni dal mondo accademico, ha attaccato lo stato attuale della macroeconomia.
Una seconda ragione proposta da Skidelsky è quella per cui l'economia ufficiale vede la società come se fosse una macchina che può raggiungere un equilibrio fra offerta e domanda, cosicché «le deviazioni rispetto all'equilibrio sono delle "frizioni", dei semplici "sobbalzi lungo la strada"; ammortizzandoli, i risultati diventano predeterminati ed ottimali». Ciò che quest'approccio non riesce a riconoscere, dice Skidelsky, è il fatto che nell'economia operano esseri umani i quali non possono essere adattati al modello di equilibrio della macchina. La matematica li considera ostacoli per il quadro generale a causa della loro volubilità ed imprevedibilità umana. Quello che secondo Skideslky manca agli economisti è una «una cultura più ampia ed una prospettiva». Gli economisti hanno bisogno di una conoscenza più ampia di un maggior numero di cose che attengono all'organizzazione sociale, al comportamento, e alla storia dello sviluppo umano, e non solo di modelli e di matematica.
Anche se le argomentazioni di Skidelsky contengono più di un elemento di verità, tuttavia in realtà non spiegano perché l'economia ufficiale abbia divorziato dalla realtà. Non si tratta di un errore nella formazione o della mancanza di conoscenze nell'ambito delle scienze sociali, ad esempio la psicologia; ma si tratta del deliberato risultato conseguente al bisogno di evitare di considerare la realtà del capitalismo. "L'economia politica" inizia come un'analisi della natura del capitalismo svolta su basi "oggettive" dai grandi economisti classici Adam Smith, David Ricardo, James Mill ed altri. Ma una volta che il capitalismo è diventato il modo dominante di produzione nelle maggiori economie ed è altresì diventato chiaro che il capitalismo era un'altra forma di sfruttamento del lavoro (questa volta da parte del capitale), gli economisti si sono immediatamente affrettati a negare tale realtà. L'economia ufficiale ha preferito diventare un'apologia del capitalismo, sostituendo l'equilibrio generale alla concorrenza reale; ha sostituito la teoria del valore-lavoro con l'utilità marginale e ha messo la legge di Say al posto delle crisi.
Come succintamente espresso da Marx: «Osservo qui una volta per tutte che per economia politica classica io intendo quell'economia, da W. Petty in poi, che ha indagato le relazioni reali di produzione nella società borghese, in contrasto con l'economia volgare, la quale si occupa solo dell'apparenza, tornando sempre a ruminare incessantemente il materiale fornito da tempo dall'economia scientifica, allo scopo di rendere plausibili, per l'uso borghese quotidiano, le spiegazioni dei fenomeni più fastidiosi, ma per il resto si limita a sistematizzare in maniera pedante e proclamare come verità eterne le trite e banali idee dei borghesi compiaciuti del loro proprio mondo, che è per loro il migliore dei mondi possibili»
Quel che non va con l'economia ufficiale non è (solo) il fatto che gli economisti di oggi sono troppo strettamente matematici e focalizzati sui modelli economici - non c'è niente di intrinsecamente sbagliato nell'uso della matematica e dei modelli - né che la maggior parte degli economisti non abbia quella pià ampia «erudizione e i molteplici talenti» che avevano gli economisti classici del passato. Ma si tratta del fatto che l'economia non è più "economia politica", non è più un'analisi oggettiva delle leggi della dinamica capitalista, ma è un'apologia di tutte le "virtù" del capitalismo.
L'assunto dell'economia è che il capitalismo è l'unico sistema praticabile di organizzazione sociale umana che possa garantire i desideri e le necessità delle persone. Non esiste alternativa. Il capitalismo è eterno e finché non ci saranno troppe interferenze nel mercato da parte di forze esterne come il governo, o da parte di "eccessivi" monopoli, continuerà a funzionare. Occasionalmente, ci sarà da svolgere il compito di controllare gli "shock" subiti dal sistema (punto di vista neoclassico) ovvero intervenire per correggere i "problemi tecnici" che intervengono nella produzione e nella circolazione capitalista (punto di vista keynesiano). Ma il sistema in sé va bene.
Si prenda la reazione di Paul Krugman all'articolo di Skidelsky. Ciò che sconvolge Krugman è il fatto che Skidelsky sostenga che l'economia ufficiale abbia calcolato che la contrazione fiscale (austerity) fosse necessaria per "ripristinare la fiducia" dopo la Grande Recessione. Krugman, moderno decano del keynesismo, non è d'accordo con il biografo di Keynes. L'economia ufficiale, quanto meno la sua ala keynesiana, sostiene il contrario. Più spesa pubblica, e non meno, avrebbe portato l'economia capitalista fuori dalla sua depressione. Si tratta di macroeconomia di base, sostiene Krugman.
Subito dopo dichiara che l'austerity è «fortemente correlata alle recessioni economiche». In realtà, la validità di una simile affermazione è piuttosto debole, come ho dimostrato in più post sul mio blog e in articoli per la stampa (presenti e futuri). La grande soluzione keynesiana dei soldi facili, zero rate di interessi e fiscal spending, quando è stata sperimentata (e tutte le tre volte che questo è avvenuto, è stato in Giappone), si è rivelata ben al di sotto delle aspettative di porre fine alla depressione. Krugman, naturalmente, ci racconta che questa prova non c'è stata, per lo meno non abbastanza. I politici «hanno rifiutato di usare la politica fiscale per promuovere posti di lavoro; hanno scelto di credere nella favola della fiducia per giustificare gli attacchi al welfare, dal momento che era questo ciò che desideravano fare. E certo, alcuni economisti hanno dato loro copertura. Ma questa è una storia del tutto diversa da quella che pretende che l'economia non è riuscita ad offrire una guida utile. Al contrario, ha fornito una guida estremamente utile, che i politici, per ragioni politiche, hanno scelto di ignorare».
A mio avviso, i politici potrebbero aver scelto di non avvalersi del fiscal spending per risolvere il "problema tecnico" della Lunga Depressione in parte per "ragioni politiche". Ma ci sono anche ragioni economiche molto buone per affermare che in un'economia capitalistica, incrementare la spesa pubblica ed aumentare il deficit del bilancio potrebbe non portare ad una ripresa economica se la redditività del capitale è bassa.
Skidelsky ha menzionato l'altro grande punto cieco dell'economia ufficiale: l'affermazione secondo cui il libero movimento delle merci e del capitale, la globalizzazione, è un'opportunità per tutti. Angus Deaton, premio Nobel per l'economia nel 2015, è un ottimistico difensore della globalizzazione. Nel suo libro del 2013, The Great Escape, sostiene che il mondo in cui viviamo oggi è più sano e più ricco di quanto altrimenti sarebbe stato, grazie a secoli di integrazione economica. In una sua intervista al Financial Time, Deaton dice che la «Globalizzazione non mi sembra sia il male peggiore e trovo assai difficile non pensare che abbia avuto il risultato di liberare dalla povertà miliardi di persone».
Ho discusso gli argomenti di Deaton in un post precedente. Deaton rappresenta tutto ciò che c'è di meglio oggi nell'economia ufficiale, dal momento che osserva i grandi temi: globalizzazione, robot, ineguaglianza e salute e felicità umana. Ora è preoccupato della minaccia che i robot rappresentano per i posti di lavoro, per la crescente ineguaglianza proveniente dal "rent-seeking" e per il deterioramento della salute degli americani a causa dell'abuso di farmaci, pompati dalle aziende farmaceutiche. Ha calcolato che «la felicità può essere effettivamente raggiunta quando una persona guadagna la somma di $75.000 l'anno». Naturalmente, per la maggior parte delle persone questo non si verifica, come sa bene Deaton. Ma lui rimane comunque fiducioso che il capitalismo sia il miglior sistema di organizzazione sociale in quanto negli ultimi 250 anni ha tirato fuori miliardi di persone "dalla povertà". Perciò il capitalismo funziona, anche se gli apologeti ne ignorano il funzionamento, e quando non funziona non riescono a spiegarne il perché.
L'intervistatore del Financial Time ha salutato Deaton e si è incamminato verso la sua automobile, «C'è un foglietto morbido e bagnato attaccato al parabrezza, una multa di $40. Sorrido. Ripenso anche al consiglio che mi aveva dato Deaton non appena mi ero seduto ed avevo menzionato il mio timore per la possibilità di una multa. "Sono sicuro che tu possa sistemare la cosa", mi ha detto il premio Nobel. "Basta che tu dica loro che il sistema si era rotto".
Ecco, il sistema si è rotto e gli economisti non possono tirarcene fuori.
- Michael Roberts - Pubblicato il 25 dicembre 2016 -
fonte: Michael Roberts Blog
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