martedì 26 luglio 2016

Pistole, candele e preghiere

himes

8 luglio. Sparatoria a Dallas. Micah Xavier Johnson, un riservista nero, uccide cinque poliziotti bianchi. Quarantotto ore prima la polizia aveva ucciso due neri a Falcon Heights (Minnesota) e a Baton Rouge (Luisiana). Appelli all'unità. Funerali e messa solenne alla presenza di Barack Obama, di sua moglie Michelle ed i coniugi Bush. 17 luglio, una nuova sparatoria, stavolta a Baton Rouge: Gavin Long, un ex marine nero di ventinove anni uccide due poliziotti bianchi. Altri funerali, altra notte di veglia e di preghiera. Non è la prima volta, negli ultimi anni, che gli Stati Uniti entrano in uno strano loop. Nel giugno dello scorso anno, un ragazzo di ventun'anni aveva assassinato nove persone di colore in una chiesa del Sud Carolina. Anche quella volta, preghiere. Solo pochi mesi prima, nell'agosto del 2014, era esplosa la rabbia in seguito alla morte di un ragazzo nero di diciotto anni, crivellato di colpi da un poliziotto per aver rubato un pacchetto di sigarette, a St. Louis (Missouri). Dell'altre candele e preghiere. E grida contro l'odio. La ruota di un conflitto che non smette di girare.

Settant'anni fa, uno scrittore nero di successo che aveva denunciato il razzismo in Nord America scappava dagli Stati Uniti per stabilirsi a Parigi. In un'intervista aveva dichiarato che il fatto di « nascere in America non ti rende americano ». Non condivideva quello che stava avvenendo nella terra dello zio Tom riguardo alla situazione dei neri. Ma inoltre, non era nemmeno d'accordo col modo in cui venivano condotte le manifestazioni contro le persecuzioni razziali che negli anni cinquanta stavano cominciando. Quest'autore era Chester Himes (1909-1984). Dopo essersi esiliato in Francia, se ne andò in Spagna, sulla costa dalle parti di Alicante, dove morirà nel 1984. È sepolto nel cimitero di Benissa. Oggi quasi nessuno lo ricorda. Non esiste nemmeno una strada intitolata a suo nome. Himes rimane nella memoria allo stesso modo in cui è morto: al suo funerale c'erano solo dodici persone e nessuna autorità.

E tuttavia la persona e l'opera di Himes spiegano come poche quel che avviene negli Stati Uniti, e perché. Lo scrittore era nato nel profondo sud degli Stati Uniti, a Jefferson City, Missouri, e aveva studiato a Cleveland (Ohio), proprio dove si è tenuta la Convention repubblicana che ha incoronato Donald Trump come candidato alla presidenza, e dove non è proibito portare armi per strada durante le proteste. Himes proveniva dalla classe media, aveva studiato nell'Università di Columbus, ma venne espulso per furto e di lì a poco, a diciannove anni, andò in prigione con una condanna di vent'anni per rapina a mano armata. E fu lì, come era accaduto ad altri scrittori, come Edward Bunker, che cominciò a scrivere come un ossesso. « Un lottatore lotta, uno scrittore scrive », era il suo motto. Scriveva piccole storie che spediva a riviste e periodici. Nel 1934 riuscì a pubblicare la prima. E anche se allora non lo sapeva, la sua sarebbe stata una carriera implacabile.

L'anno dopo esce dal carcere e, dopo aver fatto ogni tipo di lavoro, nel 1945 pubblica il suo primo romanzo con la Doubleday, "Se grida, lascialo andare", in cui sono già esposte tutte le sue inquietudini: il razzismo in America, ma senza un briciolo di condiscendenza verso i neri. Il libro è una critica brutale dell'atteggiamento dei bianchi e dei neri, che descrive senza alcun pudore la criminalità degli uni e degli altri. Il romanzo è un successo e Himes diventa uno dei primi scrittori neri - stiamo parlando degli anni quaranta, quando questo era qualcosa di insolito - ad essere riconosciuto come tale sia dalla critica che dai lettori. Tuttavia, il fatto di non schierarsi né con gli uni né con gli altri, lo porterà a subire ritorsioni da entrambe le parti, tanto dai neri quanto dai bianchi. Il suo editore non tollerava la violenza, la brutalità delle sue storie (lo stupro di una donna bianca da parte di un nero, fra le altre storie) e anche la  National Association for the Advancement of Colored People lo condannò ufficialmente.

« Himes intendeva esporre l'ingiustizia razziale, soprattutto nelle sue dimensioni più subliminali. Il suo stile e le sue storie facevano vergognare molti scrittori del tempo, ma lui insisteva sul fatto che non era così semplice spiegare il conflitto razziale nella storia americana, ma si doveva anche considerare un certo rapporto di condiscendenza da parte dei liberal di sinistra », spiega il professore della Johns Hopkins University, Lawrence Jackson, che il prossimo anno pubblicherà una biografia di Himes.

Tale questione può essere osservata in quello che è stato il suo secondo romanzo, "Crociata solitaria", nel quale si mescolanto tutte le tensioni razziali e politiche di una Los Angeles vista negli anni della seconda guerra mondiale. Il protagonista è Gordon Lee, un nero che è stato eletto per organizzare un sindacato in un'impresa manifatturiera. Una pagina dopo l'altra, appaiono i lavoratori neri, i comunisti e gli ebrei, in una notevole esposizione di come, per Himes, la sinistra - compreso l'ebreo progressista - sostenesse l'uguaglianza razziale, però con delle sfumature: l'uguaglianza con i neri, ma non troppo. E come, a loro volta, i neri disprezzassero tale uguaglianza. Lo mostra in uno dei dialoghi che si svolgono nel libro:
« Un negro deve guadagnare ventimila dollari per sentirsi al sicuro quanto un bianco che ne guadagna cinquemila. Perché? Lo sai perché. Perché fa parte delle convinzioni di un negro pensare che deve essere buono il doppio per essere almeno considerato. Non c'è modo di evitare questa cosa (...) Perciò, all'inizio di ogni movimento democratico, i negri saranno sempre un problema particolare », dice Lee rivolto ad uno dei compagni bianchi del sindacato che cerca ciecamente di ottenere la più piatta "unità" razziale e di non trattere i neri come un "problema".

Naturalmente, questo modo di intendere il problema per la maggioranza non era facile da assimilare, né da una parte né dall'altra, e questo lo si può capire dalla frustrazione condivisa da tutti i personaggi di Himes. Era, in qualche modo, la stessa frustrazione provata dallo scrittore alla fine degli anni quaranta e all'inizio dei cinquanta. « A metà della sua carriera, Himes divenne un capro espiatorio perché era lo scrittore nero che rifutava di accettare che gli Stati Uniti si fossero convertiti in una società multirazziale che funzionava. Era emarginato a causa del suo rifiuto a voler preconizzare un futuro ottimista fatto di una sana integrazione razziale e di giustizia economica », sottolinea il professor Jackson. Perché per Himes erano importanti anche le disuguaglianze economiche esistenti nelle imprese e nelle fabbriche, disuguaglianze che non smise mai di criticare in tutto il corso della sua vita. Nei suoi romanzi c'è sempre un mantra: se c'è povertà, sfruttamento e schiavitù, si può fare ben poco con un discorso a proposito dell'uguaglianza delle razze. « La storia ha dimostrato che i suoi acidi giudizi non erano sbagliati » conclude Jackson.

Nei suoi successivi romanzi, "Tira la prima pietra", "La terza generazione" e "Fine di un primitivo", lo scrittore continua ad insistere sulla stessa tematica. « Quello su cui stava cercando di riflettere era il fatto che il razzismo in Nord America non consisteva tanto nel linciare i negri quanto nel distruggerli psicologicamente », sostiene il suo biografo. Una lenta guerra che faceva schizzare meno spruzzi di sangue, ma il cui risultato ero lo stesso. Per cui, nel 1953 deciderà di lasciare gli Stati Uniti. Nel 1956 si stabilità definitivamente in Francia, come già avevano fatto altri scrittori come Hemingway. Ed è qui che finalmente diventa uno scrittore di fama mondiale con i suoi romanzi che hanno per protagonista due detective negri di Harlem, Coffin Ed Johnson e Gravedigger Jones, e dove si lascia alle spalle la frustrazione degli anni americani. Non è più uno scrittore dolente ed amareggiato. « Nei romanzi francesi aveva invertito i suoi sforzi, non tanto nel mostrare l'ipocrisia etica quanto nel mostrare lo spettacolo carnevalesco creato dalla schiavitù e dalla segregazione. Il dolore che prima sentiva ora lo risolveva con umorismo e lo faceva riconoscendo l'assurdo della società occidentale e la visione confusa che la popolazione nera ha degli Stati Uniti », afferma Jackson. Una rassegnazione dotata di una qualche speranza che fece sì che i suoi libri fossero trasformati in film e che lui fosse acclamato dai lettori. « La generazione che aveva cominciato a scrivere dopo l'assassinio di Malcom X ha potuto chiamarsi con orgoglio negra, definendo la sua identità nella tormenta della politica di sinistra e dell'estetica negra nazionalista, e lo ha considerato un proprio antenato », sostiene Jackson.

Chester Himes è morto praticamente da solo, sulla costa di Alicante. Quando era arrivato lì era un uomo malato che riusciva a malapena a camminare. Lo accompagnava la moglie, Lesley, che continuò a vivere a Moraira fino alla morte avvenuta nel luglio 2010, e fu lei che si fece carico della sua eredità (diciassette romanzi, un'autobiografia e un buon numero di storie brevi). Non sono rimaste molte tracce di quello che è stato uno dei primi scrittori neri che abbia parlato con onestà del razzismo negli Stati Uniti. L'unico autore che ha rivolto lo sguardo laddove nessuno intendeva rivolgerlo. Tuttora. Perché laggiù continuano a dominare le pistole, le candele e le preghiere.

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