I quattro volti del surplus
- di Christophe Darmangeat -
Chiunque abbia qualche familiarità con il ragionamento materialista sull'evoluzione sociale sa (o crede di sapere) che il sorgere della differenziazione sociale, e quindi dello sfruttamento, è legato all'apparire di un "surplus", di un'eccedenza, assente nelle società dei cacciatori-raccoglitori e che si è poco a poco sviluppato con l'agricoltura. In realtà, quest'idea molto vecchia (ne troviamo le prime formulazioni già nel 18° secolo) si basa su una serie di supposizioni che non sono poi così evidenti come appaiono a prima vista. In questo post, non affronterò il cuore di questi ragionamenti; in quanto, prima di arrivarci, bisogna cominciare a mettersi d'accordo su cosa sia il "surplus" in questione. Infatti, a pensarci, ci si rende rapidamente conto che la parola può assumere almeno quattro significati assai differenti fra di loro. È questo il problema con le parole che ci sono familiari: si finisce per dimenticare che contengono del non detto, che può variare da un contesto all'altro e ne può cambiare totalmente il significato. Circostanzialmente, un surplus è un'eccedenza: è quindi il risultato di una differenza fra due quantità. Tutto sta a sapere quali...
Surplus fisiologico e surplus sociale
Una prima definizione di surplus consiste nel riferire la produzione di una società ai suoi bisogni psicologici. Si dirà perciò che una società non genera alcun surplus se essa si trova al limite della sopravvivenza, e che invece in caso contrario ne produce uno. È questo surplus "psicologico" ad essere al centro dei ragionamenti della corrente cosiddetta del materialismo culturale, la cui figura più importante è Marvin Harris.
Ora, questa definizione differisce in maniera abbastanza significativa da quella che viene comunemente utilizzata dalla corrente marxista, e che riferisce la produzione a tutto ciò che ritorna ai produttori. Il surplus in questo caso serve a permetterci di affrontare direttamente il fenomeno dello sfruttamento: è il frutto del plus-lavoro, quella frazione di lavoro dei produttori che viene loro estorta dalla classe dominante, e che nel capitalismo assume la forma del plus-valore. Chiamiamo questo surplus il surplus "sociale".
È chiaro che il surplus fisiologico ed il surplus sociale sono due cose del tutto differenti. Né l'uno è una condizione dell'altro. Per cominciare, si può benissimo avere un surplus fisiologico senza avere alcun surplus sociale: basti pensare ad una tribù di cacciatori o di pescatori egualitari, che si trovano in un ambiente relativamente favorevole, e dove perciò ciascuno mangerà ampiamente a sazietà senza che nessun sfruttatore estorca del pluslavoro a chiunque. In questo caso, esisterebbe un surplus fisiologico senza che esista alcun surplus sociale. Inversamente, si potrebbe pensare che non possa esistere un surplus sociale maggiore del surplus fisiologico: una classe dominante non potrebbe prelevare durevolmente del pluslavoro degli sfruttati senza lasciare loro almeno di che sopravvivere e riprodursi. Eppure, una simile configurazione è possibile: perché si realizzi occorre che la classe sfruttatrice non permetta che venga assicurata agli sfruttati la loro stessa riproduzione. Chiaramente, per far questo, è sufficiente che si procuri la mano d'opera in un'altra società, e si possa dispensare così gli sfruttati dal fondare e mantenere una famiglia. Secondo l'eccellente trattato di Marcel Mazoyer e Laurence Roudart sulla "Storia dell'agricoltura del mondo", è una configurazione di questo tipo che ha prevalso nell'antica Roma, dove la produttività agricola è rimasta assai bassa. Ed è la fine dell'approvvigionamento di schiavi nelle società conquistate che, alla fine, fa suonare la campana a morto per l'Impero.
Altre due definizioni
Queste due definizioni di surplus rappresentano già da sé sole un'abbondante fonte di confusione. Ma ce ne sono - almeno - altre due.
La prima viene utilizzata quanto la teoria viene chiamata a spiegare non lo sfruttamento, ma la divisione del lavoro. Prendiamo il caso semplice (e, storicamente di gran lunga il più frequente) in cui la prima produzione specializzata diversa dai beni alimentari, sia la metallurgia. Si dirà allora che affinché esista un settore metallurgico, bisogna che i produttori di beni alimentari producano più di quello che consumano: si tratta di un surplus. Notiamo che un tale surplus, per definizione, ne presuppone un altro: reciprocamente, bisogna che i metallurgici producano più martelli, pinze, asce, chiodi o ferri di cavallo di quanto essi ne utilizzano. In genere, l'attenzione si focalizza sul settore alimentare, senza che si sia ben certo che ci siano delle buone ragioni per questo.
Ho qualche problema a trovare un aggettivo per questo tipo di surplus. La meno peggio che mi viene in mente è quella di surplus tecnico, ma sono consapevole che non sia troppo buona come scelta. Inoltre, questo surplus, anch'esso, è del tutto indipendente dai due precedenti. Combinandoli due a due, ci si accorge che si può sempre immaginare una situazione in cui uno esiste senza che ci sia l'altro.
Infine, una quarta definizione di surplus introduce nell'equazione un concetto temporale: il surplus, è l'eccedenza della produzione sul consumo ad un momento dato - concretamente, si suppone che questo surplus non giochi un ruolo se non per il fatto che viene conservato in vista di un utilizzo futuro. Quindi, qui, il surplus è la scorta.
Ancora una volta, non è difficile vedere che le scorte, di per sé, non costituiscono né un surplus psicologico, né un surplus tecnico, né un surplus sociale. Precisiamo quest'ultimo punto: ci può stare benissimo (almeno in teoria) che una società le cui risorse siano stagionali costituisca ogni anno delle scorte per la stagione morta, senza che esista allo stesso tempo né sfruttamento, né classe dominante - e quindi, senza che esista un surplus sociale. Inversamente (e sempre in teoria) si può assolutamente immaginare una classe dominante che prelevi un plusprodotto in una società che non costituisce nessuna scorta significativa. Siamo chiari: sono convinto che in realtà, esiste un rapporto (indiretto) fra scorte e surplus sociale. Ma si tratta precisamente di un rapporto (indiretto, ripeto), e non di un'identità. In altre parole: non si può dire niente di pertinente sulla stratificazione sociale se si affronta il problema muniti di un concetto onnicomprensivo di surplus che ricopre tutt'insieme due, tre, perfino quattro definizioni. Ora, si ha spesso a che fare con simili confusioni. Fra i tanti, citerò un passaggio dal libro di Jared Diamond, "Armi, acciaio e malattie", un libro per certi aspetti assai interessante, ma in cui avvengono continuamente cambiamenti di significato fra scorte e surplus sociale:
« Nel momento in cui ad alcuni cacciatori-raccoglitori nomadi si presenta l'occasione di raccogliere dei viveri in più rispetto a quelli che possono consumare in qualche giorno, questa manna gli è di poca utilità in quanto non possono conservarla. Viceversa, le scorte alimentari sono essenziali per nutrire degli esperti che non producono alimenti e, certamente, delle intere città. Di conseguenza, le società nomadi dei cacciatori-raccoglitori hanno pochi, se non nessuno, di questi esperti a tempo pieno che stanno emergendo nelle società sedentarie.
I re ed i burocrati sono due tipi di esperti di questo genere. Le società di cacciatori-raccoglitori sono relativamente egualitarie, mancando di burocrati a tempo pieno e di capi ereditari, e posseggono una modesta organizzazione politica a livello di gruppo o di tribù. E ciò per il fatto che tutti i cacciatori-raccoglitori validi sono obbligati a dedicare una buona parte del loro tempo alla ricerca di nutrimento. Al contrario, nel momento in cui è possibile costituire scorte di alimenti, una élite politica può prendere il controllo dei viveri prodotti dagli altri, affermare il suo diritto a prelevare delle imposte, sottrarsi alla necessità di nutrire e consacrarsi interamente all'attività politica. Così, le società agricole di piccola taglia sono spesso organizzate sotto un capo, visto che i regni si limitano alle grandi società agricole. (...) In ambienti particolarmente ricchi, come la costa nordovest del Pacifico in America del Nord e la costa dell'Equatore, alcuni cacciatori-raccoglitori hanno anche sviluppato delle società sedentarie, delle scorte alimentari e si sono organizzate sotto un capo senza impegnarsi ulteriormente sulla strada della formazione di un regno.
La costituzione di una scorta alimentare attraverso la tassazione permette di far vivere altri esperti a tempo pieno. Permette in particolare di nutrire i soldati di mestiere, che sono importanti per le guerre di conquista. (...) Le scorte alimentari possono anche nutrire i preti, che forniscono una giustificazione religiosa alle guerre di conquista; gli artigiani, soprattutto dei fabbri che producano spade, fucili, ed altre tecniche; e gli scribi, che preservano molte più informazioni di quante sia possibile memorizzarne correttamente » (pp.89-90).
continua...
- Christophe Darmangeat - 28 giugno 2016 -
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