Estratto del VI capitolo del libro di Robert Kurz, "Leggere Marx. I testi più importanti di Karl Marx per il XXI secolo. Scelti e commentati da Robert Kurz", La balustrade, 2002. Il testo che segue, di Kurz, è solo un commento ad una serie di estratti del "Marx esoterico" scelti da Kurz. Gli estratti di Marx non sono qui riprodotti.
La globalizzazione ed il "fusionismo" del capitale
- di Robert Kurz -
Anche i più ardenti sostenitori di questa globalizzazione che è al centro del dibattito pubblico della fine del 20° secolo hanno constatato, con una certa ammirazione forzata, che Karl Marx è stato il solo ad aver descritto questo processo già 150 anni fa. A tal punto che chiunque potrebbe, a sua insaputa, trovare sull'inserto domenicale di un grande quotidiano i termini da lui impiegati e scambiarli per un articolo contemporaneo. Senza dare alcuna prova di perspicacia, sia i noti sostenitori di qualsiasi evoluzione del capitalismo che i negatori di sinistra marxisti (diventati conservatori in quanto rimangono fissati sul passato capitalista) sono arrivati alla conclusione che la globalizzazione e tutti i fenomeni concomitanti non sono affatto nuovi e soprattutto non costituiscono un nuovo carattere della dinamica capitalista. Quello che si vuol dire con questo, naturalmente, è che non c'è niente di inquietante, niente di cui preoccuparsi per quel che riguarda l'importanza della crisi, in quanto si tratta sempre del buon vecchio capitalismo. Perciò l'allarme è finito!
I primi sono in attesa di un nuovo miracolo economico mondiale, mentre gli altri si aspettano il proseguimento senza soluzione di continuità dell'attività secondo i concetti della vecchia critica del capitalismo, vale a dire secondo le categorie del capitale.
Niente di nuovo sotto il sole, quindi niente di nuovo da apprendere ed analizzare.
In tutto questo, coloro che non riconoscono che l'attuale globalizzazione costituisca una nuova svolta non rendono davvero giustizia a Marx. Dal momento che se fosse come dicono, Marx non avrebbe fatto altro che descrivere qualcosa che si svolgeva sotto i suoi occhi e sotto quelli dei suoi contemporanei, esattamente allo stesso modo in cui si svolge oggi. Ma allora, ci sarebbe certamente stato un dibattito sulla globalizzazione già 150 anni fa; la posizione di Marx non avrebbe niente di particolare e la sua voce sarebbe solamente una voce fra tante altre. Sicuramente, questo non è assolutamente il caso. Mentre il cosmopolitismo e l'universalismo occidentali astratti del 18° secolo e dell'inizio del 19°, fin dall'inizio non erano che delle pure idee o ideali, durante l'epoca dell'elaborazione della teoria di Marx, il nazionalismo, la politica di protezionismo e la formazione di un'economia nazionale prendevano praticamente posto sulla scena della storia universale capitalista e cominciavano invece a spingere la tendenza all'universalizzazione del capitale. Ciò che oggi rende attuali le dichiarazioni di Marx circa la logica del mercato mondiale e del suo dispiegamento, non sono le idee direttamente empiriche che riguardano la situazione del 19° secolo e lo stadio dello sviluppo capitalista all'epoca, ma è la loro incredibile forza di previsione. L'illusione ottica che si impadronisce del lettore contemporaneo può forse essere spiegata con il fatto che il "pronosticatore" (come spesso avviene in casi simili) si esprime come se descrivesse un'evoluzione già avvenuta e generalizzata, mentre in realtà il suo pensiero, che plana all'altezza dell'aquila, porta a termine un processo a partire da qualche fatto e parametro che si trovano ancora allo stato embrionale. Quando Marx, ad esempio, parla di "comunicazione infinitamente facilitata" in un mondo senza aerei e senza televisione né microelettronica, in un mondo dotato di una telecomunicazione relativamente primitiva e limitata nello spazio, è ovvio che non bisogna attribuire a questi termini un valore che corrisponda ad uno stato qualitativo del mondo attuale, solo perché utilizza le stesse parole.
Marx quindi non si è semplicemente accontentato di descrivere le condizioni empiriche della sua epoca, ma è arrivato a svolgere l'analisi del processo di valorizzazione capitalista in quanto tendenza immanente del capitale alla globalizzazione, e questo lo ha fatto perfino in opposizione alla tendenza dello sviluppo empirico dei suoi tempi.
Ma è proprio per questa ragione che, contrariamente a certi giornalisti esaltati che difendono le possibilità reali dell'attuale globalizzazione del capitale, Marx non è uno scribacchino che fa comunque l'apologia di tutto ciò che avviene. Certo, si può dire che il Marx essoterico dotato di uno spirito esoterico è ancora accettato, quanto meno per i celebri passaggi del "Manifesto Comunista" relativi alla globalizzazione, quando ammira gli exploit della borghesia che "distrugge" "le relazioni feudali e idilliache", ecc.. Oppure "che trascina dentro la corrente civilizzatrice anche le nazioni più barbare", anche se, due frasi dopo, si parla di "ciò che viene chiamata civiltà". Ritroviamo qui le tracce della mitologia storica di un progresso lineare e determinato da delle "leggi" prese in prestito dalla filosofia dei Lumi e dal liberalismo. Marx si mostra come "uomo nella sua contraddizione", quando si leggono le sue righe fulminanti su questo stesso processo storico nel capitolo sulla "accumulazione primitiva".
Ma malgrado le sue contraddizioni - sia che ammiri o maledica il processo passato e reale, oppure il processo futuro e previsto - Marx vede sempre la tendenza del capitale ad universalizzarsi rimanendo strettamente legato alla tendenza immanente all'autodistruzione del modo di produzione capitalista. In questo senso, il capitalismo per Marx non è altro (qui il polo essoterico e quello esoterico della sua teoria si toccano, facendo scintille) che una forma negativa transitoria, una sorta di esplosione della storia. Allora l'universalizzazione e la globalizzazione si infrangono doppiamente contro l'evidente contraddizione in sé del capitalismo: da un lato, il limite nazionale non ha niente di essenzialmente pre-capitalista; è una caratteristica della società moderna in contraddizione con la tendenza di quest'ultima all'universalizzazione, che non smette mai di trasgredire mortalmente; dall'altro lato, il motore della globalizzazione, da parte sua, è negativo e limitato; non è un raggruppamento cosciente e volontario dell'umanità, ma è una fuga cieca dovuta allo stretto calcolo dell'economia industriale che abbandona i mercati interni che diventano troppo piccoli. Alla fine, si tratta di una fuga del capitale davanti a sé stesso nel vasto mondo, dove finisce sempre per ritrovarsi.
Guardando da più vicino, ci si rende conto che la dinamica dell'universalizzazione e della globalizzazione non è altro che la conseguenza del carattere di crisi immanente al modo di produzione capitalista, che si manifesta sotto forma di crisi mondiale del capitale: all'inizio una crisi latente o solo breve e ciclica, ma alla fine visibile e (adesso soltanto!) strutturale. Crisi strutturale e globalizzazione sono quindi una sola ed identica cosa, ma viste sotto degli aspetti differenti. Le condizioni o processi parziali che puntualmente Marx ha incontrato empiricamente (ad esempio, il legame fra la disoccupazione dei tessitori londinesi ed indiani ed il libero scambio, la concentrazione del capitale) e a partire dai quali egli ha rapidamente pronosticato una tendenza capitalista all'universalizzazione, sono diventati solo oggi una situazione mondiale immediata, universale, che ingloba senza eccezioni tutte le regioni e tutti i rami della produzione: i loro effetti negativi ed indiretti non sono più parziali ed occasionali, ma estesi e mondiali, in quanto effetti diretti. Un universalismo capitalista perfetto significa l'universalità perfetta della catastrofe che oggi si manifesta in tutti i settori della vita. Le dichiarazioni di Marx sulla globalizzazione non devono essere interpretate come degli argomenti che vanno oltre la tendenza storica del capitale, come un'indicazione della sua espansione nel mondo, ma come delle spiegazioni che fanno parte della sua teoria della crisi. Infatti, a causa della sua contraddizione interna, la crisi rappresenta la tendenza storica fondamentale del modo di produzione capitalista: una tendenza che ingloba tutte le diverse tendenze e tutti gli sviluppi strutturali.
Allo stesso modo in cui è una conseguenza della tendenza immanente alla crisi, la globalizzazione è allo stesso tempo una funzione della concorrenza universale. Se, da un lato, come dice Marx, il mercato mondiale è sempre stato una condizione del capitalismo e dei suoi rapporti di concorrenza, dall'altro lato, si è trovato fin dall'inizio limitato nella sua azione a causa della comparsa di economie nazionali e di Stati nazionali, e quindi da una concorrenza addomesticata fino ad un certo punto. Speronata dalla tendenza alla crisi, la concorrenza è obbligata ad infrangere queste barriere; è infatti la sua dinamica a trascinare la dinamica della globalizzazione. Quello che si presenta a Marx come una "logica" del capitalismo solo ora diventa una realtà empirica. Inflitrandosi attraverso le frontiere degli Stati nazionali e rompendo la coerenza economica nazionale per mettere in atto il capitale mondiale immediato, la concorrenza diventa essa stessa anche concorrenza mondiale immediata, non filtrata. Questo processo che passa per la trasformazione delle crisi parziali in crisi mondiale totale, diviene esso stesso una concorrenza di crisi mondiale totale - che si riconosce già dal fatto che il dibattito si accanisce, ed è sul punto di degenerare, sulla localizzazione, e utilizza sempre più nettamente le metafore militari, nello spirito di una lotta per la sopravvivenza. Questi stessi politici della vita è tutta rosa, animatori della filosofia della gestione che si compiacciono di una retorica dell'ottimismo e delle possibilità di riuscita parlando di globalizzazione, negano sé stessi con incosciente sincerità quando espongono il successo desiderato di queste "chance" in termini di guerra mondiale, ed invece di suscitare un fiducioso ottimismo nell'avvenire, risvegliano in tal modo tutto il potenziale di angoscia sociale.
Le "leggi naturali" cieche del "capitale in generale, a lungo rappresentate a livello di contesto economico nazionale diventano la legge mondiale immediata del mercato mondiale unico, universale, senza frontiere che non costituisce più la sfera delle relazioni fra le economie nazionali, bensì la sfera universale della concorrenza di crisi mondiale immediata, non filtrata. Ciò significa solamente che questa concorrenza diventa predatoria e che i rapporti delle imprese e degli individui fra di loro assumono lo stesso carattere che hanno sempre avuto le relazioni fra gli Stati nazionali, i cui rapporti non sono soggetti esteriormente alla legge. La disinibizione dell'uomo, che si trova già contenuta nel concetto di capitale e che si è molte volte manifestata nelle atrocità della storia dell'installazione capitalista, minaccia di diventare la condizione mondiale immediata. La globalizzazione ha come rovescio la depravazione morale degli individui, la cui atomizzazione ha preso ugualmente una dimensione planetatia. Bisogna quindi pensare la teoria della globalizzazione di Marx non solo nel contesto della sua teoria della crisi, ma anche in quella della sua teoria della barbarie del capitalismo - si otterrà così l'immagine precisa dell'odierna situazione mondiale.
Marx non è arrivato a scrivere il quarto libro del "Capitale" che doveva riguardare il mercato mondiale e lo Stato; di conseguenza non ha potuto completare la sua analisi dei concetti della logica e della tendenza storica della riproduzione capitalista globale (e quindi mondiale).
Tuttavia, i suoi testi ed i suoi frammenti sul processo di universalizzazione del capitale non sviluppano soltanto le idee fondamentali dei problemi visibili al giorno d'oggi, ma anche - come nella teoria della crisi - le nozioni fondamentali dei meccanismi economici che sono ad essi legati. Su questo piano, la sua teoria della centralizzazione progressiva del capitale è importante. Come la mondializzazione, questa tendenza deriva anche dalla logica della crisi e della concorrenza, ma nel contesto della globalizzazione viene ad essere moltiplicata. Più il capitale fugge i mercati interni ed instaura il mercato mondiale immediato ed universale, più la concorrenza di crisi mondiale immediata provoca delle concetrazioni di capitale che sarebbero stati impensabili su una base economica nazionale, dei capitali mondiali immediati in grado di concorrere con gli Stati. Quest'aspetto della teoria marxista si è anch'esso completamente verificato: la globalizzazione ed il crescente numero di gigantesche fusioni costituiscono oggi le due facce di uno stesso processo.
Per quanto sorprendente sia a 150 anni di distanza la precisione del pronostico, si evidenzia, ancora una volta, l'opposizione fra il Marx essoterico ed il Marx esoterico. Nella teoria della crisi, al cui centro si trova la dissoluzione della "sostanza del lavoro", causata alla fine dal processo concorrenziale, e l'obsolescenza del lavoro e della classe operaia, il Marx esoterico è quasi il solo a prendere la parola. Tuttavia, se le dichiarazioni di Marx sulla globalizzazione, sulla universalizzazione e sulla centralizzazione del capitale mondiale che gli è legato si appoggiano su questa teoria della crisi, è di nuovo il Marx essoterico del movimento operaio che interviene ed assimila la globalizzazione ed il processo di centralizzazione del capitale ad una massificazione e ad una concetrazione ugualmente universale della classe operaia, contrariamente al tema centrale della teoria della crisi.
Ma questo non è stato esatto in quanto la tendenza alla crisi ed alla globalizzazione non aveva ancora veramente raggiunto la sua fase universale, cioè a dire il processo di universalizzazione non aveva ancora raggiunto la sua massa critica, la quale appunto non equivale più ad una massa di forza lavoro redditizia.
Se non si tiene conto di questo, come avviene nel caso della scelta di testi che segue [N.d.T.: il testo di Kurz qui trascritto, è un'introduzione ad una serie di estratti del Marx esoterico], allora la teoria marxiana della globalizzazione constata l'attuale situazione mondiale, e ne illumina, allo stesso tempo, il carattere instabile ed esplosivo. In queste condizioni, l'umanità non potrà costituirsi in una comunità mondiale positiva e finirà solo per tornare allo stato selvaggio in una "seconda natura" divenuta universale.
- Robert Kurz -
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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