mercoledì 27 luglio 2016

Nuove e vecchie lotte

intervista

"Il Collasso della modernizzazione" - 15 anni dopo
- Intervista a Robert Kurz - San Paolo, Ottobre 2004 -

Reportagem: Quando è caduto il muro di Berlino nel 1989, tu appartenevi già da anni ad un gruppo che elaborava una teoria critica radicale. Poco dopo è uscito il tuo libro, "Il collasso della modernità". In che contesto sociale è stata da voi elaborata la critica del valore nella moderna società produttrice di merci?

Robert Kurz: Il nostro punto di partenza non è stato accademico. Eravamo tutti attivisti facenti parte di movimenti sociali di sinistra. All'inizio del decennio 1980, avevamo l'impressione che a partire dal 1968 le idee della cosiddetta "nuova sinistra" si fossero esaurite. Nel gruppo, esisteva una spinta a rielaborare la nostra storia in maniera critica. Non volevamo più partecipare a quello che vedevamo come una sorta di "ciclo maniaco-depressivo" di campagne politiche. Ritenevamo che la teoria non dovesse continuare in maniera immediatamente legata alla pratica politica, essa doveva perdere il suo carattere di "legittimazione" e doveva essere preso sul serio nella sua autonomia. Questo significava una presa di distanza dalla sinistra politica.
La "nuova sinistra", nonostante tutta la sua critica dello stalinismo, non metteva sistematicamente in discussione il carattere socialista e post-capitalista dell'Unione Sovietica. I pochi teorici che parlavano di "capitalismo di Stato", per esempio, in generale erano orientati al maoismo cinese e non andavano al di là di una teoria sociologica, a breve raggio, circa il "potere della burocrazia". Un'analisi più profonda invece constatava che il vero problema del cosiddetto "socialismo reale" era un altro: gli ordinamenti sociali determinati dalla rivoluzione russa e dai movimenti anti-coloniali di liberazione hanno continuato ad essere "modi di produzione basati sul valore" (Marx). La forma sociale del moderno sistema produttore di merci non ha potuto essere soppiantata. Tutte le categorie del capitale sono state mantenute, e sono state solamente moderate e controllate in maniera politico-statale nella forma nazionale. Le persone sono state subordinate al sistema del "lavoro astratto" (Marx) allo stesso modo che in Occidente. Non c'è stata una trasformazione nel senso del "superamento del capitalismo", bensì una mutazione all'interno del capitalismo. Questo ha corrisposto alla situazione storica reale dei paesi dell'Est e del Sud. Tali società non avevano raggiunto il limite dello sviluppo capitalista, al contrario, zoppicavano alla periferia del mercato mondiale in cerca di questo sviluppo. In tal modo, le rivoluzioni dell'Est e del Sud, nonostante la loro nomenclatura anticapitalista e marxista, in realtà sono state rivoluzioni borghesi di paesi storicamente arretrati, da cui sono sorti regimi di modernizzazione ritardata. In fondo, si sono ripetute, con altri orpelli ideologici, quei fenomeni che avevano già caratterizzato la proto-storia assolutista e borghese-rivoluzionaria del capitalismo nel periodo che va dal 14° al 19° secolo.

Reportagem: Gli ultimi decenni del 20° secolo hanno portato, da un lato, ad una crisi qualitativamente nuova che ha aperto uno spazio per una critica del riformismo tradizionale e del neoliberismo. Dapprima questo ha permesso soprattutto la critica del "lavoro astratto", in quanto categoria centrale della riproduzione del moderno sistema produttore di merci, dal momento che la crisi era espressione di un "limite interno" contro cui la società del lavoro andava a sbattere. Dall'altro lato, dopo la sbornia del marxismo strutturalista e dopo il trionfo del pensiero postmoderno nelle università, qualsiasi analisi legata a Marx veniva accusata di economicismo. A partire da questo, come vi siete posti criticamente rispetto alle categorie economiche del marxismo tradizionale, e in che misura la vostra nuova teoria della crisi si distingue da quelle analisi?

Robert Kurz: La nuova interpretazione della storia della modernizzazione nel 20° secolo ha posto il problema di come sia stato possibile, in generale, che tale modernizzazione continuasse "a dispetto" del marxismo. In quanto bisogna esigere sempre dalle innovazioni della teoria sociale che esse siano in grado di spiegare sé stesse. Qui inizia una nuova teoria della crisi: fino ad allora, la teoria marxista aveva analizzato le crisi in quanto interruzioni passeggere dell'accumulazione capitalista, cioè, come crisi congiunturali o come rotture strutturali nella transizione verso un nuovo modello di accumulazione. La teoria della crisi, così come l'idea e la prassi del socialismo politico-statale, è rimasta catturata dentro l'orizzonte del lavoro astratto e dentro le forme sociali del sistema produttore di merci. Non si è considerato possibile un limite interno assoluto dell'accumulazione, oppure, nelle poche eccezioni che abbiamo avuto (come nel caso di Henryk Grossmann), non si è messo in relazione questo limite con il "lavoro astratto", in quanto "sostanza del capitale" (Marx). La nostra nuova teoria della crisi, al contrario, ha abbozzato la tesi secondo cui la "desustanzializzazione" del capitale portata a termine dalla terza rivoluzione industriale della microelettronica rappresenta un limite interno assoluto del processo di accumulazione. Per la prima volta nella storia capitalista, avviene una razionalizzazione che rende inutile la forza lavoro in maniera più rapida (e in volume maggiore) dell'ampliamento dei mercati, reso possibile dal deprezzamento dei prodotti. Sfuma cos' il meccanismo di compensazione delle crisi vigente fino ad allora. Il capitale fugge dall'accumulazione reale e si rifugia nel "capitale fittizio" (Marx), in bolle finanziarie che in ultima analisi devono scoppiare, non solo congiunturalmente, ma strutturalmente. Nella misura in cui, in questa crisi qualitativamente nuova, si dimostra il limite storico dell'accumulazione del "modo di produzione basato sul valore" (Marx), il sistema produttore di merci, il "lavoro astratto" e, insieme ad essi, l'ontologia marxista del lavoro diventano obsoleti.

Così, la stessa posizione storica della nuova e più fondamentale critica del capitalismo si è determinata a partire dalla teoria della crisi. Ma è solo con "Il collasso della modernizzazione" che si è potuto articolare sistematicamente questa nuova teoria della crisi insieme ad una critica concettuale del socialismo basato sul "lavoro astratto" e sulla produzione di merci. La crisi delle forme di base comune del sistema produttore di merci si è palesata per prima fra i ritardatari storici, avanzando poi verso i centri del capitale occidentale. La fine della "modernizzazione ritardata" è l'inizio della fine della modernità e del suo "lavoro astratto", vale a dire, anche la fine della politica, come forma di regolazione, e la fine della nazione, come spazio relazionale del sistema produttore di merce, come dimostra nella pratica il processo di globalizzazione. Tutte le interpretazione che pretendevano di comprendere la caduta dell'Unione Sovietica e la fine del socialismo come se fossero la "vittoria" del capitalismo occidentale, si sono rivelate prive di senso. Al 21° secolo attiene il compito di formulare una nuova critica sociale radicale, vale a dire, trasformare la critica del "lavoro astratto", della forma valore, della produzione di merci, della regolazione politica e della limitazione nazionale in una critica di superamento cosciente di questa connessione formale della società moderna.

Reportagem: Quindi, si tratta di una teoria che non si riferisce più esclusivamente alla categoria del lavoro. Al contrario, diventa chiaro come davanti alla crisi sia le forme di pensare che la prassi, siano esse sociali, economiche o politiche, si aggrappano all'ontologia moderna senza rendersi conto del potere della negatività che si esprime in questa crisi. In Brasile, ad esempio, nelle primi discussioni su "Il collasso della modernizzazione" si sono sentite espressioni come "diavolerie metafisiche", "passo falso" e "catastrofismo". Che impatto ha avuto la tua analisi sulla cosiddetta "opinione pubblica" in generale, e che tipo di ricezione c'è stata nella sinistra tradizionale in particolare?

Robert Kurz: La comparsa di questa nuova analisi e critica ha causato sorpresa nella misura in cui si opponeva completamente alle opinioni allora dominanti. Dall'altro lato, intellettuali lucidi come Hans Magnus Enzensberger, in Germania, e Roberto Schwarz, in Brasile, hanno ritenuto che la nuova teoria critica meritava di esser fatta conoscere ad un pubblico più vasto. Senza una tale approvazione il libro non sarebbe mai stato né pubblicato né tradotto. L'accoglienza da parte del grande pubblico e da parte della sinistra è stata molto articolata. Per alcuni, si trattava di una spiegazione coerente del collasso orientale e della crisi occidentale, considerate nel loro insieme; in special modo, per molti intellettuali della Germania Orientale, che erano caduti in depressione dopo la riunificazione tedesca, la spiegazione è apparsa loro come una sorta di luce salvatrice in fondo al tunnel, poiché offriva loro la possibilità teorica di digerire la fine del "loro" socialismo senza l'accettazione incondizionata del capitalismo occidentale. Per altri, questa nuova teoria ed interpretazione della realtà della società mondiale era errata, "esoterica" e più o meno "assurda"; soprattutto la teoria radicale della crisi è stata denunciata quasi come "apocalisse".

Quel che è stato strano è che sia la ricezione positiva che quella negativa de "Il collasso della modernizzazione" si limitavano quasi esclusivamente al piano analitico, mentre i fondamenti teorici, la critica del "lavoro astratto" e della forma merce, non sono stati riconosciuti o sono stati considerati come una sorta di "UFO teorico". È apparso con sorprendente chiarezza quanto profondamente la coscienza teorica si trovi sottomessa all'egida dell'immanenza delle forme sociali moderne per tutto quanto attiene allo spettro di posizioni filosofiche e politico-economiche. In questo senso, la ricezione negativa, con la denuncia rabbiosa del carattere "esoterico" e "apocalittico" delle analisi, ha impiegato più tempo a comprenderne la novità teorica, in quanto aveva intuito chelì veniva messa radicalmente in discussione l'ontologia della modernità. Questo ben presto ha cominciato a diventare chiaro anche per una parte della sinistra che, all'inizio, aveva approvato l'analisi. L'intellighenzia tedesca orientale, in particolare, è diventata visibilmente più riservata da quando le critiche all'ontologia marxista del lavoro, alla forma politica ed alla nazione, si sono rivelate parte integrante della nuova formulazione teorica. In Germania, il marxismo tradizionale ha tentato diverse volte di porsi contro il nuovo approccio della "critica del valore" (è questo il termine che viene di solito utilizzato per la nuova teoria critica), dal momento che lo vive come una distruzione della propria identità.

Anche una parte del pubblico borghese che, all'inizio, aveva registrato il nuovo approccio come un "Gioco delle perle di vetro" intellettuale, con l'avanzare, e con l'effettiva manifestazione, della crisi si è chiuso ed ha fatto resistenza. Dall'altro lato, sempre più riformatori nel mondo, ciarlatani e settari di ogni genere hanno tentato di attaccarsi a questa nuova teoria; dai "riformatori del denaro", sulla linea di Silvio Gesell, fino ai nazionalisti di destra, antimodernisti reazionari, che (e a somiglianza di molti marxisti tradizionali) si lamentavano della critica alla nazione, come se questa non fosse parte indispensabile della critica dell'ontologia moderna.

Fino ad oggi, nessuna nuova teoria è diventata socialmente operante se non passando attraverso l'indurimento della coscienza dominante, con la difesa veemente delle vecchie posizioni diventate obsolete per la critica sociale, attraverso ricezioni in parte eclettiche ed oscure, o perfino attraverso grossolane interpretazioni. Quando si spezza il piccolo cerchio degli specialisti, tali fenomeni sono inevitabili. Perciò, la risonanza contraddittoria avuta dal libro è servita come incentivo per lo sviluppo e la concretizzazione della nuova teoria in uno spazio sociale più grande. Pertanto, ormai esisteva un numero sufficiente di mediatori, traduttori e collaboratori intellettuali indipendenti che avevano colto la nuova formulazione. Si sono formati circoli di discussione della critica del valore non solo in Germania ed in Austria, ma anche in Brasile, in Italia, in Francia, Spagna e Portogallo.

Reportagem: Lo sviluppo delle vostre riflessioni ha fatto sì che venissero integrati nuovi contenuti nella teoria critica. Si è chiarito quanto l'ontologia moderna, nonostante la crisi, continuava ad influenzare i diversi aspetti del pensiero e della comprensione. Quali nuovi elementi sono stati integrati nella teoria critica e come ha continuato ad essere sviluppata la critica del valore?

Robert Kurz: Inizialmente, la nuova teoria si era concentrata sullo sviluppo della critica dell'economia politica. La teoria della crisi e la critica del sistema produttore di merci, ivi incluse le forme della politica e della nazione, erano di fatto degli argomenti nuovi, ma il pensare tali contenuti si muoveva ancora nello spazio della comprensione tradizionale della teoria. Il carattere astratto-universalista di ogni elaborazione teorica nel mondo moderno, in quanto momento della sua ontologia, ci faceva riflettere, così come il concetto di soggetto e la moderna relazione fra i sessi ad esso legata. Il nuovo approccio seguiva il procedimento "logico-deduttivo", secondo il modello della filosofia hegeliana, in cui la relazione fra essenza ed apparenza dev'essere risolto come se fosse un'equazione matematica. Questo modo di pensare astratto-universalista comune a tutte le teorie moderne, che affonda le sue radici nella filosofia dell'Illuminismo, era legato a qualcosa di irriflesso, che rimane nella metafisica illuminista della storia: abbiamo messo in discussione il futuro del moderno sistema produttore di merci, avendo come base la teoria della crisi, ma non abbiamo messo in discussione il suo passato, nel senso che lo stesso veniva compreso senz'altro come "progresso", al di sopra dei presunti oscurantismo, naturismo ed animalità del mondo agrario premoderno. Seguendo i passi di Marx, la teoria della critica del valore aveva tematizzato in maniera innovatrice il feticismo di una modernità apparentemente razionale. Ma, anche questo sulle tracce di Marx, aveva analizzato questa scoperta sempre sulla base della filosofia della storia ideologica di questa falsa razionalità.

Questo modus della teoria non era stato rotto dal di dentro, ma da fuori, grazie ad un intervento "femminile". Non a caso, l'approccio teorico astratto-universalista corrisponde ad una struttura di associazione maschile del gruppo centrale dell'elaborazione teorica della critica del valore, in cui non c'erano donne. Roswitha Scholz, che veniva dalla teoria femminista, criticava fin dall'inizio del decennio 1990 la comprensione hegeliana ed universalista della critica del valore, caratterizzandola come androcentrica. Con la complessa teoria della dissociazione, la Scholz ha tentato di rompere la logica ermetica deduttiva apparentemente coerente di tale comprensione.

Reportagem: Il saggio di Roswhita Scholz, "Il valore è l'uomo", pubblicato in Brasile sulla rivista "Novos Estudos Cebrap", nel 1996, su raccomandazione di Robert Schwarz - fondamentale per l'elaborazione della teoria della dissociazione - è passato qui sorprendentemente quasi del tutto inosservato. Ci piacerebbe che tu parlassi del concetto di dissociazione: qual è il suo statuto teorico relativamente alla critica della forma merce e che significato ha la dissociazione per la critica del valore e per la critica del soggetto?

Robert Kurz: La dissociazione, secondo il suo teorema, significa che la struttura del valore (della forma merce), in quanto forma fondamentale del processo di valorizzazione, pretende di coprire la totalità, ma in realtà gran parte di questa riproduzione sociale, sia nell'aspetto materiale ("lavoro domestico", assistenza, educazione dei figli, ecc.) che nella prospettiva socio-psicologica e cultural-simbolica ("amore", empatia, dono, ecc.) non può essere coperta dalle forme di valore e di "lavoro astratto". Questi momenti sono stati dissociati dalla socialità ufficiale e sono stati assegnati storicamente e socialmente alle donne. Per usare un termine del dibattito femminista, le donne sono "doppiamente socializzate": da un lato, appartengono (attraverso l'attività professionale, la forma denaro, ecc.) alla connessione formale ufficiale e, dall'altro lato, sono strutturalmente responsabili per tutti quei momenti della vita che non rientrano in essa. Poiché questi momenti non appartengono al "lavoro astratto" né alla forma del valore/forma del denaro, essi vengono considerati inferiori dal punto di vista della forma sociale dominante; anche lo status delle donne è strutturalmente inferiore nel moderno sistema produttore di merci. Di regola, sono peggio remunerate, assumono meno posizioni di comando rispetto agli uomini, sono considerate "irrazionali", con meno capacità di imporsi e, assai spesso, come mere appendici degli uomini. Il dissociato non è una "area" separata, rigorosamente delimitabile, ma permea tutte le sfere della società. Se è vero che nel processo di sviluppo capitalista determinate parti dissociate sono state integrate nell'universo ufficiale della forma merce, attraverso la commercializzazione o la statalizzazione, è anche vero che diverse relazioni e dimensioni della vita non possono essere coperte dal denaro né dallo Stato, e che, in tempi di crisi, molti momenti necessari alla vita vengono espulso dalla logica della forma merce e sono ri-delegati alla relazione di dissociazione connotata come femminile. La relazione di valore non può essere pensata senza una simultanea relazione di dissociazione; perciò, i concetti di entrambi i lati della società moderna si trovano ad uno stesso alto livello di astrazione teorica e formano, insieme, in quanto relazione di valore-dissociazione, il concetto essenziale (e contraddittorio) di modernità.

Alla luce della teoria della dissociazione, l'universo apparentemente neutro del "lavoro astratto" e della forma merce si rivela essere strutturalmente determinato come "maschile". L'illusione ottica di un universalismo astratto è generata dal fatto di limitare la riflessione alla sfera della circolazione, dove apparentemente tutti i gatti sono grigi. Se non si limita l'analisi alla superficie della circolazione (la cosiddetta "astrazione dello scambio") diventa visibile il fatto che la relazione di dissociazione comprende e ingloba tutto il processo di riproduzione sociale. Su scala globale, cadono fuori dal falso universalismo anche grandi porzioni di umanità non-occidentale. Il soggetto apparentemente neutro della modernità è, in realtà, il soggetto maschile e bianco occidentale (abbreviato, MBO).

Analogamente, l'elaborazione teorica della modernità astrattamente universalista - e secondo la logica della deduzione - si relaziona in realtà, fin dall'Illuminismo, soltanto con la struttura interna della forma della merce, determinata in modo maschile e bianco occidentale. Il dissociato viene represso e non ha concetto. La teoria della dissociazione parte qui dalla critica di Adorno al concetto moderno di teoria. Il concetto non funziona come un'equazione, ma è necessario riflettere su di esso nella sua frammentazione. La critica del valore, della merce e del "lavoro astratto" ha bisogno di essere allargata alla critica della dissociazione. In tal senso, la dissociazione non è, per esempio, la "metà migliore", o quello che nella forma valore va inteso positivamente, ma è soltanto il rovescio negativo della stessa medaglia. Il superamento emancipatore del moderno sistema produttore di merci include il superamento della relazione di dissociazione, nella quale le donne (e anche l'umanità non-occidentale) vengono collocate come inferiori. Non si tratta di rivalorizzare ideologicamente questa inferiorizzazione, ma di abolirla insieme alla relazione del valore.

Reportagem: Ma questo approccio non è stato accettato all'unisono e senza contestazioni da tutto il gruppo Krisis...

Robert Kurz: La teoria della dissociazione, nel contesto della critica del valore, che fino ad allora era un'elaborazione teorica androcentrica-universalista strutturata in modo maschile, è stata presa in considerazione solo dopo grandi resistenze e non è stata integrata in forma generalizzata. Ma si trovava già alla base del testo "Dominio senza soggetto" (1993), nel quale, per la prima volta, la crisi e la critica del sistema produttore di merci è stata definita anche teoricamente come crisi e critica del soggetto moderno e del suo concetto positivo; cioè senza avere niente a che vedere con i poco entusiasmanti propositi postmoderni, che non hanno alcuna concezione del "lavoro astratto" né della forma merce. Quest'approccio è stato ampliato e si è arricchito di una base empirica con il "Libro nero del capitalismo" (1999), una grande analisi storica svolta per dare un fondamento alla critica dell'Illuminismo e della sua filosofia della storia. Per la prima volta nel contesto dell'elaborazione teorica della critica del valore, il moderno sistema produttore di merci non appariva più come "progresso", anche in relazione al passato. Questa critica, allo stesso tempo, si distanziava decisamente da qualsiasi romanticizzazione delle società agrarie premoderne. Non si trattava di un'evocazione reazionaria delle condizioni passare, ma di una critica radicale del pensiero ontologico. La teoria della crisi veniva ampliata al fine di coprire la crisi del soggetto maschile e bianco occidentale, passando, da una critica fino a quel momento meramente implicita e ridotta all'economia politica, ad una critica esplicita dell'ontologia moderna e dell'ontologia delle relazioni di feticcio in generale. Ma quest'ampliamento è rimasto essenzialmente limitato alla riflessione teorica di determinate persone e a dei lavori individuali, non essendo stato assunto in tutto l'ambito e da tutti i partecipanti all'originaria elaborazione teorica della critica del valore, senza che sorgesse apertamente un principio di dissenso.

Reportagem: In tale momento di stato ibrido ambiguo di "integrazione non integrata" della teoria della dissociazione, che ruolo ha svolto la pubblicazione del "Manifesto contro il lavoro" nella sedimentazione dei rapporti che c'erano in Krisis o nell'eventuale assunzione interna delle differenti prospettive individuali?

Robert Kurz: Durante la coesistenza di posizioni che erano nascostamente già in opposizione, anche la critica del "lavoro astratto" è stata formulata in un progetto congiunto, oramai su un piano già non puramente teorico. Il dibattito sociale sulla "crisi della società del lavoro", le misure socialmente repressive dell'amministrazione capitalista di crisi ed i primi indicatori di un nuovo movimento sociale avevano suggerito la divulgazione ad un pubblico più ampio dei "segreti" teorici della critica del valore. Il risultato di queste riflessioni è stato il "Manifesto contro il lavoro" (1999) che in poco tempo ha fatto scalpore, ha avuto grandi tirature ed è stato tradotto in diverse lingue - un successo che ha sorpreso i suoi stessi autori. È stato un saggio esplorativo e, apparentemente, ha toccato un nervo scoperto della società in crisi, esprimendo quello che in generale era sentito ma che non aveva voce.

L'elaborazione del Manifesto non è avvenuta, però, senza conflitti. Non era solo l'insolita forma stilistica, ad aver obbligato a più riformulazioni. Non a caso il punto che riguardava la relazione fra i sessi è stato aggiunto solo successivamente. La divergenza era soprattutto circa le aspettative intorno alla funzione del Manifesto. Per alcuni, si trattava di una realizzazione puntuale, in cui la critica del valore e della dissociazione riceveva una formulazione letteraria in grado di presentarla davanti ad un pubblico più ampio, oltre che a stimolare la riflessione teorica degli attivisti che erano alle prese con i problemi della crisi della società del lavoro; per questi, il processo di elaborazione teorica avrebbe dovuto continuare senza interruzione, senza preoccuparsi delle cosiddette esigenze pratiche. Per altri, al contrario, il Manifesto significava già il punto culminante e di svolta per la prassi sociale: con il Manifesto volevano arrivare ad un reorientamento fondamentale dell'attività della critica del valore, concentrandosi sulla critica del lavoro ed integrandosi così direttamente nei nuovi movimenti sociali con carattere "anti-politico" e giornalistico.

Reportagem: Nel tuo libro "Il collasso della modernizzazione", pubblicato nel 1991, anticipi l'attentato dell'11 settembre di dieci anni quando scrivi che il fondamentalismo e la « ideologia secondaria islamica » generano « ...imprese kamikaze e di commando ». Dopo l'11 settembre si è dovuto constatare un'accentuazione degli aspetti conservatori nella sinistra europea, cosa che probabilmente ha accentuato anche i conflitti interni alla redazione di Krisis. Come si sono svolti questi conflitti e che ruolo hanno avuto in quel momento la critica della dissociazione e la critica del soggetto?

Robert Kurz: Sebbene su scala più ridotta, le contraddizioni interne vengono accelerate dai grandi "avvenimenti storici" esterni. Il terrore dell'11 settembre 2001 a New York, in senso psicologico, ha scosso i centri occidentali fino al midollo. Nelle grandi zone di crisi e di collasso della periferia, l'11 settembre non è stato percepito con la medesima intensità, forse perché già da tempo la barbarie era diventata come il pane quotidiano. Per gli Stati Uniti e per l'Europa, al contrario, gli attacchi terroristi sono stati uno shock ed un faro, mostrando che l'attuale modo di vita stava arrivando alla fine e che anche la voragine della crisi cominciava a raggiungere con violenza incalcolabile la loro vita quotidiana. Questa percezione simbolica avvenuta a tutti i livelli sociali ha scatenato molti conflitti sotterranei o repressi, tanto nelle correnti politiche e nei gruppi teorici quanto nelle relazioni personali. La sinistra si è polarizzata come non si vedeva da decenni. Di fronte alle minacce oscure, l'intellighenzia ha improvvisamente scoperto i "valori occidentali" e parte della sinistra ha evocato la presunta "promessa borghese di felicità" che avrebbe dovuto difenderci contro la "barbarie del Terzo Mondo". La metafisica illuminista della storia irrompeva come flatulenza mentale.

Fino ad allora la nuova formulazione teorica della critica del valore e della critica della dissociazione si era concentrata sulla rivista "Krisis", che era diventata nota a livello internazionale. L'agitato clima ideologico e socio-psicologico post-11 settembre, tuttavia, fece venire a galla le contraddizioni interne al gruppo. La teoria della dissociazione, nella sua definizione sociologica di generi e cultural-simbolica, non era stata adottata da tutti i membri allo stesso modo, ma da alcuni veniva solo corteggiata e tollerata. In particolare, per gli uomini della teoria era inaccettabile che i concetti della forma valore e della dissociazione venissero posti allo stesso livello di astrazione ed avessero la stessa importanza. Se la tematica della dissociazione veniva assunta, essa appariva a gradi differenti come un "settore" subordinato alla "vera" totalità del sistema produttore di merci, anziché concepire la dissociazione stessa come categoria della totalità (insieme alla forma del valore o della merce) all'interno di quello che era un nuovo approccio, frammentato, lontano dalla vecchia comprensione hegeliana. Nei testi in questione, la relazione di dissociazione viene fino ad oggi generalmente intesa come un "fenomeno" storico-empirico e come una "sfera" che viene presunta come delimitabile e subordinata (anziché come un momento del concetto di essenza), e quindi teoricamente ridotta. In tal modo, anche la critica del soggetto, della forma del soggetto maschile bianco occidentale, rimane ugualmente ridotta. Apertamente o nascostamente, si pensa che sia "necessario" adottare determinati elementi di tale soggetto ai fini di una futura società emancipata. In questo modo, non si critica in maniera conseguente l'ontologia moderna, in quanto vengono ancora accolti dei resti della metafisica illuminista della storia. Questa prospettiva, come avviene nel caso di Adorno, rimane strettamente legata ad un concetto diffuso di "astrazione dello scambio", in cui il "lavoro astratto", come la dissociazione, appaiono come i risultati di questa stessa "astrazione delle scambio". Vale a dire: non sono il "lavoro astratto" e la dissociazione a rappresentare le categorie essenziali e generali, ma la circolazione apparentemente "neutrale". Ora, è questo concetto equivocato di circolazione, intesa come presunta essenza e connessione globale della società, a costituire la fonte principale di ogni ideologia illuminista borghese.

La critica della reazione occidentale al mega-terrore e delle guerra di ordinamento mondiale in Afghanistan ed in Iraq, in principio formulata comunemente, era solo superficiale; tuttavia, negli strati più profondi dell'elaborazione teorica si era già formata un'altra comprensione completamente contraria per quel che riguardava la critica del soggetto, dell'illuminismo e dell'ontologia moderna, che era emersa nell'atmosfera avvelenata del post-11 settembre in maniera eruttiva. Quando nella primavera del 2002 si sarebbero pubblicate, con il titolo "Ragione sanguinosa", delle tesi teoricamente basate sulla dissociazione ed acutamente polemiche nella loro critica dell'illuminismo e del suo revival ideologico attuale da parte delle correnti principali dell'intellighenzia occidentale, per la prima volta nella storia dell'elaborazione teorica critica si è tentato di impedire con espedienti formali la pubblicazione di un testo da parte di un autore centrale. Di conseguenza, all'inizio del 2002, il nucleo iniziale si è diviso in due gruppi che, qualche tempo, hanno agito nel testo comune della rivista. Questa scissione è stata dovuta anche a rotture personali e a forti motivazioni concorrenziali e di auto-affermazione personale da parte di chi, sotto vari aspetti, sebbene non in forma costante ed omogenea, era rimasto fissato sul vecchio modello androcentrico ed universalista di elaborazione teorica. Nella misura in cui le donne entravano nel cerchio interno, alcuni uomini se ne ritiravano. Alla fine, nel febbraio del 2004 i "modelli interrotti" si sono impadroniti con un colpo di mano del "marchio Krisis", strumentalizzando sul piano formale l'associazione di sostenitori, secondo i modi della politica di potere dei partiti, ed espellendo la maggioranza della vecchia redazione (incluse tutte le donne).

Ma era evidente che con questa "presa di potere" puramente formale non si poteva recuperare il precedente livello teorico. Ora è la maggioranza della vecchia redazione insieme ai nuovi partecipanti a proseguire l'elaborazione teorica della critica del valore e della critica della dissociazione sulla rivista "EXIT!", ed intorno a questa si è costituito anche un nuovo contesto organizzativo. Il gruppo usurpatorio di quel che rimane di "Krisis", al contrario, non ha tardato ad effettuare un cambiamento per trasformare la critica del valore, mantenuta ad un "livello di accesso" teorico diventato obsoleto, in una semplificazione giornalistica e di "prassi" propagandistica, al livello di quel che era stato annunciato fin dalla pubblicazione del "Manifesto contro il lavoro". Agendo in questo modo, hanno in gran parte abbandonato la dimensione della critica dell'ideologia per poter, quasi alla maniera della sinistra tradizionale, guadagnare influenza nei nuovi movimenti sociali con meno problemi. Al contrario, "EXIT!" rifiuta qualsiasi opportunismo attivista e qualsiasi minimizzazione dei problemi di una critica tronca del capitalismo; piuttosto pone l'accento sul fatto di intervenire con una critica dell'ideologia relativamente ai movimenti sociali ed ai progetti che vanno emergendo, senza negarli in quanto tali.

Reportagem: La vostra espulsione dalla redazione di "Krisis", dovuta secondo le tue parole a divergenze pratico-teoriche riguardanti la teoria della dissociazione e la critica dell'illuminismo, può anche essere analizzata in un contesto più ampio dello sviluppo della crisi della società produttrice di merci, crisi che si sta aggravando?

Robert Kurz: La scissione della ex-"Krisis" si è situata in maniera inequivocabile in un quadro di aggravamento della crisi nei centri occidentali. Ormai non si tratta più semplicemente di esprimere opinioni e riflessioni teoriche "interessanti" nel ruolo di spettatore, ma di affrontare l'esistenza nuda e cruda in condizioni di una situazione di collasso. La precarizzazione colpisce anche le sfere intellettuali, accademiche, giornalistiche-mediatiche e delle strutture statali. Dopo i "produttori immediati" agrari ed industriali, anche la "nuova classe media" sta per essere precipitata nel gorgo della crisi mondiale scatenata dalla terza rivoluzione industriale. SI verifica nella pratica che tutti questi settori non hanno una base economica indipendente nella struttura dell'accumulazione capitalista, ma dipendono dalla ridistribuzione di plusvalore proveniente dal centro industriale. Tale dipendenza strutturale, che rimaneva temporaneamente invisibile a causa della congiuntura delle bolle finanziarie, si avverte ora in maniera violenta. In questo modo, l'insieme del sistema di istruzione e ricerca, così come quello dei media, ora sta per essere fuso e riorganizzato in maniera negativa, secondo il modello della crisi industriale.
Come già avviene da molto tempo negli strati inferiori, ora anche in quella che è stata la "nuova classe media" si fa sentire la frammentazione della non superata relazione di dissociazione sessualmente connotata, in una sorta di "trasformazione dell'uomo in donna di casa" ("Hausfrauisierung des Mannes", un termine della teoria femminista tedesca degli anni 80). Ma anche le "donna con una carriera professionale" e che ha fatto carriera nella sfera pubblica (soprattutto nel settore accademico), definita strutturalmente come "maschile", si vede ora esposta alle circostanze provocate dalla crisi. Sulla base del sistema produttore di merci, la concorrenza e la lotta per la sopravvivenza aprono le porte all'odio, anche nei gruppi di elaborazione teorica emancipatrice radicale. Ma la maggior parte di coloro che tagliano i loro legami per poter trionfare nella società e approfittano delle occasioni per far carriera, in realtà salgono a bordo di barche che stanno già affondando.

Reportagem: In un clima sociale di ottimismo spaventato e sotto una forte pressione, qui in Brasile, ivi inclusa parte della sinistra dopo l'elezione di Lula a presidente, viene frequentemente citata la Cina come esempio di un possibile "futuro promettente" del capitalismo e del suo presunto "potenziale di sviluppo". Come valuti queste prospettive?

Robert Kurz: Quando la crisi strutturale interna entra in un vicolo senza uscita, il "pensiero positivo" si aggrappa ai segnali esterni di una nuova era di accumulazione. Dopo il Giappone e le "piccole tigri" asiatiche, ora viene invocata la Cina come nuova portatrice di crescita globale e come modello. Ma questa speranza è altrettanto ingannatrice delle precedenti. Gli alti tassi di crescita cinese sono dovute soltanto al basso livello di partenza. Una volta che è stato raggiunto un livello di crescita intensiva, che dipende da enormi investimenti in infrastrutture ed in microelettronica, i tassi di crescita cadranno alla stessa velocità con cui è avvenuto nel caso dei precedenti portatori di speranza. Senza dimenticare che la crescita cinese si basa su un'industrializzazione unilaterale, che lascia da parte la grande massa della popolazione, minando la base della riproduzione sociale. Ma anche l'industrializzazione minoritaria rivolta all'esportazione si indirizza quasi esclusivamente verso gli Stati Uniti, e dipende dalle strutture globali del deficit concentrate nell'ultima potenza mondiale. La crisi cinese sarà più disastrosa di tutte le crisi precedenti.

Il limite interno del sistema globale produttore di merci è generale, ma si concentra in situazioni completamente differenti di sviluppo di questo sistema. In virtù di questo si crea ripetutamente, soprattutto nella periferia, l'illusione che sia possibile raggiungere un livello di sviluppo che è già diventato obsoleto da molto tempo anche in Occidente. Non è stata solamente la "modernizzazione ritardata" a finire a mal partito - la crisi della modernizzazione colpisce i paesi capitalisti centrali ed i paesi ritardatari non possono più rivolgersi ad essi. La vecchia "non simultaneità" dello sviluppo è stata livellata, non in maniera positiva, ma negativamente. La nuova "simultaneità" globale della crisi esige una nuova prospettiva, capace di mirare, a partire da differenti punti di partenza, ad un nuovo modo di socializzazione al di là della forma del valore e della dissociazione. L'umanità non è preparata a questo, ma non ha altra scelta.

Reportagem: Come è emerso chiaramente nel corso della nostra conversazione, è evidente che è necessario assumere una posizione teorica che sia nitidamente differenziata. Ci troviamo un una crisi sociale e categoriale che rende tutti i concetti relativi alla riproduzione della modernità talmente obsoleti che non si può stabilire una teoria coerente con delle nuove categorie positive. Perciò è necessario partire dalla negatività. Cosa significa questo per i diversi movimenti sociali che prendono sul serio una prospettiva di emancipazione dalla moderna società produttrice di merci nel momento in cui la crisi continua ad aggravarsi?

Robert Kurz: Per la teoria, l'importante è non perdere la testa e resistere alle contraddizioni, invece di indulgere ad una realtà falsificata con ricette a basso costo. Nella quotidianità dei gruppi teorici c'è bisogno di solidarietà e mutuo appoggio, senza magniloquenza, ma questo non va confuso con l'ideologizzazione di un concetto diffuso di "vita quotidiana" dotato di una carica pseudo emancipatrice. Il superamento emancipatore del moderno sistema produttore di merci e della relativa dissociazione, esige un intervento sociale di alto livello, e solo un'elaborazione della teoria critica può perciò contribuire a mantenersi a distanza dagli eventi e non cedere alla pressione di un'esigenza di pratica di falsa immediatezza.

- L'intervista è stata pubblicata nel novembre del 2004 sul n°64 della rivista "Reportagem", col titolo "Nuove e vecchie lotte" -

fonte: EXIT!

Nessun commento: