Il cospirazionismo
- di Benoit Bohy-Bunel -
I - Introduzione
Nell'era del web 2.0, assistiamo sulla Rete alla proliferazione di un'incredibile diversità di visioni del mondo [N.d.T.: Weltanschauungen], dalle più fantasiose alle più "serie", senza che l'attenzione loro accordata attenga a dei criteri ponderati di selezione. Infatti, in questo contesto, quel che conta non è tanto la potenza argomentativa dei discorsi, oppure l'indiscutibilità dell'esposizione dei fatti, e nemmeno - e questa è la cosa più inquetante - le opinioni espresse, sia che esse siano favorevoli o contrarie; piuttosto, l'aspetto determinante sembrerebbe consistere nell'importanza quantitativa dell'audience coinvolta. Apparire massicciamente è condizione necessaria e sufficiente perché i "concetti" esposti divengano consistenti e degni d'interesse. La loro verosomiglianza verrà a dipendere dal loro tasso di viralità, un tasso la cui portata rimane misteriosa quanto quella di un decreto divino, e che tende a sostituirsi alla capacità di giudizio, a vantaggio del pensiero magico di un nuovo ordine.
È su un simile terreno che fiorisce una nuova generazione di cospirazionisti disinibiti, talmente sicuri del fatto loro da riuscire a trovare un pubblico sostanzioso. A livello psicologico, il successo di questi pensieri mutilati e confusi, nemici della complessità e del rigore analitico, si può spiegare a partire dall'inedita costruzione cognitiva indotta dall'uso sistematico ed irriflesso di Internet: l'effetto delle mode passeggere, quello della recensione e dell'esposizione e, soprattutto, la tendenza a suddividere le conoscenze in compartimenti stagni per poi collegarle a posteriori in maniera superficiale attraverso la sopravvalutazione di un settore dell'informazione che dovrebbe illuminare tutti gli altri, sono tutte componenti del pensiero cospirazionista ampiamente favorite dalla navigazione errante sul web. Inoltre, la moltiplicazione, sempre sulla rete, delle "conoscenze" disponibili, e la diversificazione dei modi di esposizione di tali "conoscenze", spaventano, e condizionano ad un ripiegamento verso l'unificazione semplicistica propria delle teorie del complotto (il ricorrere dei toni, del tema e dello schema interpretativo), un'unificazione che contraddice la pluralità empirica.
Tuttavia, il nocciolo della questione non riguarda solo lo strumento Internet, che dopo tutto è solamente un sintomo fra i tanti di una realtà più globale, realtà la cui configurazione determina un ricorso disperato alla personalizzazione ingenua dei rapporti di dominio. In questa prospettiva, il web svolge soltanto il ruolo di facilitare le cose, nella misura in cui non è mai altro che uno strumento che viene adattato alle condizioni di produzione in cui è stato inserito.
Il contesto in cui appare un certo cospirazionismo specificamente moderno ci rivela la sua essenza e la sua ragion d'essere. Nel 1798, l'abate Augustin Barruel denuncia un complotto anti-cristiano in atto nel movimento rivoluzionario francese. È così che emerge la prima forma di teoria del complotto in senso moderno, mentre ha inizio proprio quella dinamica secondo cui il complotto in senso tradizionale diventa impossibile. Infatti, l'universalismo formale che sul piano politico trionfa, in quella fine secolo, lo fa a vantaggio di una nuova strutturazione giuridica delle condizioni socio-economiche strutturazione che si fonda sull'astrazione del valore, sull'impersonalità del mercato e sulla neutralità assiologica, in opposizione alla personalizzazione concreta e teologicamente orientata dei rapporti feudali. Mentre la politica ratifica un'opacità inedita nei rapporti di classe, in cui i dominanti sono essi stessi dominati da delle vuote astrazioni su cui non hanno alcun controllo, ed in cui di fatto non hanno alcun controllo reale sulla società che si presume governino, sorgono paradossalmente i primi tentativi di chiarire il sociale edificato sull'onnipotenza iper-cosciente seppure dissimulata di una minoranza ben precisa. Questa contraddizione apparente chiarisce perfettamente la funzione intrinseca del cospirazionismo, che è una maniera propriamente moderna di considerare il mondo umano: esso tende a re-iniettare della soggettività, della responsabilità, della personalità, un progetto, laddove tutte queste cose vengono sempre più a mancare.
Nella sua analisi della società di mercato, Marx insiste sulla specificità del rapporto capitalista, che si distingue radicalmente dai rapporti schiavisti e feudali. Detto volgarmente, "il nemico del popolo" non è più propriamente umano, per cui non si tratta più di denunciare, in assoluto, il potere di un qualche gruppo sociale ben definito. Infatti, nei moderni rapporti di produzione, così come "il lavoratore non è altro che la personificazione del lavoro", anche "il capitalista è soltanto la personificazione del capitale". In altre parole, gli agenti economici, sia che si tratti di "sfruttatori" che di "sfruttati", sono tutti, in ultima analisi, ed allo stesso modo, modellati da delle categorie astratte la cui logica sfugge loro completamente. Di conseguenza, il vero soggetto di questa società non è il "borghese", né tanto meno il salariato, bensì è il valore, concettualizzato da Marx come "soggetto automatico". Il valore, il "soggetto automatico", è il mezzo e la finalità della società di mercato: è per mezzo suo che le merci diventano commensurabili fra loro, ed è questo valore che va accumulato indefinitamente; non l'umanità concreta in carne ed ossa, ma il lavoro umano gelificato nei suoi prodotti come purà quantità astratta, altrimenti detta "lavoro astratto". La sua esistenza come entità autonoma si basa sull'inversione propriamente capitalista della formula M-D-M (Merce-Denaro-Merce) in D-M-D' (Denaro-Merce-Più Denaro), vale a dire che si basa sul gesto capitalista che consiste nell'elevare il denaro - il mezzo dello scambio - a fine in sé, a qualcosa che avrebbe la qualità quasi magica di accrescersi nel processo di scambio (in realtà, è l'esistenza del plusvalore, estorto al salariato, che rende possibile tale accrescimento). In questo enorme automatismo tautologico, va da sé che l'individuo, con i suoi progetti, i suoi desideri, e la sua coscienza, non ha alcuna voce in capitolo, anche nel caso in cui possiede i mezzi di produzione. È solamente una forza senza volontà guidata dalla logica impersonale degli oggetti prodotti. Perciò, nessuna psicologizzazione, nessuna moralizzazione dei rapporti di domnio può essere presa in considerazione. Certo, è sempre possibile distinguere in seno al campo sociale un gruppo di privilegiati ed un gruppo di svantaggiati, nella misura in cui la distribuzione dei beni che vengono prodotti rimane ineguale. Ma non è pertinente opporli in maniera assoluta, presupponendo delle intenzioni esplicite da parte dei privilegiati, dal momento che non può essere imputato loro nessuna intenzione, nessuna responsabilità, nessun progetto cosciente: sono solamente le vittime di una matrice che non controllano.
In questo modo, il cospirazionismo appare nel momento in cui il potere si disumanizza. L'abate Barruel, dal momento che non voleva riconoscere le premesse di una de-soggettivazione della politica, doveva affermare con forza, e in maniera un po' caricaturale, che una volontà umana, nell'occorrenza anti-cristiana, era all'opera nel movimento rivoluzionario francese, e permetteva di spiegare la totalità degli sconvolgimenti dell'epoca. Ma così facendo, peccava di ottimismo, occultando il fatto che era ormai sempre più difficile identificare fra gli uomini i nemici degli uomini. È vero che il 1789 è stato la prima tappa, decisiva, nel declino del cristianesimo. Ma non in maniera concertata, non come un progetto cosciente: meccanicamente, inconsciamente, i moderni hanno dovuto ammettere che non avevano più bisogno della religione, nella misura in cui il divino si sarebbe ben presto incarnato nella materialità terrestre (nella merce in quanto feticcio). Le ragioni che assegnarono al loro ateismo non furono perciò altro che degli effetti scambiati per cause: delle giustificazioni a posteriori di uno stato di fatto non scelto (la loro confusione è altrettanto assurda di quella di chi, inciampando e cadendo a causa della forza di gravità, dice: "voglio cadere").
II - Il cospirazionismo antiebraico
Le varie teorie del complotto che sono fiorite fino ad oggi, sono tutte portatrici della medesima illusione. Il cospirazionismo antiebraico, ad esempio, inizialmente volto a denunciare l'impurità del capitale finanziario; che in quanto tale è una categoria astratta risultante dalla logica impersonale del capitale. Tuttavia, non si accontenta di denunciare un semplice meccanismo impersonale. Associando la speculazione finanziaria ad una qualche immaginaria volontà di potenza (di fatto, la valorizzazione del denaro conferisce qualche potere nei confronti della comunità astratta del valore, ma non direttamente nei confronti della comunità reale), e basandosi su una certa "stima statistica" (i grandi banchieri sarebbero in maggioranza ebrei, cosa che in ogni caso tenderebbe a provare la loro emarginazione, nella misura in cui il lavoro del denaro era, all'origine, empio), si perviene ad un'essenzializzazione del tipo ebraico, ed alla determinazione di una psicologia, di una morale e di un progetto di dominio assai preciso. Il punto di partenza è un puro automatismo disumanizzato, che afferma il suo carattere astratto, e la sua esteriorità nei confronti di tutte le culture (il capital finanziario); il punto di arrivo è una comunità storica il cui intento sarebbe cosciente, determinato, e relativo ad una cultura, ossia ad una "razza" (nel peggiore dei casi), dai tratti marcati e noti. Quest'induzione erronea, è bellamente volta a localizzare un nemico comune, a conferirgli un volto umano, al fine di eludere la disperazione dovuta al constatare che non c'è niente di umano in ciò che ci domina.
[...]
III - Il cospirazionismo maschilista
Ma passiamo ad un secondo esempio, nella continuazione del primo. Oggi fioriscono, su Internet o alla TV, i pensieri cospirazionisti che suppongono ci sia un complotto per la "femminilizzazione della società" che opererebbe a livello sotterraneo (Soral, Zemmour). La perdita di "virilità" da parte degli uomini diventa palpabile, nei rapporti domestici, nei rapporti di seduzione, e perfino nei rapporti di potere. Le donne finirebbero per appropriarsi dei valori che inizialmente erano "maschili", e alla fine si "maschilizzerebbero" a tal punto che tutto diverrebbe confuso. La postmodernità "decostruzionista", la "teoria dei generi", farebbero violenza al buon senso elementare ("un uomo e una donna non sono la stessa cosa"), e confonderebbero i significati stabiliti. Su un piano politico ed economico, tutto questo sarebbe il risultato di un ultra-liberismo sfrenato, che dissolve i rapporti tradizionali familiari che garantiscono una società più "stabile", più "armoniosa", e più "ordinata". Il "liberalismo dei costumi" (norme sociali e morali attenuate a favore di un'uguaglianza "astratta", "perniciosa") ed il "liberalismo economico" (libero scambio, dititti borghesi) si terrebbero mano nella mano, a vantaggio di una totalità socio-economica errante, amorale, deprivata di riferimenti fissi.
Anche qui una forma di pensiero "anticapitalista" (e che qui e là può ricorrere a Marx) pretende di esprimersi, per denunciare una realtà caotica dove più niente avrebbe senso. Tali pensieri confusi e confusionisti si appoggiano essenzialmente su dei fatti superficiali, empirici, visibili all'interno di una sfera spettacolare inessenziale, e occultano deliberatamente le basi oggettive di un dominio patriarcale che, nel quadro di una realtà capitalista fondata sull'accumulazione del valore, non fa altro che confermare sempre più la propria barbarie. Giova ricordare: l'impersonalità del valore, l'auto-movimento delle merci, che innescano questa incapacità a riconoscere dei "cospiratori" umani nei meccanismi di dominio, può benissimo coabitare con un dominio incosciente e latente di alcuni su altri (degli uomini sulle donne, per esempio). Soltanto i dominanti che non hanno coscienza di esserlo, che non sanno più di essere dominanti nel contesto dove sono essi stessi dominati da un processo di accumulazione delle cose che non controllano, non sopportano questa situazione per loro incomprensibile. Agendo inconsciamente come dei dominanti, senza tuttavia sentirsi responsabili di una "cospirazione" intenzionale da loro condotta, ma allo stesso tempo sentendosi dominati da una logica oggettiva superiore a loro, cercheranno di identificare dei gruppi umani differenziati colpevoli di questo "dominio" oggettivo che loro subirebbero. Paradossalmente, andranno a considerare responsabili della loro sottomissione oggettiva proprio coloro che dominano senza saperlo (occultando così la dimensione non-umana di ciò che li sottomette).
Per quel che riguarda la condizione delle donne nella società capitalista, Roswitha Scholz evoca il principio di una dissociazione sessuale fondata su una dissociazione-valore. Inizialmente, le donne, nelle società moderne, vengono assegnate al lavoro domestico, che avviene nella sfera privata, cioè a dire svolgono dei compiti che non vengono valorizzati nel senso della merce, ossia non si inseriscono nel processo di accumulazione della merce. Gli uomini, da parte loro, dal momento che svolgono un lavoro che produce valore (lavoro astratto), sono inseriti a partire da questo nella totalità sociale ed economica per mezzo della quale emerge ogni "valore" (non solo economico, ma anche simbolico, politico e culturale, nella misura in cui il valore economico implica tutte le altre forme di valorizzazione sociale, in un contesto capitalista). Tuttavia, il lavoro domestico femminile, indirettamente, permette la riproduzione della forza lavoro maschile che produce il valore, e rimane un elemento indispensabile nel processo capitalista di accumulazione del valore. Ma questa "partecipazione" ad un processo di produzione di valore, dal momento che rimane indiretto e nascosto (confinato nello spazio privato), non viene "riconosciuto" in quanto tale. Per cui, innanzitutto, la condizione della donna nella realtà capitalista sarà questa: una partecipazione non riconosciuta ad un processo di valorizzazione che di fatto mantiene una logica di dipendenza dal capitale per quel che attiene ad una forma che tuttavia la esclude. Su un piano psicologico, si può quindi pensare che l'odio sessista e maschilista diretto contro il "femminile", la tendenza a reificare la donna, a sottometterla in maniera aggressiva, si riferisce ad una forma di cattiva coscienza maschile, ad un inconscio collettivo maschile, furioso perché si sente allo stesso tempo dipendente e colpevole, e che può manifestarsi solamente in maniera violenta, quella stessa maniera per cui, assai spesso, la negazione assume delle forme violente - per esempio, vediamo che in Nietschze, grande ispiratore delle cospirazioni sessiste, il femminile è il principio del senso di colpa maschile (senzo di colpa insopportabile per i "maschi virili"!); le donne ricordano agli uomini, infatti, questo fatto elementare, che loro preferirebbero dimenticare: "il vostro spazio pubblico in cui si esercita un potere patriarcale dominante non sarebbe niente senza la nostra partecipazione, per quanto essa sia condannata al disprezzo ed al silenzio; voi godete di una volontà di potenza che si basa sull'intervento necessario di una forza espropriata, cosicché noi siamo il continuo ricordo della vostra stessa espropriazione".
Detto ciò, in seno alla nostra modernità tardiva, le cose sono cambiate. Le donne si sono maggiormente inserite nella sfera pubblica della valorizzazione del valore, accedendo in massa al lavoro salariato, e perfino anche ad alcuni posizioni di gestione economica o politica del capitale. Questo cambiamento avrebbe portato, culturalmente e socialmente, alla situazione che i cospirazionisti sessisti deplorano: perdita dei punti di riferimento, rimessa in discussione "costruttivista" della differenza ontologica fra i generi, ecc.. Ma si può vedere in questo accesso, da parte delle donne alla sfera pubblica della valorizzazione, un modo di impadronirsi di un potere che permetterebbe loro di rimettere in discussione il dominio maschile? Certamente no, per più ragioni. Da un lato, la sfera della valorizzazione è inizialmente, storicamente, la sfera del dominio maschile. Se le donne finissero per accedere a questa sfera, questo non vorrebbe dire che mettono in discussione le basi del dominio maschile: in quanto, nell'assenza della creazione di nuovi valori, non farebbero altro che appropriarsi dei valori predeterminati dagli uomini. Tale appropriazione non è veramente un'emancipazione, ma è piuttosto una nuova forma di sudditanza. D'altra parte, le donne "inserite" nella sfera del valore non è per questo che non continuino a dover assicurare, in maggioranza, lo svolgimento dei compiti domestici nella sfera della casa privata. In questo senso, Roswitha Scholz evoca il principio di una "doppia socializzazione" (pubblica e privata, "riconosciuta" ed ignorata). Questo principio di una "doppia socializzazione" non è affatto una forma di emancipazione, ma si tratta piuttosto dell'accrescimento della sottomissione: all'alienazione del lavoro produttore di valore si sovrappongono i faticosi compiti domestici. La negazione del riconoscimento in questo modo aumenta: le donne, che dovrebbero sentirsi "onorate" di essere inserite nella sfera del valore, di essere alla fine "riconosciute" socialmente, di fatto vengono iscritte in un'attività impegnativa sdoppiata, della quale non viene mai tematizzato l'aspetto privato, e di cui l'aspetto pubblico, di conseguenza, viene ignorato in quanto fattore di accrescimento della soggezione. Alla fine - dal momento che l'accesso delle donne alla sfera pubblica, ed inizialmente maschile, del valore è solamente derivata e secondaria - si deve perpetuare, malgrado tutto, un dominio maschile in questa sfera: disuguaglianza dei salari uomo/donna, maggioranza di uomini nei posti "ad alta responsabilità", ecc.. All'accrescimento della sottomissione legata ad una semplice appropriazione "reattiva" dei valori maschili, e ad una "doppia socializzazione" doppiamente gravosa, si sovrappone una disuguaglianza economica e sociale nella sfera pubblica del valore.
Già su queste basi, si potrebbe denunciare la totale impostura dei cospirazionisti sessisti (Soral, Zemmour, ecc.). Questi, in effetti pretendono di denunciare "l'ordine liberale" postmoderno, cioè a dire, a denunciare implicitamente una qualche "struttura capitalista" intesa in maniera confusa, evocando un principio di "femminilizzazione" della società, perfino un "dominio femminile" latente. Ma è chiaro, alla luce del principio della dissociazione-valore, che il capitalismo è intrinsecamente patriarcale e si perpetua in quanto dominio maschile, fin nelle forme barbare della "doppia socializzazione". I sessisti o i maschilisti oggi non possono essere degli anticapitalisti, ma al contrario difendono una struttura capitalistica primitiva. Non vedono che la "doppia socializzazione" di cui inconsciamente si lamentano (nei suoi effetti culturali o sociali) non mette in discussione il dominio maschile, ma al contrario lo mantiene, perfino lo radicalizza. Se fossero veramente dei maschilisti coerenti, inoltre, si rallegrerebbero dello stato attuale delle cose: di fatto, le donne, oggi, sono più assoggettate che mai nell'ordine capitalista che difendono senza nemmeno saperlo. Infatti, non c'è, in questa realtà, alcuna rimessa in discussione dei "generi" ontologizzati, ma la riaffermazione costante di una differenza di natura fra "l'uomo" e "la donna".
Che cos'è dunque questo "liberalismo" dei costumi che deplorano? Innanzitutto si tratta di una confusione: una confusione fra i movimenti libertari di emancipazione - realmente anticapitalisti, in quanto denunciano gli effetti perniciosi di una "doppia socializzazione" fondata su un'accresciuta sottomissione-reificazione delle donne (lotte per il diritto all'aborto, lotte per il diritto delle donne a disporre del proprio corpo, lotte femministe materialiste per l'abolizione del lavoro salariato, lotte contro la cosificazione pubblicitaria dei corpi delle donne) - e i movimenti, inscritti nella logica liberale, di integrazione delle donne nella logica del valore. La prima forma di movimento (emancipazione libertaria) non ha niente a che vedere con il liberalismo: questi movimenti non sono né individualisti, né inscritti in una logica di mercato, ma sono inizialmente collettivi e critici della società patriarcale della merce. La seconda forma di movimento (integrazione liberale) non ha niente di emancipatorio per le donne, e non corrisponde in niente a delle forme di "femminizzazione" della società: al contrario questi movimenti perpetuano una logica di dominio maschile, legata alla "doppia socializzazione" già evocata. La confusione tra questi due movimenti crea una miscela assai strana: uno pseudo anticapitalismo, in realtà fondato su un desiderio inconscio di mantenere un capitalismo "eterno", e sull'incapacità a vedere che il dominio maschile, grazie alla sconfitta della prima forma di movimenti libertari, è oggi più fiorente che mai.
Cosa fare quindi, alla fine, con le basi "empiriche" esposte dai cospirazionisti sessisti, quando vogliono giustificare il loro delirio a proposito di un complotto per la "femminizzazione della società"? Gli uomini farebbero sempre più lavori domestisci, diverrebbero "effemminati", meno autoritari, meno duri, meno "virili", laddove le donne avrebbero la tendenza a "smascolinizzare" gli uomini, ad imporre loro norme di uguaglianza in maniera dittatoriale, al punto che tali norme diventano dei nuovi princìpi di dominio (femminile), ecc.. Su un piano sociale, in primo luogo, queste nauseanti descrizioni ignorano i fenomeni concreti e di massa di dominio maschile, anche se spesso nascosti: violenza domestica prevalentemente maschile, lavoro domestico prevalentemente femminile, molestie sessuali e stupri, ecc.. Ma loro vi risponderanno che questi dati elementari sono solo ideologici (negazionismo). Riferendosi quindi a dei fenomeni superficiali e spettacolari, talvolta perfino a fatti di "moda", si lasceranno andare ad un balbettio penoso e fragile. Come rispondere loro? In primo luogo, per quanto riguarda quest'idea di una pretesa "virilità" intrinseca agli uomini che sarebbe minacciata, possiamo constatare che tale minaccia è soltanto apparente: nell'ordine oggettivo materiale delle cose, gli effetti della dissociazione-valore (fino alla "doppia socializzazione") privilegiano in maniera esplicita, da un punto di vista economico e politico, gli individui maschi. Il fatto che siano, in superficie, "effemminati" o "meno autoritari", non cambia niente allo status privilegiato che gli conferisce il loro genere, e quindi non mette in discussione la forma di autorità oggettiva di cui godono. Materialmente parlando, gli uomini non hanno perduto niente della loro "virilità", assegnatagli in virtù del loro status superiore nell'ordine del valore. D'altra parte, la figura fantasmatica della donna "dominatrice" e "castratrice", a volte posizionata ad alti livelli gerarchici nell'ordine del valore, non può essere assimilata in alcun modo, materialmente, all'esercizio di un qualche "dominio femminile". Il fatto che alcune donne si riapproprino di valori definiti "intrinsecamente maschili" (ma che sono in realtà dei valori costruiti storicamente dai maschi dominanti) non sembra tradurre un progetto di dominio "femminile", ma appare piuttosto come una sottomissione ad un ordine fin dall'inizio maschile, che si vede perciò confermato nelle sue strutture. Inoltre, anche qui la "trasformazione" avviene solamente in superficie, e, nell'ordine materiale delle cose, una donna, anche "autoritaria" o "mascolina", "dominatrice" (tutti dati soggettivi ed ideologici), rimane un soggetto donimato nel senso della dissociazione-valore. Infine, per quel che attiene alla divisione più egualitaria dei ruoli domestici, il cui progresso viene deplorato implicitamente, e a volte esplicitamente, dai cospirazionisti sessisti, va semplicemente notato che una tale divisione, che è in ogni caso desiderabile per qualsiasi società che non vuole essere barbara (vale a dire, che non vuole fondare la divisione del lavoro su dei rapporti "biologici" o "naturali"), rivela innanzitutto una logica di emancipazione quanto meno relativa, che non conferma in niente l'ordine "liberale", ma che al contrario si oppone agli effetti disastrosi della "doppia socializzazione", che sono degli effetti legati all'economia capitalista (in questo senso, chi deplora questa divisione più egualitaria dei ruoli difende un "capitalismo eterno" e si oppone a tutto ciò che può contrastare la logica barbara di tale "capitalismo eterno").
In questo contesto, le donne, e anche le donne definite "borghesi", o "privilegiate", sono le vittime principali del processo astratto del valore. Abbiamo già notato come questo universale astratto - il valore - si incarna necessariamente, indefinitamente, in delle forme particolari concrete, e da qui la violenza di una dissociazione totalitaria (il popolo ebraico, ad esemplio, è stato assimilato in maniera ingannevole a questo universale astratto). Sarà la forma empirica maschile, inizialmente, e stavolta realmente, il contenuto particolare di questo universale astratto, e "l'integrazione" a posteriori di alcune donne in questo universale astratto produrrà una violenza, simbolica e reale, certa. In tal modo, l'emancipazione delle donne, borghesi o "proletarie" ("integrate" o abusate nel senso del valore, ma in ultima analisi sempre sottomesse alle devastazioni patriarcali della dissociazione-valore) implica sicuramente una lotta intrinsecamente anticapitalista. Le donne, che subiscono universalmente, e concretamente, la violenza della dissociazione, potrebbero così difendere gli interessi della società nel suo complesso, nella misura in cui la società avrebbe tutto da guadagnare dall'abolizione dei rapporti capitalistici (gli uomini "proletari", direttamente, gli uomini capitalisti, indirettamente). Come uomini, in un primo momento, nella lotta anticapitalista forse non avevamo abbastanza interessi "reali" da difendere, per proporre degli orizzonti che fossero realmente radicali. Ma, per effetto dell'universalizzazione, la lotta femminista (che è comunque una lotta anticapitalista, esplicitamente o implicitamente) potrebbe rivolgersi, in ultima analisi, ai maschi dominanti, i quali forse soffrono senza saperlo di una volontà di potenza che si basa soltanto sul disprezzo e sull'occultamento di tutto quello che ne rende possibile l'esercizio (volontà di potenza espropriata, colpevole, e infine piena d'odio), e che rimangono comunque ugualmente sottomessi all'auto-movimento delle merci, che non controllano affatto. Si potrebbe vedere, nel modo in cui Soral e Zemmour disprezzano il femminile, la manifestazione di un senso di colpa non ammesso, un senso di impotenza che viene ignorato e che si tramuta in risentimento, in desiderio di vendetta. Questi individui sinistri, con i loro discorsi complusivi e confusi, sembra che ci chiedano di porre fine alla loro angoscia inconscia. Ci chiedono di venire educati: la lotta femminista forse serve anche a questo.
In questa prospettiva, nell'associare la questione ebraica a quella femminista, si potrà notare una cosa che appare paradossale: il progetto politico ebraico iniziale, se attualizzato, in quanto progetto di emancipazione mondiale di tutti gli schiavi, non può più essere patriarcale. Infatti, il capitalismo ha finito per disvelare la struttura patriarcale di ogni dominio, di ogni schiavismo. Di fronte a tale evidente realtà moderna, un individuo che si inscrive nella lotta universale-concreta condotta dal popolo ebraico, oggi sarà necessariamente anti-patriarcale: radicalizzando il gesto di emancipazione, e relativizzando le figure dei patriarchi ebrei secondo un principio di limitazione storica.
IV - Il cospirazionismo anti-gay
La costellazione cospirazionista di cui abbiamo parlato (Soral, Zemmour, ecc.), sviluppa anche un cospirazionismo anti-gay. Questi tristi individui in tal caso si riferiscono, implicitamente, ad una concezione mutilata della morale giudaico-cristiana (quella che stacca la concezione di un atomismo dell'anima dalla lotta concreta per l'emancipazione), laddove altrimenti tenderebbero a "denunciarla" confusamente. Rappresentano, in altre parole, un essenzialismo disgregante ed irriflesso. Una "natura" dell'uomo che consisterebbe nell'avere dei rapporti sessuali con una precisa finalità biologica: la riproduzione, la preservazione della specie. Significa dimenticare che ogni sessualità, in una cultura umana data, è anche un fine in sè, un gioco di amore e seduzione, sia omosessuale che eterosessuale. Questi individui, che riducono l'Uomo, psichicamente atomizzato, a delle proprietà essenziali definite inalienabili, in fondo non fanno alcuna differenza fra l'essere umano, il quale, a priori, gode per godere, e l'animale, che solitamente copula per finalità biologiche esterne all'atto del godere. Abbiamo a che fare con giudaismo-cristianesimo paradossale, che finisce per negare la specificità dell'essere umano (laddove ogni giudaico-cristiano ama invece ricordare che Dio distingue questa creatura da tutte le altre). L'essenzialista paranoico omofobo vede nell'omosessuale, anche se inconsciamente, colui che umanizza l'essere umano, colui che afferma la sessualità in quanto fine in sè, colui per il quale ogni eterosessuale deve riconoscere che la sua sessualità, il suo matrimonio, non sono solamente asserviti ad un rigoroso ordine biologico. In altre parole, Soral e Zemmour vedono nella figura dell'omosessuale le loro proprie contraddizioni: la figura dell'omosessuale è la dimostrazione di ciò che i giudaico-cristiani affermano ontologicamente (una specificità dell'essere umano in generale), e simultaneamente la dimostrazione dell'assurdità delle morali reazionarie e confuse giudaico-cristiane, dell'idea di una "famiglia" giudaico-cristiana in sè che rifiuta la suddetta affermazione ontologica. È l'affermazione ontologica giudaico.cristiana, nella sua relazione con delle prescrizioni normative assai concrete che necessariamente la negano, è quest'atomismo dell'anima in quanto contiene delle contraddizioni irriducibili (in quanto separate dalle loro basi storiche, considerate sia nei loro limiti che nella loro dimensione positiva di emancipazione), ad essere in gioco nel cospirazionismo omofobo. L'omosessuale, che ciascuno è, in maniera manifesta o latente, rimanda alla sofferenza di indossare una specificità universale dell'essere umano (la sessualità, come fine in sé) e doverla poi mettere a confronto con un ordine morale che difende tale specificità universale, ma in una maniera tale per cui essa sarebbe prerogativa di coloro che più se ne allontanano (ad es.: alcune famiglie cattoliche "virtuose" reazionarie, che riducono il sesso a finalità animali, perciò non si elevano al rango di umanità, come genere specifico, non-animale). L'omosessuale che ciascuno è, che quindi io sono, a causa di un complotto al quadrato, è questa dimensione inconscia del mio essere che potrebbe permettermi di svelare l'assurdità palese di ogni atomismo dell'anima separata, di universale-astratto giudaico-cristiano mutilato, ma che, proprio in quanto inconscio, è suscettibile di farmi odiare (Solar, Zemmour) ciò per mezzo del quale potrebbe tuttavia avvenire la mia liberazione (liberazione che attiene anche ad una forma di emancipazione nei confronti di un ordine economico biologizzante, funzionalista ed utilitarista, che quando si tratta di tener conto dell'amore individuale umano, considera cinicamente solo il punto di vista dello spazio biologico umano).
Su un piano più "politico", anche qui, i dominanti inconsci, non essendo più consapevoli del loro dominio, in quanto mossi da una logica economica astratta, accuseranni alcune frange minoritarie e tradizionalmente escluse di essere responsabili del dominio oggettivo che loro subiscono (senza sapere che ciò che li domina non è umano). Il maschio eterosessuale virilista, immagine per eccellenza dell'uomo privilegiato, finisce per accusare il suo opposto, che egli giudica come un cospiratore (il quale in tal modo sarebbe colpevole di innescare un fenomeno di "femminizzazione").
V - Conclusione
Avviene che i tre esempi esposti in questo testo coincidono con dei temi particolarmente presenti in un Alain Soral, gran sacerdote della sciocchezza cospirazionista su Internet. Dunque, questa è l'occasione, non per tornare sul "pensiero" di quest'uomo del risentimento, ma per affrontare piuttosto la riflessione che abbiamo inizialmente proposto su Internet e sull'uso di Internet che favorisce il pensiero cospirazionista, in quanto è proprio su Internet, e non su altri media, che Alain Soral dilaga. Ci troviamo certamente ad avere a che fare con un importante sintome dell'era della tecnologia, proprio nel suo rapporto con la critica marxiana del feticismo della merce. Infatti, l'era della tecnologia è proprio quest'epoca umana dove non solo il prensiero tecnico, accademico (degli esperti) trionfa, e dove, inoltre, gli strumenti tecnici pensano al nostro posto, o meglio ci fanno pensare in questa o in quella maniera senza che noi ne abbiamo coscienza e senza che si abbia il controllo su questa passività. Ora, l'influenza di Internet in questo preciso caso è tale , e questa influenza ci riporta all'analisi marxiana: Internet determina un pensiero, i suoi riflessi, la sua povertà, le sue scorciatoie, e lo fa nella misura in cui questa merce che Internet costituisce è fedele alla missione che ogni commerciante assegna ai suoi prodotti; una missione di occultamento, di ritorno alla semplicità spettacolare del feticcio. L'uno spiega l'altro.
Possiamo riflettere un minuto, senza farci impressionare da questo "tasso di viralità", e da queste cortine fumogene: abbiamo a che fare con degli individui che ci dicono, senza batter ciglio, che un popolo di schiavi millenari, perseguitati per millenni (gli ebrei), che una parte della popolazione dominata fin dalla notte dei tempi (le donne), e che una minoranza esclusa e marginalizzata nel corso della storia (i gay), tutti questi sarebbero i responsabili della "nostra" oppressione universale, e quelli che ce lo dicono sono i più eminenti rappresentanti, sono le figure del dominio (uomini bianchi eterosessuali con un "elevato" capitale culturale). Non c'è forse qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto questo? Non dovrebbe essere poi così tanto difficile farli tacere.
- Benoît Bohy-Bunel - 17 luglio 2016 -
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme