venerdì 5 giugno 2015

Lo sfruttamento della lealtà

confucio

Esiste un capitalismo confuciano?
- Note a proposito di un equivoco asiatico -
di Robert Kurz

Da tempo, l'influenza reciproca fra economia e cultura, nel senso più ampio del termine, è un tema delle scienze sociali. A tal proposito, si possono osservare, essenzialmente, due filoni di idee: uno, che parte dalle leggi generali del capitalismo e che mostra come le culture tradizionali vengono distrutte dall'economia moderna, e l'altro, che, inversamente, parte dalla diversità delle culture e mostra come il capitalismo sia culturalmente determinato e come i suoi ambiti culturali comportino versioni del tutto diverse dalla sua logica generale. Questo legame fra economia e storia culturale, coltivato particolarmente in Germania a partire da Werner Sombart e Max Weber, ha prodotto il concetto di "stile economico" (Bertram Schefold). Tale principio è oggi tenuto in grande considerazione in Occidente. Il sociologo francese Pierre Bourdieu parla di un "capitale culturale", e lo storico americano Samuel Huntington, dopo il collasso del socialismo di Stato, ha perfino visto l'inizio di una "guerra fra le culture". Allo stesso tempo, la nuova autocoscienza del capitalismo asiatico si riferisce ad una "identità culturale" propria, che sarebbe superiore a quella del "decadente Occidente".
Max Weber, che viene considerato volentieri come il precursore di questo pensiero economico nelle categorie culturali, certamente non aveva alcuna idea di un capitalismo culturalmente plurale quando incominciò a scrivere la sua Sociologia delle Religioni e ad investigare sulla relazione fra le culture, religiosamente definite, ed il capitalismo moderno. Gli interessava soprattutto la nascita storica del capitalismo stesso ed il problema della transizione alla modernità. Di fatto, in tutte le società pre-moderne, incluso in Europa, le motivazioni sociali ed economiche venivano definite per mezzo della religione, essendo così incompatibili col calcolo astratto dell'homo oeconomicus. Per la teoria si trattava di spiegare il perché la vera e propria nascita del capitalismo si verifica nel Nord dell'Europa Occidentale, mentre un tale modo di produzione verrà poi imposto nelle altre regioni del pianeta. Com'è noto, Weber arrivò alla conclusione che l'ideologia religiosa del protestantesimo fosse stata l'unica a garantire una transizione adeguata verso una mentalità capitalistica, mentre le altre culture religiose, incluse il buddismo ed il confucianesimo, si erano rivelate incapaci di costituire uno sfondo culturale adatto allo sviluppo del capitalismo.
La cosa interessante attiene a come Weber motivi una tale tesi. Egli era cosciente del fatto che tanto il protestantesimo puritano quanto l'etica confuciana favorissero una solida morale del lavoro ed un pensiero razionalista. Allora, perché il confucianesimo non sarebbe stato altrettanto adatto del protestantesimo all'avvento del capitalismo? Per Weber, come si può leggere nella sua Etica Economica delle Religioni Mondiali, la differenza fondamentale risiedeva nell'importanza delle relazioni sociali al di fuori del sistema economico in senso stretto: "L'etica confuciana, in forma del tutto deliberata, lasciava gli individui in balia delle loro relazioni naturali o personali, che erano determinate da vincoli sociali gerarchici. Essa trasfigurava queste ultime, e solo queste, e alla fine disconosceva ogni obbligo sociale diverso dai doveri di pietà umana creati per tali relazioni personali fra individuo ed individuo, fra padrone e servo, fra funzionario della gerarchia superiore ed inferiore, fra padre e figlio, fra fratello e fratello, fra maestro ed allievo e fra amico ed amico. Per l'etica puritana, al contrario, queste relazioni puramente personali - sebbene, naturalmente, venissero tollerate, se non erano contrarie a Dio e se erano eticamente regolari - erano leggermente sospette, in quanto valevano per le creature. La relazione con Dio veniva sempre per prima, in ogni circostanza. Le mere relazioni umane, come tali, troppo intense e che idolatravano la creatura, dovevano essere evitate completamente. Infatti, la fiducia negli uomini, anche in quelli con cui si aveva i legami di sangue più prossimi, erano pericolose per l'anima... Derivavano da questo delle importantissime differenze pratiche fra le due concezioni etiche, sebbene le designiamo come "razionaliste" nella loro applicazione pratica, e sebbene entrambe deducano conseguenze 'utilitaristiche'".
Se sostituiamo al "Dio" puritano il valore economico, o più semplicemente il denaro, ecco che si rende evidente la concezione occidentale e liberale dell'uomo come egoista isolato, il quale sacrifica tutti i legami personali e sociali sull'altare della razionalità economica astratta e del puro successo individuale. E, dal momento che il confucianesimo resiste fondamentalmente ad un simile impulso. Max Weber lo ritiene inadatto al capitalismo, a differenza dell'ideario protestante. E' controverso se la specifica religiosità protestante si secolarizzi e dia così origine al capitalismo, oppure se prima il capitalismo nascente si approfitti dell'ideologia protestante e la ritagli secondo la sua propria immagine mondana. Quel che è certo è che solo questo amalgama europeo di protestantesimo e capitalismo abbia dato alla luce il mondo moderno del mercato totale, mentre nelle culture più antiche della Cina, del Giappone e del resto dell'Asia, il capitalismo è stato importato insieme alle idee europee e non si è sviluppato a partire dall'interno.
In questo senso storico, Max Weber non può essere confutato. Tuttavia, la sua tesi circa la scarsa capacità di integrazione capitalistica del confucianesimo (così come del buddismo e di tutta la mentalità asiatica) viene assunta come falsa, giacché oggi la Cina, il Giappone e le "piccole tigri" sembrano aver creato un capitalismo specificamente asiatico, che sostanzialmente si discosta dalla versione occidentale, si riferisce alle proprie tradizioni culturali e viene considerato un successo straordinario. Sarà allora che l'individualismo economico - socialmente inflessibile e devoto soltanto al "Dio" denaro - ad essere non essenziale per il modo di produzione capitalistico? Sarà che oggi siamo testimoni della nascita, in Asia, di un capitalismo superiore, che si riferisce al "capitale culturale" della lealtà personale e sociale? E' stata questa l'ipotesi, difesa recentemente dal politologo nordamericano Francis Fukuyama, resosi celebre per la sua tesi della "fine della storia".
Credo che qui abbiamo a che fare con una grande illusione, la quale può essere chiarita per mezzo della non-simultaneità storica dello sviluppo. Il capitalismo asiatico non ha creato un nuovo modello, ma è soltanto arrivato ad una tappa dello sviluppo capitalistico, che in passato non è stata estranea all'Occidente.
Tutte le società pre-moderne all'inizio della modernità, ivi compresa l'Europa, erano impregnate da una struttura di reverenza autoritaria, da un sistema di lealtà e di sudditanza personale, così come anche da una rigorosa morale. Questa non è una specialità asiatica, ma uno stigma universale della transizione delle società agrarie verso il capitalismo. Ora, se soltanto l'ideologia individualistica del protestantesimo ha potuto dare alla luce un capitalismo proprio ed autentico, è difficile accettare che i paesi asiatici, meri importatori del capitalismo, possano conservare il livello di sottomissione autoritaria e di lealtà personale attraverso forme culturali che già in passato non hanno dato prova di benevolenza nei confronti del capitalismo. La nuova autocoscienza dell'Asia è un'auto-illusione, in quanto l'assorbimento del capitalismo è stato realizzato a spese della sua propria autonomia.
Il fatto per cui le strutture del capitalismo asiatico sono storicamente arretrate ed incapaci, a medio termine, di resistere economicamente al mercato mondiale, può essere dissimulato, nel presente, per mezzo della concessione di vantaggi concorrenziali a breve termine, che in una certa prospettiva costituiscono i (temporanei) profitti eccezionali della non-simultaneità storica - ma questo solo per delle minoranze e solo in alcuni pochi paesi. Il fattore principale, però, non sono le forme specificamente asiatiche del "capitale culturale", ma gli elevati indici di crescita a partire da delle basi ridotte, come già si è osservato prima in paesi recentemente industrializzati, tipo l'Unione Sovietica negli anni 1930, senza che questo ridondasse in un nuovo "modello di successo". Solo su questo sfondo economico, le relazioni autoritarie di lealtà possono svolgere, per qualche tempo, il ruolo di colonna portante del successo.
Se rispetto a questo, sia la relazione del cittadino con lo Stato che la relazione del salariato con l'imprenditore vengono reinterpretate quasi come un vincolo personale di lealtà fra "padrone e servo", questo non è altro che una maschera per la reificazione e l'anonimizzazione capitalistica di tutte le strutture sociali. Anche il pre-capitalismo europeo è stato testimone di imprenditorie patriarcali, nelle quali la dipendenza sociale si manifestava come relazione del "signore" col suo "seguito". Alla stessa maniera, l'intervento autoritario dello Stato nell'economia ed il patrocinio delle associazioni corporative al servizio della "nazione", dall'assolutismo fino alle dittature modernizzatrici del XX secolo, sono state solo una "fase di crisalide" della moderna democrazia capitalista e del suo individualismo astratto, corruttore di ogni tipo di lealtà sociale. Nella misura in cui favorisce una forte mediazione dello Stato sull'economia ed un pesante fardello dei mercati interni, il capitalismo asiatico ricrea l'epoca mercantilista dell'Occidente ed una certa uniformizzazione di tutti i cittadini, dove il costante intonare gli inni nazionali, ecc. costituisce al massimo un sottofondo musica superficialmente culturale di tale processo.
La trasposizione, nell'ambito dell'economia imprenditoriale, in Giappone, di esercizi rituali quali lo sport mattutino semi-militare praticato collettivamente dai dipendenti, oppure l'intonazione degli "inni dell'impresa", è stata ridicolmente interpretata, in Occidente, come una "nuova arma segreta" della filosofia amministrativa asiatica, mascherata dai progetti di "corporate identity", mentre si trattava in realtà di fenomeni di transizione dalla mentalità feudale a quella capitalistica. Sotto l'influsso della globalizzazione, in tutta l'Asia crolla il corporativismo mediato dallo Stato, così come crolla la lealtà patriarcale nell'economia di impresa. Nel mercato interno, si impone la logica della concorrenza, ed al posto della corporate identity asiatica nasce inarrestabile il principio iper-capitalista di assumere e licenziare (hire and fire).
Col tempo, questo sarà il destino anche dei legami e dei doveri fra consanguinei stretti, che non costituiscono, neanche essi, una specificità asiatica. Fino ad oggi, sparsi per tutto il mondo, "grandi famiglie" e clan, in numero considerevole, rimangono come fossili della storia della modernizzazione - in Arabia, in Africa ed in America Latina, così come in Cina e a Singapore - senza però rappresentare un "modello capitalista". Forse, il capitalismo confuciano e familiare, elaborato in miniatura in Cina, è oggi responsabile di una parte della crescita, ma le sue attività si limitano ai servizi secondari, ed esso è incapace di sostituire l'industria statale. Per l'industrializzazione volta all'esportazione, secondo i criteri del mercato mondiale, esso sarà innanzitutto un ostacolo - e questo già a medio termine. Gli stessi immigranti asiatici negli Stati Uniti, festeggiati come esempio di imprenditoria di successo, posseggono molto spesso delle mere nicchie economiche nel commercio, o piccoli ristoranti che non riflettono in nessun modo un capitalismo autonomo. Il principio di questo successo è semplice: lo sfruttamento brutale della lealtà familiare, a costo anche del lavoro infantile e non retribuito, per poter abbassare il prezzo del prodotto finale. Spesso lo stesso principio viene seguito dai migranti che arrivano sul suolo del Sud dell'Europa (Turchia, Grecia, Spagna) nei loro esercizi in Germania. Quante generazioni sopporteranno una simile struttura di schiavitù familiare? Poche, sicuramente.
Il processo di individualizzazione capitalistica, distruttore dei legami familiari, come scrivevano Marx ed Engels già nel "Manifesto Comunista", ha raggiunto ora anche i grandi centri metropolitani dell'Asia, e non sarà fermato dal codice confuciano di polizia morale . A Singapore, come si può leggere, sputare per strada e pisciare negli ascensori viene punito a colpi di frusta. Ci si chiede: gli abitanti di Singapore, prima, erano soliti pisciare negli ascensori? Simili precetti, fatalmente riportano alla memoria gli ordini della polizia tedesca del 16° secolo, quando il mondo europeo si trovava ancora sulla strada del "processo (capitalistico) di civilizzazione" (Norbert Elias) e perfino la vita intima era regolata dalla polizia. Gli individui, nel tardo capitalismo, non pisciano negli ascensori, anche senza la minaccia poliziesca; comunque, per il fatto che controllano i loro riflessi intimi, calcolano anche la loro vita sessuale al di là della rigida morale del vecchio patriarcato. Al posto di questa morale, in Occidente, non sono emersi l'estasi ed il rapimento, ma la commercializzazione della sessualità e degli stessi sentimenti. E' assurdo supporre che proprio questi paesi asiatici - i quali, come si sa, non vivono solo di esportazione di automobili e chip, ma anche di turismo sessuale - vogliano fondare un capitalismo sulla base della morale confuciana. Insieme al soggetto automatico del denaro, a McDonalds e ad Hollywood, è da tempo che gli asiatici sono stati contagiati dallo stesso virus della "decadenza occidentale".
In Europa, e soprattutto negli Stati Uniti, vediamo oggi che lo stadio finale di tutto il capitalismo è la perfetta dissoluzione della società in individui astratti ed autistici. Più di 150 anni fa,  Alexis de Tocqueville prevedeva già che la società moderna sarebbe finita così. Non è solo Bob Dole, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, ad evocare idee pre-moderne per cercare di scongiurare tale pericolo. Nel frattempo, Francis Fukuyama abbandona il campo in cerca di aiuto per il capitalismo sfrenato, guardando con sospetto "determinati aspetti della cultura tradizionale" asiatica. Il suo sogno è un capitalismo "imposto per mezzo di tradizioni culturali, che nasca da fonti non-liberali": una soavizzazione del puro mercato attraverso il "capitale sociale" delle corporazioni civili caritatevoli e per mezzo di una "fiducia reciproca universale". Parole folli, orecchie da mercante. Non vedremo mai nascere un capitalismo confuciano, pietoso e vegetariano, in quanto il dio puritano e secolarizzato del denaro in nessuna cultura tollera altri dei intorno a lui. La tesi di Weber circa la scarsa compatibilità capitalista del confucianesimo e del buddismo probabilmente continuerà a mantenere un posto di rilievo non solo nella storia, ma anche nel futuro.

- Robert Kurz - Pubblicato su "Folha de São Paulo" del 15.09.1996 col titolo "O mito do capitalismo confuciano" -

fonte: EXIT!

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