Famiglia nucleare? No, grazie!
di Christophe Darmangeat
La preservazione di una certa forma tradizionale di famiglia, come ultimo baluardo contro ogni sovvertimento, è una vecchia antifona conservatrice. E se non sono più - come ai tempi di Marx - i comunisti ad essere accusati di voler distruggere la famiglia, il "matrimonio per tutti" è diventato la minaccia contro cui far suonare le campane a martello. E' stato coniato lo slogan secondo cui la famiglia, è "un padre ed una madre", ed i suoi partigiani si sono affrettati a vedervi l'espressione di un ordine naturale - se non divino; in tali circostanze, il bigottismo è sempre in agguato.
Eppure, l'etnologia e la storia hanno stabilito da tempo l'estrema diversità delle forme familiari. Il modello nucleare ("un padre, una madre") è quello dell'Occidente moderno, benché, a causa di un lontano contraccolpo della mercificazione, esso sia oggi messo in discussione dall'emergere delle famiglie monoparentali o ricomposte. Tale modello è stato anche quello di molti altri popoli, a partire dai cacciatori-raccoglitori come gli Inuits o come i pigmei delle Isole Andamane. Ma assai più numerose sono state le società che praticavano la poliginia ("un padre, molte madri") - come nell'Islam o presso gli antichi Ebrei, ma anche gli Aborigeni australiani potevano superare le venti mogli. Anche se più rara, la poliandria ("una madre, molti padri") è documentata nella zono indo-tibetana. Presso molti popoli di queste regioni, avveniva inoltre che la cellula familiare raggruppasse le donne, invece che con i loro mariti, con i propri fratelli. Gli uomini, amanti o mariti chiamati "visitatori", avevano relazioni sessuali con le loro donne soltanto durante la notte. Una tribù della Cina, i Na - o Mosuo - a volte presentata, a torto, come un matriarcato, ha spinto questa logica fino alla sua conclusione: la nozione stessa di matrimonio era sconosciuta e, insieme ad essa, di conseguenza, quella di paternità.
Questa abbondanza di forme - il cui elenco potrebbe essere allungato a piacere - si spiega facilmente. Se, nonostante l'irruzione della scienza e della tecnica moderna, la procreazione è rimasta fondamentalmente un fenomeno naturale che necessita dell'intervento di un individuo di ciascun sesso, diversamente la famiglia, quest'unità socio-economica in particolare incaricata di allevare i bambini, è un fenomeno sociale; è questo che spiega la sua incredibile plasticità. Per quel che riguarda la singolare costante secondo la quale essa riunisce dappertutto gli uomini e le donne, tale costante da molto tempo non ha più niente a che fare con la natura, se è stato mai così. L'eterosessualità della famiglia è il prodotto della divisione sessuale del lavoro, un altro fenomeno sociale che si trova anch'esso alla base del dominio maschile.
Non è possibile predire quale forma assumerà la famiglia in una società liberata dalla miseria e dallo sfruttamento. Ma non c'è alcun dubbio che una tale società sarà pronta a sviluppare la gestione collettiva dei molteplici compiti che oggi vengono assunti all'interno dello stretto quadro familiare - cioè a dire, essenzialmente, dalle donne. Una cosa tuttavia è certa: la "difesa della famiglia", al di là della volontà di mostrare i denti ai governi detti di sinistra o al di là della semplice stupidità, è una bandiera che nasconde a malapena la feroce volontà di preservare la tradizionale complementarietà dei sessi, ovvero la loro ineguaglianza. La "difesa della famiglia" si oppone alle rivendicazioni degli omosessuali; ma assai più in generale, è un grido di guerra contro l'emancipazione delle donne.
Christophe Darmangeat
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