"Sai cosa ho dovuto fare poco fa?" chiese Kamo lasciandosi cadere in una poltrona.
" ...?"
"Ho dovuto riempire una scheda! Il Comitato di Partito voleva sapere tutto su di me. Ti rendi conto? Sono pazzi! La mia vita raccontata in dieci righe! Assurdo. Ecco a cosa sono ridotto: dieci righe su un pezzo di carta!"
"Cos'hai fatto?"
"Cosa volevi che facessi? Ho riempito quel maledette questionario. E poi ho detto loro: 'Mandatemi a lavorare tra i giovani; impartirò loro un'educazione rivoluzionaria. Ne farò una generazione di comunisti d'acciaio.' Spero che abbiano capito quello che volevo dire."
Fece una pausa, poi, dopo aver riflettuto, aggiunse con una smorfia: "Mi sto facendo illusioni. Non hanno certamente capito."
"Io ti capisco." rispose dolcemente il suo interlocutore. "Da quando Lenin è malato, sta cambiando tutto. Le responsabilità non sono affidate agli uomini migliori, ma ai servi di questo o quel tiranno. A Mosca ci sono uomini che aspirano al posto di Lenin. Si stanno preparando nell'ombra, piazzando i propri uomini nei punti strategici."
"Ma no! Non è possibile! E poi Lenin non morirà, e rimetterà ordine in tutto questo caos. Inoltre la rivoluzione sta covando in Europa."
"Anche qui" lo interruppe Bibineisvili ironico.
"Sei matto? Qui c'è il proletariato al potere! Coloro che si ribellano contro di noi possono essere solo dei bianchi!" ribatté Kamo fuori di sé.
"Dei bianchi, davvero? Ci credi realmente? Io ti dico che se continuiamo così, se Ordzonikidze e il tuo amico Stalin persistono nella linea che ci hanno imposto con mezzi equivoci e che noi non riusciamo a cambiare, avremo guai estremamente seri con i nostri operai e i nostri contadini."
E' una cosa passeggera! E' perché noi siamo isolati, ma non può durare. L'Europa si prepara a vincere. E' a questa impresa che voglio fare onore. Vedrai, vivrò e lotterò ancora cent'anni. Sto attento. Non bevo vino, evito le notti ... insonni. Le mie forze sono intatte, la mia salute è fiorente. Che cosa mi impedirà di vivere? Eh?"
Si separarono davanti alla porta del commissariato alle finanze.
Kamo inforcò la bicicletta. Passò da Attarbertzkov, il capo della Ceca, poi si avviò per la strada di Vejris che scende bruscamente verso il ponte sul Kura.
Il ciclista prendeva le curve strette e spingeva sui pedali con tutte le sue forze. Aveva quarant'anni, ma la velocità lo inebriava sempre. L'aria della sera era di una tenerezza materna. La terra era felice di portarlo e gli rideva perché sapeva ancora amarla.
Quando l'automobile nera comparve, a fari spenti, né il ciclista né lei cambiarono direzione. Era come se avessero un vecchio appuntamento.
Erano le undici di sera.
Il sangue sprizzò dalla gola e stillò dalle orecchie. Onde di luce danzavano davanti agli occhi di Kamo. Incomprendibili brusii arrivavano alle sue orecchie. Aveva freddo.
L'ospedale Mikhailovskij, ancora una volta. L'ultima. Alle tre del mattino fu la fine. Il 18 luglio 1922 all'estremità di Piazza Erivan, in quel giardino Puskin che aveva risuonato per le splosioni del leggendario colpo del giugno 1907, le corone si accumulavano.
Quella di Lenin diceva semplicemente: "All'indimenticabile Kamo."
da “KAMO, l’uomo di Lenin”, di Jacques Baynac
2 commenti:
bellissimo pezzo: il libro non l'ho mai letto, ma mi hai incuriosito.
Il libro è fuori commercio da anni, ma puoi trovarlo sul p2p tranquillamente, grazie a quelli di "libramente".
salud
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