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martedì 20 gennaio 2009
Piccola Storia del Lavoro
All'inizio c'era il paradiso in terra, e di lavoro nessuno ne aveva mai sentito parlare nel giardino dell'Eden! Niente agricoltura, né tantomeno industria. Poi, per la prima volta, la minaccia, nemmen tanto velata: "Col sudore della tua faccia mangerai pane".
La maledione era stata scagliata. Poi vennero gli antichi. Si dice che loro preferissero, sopra tutto, due cose: otium e bellum, tempo libero e guerra. Erano le uniche due "attività" accettabili per i cittadini greci. Aristotele lodava il tempo libero e la contemplazione, intanto che gli schiavi pensavano a tutti. Ma gli schiavi - si sa - non erano cittadini.
I romani, forse ancora più pigri, copiarono pari pari dai greci. In più, lodavano Dioniso e il sesso. La loro cultura produsse fra i più fantastici poeti oziosi: sopra tutti, Ovidio e Orazio.
Anche gli antichi cinesi, dall'altra parte dell'antichità, non amavano troppo il lavoro. Inventarono il "Tao", per meglio elogiare l'inattività. Con cognizione di causa.
E anche Gesù non aveva un concetto troppo alto del lavoro. Proprio per questo rovesciò i tavoli con le mercanzie. Quanto a Maometto, lui amava tantissimo le pennichelle. Poi, gli ebrei, ogni sette anni, si prendevano un anno sabbatico dedicato al riposo e al tempo libero, durante il quale non si lavorara per niente.
Quando cadde Roma e arrivarono i cosiddetti secoli bui - tra il quinto e l'ottavo secolo, secolo più secolo meno - tutto il potere passò a preti e guerrieri. Di sicuro, nessuno si ammazzava di lavoro, all'epoca, tant'è che di quel periodo non ci è rimasto praticamente niente. Anche l'arte era piùcchealtro astratta e simbolica. I guerrieri preferivano ottenere col sangue quello che, a loro dire, era vile e pigro guadagnare col sudore della fronte. E, insieme al clero, guardavano dall'alto i poveri lavoratori.
I contadini erano obbligati a lavorare la terra, questo sì, e la scienza agraria si sviluppò. Ma la giornata lavorativa non superò mai le sei ore, e, a conti fatti, i giorni di festa religiosa erano più di quelli lavorativi. Anche i mercanti lavoravano solo la mattina. Il resto del giorno era dedicato a mangiare, dormire e incontrare gli amici.
Già nel quindicesimo secolo, però, la religione del lavoro cominciò a farsi largo. Amleto aveva un animo nobile, ma, ahilui, si sentiva in colpa per la sua inoperosità!
Comunque, la gente era ancora più o meno indipendente, i governi ancora lontani e la popolazione viveva in maggioranza in campagna.
Poi, da qualche parte, imporovvisamente arrivò la Rivoluzione Industriale. Di colpo, lavorare e fare soldi vennero elevati a stile di vita. Nell'Inghilterra vittoriana, preti, giornali e industriali cominciarono a predicare il lavoro. Ai poveri, costretti a lavorare 14 ore al giorno in condizioni orribili, fu detto che Dio voleva che lo facessero. Intellettuali come Paul Lafargue, Oscar Wilde e Robert Luis Stevenson si lamentavano di questa nuova cultura, ma i loro scritti non avevano effetto.
Nel ventesimo secolo le cose peggiorarono. I fascisti nobilitarono ulteriormente il lavoro. Gli oziosi vennero mandati nei campi di concentramento e all'ingresso dei campi venne scritto che "il lavoro rende liberi".
Oggi, da destra a sinistra, tutti si rifanno al Lavoro Duro come valore. Si lavora sempre di più, e la maggioranza è sempre più scontenta del proprio lavoro. Negli Stati Uniti molta gente ha solo due settimane di vacanza. Molti sono pagati così male che devono avere due lavori per sopravvivere. Nessuno ha tempo per divertirsi, riflettere, oziare.
Perfino l'India, per secoli una cultura contemplativa, ha sposato la religione del Lavoro. Tant'è che molti "call centers" sono stati spostati dalla Gran Bretagna a Delhi. Anche qui, in Italia, sembra che non si faccia più la pennichella!
Siamo stato defraudati del diritto ad essere oziosi. Il senso di colpa, il senso del dovere e il desiderio si sono coalizzati per farci credere che l'ozio sia un male.
Ma l'ozio è parte della vita, e rinunciarvi significa rinunciare alla libertà.
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