venerdì 1 settembre 2006

la storia leggera


Prendo il titolo a prestito da un bel libro di Stefano Pivato, edito dal “Mulino”, per parlare di Fabrizio de André come “storico”. Il disco di storia si chiama “Rimini”. E segue di qualche anno quel bel romanzo politico che ha per titolo “storia di un impiegato”. In mezzo due dischi, di cui il primo (“Canzoni”) è una sorta di raccolta di cover (anche proprie, ma cover). In mezzo cinque anni lunghi come fossero stati cinquanta!
La “storia”, introdotta proprio da quella “Rimini” che da il titolo al disco, si svolge su due canzoni. Fondamentalmente. Comincia con “Coda di Lupo”. Si parte “da lontano”, e si usa un artificio, parlando della storia italiana che dal dopo-guerra arriva al 1977 guardandola in quello specchio che sono i nativi americani. Il facile riferimento sono gli “indiani metropolitani”. Come in un immenso giro, dagli indiani si parte e agli indiani si arriva!
De André parla, in questa canzone scritta nel 1978, del vero e ultimo conflitto che ha segnato la storia della società italiana: quello fra un'estrema sinistra antagonista ed il più grande partito comunista d'europa, assolutamente incapace, nella sua grettezza, di comprendere l'impulso al cambiamento reale. Incapace di sfruttare perfino la vittoria elettorale del 1975, occupato com'era a far professione di moralismo e di austerità. L'accusa è la stessa rivolta dal giovane Sofri al vecchio Togliatti. L'accusa non era quella di non aver fatto la rivoluzione, in Italia. Ma di averla impedita!

Coda di Lupo


Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto
correvo dietro ai cani
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi
sui fatti miei e sui fatti tuoi
e al dio degli inglesi non credere mai.

Il “dio degli inglesi” sono i valori della borghesia che vengono usati al fine di far presa su una classe che si è costituita nel fuoco della resistenza e della “liberazione”. E' il nonno il simbolo di questa classe e del sogno di un mondo diverso che poteva essere e non è mai stato.

E quando avevo duecento lune e forse
qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in “Coda di Lupo”
cambiai il mio pony con un cavallo muto
e al loro dio perdente non credere mai.

Il dio perdente. Quello che viene a prospettare un bell'impiego da ragioniere. Sono i primi anni cinquanta. I primi sprazzi di ribellione giovanile. Le bande. I “teddy-boys”. L'emigrazione, interna ed esterna, ai massimi storici.

E fu nella lunga notte della stella con la coda
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa
crocifisso con forchette che si usano a cena
era sporco e pulito di sangue e di crema
e al loro dio goloso non credere mai

Il dio goloso è il partito comunista, in piena forma. Sono gli anni sessanta. Il nonno prova a finire il lavoro. Siamo a Genova, in Sicilia, a Reggio Emilia. Il governo è il governo Tambroni. Niente da fare, sono solo bande di “provocatori” da immolare sull'altare dei valori della pacifica convivenza.
Si mangeranno il nonno e sputeranno i Notarnicola e i Cavallero. Banditi a Milano!

E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente
possedevo una spranga un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai
e al dio della Scala non credere mai.

Il dio della Scala! La prima contestazione, nel 1968, ad avere gli onori della cronaca, e l'eco della stampa. Le uova marce che aspettavano lor signori alla prima della Scala. Un'Italia del dopo-boom, già e ancora divisa. Una nuova generazione che si affacciava alla storia, La prima violenza collettiva. Quella fatta e quella subita!

Poi tornammo in Brianza per l'apertura
della caccia al bisonte
ci fecero l'esame dell'alito e delle urine
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
“Per la caccia al bisonte” - disse - “il numero è chiuso”
e a un dio a lieto fine non credere mai.

Il dio a lieto fine. Quello che, semplicemente, non c'è! Un decennio di lotte e di contestazioni, e la risposta è, ancora una volta, l'incapacità di recepire le istanze che insorgono dal basso della società. La risposta è il numero chiuso nelle Università. La strada è tracciata.

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma
a Little Big Horn
capelli corti generale ci parlò all'Università
dei fratelli tute blu che seppellirono le asce
ma non fumammo con lui non era venuto in pace
e a un dio fatti il culo non credere mai.



Il dio-fatti-il culo. E così arriviamo a Luciano Lama, campione dell'ideologia, la più becera. Quella fondata sui valori assurdi de lavoro e del sacrificio che, a fronte del più imponente movimento che anima l'Italia del dopo-guerra, non trova niente di meglio che attuare la più squallida delle provocazioni alla “Sapienza” di Roma. E' la più grande vittoria del movimento che finalmente comincia a regolare i conti, spazzandolo via, lui e il suo palco e il suo servizio d'ordine. E' anche l'inizio della sconfitta.

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po' a casaccio perché non più memoria
e a un dio senza fiato non credere mai.

Il dio senza fiato. Nessuna speranza. La lotta è finita in un vicolo cieco. Le aberrazioni di una “vita privata” che non si sapeva e che si era riusciti fino ad allora a scansare. La lotta armata e l'eroina. La cosiddetta “arte”, come territorio oramai separato. La risposta individuale ai problemi della sopravvivenza, al quotidiano. Rimangono solo pochi, disperati, senza capacità di discrimine che sparano a tutto quel che si muove dall'altra parte! Ne parlerà nella canzone che chiude il disco, e chiude anche la storia di quegli anni:

Parlando del naufragio della “London Valour”

I marinai foglie di coca digeriscono in coperta
Il capitano ha un amore al collo venuto apposta dall'Inghilterra
Il pasticciere di via Roma sta scendendo le scale
ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare
ha una frusta giocattolo sotto l'abito da tè.

E la radio di bordo è una sfera di cristallo
dice che il vento si farà lupo, il mare si farà sciacallo
Il paralitico tiene in tasca un uccellino blu cobalto
ride con gli occhi al circo Togni quando l'acrobata sbaglia il salto.

E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli
I marinai uova di gabbiano piovono sugli scogli
Il poeta metodista ha spine di rosa nelle zampe
per fare pace con gli applausi per sentirsi più distante
la sua stella si è oscurata da quando ha vinto la gara di sollevamento pesi.

E con uno schiocco di lingua parte il cavo dalla riva
ruba l'amore del capitano attorcigliandole la vita
il macellaio mani di seta si è dato un nome da battaglia
tiene fasciate dentro il frigo nove mascelle antiguerriglia
ha un grembiule antiproiettile fra il giornale e il gilè.

E il pasticciere e il poeta e il paralitico e la sua coperta
si ritroveranno sul molo con sorrisi da cruciverba
a sorseggiarsi il capitano che si sparava negli occhi
e il pomeriggio a dimenticarlo con le sue pipe e i suoi scacchi
e si fiutarono compatti nei sottintesi e nelle azioni
contro ogni sorta di naufragi e di altre rivoluzioni
e i macellaio mani di seta distribuì le munizioni.


Me lo sono chiesto tutto d'un tratto, E' stato come una sensazione, con in più fatto forte di una piccola nota di Romana che in “amico fragile” argomenta come vi si possa leggere una metafora della normalizzazione che si è avviata, alla fine degli anni settanta (siamo nel 1978), prendendo a pretesto il sequestro Moro.
Allora mi sono detto che forse il naufragio della London Valour non parlava di una notizia di cronaca di una nave realmente naufragata in porto, bensì si provava a descrivere lo sbaragliamento dei gruppi armati. Il tutto visto come uno ... spettacolo. Forse....
Cosa , meglio di una nave, da usare come metafora per un movimento che ha attraversato un decennio? Come dire: “navigammo su fragili vascelli/per affrontare del mare la burrasca/ed avevamo gli occhi troppo belli ...
E poi la “London Valour” naufraga nel porto! Come se, in fondo, non fosse mai partita. Oppure, meglio e più probabilmente, naufraga quando oramai è quasi arrivata. Ce l'aveva quasi fatta!
E chi sono i “marinai foglie di coca” , in coperta, che subito dopo si trasformano in “marinai uova di gabbiano” a piovere sugli scogli? Un riferimento alla generazione più carcerata della storia d'Italia, per dirla con Erri de Luca? Una generazione destinata a passare dal “lottavano così come si gioca” alla consapevolezza della morte. Presi in mezzo fra lotta armata e droga! E chi è il capitano dall'amore al collo, rubatogli da un cavo? Lo stesso che trovò un sorriso sulla strada che porta a Trento, in “La domenica delle salme”? E perché il pasticciere di via Roma, che pesta una mano ogni dodici gradini (il partito comunista italiano, o chi per lui?) e il poeta paralitico che tiene in tasca un uccellino blu cobalto (che sembra uno solo, all'inizio, per poi diventare due persone), e ride quando l'acrobata sbaglia il salto ( i grilli parlanti di certa sinistra extra-parlamentare, o chi per loro?) si ritrovano sul molo (salvi!) con “sorrisi da cruciverba” a sorseggiarsi il capitano che soccombe (sparandosi negli occhi)? E decidono di dimenticarlo, il capitano, ormai compatti nel rifiutare ogni rivoluzione (che, per loro, non può finire altrimenti che in un naufragio).
E il “macellaio mani di seta”, che alla fine distribuisce le munizioni, chi altri è se non il generale Della Chiesa?
Il pasticciere, il poeta e il paralitico dell'ultima strofa si alleano al macellaio, con le sue mascelle anti-guerriglia, “contro ogni sorta di naufragi o di altre rivoluzioni”!


....pagherete caro...pagherete tutto...

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Il sorriso sulla strada che porta a Trento è del Bandito senza Tempo, nella Domenica delle Salme sulla strada di Trento gli... bruciano il letto! :-)
Ciao Manu

BlackBlog francosenia ha detto...

Vero!!!
Chissà quale strano procedimento mentale mi ha portato ad attuare un collegamento fra il bandito senza tempo e il "renato curcio carbonaro"!?!
Ma come disse Horst Fantazzini: -"Ormai è fatta!" :-)

salud

Anonimo ha detto...

Ciao,

stavo investigando il significato di alcune parti di "coda di lupo" e mi sono imbattuto nel tuo blog. Molto bello. Per la "mia" spiegazione della canzone, ho attinto in parte dalla "tua", con alcune differenze o dettagli che ti trascrivo (ne parlavo via mail con un mio amico)

L'uccisione del nonno, a giudicare dalla scansione temporale degli eventi (tra quando De Andrè aveva meno di duecento lune, cioè mesi, e quando aveva 18 anni), è la repressione della rivoluzione ungherese del novembre-dicembre 1956, forse la lunga coda di carri con la stella (rossa) che uccidono operai studenti e sindacalisti, che chiedevano un socialismo vero, "crocifiggendoli sulla Chiesa", cioè, penso, appiccicandogli l'etichetta di reazionari, borghesi, monarchici e clericali che non erano. Quindi, il "Dio goloso" può essere la lunga mano dell'URSS.

(...)

Un altro pezzo interessante è la Brianza e la caccia al bisonte. Il poeta andaluso che "spiega il meccanismo" è un reclutatore delle BR. Il protagonista pensa di dàrsi alla lotta armata, ma le BR sono un partito armato stalinista e selettivo a suo modo e... gli fanno l'esame dell'alito e delle urine: non c'è posto nelle BR per alcolizzati e tossici. Per la caccia al bisonte, cioè per la lotta armata, c'è il numero chiuso! Così questa generazione (di cui De Andrè non fa propriamente parte: infatti è "già vechio"), quella del'77, sbandata, confusa, si trova fuori da tutto, non capita da nessuno, non dal PCI (Lama, il sindacato, il "Dio fatti il culo", cioè la retorica del lavoro, della socialdemocrazia); rifiutata anche dai brigatisti col loro inesistente "Dio a lieto fine", cioè la rivoluzione imminente.

(...)

...fa professione pubblica di pentimento e contrizione, per la gloria dell'apparato repressivo dello stato ("mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano"), scappa nell'eroina (il cucchiaio di vetro). Il "Dio senza fiato" è, letteralmente, l'eroina, che causa depressione respiratoria, ipoventilazione (riduzione del fiato) e, in casi estremi, blocco respiratorio.

ciao

Massimiliano

BlackBlog francosenia ha detto...

Ciao Massimiliano.
Non so, ma credo che quello della rivolta ungherese (operaia, e non studentesca!) sia una forzatura. Almeno a mio avviso, nel senso che continuo a vedere la canzone come un "saggio di storia....italiana". Poi, ovviamente, tutto può essere. Ci mancherebbe!
Parimenti, nutro delle perplessità circa il riferimento alle analisi dell'alito e delle urine, fatte dalle brigate rosse. Che poi non erano così staliniste. Nel senso che dentro c'era un po' di tutto.
E, "last but not least", ritengo improbabile che la canzone, pubblicata nel 1978, quando ancora pentitismo ed eroina non erano diventati quei fenomeni che sarebbero diventati di lì a pochi anni, potesse riferirsi a tali fenomeni. Poi potrebbe anche darsi che de andré fosse un chiaroveggente... :-)

salu