giovedì 26 aprile 2018

Filosofia come farsa

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La fine della Teoria
- Verso una società senza riflessione -
di Robert Kurz

Non è per niente spontaneo il fatto che una società rifletta "sopra" sé stessa. Questo si rende possibile solo quando una società riesce a confrontarsi criticamente con altre società, sia nella storia che nel presente, ma riesce a farlo soprattutto in situazioni nelle quali una società viene messa in discussione dall'interno, in quanto reca in sé un antagonismo che punta oltre sé stessa, nella sua struttura e nella sua evoluzione.
Di certo, questo non vale per tutte le società premoderne. Tali società non erano ancora società planetarie, non possedevano una coscienza storica e non disponevano della storia come se si trattasse di una serie di processi di processi evolutivi e di una serie di formazioni economiche-sociali. E neppure si trovavano in conflitto con sé stesse, con la loro stessa propria forma. Poteva avvenire che una dinastia succedesse ad un'altra, ma la forma sociale in quanto tale non avrebbe potuto essere messa in discussione; per poter fare questo mancavano i criteri. Tali società erano in grado di riprodursi per periodi incredibilmente lunghi (nel caso dell'antico Egitto, per periodi lunghi diversi millenni) senza che arrivassero a collassare dall'interno; il loro declino, quindi, era condizionato innanzitutto da quelle che erano delle cause esterne.
Sotto simili presupposti, la società appariva sempre come "società in generale", e non come forma specifica che avrebbe anche potuto essere del tutto diversa. Ed anche quando ebbe inizio, relativamente tardi, nell'Antichità, la riflessione a proposito delle diverse "forme di governo" (monarchia, oligarchia, democrazia, tirannia), questa distinzione rimase indifferente agli organismi economico-sociali della società; quindi, non si presentò come se fosse, per esempio, una storia evolutiva lineare della società stessa, ma come un eterno ciclo di forme di dominio meramente estrinseche, che emergevano sempre l'una dall'altra. La stessa cosa vale anche per l'idea di "Stato ideale" (Platone), il quale rappresentava solo un'immagine idealizzata della società già esistente, pensata come assoluta.

Tuttavia, queste culture agrarie premoderne non si esauriscono ciecamente in quello che è il loro "funzionamento"; hanno dato vita ad una riflessione che superava il loro essere immediato. Ma questa riflessione non era una "critica della società", ma era piuttosto una "riflessione immediata su Dio" o sull'Universo, sulla posizione dell'uomo nel cosmo, sull'enigma della morte. Era perciò necessariamente una riflessione che si esprimeva in forma religiosa e secondo contenuti religiosi. Un tale genere di pensiero "sopra" sé stesso, seppure come pensiero dell'uomo e della sua società e non in relazione a sé stesso, ma in relazione a Dio e al cosmo, rimaneva vincolato alla struttura socio-economica presupposta senza critica. E questo perché, nonostante la sua indiscutibilità, questa struttura non era "muta" nella sua cieca positività, ma pienamente legittimata dalla riflessione; sebbene non lo fosse come un oggetto proprio, ma come una componente secondaria dell'ordine divino dell'universo.
Riflessione religiosa, studio della natura e relazioni economico-sociali costituivano, quindi, un'unità indissolubile, rappresentata e riprodotta in forme rituali sia di pensiero che di attività e relazioni sociali. Perciò, nei tempi remoti, l'intelligenza funzionale e l'intelligenza riflessiva (ovvero, in termini socilogici, le élite funzionali e le élite riflessive) erano immediatamente identiche (re-dei, monarchi-sacerdoti). Solo in un periodo relativamente tardi, la funzione e la riflessione si trovarono ad essere separate in due sfere distinte. Si insinuò con questo il germe di un conflitto che all'inizio, tuttavia, si manifestò solo sporadicamente (per esempio, nella "querelle delle investiture" fra imperatore e papa, nel Medioevo), senza mai degenerare in una disputa a proposito delle competenze superiormente determinate all'interno di un ordine universalente condiviso.

Nella misura in cui il pensiero riflessivo, in queste società, si liberava dai severi rituali religiosi (come avveniva con la filosofia antica e medievale), esso si rivolgeva direttamente alla natura - all'origine, del resto, la scienza naturale era parte integrante della filosofia - oppure all'essere umano inteso come un essere "seminaturale". Dal momento che la forma e l'ordine sociale non avrebbero potuto, come tali, essere in discussione, la riflessione "sopra" l'uomo sociale era limitata fondamentalmente a due temi. In primo luogo, l'etica, la dottrina delle "virtù" e della condotta moralmente corretta, la quale forniva all'uomo un modello per il suo comportamento, senza discutere criticamente le "fondamenta ultime" della società. Per questa metafisica, il nesso tra le sue nozioni normative e le forme economico-sociali rimaneva nell'oscurità; si rivolgeva sempre all'uomo isolato, ovviamente non ancora all'individuo semplicemente astratto, ma all'uomo nella sua determinazione socialmente "pietrificata" - in fondo si trattava di un incontro esclusivo fra "uomini con potere di comando": il destinatario ( e pertanto "l'uomo") era in generale il pater familias proprietario delle terre.
In secondo luogo, la riflessione filosofica riguardo i medesimi destinatari sviluppò, accanto all'etica, una dottrina della "buona vita", della "felicità" dell'uomo all'interno di un ordine presupposto senza discussione. Questa filosofia della "arte di vivere" si occupava, ad esempio, delle diverse forme di piacere, con la relazione fra piacere e astinenza (Diogene!) ecc.; e, in ultima analisi,la questione di che cosa costituisce una "vita realizzata". Questo aspetto della filosofia antica mirava ad una estetizzazione dell'esistenza, il cui nesso con le relazioni economiche-sociali continuava ad essere altrettanto oscuro di quanto lo fosse con l'etica metafisica. Rendere sé stesso, la propria vita, un'opera d'arte, senza vedere l'insieme della società e, allo stesso tempo, seguire per quanto possibile una dottrina normativa della condotta, in questo si esauriva il carattere sociale di tale pensiero.

Solo nella modernità ebbe inizio la lotta per la forma sociale propriamente detta, ed era emersa per la prima volta una "critica sociale", una coscienza delle formazioni economico-sociali, della crisi e della trasformazione della società. Ma questa nuova specie di riflessione non fece sì che la società arrivasse ad avere una coscienza critica di sé stessa. Al contrario, si tratta solo di dare un contorno intellettuale ad una dinamica cieca, liberatasi grazie alle ingiunzioni della moderna rivoluzione economica. In questa inversione, la forma astratta del denaro, fino ad allora un fenomeno marginale e limitato ad alcune nicchie della società, veniva riaccoppiata a sé stessa in un processo cibernetico: la vita sociale veniva sottomessa al movimento della valorizzazione del denaro, movimento che divenne un fine astratto in sé. Nella misura in cui dava solamente espressione a questo processo cieco, il nuovo pensiero riflessivo, così come il pensiero precedente, rimaneva prigioniero della metafisica; metafisica che veniva ora secolarizzata e liberata dalla religione: anziché una metafisica celeste di un cosmo divino, la metafisica terrestre del denaro senza alcun freno.
Ma la metafisica, seguendo l'esempio del suo fondamento sociale, non è stata solo secolarizzata, ma è stata anche resa dinamica. I concetti di rivoluzione, di processo, di movimento, ecc.. ci indicano qual è la differenza decisiva di questa nuova società moderna rispetto a quella precedente: non solo si è staccata dal vecchio ordine, e così come non poteva continuare ad essere sé stessa, non poteva neanche riposare su sé stessa, come facevano le antiche civiltà agrarie e religiose. Fin dalla culla, si trova ad essere in contraddizione con sé stessa, poiché il processo di valorizzazione del denaro è insaziabile e si riproduce in forme sempre nuove, a stadi evolutivi sempre più elevati. La macchina cibernetica del denaro, diventato "principio motore", trasforma la società in un proiettile che si muove in un tempo lineare. Conformemente a questo, il nuovo pensiero della "critica sociale" inventa la storia lineare ed il progresso, lo sguardo rivolto al futuro e la critica di ciascuna situazione, la quale viene vista come un mero stadio di passaggio verso una nuova situazione successiva che viene presunta come "superiore". Solo in un simile contesto si possono contrapporre - in maniera sistematica e strutturale - intelligenza funzionale ed intelligenza riflessiva, dal momento che la riflessione secolarizzata assume il ruolo di critica progressista nei confronti del "funzionamento" che si riferisce al rispettivo stadio di sviluppo.

Ma questa critica è rimasta sempre legata alla moderna metafisica del denaro; non è stata altro che l'espressione intellettuale della contraddizione interna alla società moderna con sé stessa. Quelle che venivano criticate non erano le forme di base della società in quanto tali, ma solo la sua relativa insufficienza ed il suo "sottosviluppo". Da un lato, la critica sociale continuerà ancora ad occuparsi per molto tempo della crescente dissoluzione dei legami che tenevano insieme l'antico ordine agrario e religioso; dall'altro, rifletteva sul processo dinamico del nuovo ordine propriamente detto e che proclamava, in tal senso, essere l'obiettivo dello "sviluppo". Ciò vale anche per il marxismo. Marx - è vero - è stato l'unico teorico moderno ad aver sviluppato i rudimenti di una critica radicale della modernità, vale a dire, una riflessione "sulla" metafisica del denaro. Ma tale pensiero non è stato in grado di stare in piedi da sé solo. Nella misura in cui avanzava lo sviluppo dinamico del sistema sociale moderno, aveva occhi solo per «quello che veniva dopo». Ad essere oggetto della disputa storica, era la fase successiva dello "sviluppo", e non il principio metafisico, il quale era l'essenza o la logica di questo "sviluppo".
A quanto pare, la situazione è cambiata radicalmente alla fine del XX secolo, Da quel momento in poi, il concetto di sviluppo ha cominciato a perdere un bel po' del suo fascino; ora è la stessa teoria critica della società ad esser vista come obsoleta, non solo quella marxista, ma la teoria in generale. Comunque sia, la postmodernità ha coinvolto tutto ciò che nella storia della modernità, fino ad oggi, veniva considerato come teoria, col sospetto che in quelle che erano le cosiddette "grandi narrazioni", o "grandi teorie", ci fosse un "proposito totalitario". Non si vuole più considerare la società nel suo insieme, e perciò si ripudiano o "grandi concetti", scambiandoli con il conforto della "indeterminatezza" teorica. La teoria critica viene sostituita da un gioco intellettuale senza alcun legame.

Da dove arriva questa sorprendente svolta, questo "disarmo della teoria"? Viene il sospetto che la riflessione teorica si sia zittita perché si è estinta la dinamica sociale soggiacente. Su scala planetaria, non esiste più alcuna società tradizionale della quale ci si possa disfare. E a quanto pare, sembra anche che all'interno della modernità non ci sia più "luogo" per un nuovo stadio di sviluppo sociale, poiché il processo di valorizzazione economica abbia iniziato ad esaurirsi. Il processo prosegue, ma solo come processo negativo, come processo di crisi che non può più essere riempito di speranza positive.
Lo sviluppo diviene incompatibile con la moderna metafisica del denaro. Ma il moderno pensiero metafisico si ritrae impaurito da questo livello di riflessione, perché per farlo dovrebbe superare i propri limiti. Ed è proprio nel momento in cui il totalitarismo del denaro domina come mai prima, che la teoria sociale stessa viene denunciata come totalitaria riguardo ai suoi propositi. Ha fatto il suo dovere, la teoria sociale, ma ora, proprio nel bel mezzo della crisi, deve lasciare in pace il contesto sociale. L'attuale contraddizione sociale, che in questa fase non è più evitabile, dev'essere semplicemente bandita dal pensiero. Il cupo esito dello sviluppo moderno viene festeggiato in maniera assurda come transizione ad un «pragmatismo libero dalle illusioni». Quello che finisce, insieme alla critica sociale, è il pensiero riflessivo in generale.

Scompare l'intelligenza riflessiva. Ma l'intelligenza funzionale non ha trionfato, è rimasta solo orfana. Sebbene essa sia stata esposta alla critica della riflessione teorica, è riuscita a trarre da questa nuovi orientamenti e legittimazione, e così la morte del suo antipodo strutturale si traduce nella sua crisi. Le élite funzionali girano a vuoto, il loro funzionamento non è più in grado di contenere la crisi della realtà e diventano grottesche. Ma tutto questo non salta agli occhi, in quanto anche la coscienza quotidiana si trova in una stadio totalmente irriflessivo. La famigerata capacità dell'individuo moderno di riflettere su sé stesso, di «uscire dalla propria pelle» e guardare come se si trovasse al di fuori rispetto alle sue stesse azioni, si dilegua. Una simile capacità sparisce perché è legata allo sviluppo positivo della società moderna. Proprio quand'è arrivata alla sua fine, questa società finisce per essere in maniera inquietante identica a sé stessa. Le generazioni postmoderne ormai non comprendono neppure il concetto di riflessione, che nel giro di pochi anni diventato per loro altrettanto alieno del culto dei morti dell'antico Egitto. Queste generazioni sono immediatamente identiche al loro agire banale, per quanto impossibile possa essere tale agire.

La crisi della realtà viene rimossa dalla postmodernità, dal momento che essa tenta di sostituire la critica sociale per mezzo di un riciclaggio simulato della coscienza premoderna: la filosofia disarmata vorrebbe tornare candidamente ai paradigmi dell'«etica» e dell'«arte di vivere». Ma dimentica che i presupposti sociali di questo pensiero hanno cessato di esistere. L'acritico pensiero premoderno era possibile solamente a condizione che la società riposasse in maniera statica su sé stessa, e che il pensiero riflessivo facesse riferimento, non al vuoto, bensì ad un ordine divino. Ad un condizione simile non si ritorna! Nel suo stadio terminale, il sistema moderno diventa perciò la prima società della storia ad essere totalmente senza riflessione. Insieme alla capacità di auto-riflessione, perde anche una condizione fondamentale dell'esistenza umana. Una società che si limita a funzionare non è più umana, e finisce per non essere più in grado di funzionare. In un movimento frivolo, che ha perso ogni senso ed ogni obiettivo trascendente, il pensiero normativo dell'«etica» rimane senza fiato ed inefficace, poiché non è più ancorato a niente. E la filosofia della «vita realizzata», dell'individuo visto come «opera d'arte» di sé stesso, diventa una triste farsa, dal momento che ignora la crisi della metafisica moderna. Proclama sé stessa come pensiero "post-metafisico", per quanto la vera metafisica sociale della modernità rimanga chiusa. L'auto-estetismo postmoderno si svolge all'interno di una casa in fiamme.

- Robert Kurz - Pubblicato su Folha de São Paulo del 09.07.2000 -

fonte: EXIT!

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