giovedì 22 dicembre 2016

Il regime delle frontiere

migranti

Lavoratori di tutto il mondo, combattete fra di voi!
- Note sulla crisi dei rifugiati -
di Amiche e Amici della Società senza Classi

1.
Lo scorso autunno sembrava di essere di fronte ad una svolta politica. Un movimento di massa di migranti mostrava i limiti della fortezza Europa. Si trattava, ad ogni modo, di un movimento solamente nel senso letterale della parola e non era di certo il risveglio di una "moltitudine" che scuoteva le fondamenta dell'ordine dominante. I migranti non avevano altre richieste se non il diritto a rimanere in Europa, un diritto che avevano già temporaneamente affermato. In Germania, nella misura in cui lo Stato aveva fallito nel mobilitare risorse adeguate, la logistica coinvolta con l'arrivo dei rifugiati è stata lasciata per lo più ai volontari. Nel frattempo, la sinistra radicale ha cominciato a celebrare il collasso del regime della frontiera europea come se fosse un atto di "auto-potenziamento" o come "autonomia della migrazione".
Altri dietro la politica di Angela Merkel, di tenere temporaneamente aperti i confini, hanno visto in questo un sinistro progetto capitalista. Secondo quest'interpretazione, la politica ha cercato di usare i docili migranti a basso prezzo per ristrutturare il mercato europeo del lavoro. Alcuni, a sinistra, hanno visto tutto questo come una minaccia e si sono uniti all'appello di erigere un muro intorno all'Europa. Nel far questo, sono stati ulteriormente incoraggiati dall'assalto sessuale di massa avvenuto lo scorso capodanno a Colonia, dove centinaia di donne sono state palpeggiate, derubate e, in pochi casi, violentate da un folto gruppo di uomini "apparentemente arabi o nordafricani".
Alla luce dell'accordo fatto dall'Unione Europea con la Turchia e dell'attuale pianificazione di campi di internamento in Libia, entrambe le interpretazioni appaiono dubbie. Dopo essere stati colti di sorpresa, i poteri hanno riguadagnato il controllo della situazione e la loro necessità di manodopera a basso costo appare piuttosto limitata. Al contrario, gli eventi dello scorso anno hanno avuto come riflesso uno stragrande surplus di forza lavoro, sia nei paesi di origine che in Europa. Questo surplus ha intensificato all'interno della classe operaia la concorrenza, lo sciovinismo "nativista", la divisione e la paura della povertà. Se vogliamo capire una tale situazione, non possiamo limitarci a denunciare il razzismo.

2.
Qualcuno sostiene che le crepe che si sono aperte nel sistema del confine europeo non sarebbero state possibili se non fosse stato per l'instabilità risultante dalla cosiddetta "primavera araba". Helmut Dieterich, ad esempio, ha concluso che la conseguente migrazione di massa sia parte di quella rivolta. «I movimenti dei rifugiati e dei migranti hanno aperto nuove prospettive che nessuno in Europa avrebbe nemmeno osato sognare» [*1]. Infatti, il rovesciamento avvenuto nel 2011 dei despoti che si erano alleati con le agenzie europee di confine al fine di sigillare le rotte migratorie - con la tortura, con la schiavizzazione di fatto dei migranti che venivano bloccati e con il regolare bombardamento delle imbarcazioni dei profughi - ha creato un vuoto che ha permesso ai trafficanti di organizzare, con poche interferenze, il passaggio di decine di migliaia di emigranti. Ma questo ha aperto "nuove prospettive"?
Dieterich non è il solo ad avere questo punto di vista. Per anni, gli accademici critici e la sinistra hanno promosso il concetto di una "autonomia della migrazione". A prima vista, questo concetto si limita meramente ad evidenziare il fatto che a volte i migranti nel loro movimento sono in grado di superate le restrizioni statali. Come è avvenuto in questo caso. L'immigrazione illegale di massa sfida lo status quo, che viene in parte mantenuto dal regime di confini esistente. Seguendo la prospettiva operaista che assume la lotta come il motore della storia, i sostenitori di questa tesi pongono l'accenti sui migranti in quanto agenti autonomi che, nel muoversi verso un altro paese e nel lottare per una vita migliore, formano un collettivo.
Tale interpretazione sembra che in qualche modo stoni per quanto riguarda i rifugiati che scappano dalla sofferenza della guerra in Siria e in Iraq. Per loro, la "primavera arava" non ha aperto "nuove prospettive". Le persone che fuggono la guerra imbarcandosi su un gommone sulla costa turca, non diventano agenti di sovversione. Per quanto sia certamente drammatico, il loro viaggio attraverso i confini balcanici non è un assalto auto-determinato alla fortezza Europa, bensì un atto di pura disperazione. In quei paesi dove la decisione delle persone di andar via non è motivata dal terrore e dalla guerra civile, la ragione primaria è la necessità di trovare un mercato per la propria forza lavoro. L'esodo di massa non è il risultato della vittoria della primavera araba, ma della sua sconfitta.
A prescindere dalle differenze fra i singoli parsi, un sempre più crescente surplus di popolazione che lotta per "pane e libertà" ha avuto un ruolo significativo come parte dello scenario da cui sono emerse le rivolte del 2010 che si sono diffuse a macchia d'olio dalla Tunisia al Medio Oriente. Ma i governi rovesciati da queste rivolte sono stati ben presto rimpiazzati da nuovi governi altrettanto brutali, come in Egitto, oppure i rivoltosi si sono trasformati in bande di guerra civile, come in Siria ed in Libia. Per ora, la primavera araba ha portato ad un imbarbarimento sotto forma di guerra, ad arresti in massa degli attivisti, a tortura, e a regimi islamisti di terrore - ed è poco probabile che ci siano quei miglioramenti economici che desideravano i movimenti. Sebbene la maggior parte sfugga alla guerra in Siria ed in Iraq piuttosto che alla disoccupazione, la guerra stessa è legata al surplus di forza lavoro: la richiesta di sussistenza o di lavoro salariato indisponibile crea al potere dei problemi che diventano un'opportunità per i jihadisti [*2]. Romanticizzare il fatto che le persone fuggano da situazioni infernali contribuisce assai poco in termini di chiarificazione [*3].
L'altra faccia della medaglia è un semplicistico anti-imperialismo riempito di teorie cospirative. I movimenti dei migranti vengono interpretati come attacchi contro "l'asse anti-imperialista" e contro i lavoratori tedeschi. Secondo  Arnold Schölzer, capo editore del giornale Junge Welt, per esempio, l'imperialismo ha causato fin dal suo inizio delle ondate di migrazione, globalizzando così la guerra e la crisi. La "supermigrazione" genera "superprofitti", sostiene Schölzer, in quanto i rifugiati sono potenziali crumiri. Pertanto, il loro "import and export [...] dev'essere impedito"  (Junge Welt, 6 April 2016). Simili NazionalBolscevichi non sono un eccezione fra i nazionalisti di sinistra tedeschi. Per loro, i migranti non sono altro che pedine del capitale nella sua guerra contro la classe operaia nativa. Lo stesso giornale ha permesso a Werner Rügerner di esprimere le sue idee paranoiche, affermando che la migrazione dalla Siria fa parte della "politica del lavoro sponsorizzata dalla NATO" progettata per indebolire Assad e per peggiorare le condizioni lavorative in patria (Junge Welt, 22 September 2015).
Sebbene sia generalmente vero che i confini permeabili servono a spaventare più i lavoratori che il capitale, non c'è niente che suggerisca che dietro le porte aperte della Merkel, in questo caso particolare, ci sia la necessità di manodopera a basso costo. Solo pochi anni fa, il governo tedesco aveva posto bruscamente il vero rispetto al suggerimento, fatto da un'Italia afflitta dalla disoccupazione di massa, di reinsediare in tutta Europa i rifugiati che arrivavano sulle sue coste. Inoltre, sembra che nel prossimo futuro coloro che sono arrivati nel 2015 siano destinati a passare più tempo presso gli uffici di assistenza sociale che nelle fabbriche.
I rappresentanti del capitale sono di fronte ad una difficile scelta: la piena occupazione potrebbe incoraggiare i lavoratori a comportarsi male, ma bruciare una porzione di plusvalore per nutrire le masse non è affatto un'opzione attraente. Nonostante tutte le chiacchiere sulla carenza di manodopera in Germania, sono stati ben pochi i rifugiati appena arrivati in grado di trovare lavoro [*4] Dal momento che i tre quarti dei leader economici tedeschi a quanto pare non vedono nessuna possibilità che tutto questo possa cambiare, neanche a lungo termine, e sono sollevati dal fatto che il flusso di emigranti sia diminuito, sproloquiare di "politica del lavoro sponsorizzata dalla NATO" sembra abbastanza ridicolo [*5]. La situazione attuale è completamente diversa da quella dell'epoca post-bellica, quando le economie dell'Europa occidentale assorbivano milioni di lavoratori provenienti dalle loro ex colonie e ricercavano in maniera attiva "lavoratori ospiti".

3.
Se i rifugiati non sono portatori di forza lavoro che soddisfi le necessità degli amministratori dell'eurozona, questo lascia aperta la questione di cosa abbia spinto il governo tedesco a sospendere l'accordo di Dublino del 2003 - accordo secondo cui il paese dell'Unione Europea in cui entra un richiedente asili è responsabile del destino di quella persona - e ad aprire le frontiere nell'estate del 2015. Sembrerebbe un tentativo di stabilizzare una situazione sempre più caotica: con la crescita del numero di migranti che rimangono bloccati all'interno dei confini europei, i paesi dell'Europa dell'Est minacciano apertamente di rompere con la politica tedesca, e la Grecia non è più disposta, né è in grado, di far rispettare il regime dei confini europei.
Il caos è stato soprattutto il risultato della sopravvalutazione da parte della classe dirigente della propria abilità a guidare i flussi della nuova immigrazione e dalla sottovalutazione della determinazione dei migranti - in tal senso la tesi di una "autonomia della migrazione" è corretta. Proprio come aveva già fatto il governi italiano, il governo di Syriza in Grecia, nell'estate del 2015,  ha semplicemente smesso di registrare sistematicamente i rifugiati ed ha loro permesso di procedere verso la Macedonia. C'è dell'ironia nel fatto che, fra tutti i paesi, la Grecia, così facendo, abbia riaffermato la sua sovranità nazionale, che era stata messa in discussione dai programmi di austerità draconiana imposti ad essa dalla Germania [*6].
In patria, la Merkel ha lavorato per legittimare le sue politiche coprendo le zone di cui il governo aveva perso il controllo, e dando un'interpretazione positiva dell'assorbimento di un inatteso grande numero di migranti. Ma mentre la Germania veniva lodata internazionalmente per la sua "cultura del benvenuto", i rappresentanti del governo erano già al lavoro per risigillare i confini dell'Europa. Tutto questo ha raggiunto il suo culmine nell'accordo con la Turchia, che in pratica ha abolito il diritto individuale di asilo ed ha creato una situazione in cui alcuni rifugiati rischiano la propria vita affinché altri vengano accettati in Europa [*7]. Tale combinazione di pragmatismo, di umanesimo retorico e di durezza reale è riuscito a ridurre il numero di rifugiati che arrivano in Germania.
Dopo l'accordo con la Turchia, la Merkel, avendo ristabilito la normalità capitalista, assicurato l'egemonia tedesca e rallentato il trend di ri-nazionalizzazione dell'Europa, sembrava aver vinto il primo round. Soprattutto per l'export tedesco, mantenere gli Accordi di Schengen - che garantiscono frontiere aperte all'interno dell'Europa - è un fattore critico. Secondo la sintesi positiva di questa politica pragmatica fatta dal professor Herfried Münkler, «un'equa distribuzione all'interno dell'Europa, renderebbe più sicuri i suoi confini esterni, stabilizzando la periferia - tutto questo ha poco a che fare con l'idealismo o il sentimentalismo» [*8]. La debolezza della politica, ad ogni modo, consisteva nella sua incapacità a soddisfare i sentimenti "nativisti" ed il bisogno di un'identità nazionale all'interno del campo conservatore. Quel campo non è riuscito finora a riconoscere la sottile durezza della Merkel, e trarre la conclusione che il suo governo ha fallito.

4.
All'inizio del 2012 i rifugiati hanno dato il via ad una nuova ondata di proteste contro le restrizioni di soggiorno e contro i campi di confinamento, le condizioni di vita, il principio dei benefit al posto dei solfi, le deportazioni ed contro il regime di confine in generale. Influenzati dal movimento Occupy, i rifugiati auto.organizzati hanno deciso di occupare le piazze ed hanno creato campi di protesta in diverse città tedesche. Nell'autunno del 2012, i rifugiati hanno deciso di marciare, dalla città bavarese di Würzburg, su Berlino, arrivando ad occupare Oranienplatz a Kreuzberg. Questo campo di protesta avrebbe dovuto essere il punto di partenza per varie azioni nei successivi 18 mesi. Successivamente è stata occupata una scuola, la Gerhard-Hauptmann-Schule. Insieme alle diffuse proteste di Amburgo - in cui un'insolita coalizione di tifosi calcistici, partiti di sinistra e sinistra radicale ha guidato 15 mila persone per le strade - questo ha dato l'impressione che fosse incominciato un nuovo ciclo di lotte.
Ma queste speranze si sono dimostrate false. Senza accesso al mercato del lavoro o senza una solidarietà persistente da parte del pubblico in generale, ai rifugiati in ultima analisi è mancata la leva per affermare i loro interessi - una debolezza che esemplifica il problema del surplus del proletariato. Questo li ha spinti a ricorrere a mezzi estremi quali lo sciopero della fame, avendo lo Stato come unico destinatario delle loro richieste. Ma questi è riuscito a dividere ed a pacificare le proteste, facendo partecipare molti occupanti allo smantellamento del campo di protesta di Oranienplatz nell'aprile del 2014, dopo che il governo locale aveva fatto loro qualche vaga promessa.
In seguito all'afflusso massiccio di rifugiati nel 2015, le condizioni di lotta non sono migliorate, ma in realtà sono peggiorate. Domicilio nei campi, benefit e la restrizione della residenza, che in pratica era stata abolita come risultato delle recenti lotte, ora fanno nuovamente parte della vita quotidiana di centinaia di migliaia di persone. Ci sono state contestazioni qua e là, ma nessun movimento su larga scala.
Il supporto fornito ai rifugiati negli scorsi anni da considerevoli parti della popolazione tedesca è stato sorprendente per i tanti che avevano vissuto gli orrori degli anni 1990. In quel decennio, un'ondata di attacchi razzisti, rivolte, e progrom - alcuni mortali -avevano spazzato la Germania. Questo supporto ha avuto ogni genere di motivazione, dalla carità cristiana all'opposizione allo Stato. Condannati a svolgere i compiti più stupidi in cambio di un salario, molti possono aver ritenuto di voler fare qualcosa di utile tanto per cambiare. Migliaia di volontari hanno raccolto donazioni, distribuito cibo, hanno organizzato attività nei campi dei rifugiati, hanno aiutato i rifugiati ad attraversare il confine interagendo con le burocrazie statali o invitandoli a vivere nelle loro case. Questo è stato un piacevole contrappunto alle sedizioni demagogiche razziste, agli attacchi e alle mobilitazioni contro l'accoglienza ai rifugiati. Questa "cultura del benvenuto" è stata, per lo più, umanitaria, sebbene, in particolare nelle città più grandi, ci sono stati - ed in pochi casi ci sono ancora - dei tentativi di organizzarsi contro lo Stato.
Se si parla dei volontari che partecipano alle iniziative di supporto, la loro rabbia per le azioni del governo è inequivocabile. La maggior parte di loro vi dirà che lo Stato ignora la condizione dei rifugiati, e non è disposto a fornire nemmeno la più rudimentale infrastruttura. La "cultura del benvenuto" arriva quando lo Stato si rifiuta di aiutare, rischiando di diventare poco più di un lavoro sociale individualizzato. Questo è una sorta di problema familiare, e difficilmente si possono biasimare i partecipanti. Però solleva la questione della misura in cui sia ancora possibile lavorare in simili condizioni nella direzione collettiva di un auto-potenziamento.
Tenendo in mente tutto questo, non ci è chiaro come il movimento possa ritrovare slancio, specialmente alla luce del fatto che la maggior parte dei rifugiati ha comprensibilmente poco senso del conflitto con lo Stato. Molto sono solo contenti di essere arrivati in Germania prima che venissero chiuse le frontiere. Che gli emarginati che vivono nella miseria più nera siano più propensi a ribellarsi è uno dei miti della Nuova Sinistra. I rifugiati non hanno alcun interesse in una rivolta; per molti, attraversare il confine sarà il loro primo ed ultimo atto sovversivo. C'è da aspettarselo, dal momento che sperano ancora di essere ammessi nel sistema hanno più da guadagnare dal conformarsi. La lotta per arrivare nel paese di destinazione, attraverso confini e sfuggendo alle forze dell'ordine, è una lotta offensiva, ma dopo essere arrivati si tende a sostituirla con un modo di vita più quieto e più individualizzato, dal momento che si interrompe la marcia della collettività dei rifugiati. A quel punto, l'obiettivo diventa trovare riconoscimento in quanto rifugiato, partecipazione sociale, uno status legale, lavoro, e un alloggio dignitoso, piuttosto che fare pressione collettivamente sul regime del confine. A sinistra, le speranze di molti che le lotte lungo le rotte dell'EUropa sarebbero proseguite in Germania sono state deluse.

5.
La rivista Wildcat ha sottolineato, correttamente, che una lotta meramente culturale non è sufficiente, nonostante la necessità di un "taglio antifascista"; è necessario «sviluppare ulteriori idee su come mettere in relazione le nostre azioni con l'antagonismo sociale». Tuttavia, non ci è chiaro in che modo siano migliorate le probabilità che ciò avvenga come risultato del recente afflusso massiccio di migranti. Non vediamo come «possono rendere questioni come i salari, le condizioni di lavoro, la casa, ecc. questioni "pubbliche"» [*9] - nel migliore dei casi hanno causato una certa agitazione fra il proletariato nativo riguardo questi problemi. Il fatto che questo proletariato veda i suoi nuovi vicini soprattutto come concorrenti sul mercato del lavoro e su quello degli alloggi appare quasi come una cosa logica in tali condizioni. Lo slogan ampiamente diffuso di "Benvenuti Rifugiati" ha ignorato la questione di classe, che è tornata sotto forma nazionalista con i demagoghi come Pegida ed  Alternativ für Deutschland (AfD), i cui slogan sciovinisti li ritraggono come i sostenitori dell'uomo comune.
È questo il maggior talento di questi tedofori del buon senso: «Atteggiarsi in maniera spaccona... inscenare grandi spettacoli di rude vigore aggressivo, seppure istericamente sensibile ai problemi degli altri... predicare costantemente moralità e offenderla costantemente; il sentimento e la turpitudine coniugati insieme nella maniera più assurda» [*10] - per quanto tutto questo sia disgustoso e disprezzato da tutti, la destra populista è stata capace di incanalare il risentimento e la paura dei più bassi strati sociali, anche se attraverso la piattaforma neoliberista del AfD sarà difficile che riescano a migliorare le condizioni di vita dei suoi elettori proletari.
Completamente privi di autostima, temendo complotti dietro ogni angolo, e facendosi sempre bidonare: nello straniero che l'enigmatico corso della storia ha depositato sulle sue coste, il subalterno vede un riflesso sfuocato del suo proprio fallimento ad integrarsi nella società. Questo rende ancora più importante tracciare confini, difendersi anche contro la più tenue possibilità di identificarsi con lo straniero. Mentre le masse conformiste possono anche concordare superficialmente con gli slogan a proposito di nazione e di popolo, al suo interno queste masse sono frazionate in migliaia di egomaniaci scontenti, incapaci di maneggiare la complessità del mondo, esaltati dalla «autorità della rivelazione personale» (Hegel). Predicano sui forum di Internet, riempiendoli di frasi incoerenti ed incomprensibili, resistono ad ogni genere di comunicazione. Sotto questo strano travestimento, cambiano continuamente ruolo, dalla "voce solitaria nel deserto" fino  al "soldato delle masse popolari liberate". Se nell'era rivoluzionaria la religione è servita da oppio del popolo, nell'epoca della disperazione la teoria della cospirazione è il crack e la cocaina.

I militanti di sinistra che sono per una riabilitazione dei tossicodipendenti e per l'unità nella lotta antifascista contro l'AfD e tutto il resto diventano, intenzionalmente o involontariamente, nient'altro che insegnanti di educazione civica militante. La maggior parte dei media serrano i ranghi contro la Nuova Destra, contribuendo in tal modo a conferire alla sua immagine pseudo-ribelle una qualche sorta di credibilità; in una simile coalizione che include chiunque, dai giornali scandalistici di destra fino ai protestanti buonisti come  Margot Käßmann, non c'è posto per i rivoluzionari. Gli appelli antifascisti a fermare i "malviventi" - come il vice Cancelliere Sigmar Gabriel ha definito i razzisti che protestano contro di lui - possono sembrare duri, ma non danno alcuna risposta alla domanda decisiva su come possa essere superata la divisione nazionalista in seno al proletariato - divisione che, fra l'altro, ci può essere a prescindere dal razzismo, come dimostra la posizione anti-immigrazione di un certo numero di lavoratori turchi ed arabi.

L'antagonismo sistemico fra proletari in surplus e proletari potenzialmente in surplus determina il clima politico generale in tutto il mondo sviluppato: negli Stati Uniti, "spazzatura bianca" e operai a favore di Trump e contro i messicani, nel nord della Francia, lavoratori contro  "banlieusards", minatori post-comunisti dalla Siberia contro immigranti dal Caucaso, in Austria, il Partito della Libertà come partito della classe operaia austriaca - dovunque quelli che hanno ancora un lavoro hanno paura che quelli che lottano solo per sopravvivere rubino loro il posto di lavoro. I rivoluzionari sociali sono impotenti e sconcertati in questi tempi in cui la marcia della produttività crea sempre più surplus di proletari, in cui le maestranze rivolgono la loro rabbia più contro i concorrenti all'interno della loro classe che contro il nemico comune, e sperano più di ogni altra cosa di trovare un acquirente per la loro forza lavoro.

Che significato può mai avere, alla luce di questa divisione, «evidenziare e portare in primo piano gli interessi comuni a tutto il proletariato, indipendentemente dalla nazionalità»? [*11] La critica comunista ha sempre affermato di essere molto più che la mera proclamazione di un desiderio. Ha tentato di affrontare gli «interessi del movimento nel suo insieme» e le potenzialità esistenti per una società libera a partire da «obiettivi immediati» e «interessi momentanei della classe operaia». Le speranze che i rifugiati diventino l'avanguardia di nuove lotte di classe sono altrettanto infondate quanto è inutile la ricerca di un immediato interesse di classe comune. I proletari che si aggrappano al loro passaporto tedesco e fanno soffrire gli altri non si possono semplicemente convincere ad identificarsi con il loro interesse di classe. Si può solo contare sul fatto che il loro desiderio di pattuglie di frontiere che tengano fuori la miseria di un mondo che sta andando in pezzi non verrà soddisfatta a lungo termine. I comunisti hanno sostenuto per molto tempo che la paura di diventare superflui non è che l'altra faccia della possibilità di un mondo senza lavoro, che la sempre più crescente mancanza di posti di lavoro mostra le opportunità che una volta venivano considerate utopiche. Oggi questi concetti sono ancora del tutto astratti. Tuttavia, ciò non impedisce che l'afflusso continuo proveniente da parti completamente devastate del mercato mondiale richiami l'attenzione sulla necessità di una sollevazione concreta che renda possibili tali opportunità.

- Freundinnen und Freunden der klassenlosen Gesellschaft -
( Le amiche e gli amici della società senza classi )
Pubblicato nel mese di ottobre e novembre 2016 sulla rivista della sinistra tedesca Konkret -

Note:

[*1] - Dieterich, Analyse & Kritik, 12/15

[*2] - Come abbiamo scritto nel 2012: «la Siria è stata colpita dalla medesima crisi sociale che ha colpito il Nord Africa. Quasi metà della popolazione è al di sotto dei 15 anni di età; ogni anno, da 250 a 300 mila persone entrano nel mercato del lavoro, ma il settore pubblico, tradizionalmente importante, ha congelato le assunzioni per anni. Un paio di anni fa, un gruppo di esperti tedeschi aveva evidenziato come il problema "più pericoloso politicamente" in Siria era la "crescita della cintura di povertà intorno alle maggiori città siriane [...] Nelle campagne, dove le famiglie siriane non erano più in grado di provvedere al loro sostentamento». ( Postscript to “The Arab Spring in the Autumn of capital.”)

[*3] - Un simile tipo di romanticizzazione è stato prevalente nelle reazioni della sinistra riguardo alle aggressioni avvenute a Colonia per Capodanno. Temendo una reazione politica contro tutti i rifugiati, la sinistra si è limitata semplicemente a recitare il mantra per cui molti tedeschi sono anche sessisti; che tutti i sessisti, a prescindere dalla loro origine nazionale, sono stronzi; ed hanno diffuso la falsa affermazione secondo cui le aggressioni sessuali sono altrettanto diffusi nell'Oktoberfest di Monaco. Questo è servito ad oscurare le differenze nelle relazuìioni di genere fra le società dell'Europa dell'Ovest, del Medio Oriente e del Nord Africa ed il fatto che le aggressioni a Colonia sono state in realtà qualcosa di straordinario.

[*4] - Le statistiche più recenti mostrano questo abbastanza chiaramente. Dall'aprile 2015, 30 mila richiedenti asilo hanno trovato lavoro in Germania, per lo più lavori malpagati e part-time. Dall'altra parte, sono 130 mila quelli che stanno ricevendo assistenza sociale. Se aggiungiamo che sono circa mezzo milione di persone di quelle che hanno richiesto asilo stanno ancora aspettando una risposta, pur essendo dipendenti dai soldi dello Stato, il bilancio è abbastanza inequivocabile. (C.f. “Zehntausende finden Arbeit in Deutschland” (spiegel.de)).

[*5] - Il Frankfurter Allgemeine Zeitung ha riassunto un sondaggio su 500 "decision makers" tedeschi della politica e degli affari nel modo seguente: «Più dei due terzi dei leader economici vedono poche o nessuna possibilità che i rifugiati vengano assorbiti nella società tedesca, mentre i tre quarti non credono che possano essere integrati nel mercato del lavoro tedesco. Dall'altro lato, una maggioranza (56%) dei leader politici credono che le prospettive di integrazione sociale sia buone o molto buone, ma dubitano delle loro possibilità per quel che concerne il mercato del lavoro».  C.f. “Eliten befürchten neue Flüchtlingswelle”, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 19 July 2016.

[*6] - Prima della Grande Estate della Migrazione, dal 2006 al 2015, oltre 1,8 milioni di rifugiati ha attraversato il confine con la Grecia, ma la maggior parte è rimasta lì. Solo con l'intensificarsi della crisi economica la Grecia è diventata sempre più un paese di transito. A proposito di questo si veda il testo del gruppo greco Antithesi, “Vogelfrei: Migration, deportations, capital and its state”, July 2016.

[*7] - Una parte dell'accordo fra UE e Turchia consiste nel fatto che quest'ultima riprenderebbe indietro ogni richiedente asilo rifiutato dall'Europa. In cambio, l'EU deve accettare un equivalente numero di rifugiati provenienti dai campi turchi. Ciò doveva servire a scoraggiare le persone a cercare di entrare in Grecia.

[*8] - Herfried Münkler, “Wie ahnungslos kluge Leute doch sein können,” Die Zeit, 20 February 2016.

[*9] - vedi Wildcat, “Migration, refugees and labour”, Wildcat no. 99, winter 2016.

[*10] - Marx, “Moralising Criticism and Critical Morality” in the Deutsche-Brüsseler-Zeitung No. 86, 1847.

[*11] - Manifesto del Partito Comunista

fonte: Endnotes

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