giovedì 24 settembre 2015

10 pezzi facili

denaro

Denaro. Dalla critica sociale alla critica categoriale
- di Boaventura Antunes -

Negli ultimi decenni, la contraddizione fra i miliardi che circolano nel settore finanziario e la miseria dei salari di chi ha ancora un lavoro non ha mai smesso di aggravarsi. La maggioranza dei sette miliardi di esseri umani del pianeta, rimane in un'economia del centesimo; i residenti dei quartieri di lamiera delle megalopoli di tutto il mondo intravvedono a malapena il colore dei soldi e, in seguito al collasso dell'economia locale, rimangono impigliati nella rete barbara della dipendenza personale postmoderna. Negli ultimi anni, le classi medie dei paesi centrali hanno sperimentato la valorizzazione fittizia degli attivi finanziari e degli  immobili, rispetto al lavoro (il cui rendimento continua a cadere), con le banche costrette a svolgere solo dei servizi minimi per non lasciar fuori quella parte della popolazione ancora solvibile.
L'abolizione volontaristica del denaro in una società di produzione di merci può dare luogo solamente ad una burocrazia totalitaria, quale è stato il regime di Pol Pot negli ultimi dieci anni dello scorso secolo. E l'emissione arbitraria di moneta dà luogo ad un'iperinflazione, come quella della repubblica di Weimar negli anni 1920, o nei vari paesi latinoamericani negli anni 1980, o più recentemente nello Zimbabwe, che ha finito per adottare il dollaro americano, dopo un'immensa catastrofe sociale provocata dalla svalorizzazione che ha portato alla scomparsa della moneta locale.
Secondo il Rapporto di Ginevra, pubblicato dal Centro Internazionale per gli studi monetati e bancari, nel settembre del 2014 il debito globale (escludendo il settore finanziario) nel 2001 è aumentato del 160% del PIL mondiale, del 200% nel 2009, e del 215% nel 2013. Dopo il 2008, il mondo non ha cominciato a sdebitarsi, ma il rapporto fra debiti e PIL continua ad aumentare, infrangendo ogni record.
A partire dagli anni ottanta del 20° secolo, si è andata approfondendo una critica sociale che cerca di andare oltre la critica politica e morale della gestione del denaro, per riflettere sui limiti e sulle incongruenze della cosa in sé. In sostanza, si constata che questa società basata sul lavoro e sul denaro è vittima del suo stesso successo, e lascia fuori sempre più essere umani, resi superflui dalla produzione di beni vendibili. In un tale contesto, gioca un ruolo particolare la "rivoluzione microelettronica", la quale, per la prima volta nella storia del capitalismo, sopprime più posti di lavoro di quanti sia possibile crearne a partire dall'espansione intensiva ed estensiva dei mercati.
Nei dieci punti che seguono, mi viene in aiuto soprattutto l'ultimo libro di Robert Kurz, Denaro senza Valore, del 2012, la cui introduzione conclude in maniera lapidaria che "il denaro è la manifestazione fondamentale dell'essenza; esso è categoria e, allo stesso tempo, fenomeno palpabile, crocevia della storia e oggetto visibile di abolizione. Per cui è in questo oggetto che la determinazione categoriale negativa può distruggere con maggiore chiarezza l'esaltazione positivista dei fatti e la grettezza fenomenologica."

1. Le società premoderne non avevano mercato, ma religione
A differenza della socializzazione, forte e negativa, della modernità, nella quale le relazioni fra persone sono generali ed astratte sulla base del denaro e della politica, le società premoderne avevano una costituzione sociale su base religiosa. Situate fra il mondo superiore divino e la natura, gli esseri umani cercavano di ottenere i favori celesti offrendo sacrifici agli dei ed obbedendo ai loro rappresentanti sulla terra. Era una socializzazione assai più debole, in cui le relazioni meno strette venivano personalizzate dentro una rete complessa e differenziata, esaltata gerarchicamente nella relazione sacrificale con il divino. Non esisteva l'obbligo moderno, generale ed astratto, ma degli obblighi personali e reciproci, suddivisi in maniera complessa. Non si produceva per il mercato, che non esisteva, ma ciascuna cosa e ciascun prodotto (così come ogni attività, che non era "lavoro") venivano consegnati a determinate persone o gruppi. Non c'era un'economia (questa parola, che esiste a partire dalla Grecia antica, designava qualcosa di diverso, il governo della casa).

2. Il denaro premoderno era sacrale, e non era un equivalente universale
Il denaro nasce, nel contesto dei templi, nel VII secolo prima dell'era cristiana. L'etimologia stessa ricorda ancora la sua origine religiosa. Se la parola denaro proviene dalla moneta più comune durante l'Impero Romano (Asses), l'Asse all'inizio recava l'effige degli dei Giano e Mercurio (successivamente, sostituita dall'effige dell'imperatore). Moeda, money, moneda, moneta, monnaie, e tutti i suoi derivati provengono da Giunone Moneta, la dea nel cui tempio, nei pressi del Campidoglio, si coniava il denaro/moneta e che deve il suo nome alla fama che le proveniva dall'avvertire i romani dei pericoli che minacciavano la città (monere, avvertire, avvisare). Anche le prime monete delle città greche antiche venivano coniate nei templi. A sua volta, il Geld (denaro) germanico ha la stessa radice del verbo gelten (assolvere ad un obbligo, pagare un debito, validare).
Studi storici empirici, svolti nel corso del 20° secolo (Le Goff, Laum, Polany...), indicano chiaramente il carattere sacrale del denaro antico, che compare, in società costituite religiosamente, come oggetto di sostituzione rispetto alla vittima sacrificata agli dei (all'inizio, umana, poi animale e/o primizie dei raccolti). Il denaro coniato passa quindi ad equivalere alla prestazione di tali sacrifici agli dei e si estende (limitatamente) alla sfera pubblica al fine di sanare conflitti fra gruppi. Non esisteva alcun concetto di equivalenza fra la moneta coniata ed il suo valore, dal momento che non esisteva alcun concetto di valore o di equivalente universale. Laum riferisce il fatto interessante per cui la relazione di "validità" tra una moneta d'argento e una moneta d'oro era la stessa relazione che intercorreva fra il tempo di rivoluzione della luna e quello del sole.

3. Lo "scoppio della modernità" avviene con la "economia politica delle armi da fuoco"
Gli studi di Geoffrey Parker, Werner Sombart e Karl Georg Zinn mostrano che l'inizio della modernità, nel XV secolo, ha luogo con l'invenzione delle armi da fuoco e con la conseguente corsa agli armamenti (nuove armi, nuove mura), che creano i primi salariati (soldati, al soldo) - come già notava Marx - e che, al fine di tale corsa, obbligano alla centralizzazione delle risorse tecniche e materiali. Il denaro sacrale premoderno, che era già entrato in diverse relazioni sociali (ma che non era in alcun modo un equivalente universale), qui viene a costituire una scoperta storica: i principi obbligano i sudditi a pagare in moneta i loro contributi al fine di ottenere risorse per la corsa agli armamenti, fenomeno che si potenzia con l'arrivo di oro e di argento dall'Africa e dalle Americhe.

4. Il denaro "ha circolato" solamente nel processo di costituzione iniziale, dopo passa ad essere accumulato, tautologicamente.
In realtà, solo in questa fase di costituzione della modernità, nella quale tutti i possessori di risorse erano obbligati a monetizzarle, ma in cui la produzione di beni non avveniva ancora in regime di lavoro salariato e di denaro, è solo in questa fase che c'è stata una vera "circolazione". Quando il sistema comincia a funzionare sulle sue proprie basi, dopo cha la maggioranza della popolazione è stata espropriata delle risorse ed è stata costretta al lavoro salariato, nel sistema così come lo conosciamo, il denaro non circola, si accumula solamente, come possiamo vedere: qualsiasi impresa cerca di ottenere guadagni per pagare l'investimento ed un'eccedenza per un investimento addizionale (in considerazione dell'essere sopraffatta dalla concorrenza). Qualsiasi merce prodotta percorre la strada a senso unico, più o meno lunga, che porta al consumo (o alla spazzatura). L'idea per cui i produttori scambiano fra di loro i propri prodotti non ha alcun fondamento reale, è pura ideologia.

5. Il denaro attuale è capitale, ed il capitale è "relazione sociale totale"
Contrariamente al denaro antico, il denaro attuale esiste in un contesto di produzione delle merci per il mercato e dev'essere investito in tale processo per valorizzarsi, mediante l'applicazione della forza lavoro alla produzione. Ha valore soltanto nella misura in cui rappresenta lavoro passato, prestato a livello dello sviluppo della società. In questo senso il capitale è una relazione sociale, in quanto socializza la maggioranza della società, bene o male.
Il denaro diventa la "pura unità" (Eske Bockelmann), il puro relazionare fra di loro tutte le merci, le quali a loro volta diventano "puramente relazionate", indifferenti al contenuto, meramente quantitative (prezzo). Nel loro trattare con i soldi, tutti i membri della società apprendono questa straordinaria astrazione, un pensare senza contenuto, che si realizza come semplice riflesso, rimanendo per i soggetti nella sua forma inconscia. Si stabilisce così una "nuova episteme" (Foucault).
Il carattere tautologico del fare del denaro più denaro. è già stato definito "feticismo della merce" da Marx, il quale identificava il capitale come il vero "soggetto automatico" di questa società, essendo gli operai ed i capitalisti solo delle "maschere di carattere" di questo auto-movimento alienato.

6. La faccia occulta della socializzazione del valore: la "dissociazione sessuale" delle attività dimenticate ma imprescindibili dell'amare, curare e proteggere, separate dalla sfera pubblica e delegate alle donne, smentisce la pretesa della totalità
Al di là di Marx (storicizzato come "duplice Marx": il Marx del potere dei lavoratori, che si è esaurito con il socialismo reale, ed il Marx critico del feticismo, più attuale che mai) si deve individuare il crimine che ha fondato la società del denaro e del lavoro nella "caccia alle streghe" che segna il suo inizio. La "dissociazione sessuale" (Roswitha Scholz) non è una relazione derivata del valore (valorizzazione), ma è essenziale e costitutiva della relazione sociale totale. Entrambi i momenti essenziali centrali della medesima relazione sociale, in sé contraddittoria e frammentaria, devono essere compresi allo stesso alto livello di astrazione. Quello che non può essere compreso nel valore, che è quindi dissociato da esso, smentisce la pretesa di totalità della forma valore.
La dissociazione valore come principio formale storico-dinamico segna tutta la storia del capitalismo; non è una struttura rigida, ma una logica processuale. Non da ultimo, lo sviluppo delle forze produttive e la creazione di plusvalore per mezzo dell'applicazione di conoscenza scientifica ha le sue basi, anche su un piano culturale-simbolico, nella dissociazione del femminile.

7. Il denaro come equivalente universale è una merce a parte dotata di valore materiale
Nella dinamica sociale della valorizzazione inconsciamente svincolata dagli esseri umani, e che si è sparsa per tutto il pianeta, il valore risultante dal lavoro prestato in termini socialmente validi è rappresentato nell'insieme delle merci ed in quell'equivalente universale che è il denaro. Il denaro deve contenere un valore materiale, che fino alla prima guerra mondiale era l'oro. Già allora questo era difficile, ed oggi non esiste sul pianeta abbastanza oro per rappresentare in termini pratici l'enorme quantità di beni e di servizi prodotti. Le due guerre mondiali del 20° secolo non hanno risolto il problema, ma hanno solo stabilito un patto, a Bretton Woods: dollaro convertibile in oro e monete legate al dollaro. A partire dal 1973, con la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, viviamo in un sistema post-monetario, nel quale il dollaro svolge più o meno la funzione di moneta mondiale (non in virtù dell'oro in stock, ma grazie alla forza militare dell'ultima potenza, vista come porto sicuro per qualsiasi investimento). Si sono creati così i famosi deficit gemelli degli Stati Uniti, i quali importano da tutto il mondo pagando con titoli di credito: il qual deficit, ironicamente, ha apparentemente mantenuto in funzione il sistema mondiale su questa base insostenibile.
Il corso prolungato del credito, disegnato su un futuro lontano - per prima cosa il credito statale delle economie di guerra, poi il credito generale ed universale per gli investimenti, la produzione ed il consumo, entrambi ottenuti nel corso di un ballo in maschera transnazionale di derivati del denaro sempre più incredibili - corso prolungato che ha dato origine ad un positivismo dei fatti, che pretende di mettere in ridicolo la teoria del valore basato sul lavoro, sostenendo che il denaro (o qualsiasi altra cosa) vale secondo quello che il mercato offre per esso. Cosa che non smette di essere empiricamente vera. Ma il peggio è che tale verità è altrettanto instabile del valore di mercato e rapidamente spariscono nel cielo finanziario miliardi, che di fatto erano fittizi, rendendo difficile giustificare il disastro della manipolazione portata a termine da banchieri ed altri speculatori (si veda la situazione ridicola della burocrazia cinese in cerca di colpevoli per l'ultimo crollo della borsa).

8. La sostanza materiale del capitale è il lavoro astratto
Ora, la sostanza del capitale può essere soltanto il lavoro socialmente valido. Se le merci vengono prodotte in processi tendenzialmente automatizzati, a livello globale esse non hanno alcun valore. Se il denaro viene emesso senza che sia in proporzione all'applicazione di lavoro socialmente valido, anch'esso non ha alcun valore. Non si può mettere il carro davanti ai buoi: quando si costruiscono città intere sulla base di crediti provenienti in maniera arbitraria da presunti profitti futuri, anche se si applica manodopera ad un livello socialmente necessario, tali città si rivelano essere soltanto rovine nel paesaggio, dal momento che non c'è chi le possa comprare per abitarvi (come è avvenuto in Cina, e non solo).
Va notato come il valore delle merci e del denaro si determina a livello globale nel processo di concorrenza universale: è qui che i vincitori si appropriano del valore prodotto, i quali vincitori, per ironia, sono proprio quelli che hanno meno contribuito alla produzione del valore globale attraverso l'aggiunta di lavoro socialmente valido. Un processo realmente potenziale ed irrazionale in sé, che non può funzionare. La realtà non ha niente a che vedere con i "pregiudizi popolari" (Marx), secondo i quali il valore si trova incorporato nella merce, e se il giusto valore non viene realizzato sul mercato, questo avviene solo perché gli speculatori non permettono che avvenga (lo stesso Marx appare supporre, qua e là, il valore individuale di ciascuna merce, ma nel terzo volume del Capitale la presenta inequivocabilmente come relazione sociale totale). Un tale preconcetto, che si sviluppa rapidamente in "antisemitismo strutturale", continua a fomentare allegramente molti discorsi politici della sinistra, insinuando o affermando che tutto si risolverà per mezzo di una corretta direzione del mercato da parte dello Stato (anche dopo la fine ingloriosa degli Stati cosiddetti socialisti).

9. Nella dinamica della valorizzazione del lavoro, durante il tempo astratto si produce un tempo concreto irreversibile. Dal "plusvalore relativo" e dalla "caduta tendenziale del saggio di profitto" al limite internio assoluto della valorizzazione
Moishe Postone è stato il primo a studiare attentamente il tempo nel capitalismo. Contrariamente alle società agrarie, con il loro tempo ciclico, qui il tempo è lineare ed astratto; si lavora (cioè, si spende "nervi, muscoli e cervello", secondo l'espressione di Marx) a produrre per il mercato, tendenzialmente tutti i giorni e ad ogni ora. Ma in questo tempo astratto, con lo sviluppo delle forze produttive, e distruttive per imposizione della concorrenza che è inerente alla produzione di merci, si produce un tempo concreto, in cui le precedenti condizioni di produzione diventano successivamente obsolete.
Con il "plusvalore relativo" e nonostante la "caduta tendenziale del saggio di profitto", come studiato da Marx, il sistema può, per qualche tempo, espandersi internamente ed esternamente, perfino con miglioramenti palpabili per i lavoratori, come è avvenuto nel dopoguerra con il cosiddetto fordismo. Quel tempo è finito. Non c'è più dove espandersi. E neppure c'è più dove spendere, in termini economicamente validi, "nervi, muscoli e cervello", se non da parte di una minoranza molto ristretta. Come previsto da Marx, è andata gambe all'aria la base del modo di produzione, fondato sul valore, in quanto sistema sociale.
Nel "Collasso della Modernizzazione" (Robert Kurz) attualmente in corso - dopo il crollo dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, nel loro tentativo di entrare nel mercato mondiale - si è spezzato il secondo anello più debole del sistema mondiale di produzione di merci, rivelando i regimi cosiddetti socialisti come meri tentativi di "modernizzazione ritardata" nel sistema del lavoro e del denaro. Il disastro in corso colpisce tutto il mondo ed arriva perfino nei centri. Un mondo pieno di rifugiati è l'espressione più brutale della fine della capacità immanente di sviluppo capitalista.
Nei confini del sistema, la dissociazione sessuale non è superata, ma è semmai aggravata attraverso un "inselvatichimento del patriarcato". che scarica sulle donne le conseguenze della crisi ("doppia socializzazione", dal momento che si lavora in casa e fuori di casa) e che tenta di coinvolgerle nella gestione della società in rovina ("donne delle macerie"). I limiti interni sono evidenti anche nel fatto per cui le attività tradizionalmente svolte dalle donne, e di connotazione femminile, che esigono una logica di spreco di tempo, devono ora essere svolte professionalmente, secondo una logica di risparmio di tempo.

10. Non esiste né denaro mondiale né potere mondiale. Le donne e gli uomini di tutto il mondo devono liberarsi dai resti falsificati del denaro e del potere e dall'alienazione delle attività dissociate di "curare e proteggere" per socializzare all'altezza dei tempi
Il sistema irrazionale basato sul lavoro e sul denaro, creato inconsapevolmente dagli esseri umano senza che ne abbiano coscienza, si basa sulla concorrenza. Gli operatori che riescono a produrre meglio e a costo più basso, grazie all'innovazione e alla riduzione dei posti di lacoro, sono quelli che hanno successo nell'appropriarsi  di una fetta più grossa del valore globalmente prodotto. Vale a dire, visto dalla prospettiva d'insieme, i vincitori non solo liquidano i concorrenti, ma a lungo termine liquidano il sistema stesso (come previsto da Marx).
L'innovazione imposta dalla concorrenza esige sempre più crediti a causa dei costi di produzione preventivi. Nell'economia globalizzata, è stridente la contraddizione fra il carattere nazionale dello Stato e del denaro, col carattere globale del capitale. I titoli di credito circolano sui mercati finanziari globali mascherati da "derivati finanziari" sotto le forme più incredibili. Con l'espediente del "quantitative easing", le banche centrali (per prima la Federal Reserve degli Stati Uniti, poi la BCE, con 60 miliardi di euro al mese) "comprano", con denaro creato dal nulla, i rifiuti tossici dei titoli di credito impagabili degli Stati e delle grandi imprese, trasformandosi in una pattumiera, ma rimandando solo così il collasso del sistema.
Uno degli aneddoti ricorrenti del discorso politico attuale è che tutti i paesi vogliono aumentare la competitività e le esportazioni. Una contraddizione in sé.
La moneta emessa con effige nazionale è stato un pezzo della concorrenza interna ed internazionale. Contrariamente agli aneliti verso la pace perpetua di Kant, il diritto internazionale si è sempre basato sulla forza. E la guerra, come ha notato Clausewitz, era la continuazione della politica con altri mezzi. Ma ora, così come non c'è produzione di valore socialmente rivelante, non ci sono nemmeno più Stati vincitori per potersi imporre, ma solo bande armate a piede libero nella terra bruciata delle regioni collassate nel mercato mondiale. La primavera araba non è arrivata all'estate.
I regimi fascisti postmoderni pseudoreligiosi, barbaramente misogini e antisemiti, pretendono di nascondere l'insostenibilità di un modo di rapportarsi divenuto obsoleto, per mezzo di rituali assurdi, di mancanza di rispetto dell'individuo, di repressione brutale e, soprattutto, di accresciute esigenze per le donne, rivelandosi così specificamente moderni e capitalisti, nonostante i loro abiti religiosi.
Per uscire dalla "gabbia di ferro" (Max Weber) della valorizzazione del valore, bisogna "pensare contro sé stessi" (Adorno) e tener conto di quella faccia occulta del valore che è la dissociazione sessuale.

"Dalla prospettiva della critica della dissociazione-valore, i diversi piani, il piano materiale, quello culturale-simbolico e - last, but not least - quello psicanalitico, devono essere relazionati fra di loro, in un intreccio dialettico ed in una simultanea separazione nel loro sviluppo processuale. Soltanto così potrà essere soppiantata la totalità negativa, al di là... dell'universalismo androcentrico, che nella realtà caratterizza essenzialmente la decadenza di crisi del patriarcato capitalista" (Exit! 12, del 2014).

- Boaventura Antunes - Presentazione al Club di Filosofia di Abrantes, 21 settembre 2015 -

fonte: EXIT!

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