domenica 8 giugno 2014

Scienza Poetica

goethe
Diceva Timothy Leary che, nell'era dell'informazione, non si insegna filosofia, la si teatralizza. Se i grandi filosofi come Socrate o Aristotele fossero vivi oggi, avrebbero sicuramente un programma televisivo, o almeno un canale YouTube. Immagina Socrate che intervista la gente a proposito delle idee, o Virgilio che recita le bucoliche su un ritmo rap! Tim è stato sicuramente un visionario quando si trattava di raccontare l'esperienza umana per mezzo dell'espansione della coscienza, o l'evoluzione attraverso la tecnologia e la fusione con i media. Come lui, anche Marshall McLuhan credeva ad una canalizzazione delle energie per mezzo di circuiti, un'idea che lo portò al concetto di "villaggio globale", per descrivere le interconnessioni umane con i media elettronici di comunicazione. Molto prima che si discutesse se il media era il messaggio, qualcuno aveva anticipato che spiegare quella curiosa relazione fra noi e la natura non era solo questione di teorie scientifiche. Trasmettere l'essenza di una simile forza che unisce noi e il mondo, e che ci trascende, dipendeva dalle idee e dalle parole che venivano escogitate. In definitiva, era una questione poetica.
Dicono che la "scappatella" di Goethe con la scienza, fosse solo l'eccentricità di un genio di dimensioni olimpiche, assediato dal desiderio di universalità. In realtà, quella spontaneità vitalista, quel romanticismo traboccante di fronte all'universo, lo aveva reso più amante, che studioso, della natura: si rifugiava nella botanica come lo farà Jean-Jacques Russeau. La natura era la scusa di un'anima tormentata. Ma Goethe non ebbe mai smania di essere esaustivo; la curiosità, il desiderio di apprendere, anche in tarda età, lo sballottò casualmente da un campo all'altro, che cercava di relazionare fra di loro, senza sapere bene in cosa avrebbe finito per incappare. Fu dopo un avventuroso viaggio in Italia, quando, innamorato del paesaggio mediterraneo, intuì che tutte le piante, o per lo meno la maggioranza di esse, provenivano da un'unica pianta primaria, l'archetipo. Tornato a Weimar, si diede a redigere un trattato. Come Rousseau, cercava nella natura, e nelle sue leggi, un rifugio, un conforto. Ma non solo nella natura ... Nello stesso periodo, si innamorò di Christianne Vulpius, una giovane fioraia di Weimar, per cui poi scrisse una versione divulgativa della sua teoria scientifica. Ma scrive anche un poema, su "Le metamorfosi delle piante" (1790), introdotto da un'esortazione, all'amata, a scoprire le leggi nascoste della natura. A partire da allora, utilizzerà la poesia per dare maggior diffusione alle sue idee scientifiche. Scienza e letteratura, arte e filosofia si univano in un grande amalgama, nell'opera di Goethe, insieme alla divulgazione scientifica: "Nessuno voleva capire l'intima unione fra la poesia e la scienza; dimenticano che la poesia è la fonte della scienza e non immaginano che col tempo potrebbero formare un'alleanza, stretta e feconda, nelle più alte regioni dello spirito umano." Grazie ad Hans Magnus Enzensberger si scopre, ne "Gli elisir della scienza. Sguardi trasversali in poesia e in prosa" (Einaudi 2004), aspetti poco conosciuti di alcuni intellettuali, come il poeta romantico inglese Samuel Taylor Coleridge, il quale era solito assistere alle lezioni di chimica della Royal Institution, con grande sorpresa sia dei professori di chimica che dei suoi colleghi letterati. Quando gli chiedevano perché lo facesse, Coleridge rispondeva: " Per arricchire le mie provviste di metafore". Nello stesso libro di Enzensberger, viene riportata anche una sua poesia su Charles Darwin, dalla raccolta "Mausoleum": come Darwin ci abbia raccontato l'evoluzione, fa parte di una storia affascinante. In realtà, era un uomo che, come scrive Enzensberger, "non ha mai voluto". Si imbarcò sul Beagle subito dopo essersi laureato in teologia all'Università di Cambridge e non aveva altra teoria, circa la biologia, se non quella che viene narrata nella Genesi. A raccontargli una storia assai diversa, furono i fringuelli delle Galapagos, ma lui non voleva sentirla. La lettura di Malthus gli voleva dare l'idea della selezione naturale, ma lui non intendeva pronunciarsi in proposito. Tutto era "nausea, emicrania, ipocondria". E così è Enzensberger a scrivergli una sorta di "biografia nera", per mezzo delle metafore di cui parlava Coleridge. Una storia delle sue paure filosofiche: la vertigine che gli proveniva dal tenere in mano l'arma perfetta per assassinare Dio, la paura di tirare quel grilletto. Come dire, quella di Enzensberger è ... giustizia poetica.

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