sabato 31 gennaio 2009

L'orto sassoso del conflitto sociale



Apprendo da più parti (tutte rigorosamente di "sinistra") che nella società in cui viviamo - perlomeno in quella "italiana" - non si darebbe più ... conflitto! Non si capisce bene se questa loro impressione nasca dal fatto che la notizia (del conflitto, intendo) non passa in televisione oppure, più realisticamente, derivi dalla necessità che, per loro, il conflitto non ci sia.
Ad ogni modo, tanto fa.
Si creano forum e gruppi per "rifondare" la sinistra, dal momento che non si dà conflitto sociale e, quindi, necessiterebbe una forza rappresentata in parlamento che possa badare a quelle che loro chiamano "necessità", ovviamente quelle degli altri. Ché alle loro ci badano da soli!
Insomma, il conflitto fa parte - a loro dire - di epoche geologiche antiche, espressione di un'esperienza passata, magari corporativa, poco adatto a quest'epoca di superamento delle barriere fra singoli stati, laddove sarebbero morte per sempre ideologie e classi.
Tutti discorsi, in qualche modo, già sentiti nei decenni scorsi, e che adesso hanno oramai fatto breccia nelle menti e nei cuori di tanti bravi connazionali ... di sinistra.
Del resto, politici e giuslavoristi (ovviamente, di sinistra) hanno cominciato da tempo a parlare - e a mettere in pratica - la regolamentazione del diritto di sciopero, in vista di un'eventuale abrogazione dello stesso: ché tanto non c'è conflitto, e quindi a che diavolo serve lo sciopero!??

Di scioperi e di conflitti, parla un bel libro - mai tradotto in italiano - di Howard Zinn, Dana Frank e Robin G. Kelley, "Three Strikes. Miners, Musicians, Salesgirls and the Fighting Spirit of Labor's Last Century".
Tre scioperi, ciascuno degli autori racconta il "suo", e per ciascuno degli scioperi vengono a mente situazioni oltremodo attuali e, magari, viene anche da pensare a quante vertenze ci siano in corso in questo paese di cui non si sa assolutamente niente.

Zinn ci racconta quello più noto, e anche il più drammatico. Lo sciopero minerario di Ludlow, Colorado, dove nel 1913-14 i minatori (gente che parlava una trentina di lingue diverse - per non parlar dei dialetti - e viveva in condizioni miserabili, alla completa mercé dei padroni, in una situazione lavorativa più simile ad un campo di battaglia, per infortuni e morti) alzarono la testa. E furono sconfitti, lasciando sul terreno dieci uomini, due donne e dieci bambini, ma vinsero il diritto all'organizzazione e al contratto.
Assai diverso il secondo sciopero, raccontato da Dana Frank. Una storia assolutamente dimenticata, ricostruita con fonti d'archivio e integrata da testimonianze orali. Si svolge a Detroit nel febbraio-marzo del 1937. Le protagoniste sono le ragazze, commesse e telefoniste dei grandi magazzini Woolworth che per una settimana occupano il posto di lavoro. E vincono. Vincono con l'aiuto dei militanti, maschi e femmine, della loro generazione (i lavoratori dell'auto), della comunità operaia che si serve da Woolworth, delle famiglie e dei fidanzati, che le aspettano fuori, che fanno passare attraverso i picchetti materassi e messaggi di sostegno (i generi di conforto, le ragazze se li procurano direttamente dai grandi magazzini!). Vincono, trasformando il luogo di lavoro in un posto dove si balla e si canta, si piange e ci si rincuora, si telefona al ragazzo per tranquillizzarlo circa il fatto che andrà tutto bene. Vincono perché hanno capito che vale più una bella foto che cento parole, per cui, durante lo sciopero, non smettono di truccarsi con cura per essere pronte ai flash dei fotografi e finire in prima pagina. Non si può mandare la Guardia Nazionale a sparare su delle belle ragazze!
L'ultimo capitolo del libro torna a parlare di un'altra sconfitta, oscura e dimenticata riportata alla luce da Robin Kelley. Ancora negli anni trenta, stavolta a New York negli ambienti dei cinema e dei teatri di varietà. Nella penombra della buca d'orchestra, però! Laggiù dentro, la lotta di classe scoppia come e più che in fabbrica, in mezzo ai musicisti inseguiti dalla tecnologia. Il cinema passa dal muto al sonoro e viene eliminato il bisogno di orchestre in sala. Ma lo sciopero-boicottaggio si risolve in una sconfitta. Gli interessi dei musicisti entrano in collisione con gli interessi degli altri lavoratori in quanto consumatori che non capiscono il senso del boicottaggio.

Tre scioperi, tutti con una sorta di loro attualità, al di là delle tragedie, al di là delle sconfitte, al di là delle vittorie. Tre scioperi che ci parlano di conflitto, di innovazione, di solidarietà e di comunicazione. Tre scioperi che ripropongono il problema della doppia battaglia contro il silenzio e contro le resistenze e le inerzie interne.
Tre scioperi che parlano di adesso, di qui!

Nessun commento: