venerdì 30 marzo 2007

La testa di Pancho Villa



Nella notte fra il 5 e il 6 febbraio 1926, un gruppo di sconosciuti entrò nel cimitero di Parral, profanando la tomba del caudillo della rivoluzione agraria del nord, e decapitò il cadavere per rubarne la testa. Il fatto fece scorrere fiumi di inchiostro sulla stampa nordamericana, dal momento che negli stati uniti si continuava ad alimentare il mito del fiero bandolero che si era azzardato, nell'anno 1916, ad attaccare il paese di Columbus.
L'unica invasione straniera registrata dalla storia nordamericana moderna.
La stampa di Los Angeles dedicò un grande spazio alla notizia e ai suoi sviluppi. Le voci messicane attraversavano continuamente la frontiera e ubicavano la testa smarrita una volta nelle mani della vedova di un vecchio possidente di terre che Villa aveva assassinato, un altro giorno in un circo che percorreva il Texas mostrandone i resti, il giorno dopo nelle mani di un gruppo di pazzi fuggiti dal manicomio di Chihuahua, poi in mano ad una zitella dell'Oklahoma che era innamorata del genio militare messicano e che aveva incaricato dell'operazione una banda di ladri professionisti originari di San Francisco.

giovedì 29 marzo 2007

Storie di un'altra America



Rod MacDonald è un cantautore americano, nato in Connecticut nel 1948. Laureatosi in storia, nel 1970, all'Università della Virginia e ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza della Columbia. Ma durante l'ultimo anno prese la decisione di vivere di musica. Ha fatto parte, nel 1980, del rinascimento folk al Greenwich Village, e del laboratorio del Cornelia Street Cafe. Le sue canzoni sono state cantate, fra l'altro, da Dave Van Ronk, Christine Lavine e Garnet Rogers. Una curiosità: ha fatto una cover americana di Auschwitz, di Guccini.

Una storia di due americhe
di Rod MacDonald

Era la migliore di tutte le epoche
Era la peggiore di tutte le epoche
Nella mia storia delle due americhe
Una parte si scaldava al sole
del proprio benessere compiacendosene
Nella mia storia delle due americhe
l'altra si doleva - "e per quale motivo
voi vi retribuite con avidità
come ladri armati di pistola"
C'è chi pensa che un militare
potrebbe essere usato per mantenere la pace
C'è chi ha una sete inestinguibile di guerra

Ci sono quelli che dicono che dio
vuole leggi basate sulla loro religione
Nella mia storia delle due americhe
Ci sono quelli che dicono
che la religione è un fatto personale
Nella mia storia delle due americhe
alcuni sognano un paese
dove si possa scegliere liberamente il proprio partner
e dove l'amore venga riconosciuto
Alcuni sognano un territorio
dove gli animali selvaggi vagano liberamente
e non si vede un solo pozzo di petrolio

Puoi comprare tutte le televisioni
quotidiani e radio
Puoi raccontare bugie fino a convicerti che sia la verità
Puoi spendere miliardi di dollari
per attaccare gli avversari
e affittare scrittori che spaccino questo per notizie

E quelli che non hanno mai visto una guerra
spediscono i figli degli altri a combattere
Nella mia storia delle due americhe
loro si definiscono guerrieri
seduti in cima alle loro selle
Nella mia storia delle due americhe
Quelli che non hanno mai conosciuto la pace
cercano qualcuno da combattere
a caccia di terroristi, non risparmiano nemmeno i bambini
Dicono che opporsi a loro è antipatriottico
E ci sono quelli che dicono - "la libertà incomincia a casa propria"

Puoi rubare un milione di voti, puoi riempire l'aria di bugie
Sai che alla fine sei tu quello che sta perdendo
E se potessi farti una domanda ti chiederei:
che razza di futuro stai costruendo?

mercoledì 28 marzo 2007

La paura della morte ...



L'effetto più devastante, e subdolo, della guerra è ... che ti costringe a parlare di guerra. Quasi che il pacifismo, inteso come anti-bellicismo, ne fosse il prodotto peggiore, della guerra. A parafrasare Bordiga, a proposito di fascismi e anti-fascismi, con o senza "lineetta". E così, la guerra è dovunque. In senato, nei salotti televisivi che ti entrano in casa, anche senza manoarmata, o quasi. Nelle università, nei bar. Siamo tutti a parlar di guerra. E' la "nostra" guerra. Ci hanno arruolato! Che ci piaccia o meno.
E così, leggo che anche Bifo, in arte Franco Berardi, su rekombinant (click per leggerlo), a proposito di guerra, e di contestazione al personaggio presidente della camera che ha venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie, sposa, sebbene con cautela, la tesi che forse vale la pena di andare in guerra (dove la bella morte chiama!) se questo ci può evitare "una specie di salazarismo che si va profilando all'orizzonte".
Così, l'unico modo per evitare una politica di destra è quello di lasciar fare ad un governo di sinistra delle scelte di destra, e sostenerle!
L'unico modo per sfuggire alla paura della morte, rimane il suicidio!

martedì 27 marzo 2007

Altre "serie b"!



Il menestrello del baseball! Chuck Brodsky spesso mischia il suo dono di saper forgiare parole e melodie con il suo amore per il baseball, per la storia e la cultura del baseball, e così facendo, riesce a creare nuovi capitoli nella storia del foklore dello sport nazionale americano.
Ma non si limita a questo, le sue canzoni parlano anche di corruzione politica, di bricconate da bambini, di rabbia, perfino di inquinamento dei fiumi. Canta di quegli eroi che non vengono mai cantati. Dimenticati, piuttosto. Giocatori di baseball di serie b, raccoglitori stagionali di frutta, violenze di strada. Come in questa canzone


Il lamento di Maria
di Chuck Brodsky

Gesù era ubriaco quando aggredì Maria
Sbattè giù la porta a calci, aveva voglia di menar le mani
Il bambino si era addormentato accanto a sua madre
Maria rimase a piagnucolare tutta la notte

Gesù prese la macchina e anche tutti i soldi che c'erano in casa
Una confezione da sei di birra, ed un cambio di biancheria
Lasciò Maria e i bambini nella roulotte
Ed ho sentito dire che se ne tornò in Messico

Questa non era la prima volta che la picchiava
E detesto dire che probabilmente non sarebbe stata l'ultima
Stavolta lei giurò che non lo avrebbe più ripreso
Lo aveva già detto troppe altre volte

Maria rimase nella roulotte tutta la mattina
Maria restò lì tutto il pomeriggio
C'era una lacrima sulla sua guancia, che cercava di nascondere
Alla luce di una falce di luna purpurea

Al lavoro, il giorno dopo, nessuno disse una parola
Così inventai le parole per il lamento di Maria
All'ora di cena quella notte nessuno aveva fame
Ciascuno rimaneva nella sua roulotte

Questa non era la prima volta che la picchiava
E detesto dire che probabilmente non sarebbe stata l'ultima
Stavolta lei giurò che non lo avrebbe più ripreso
Lo aveva già detto troppe altre volte

La madre di Maria viveva giù a Potterville
Una città circondata da agrumeti
Il tempo della raccolta era appena passato
Ed io ero diretto in California

Avevo comprato un vecchio furgone Dodge con i soldi del salario
E raccoglievo chiunque chiedesse un passaggio per la costa
Facendo risparmiare loro il prezzo del biglietto per Potterville
Quando a Sacramento presi un'altra strada

Stavamo andando verso la costa, per lo più in silenzio
Maria stringeva il suo bambino e piangeva
La piccola Isabella provava a consolarla
Io, avrei voluto parlare, ma la mia lingua era come legata

Maria mi mostrò una lettera con dentro dei soldi
ed una fotografia di Gesù e i bambini
Maria era rimasta fuori portata dalla macchina fotografica
E mi chiesi se l'avesse fatto per nascondere i lividi

Questa non era la prima volta che la picchiava
E detesto dire che probabilmente non sarebbe stata l'ultima
Stavolta lei giurò che non lo avrebbe più ripreso
Lo aveva già detto troppe altre volte

lunedì 26 marzo 2007

scusa un cazzo!



Eppure è preparato! E se non ha letto Camus, il quale parlando di violenza (quella che sfugge al monopolio, contro cui il presidente della camera si scaglia sempre così volentieri) precisava:
"Due razze di uomini. L'una uccide e paga, anche con la vita. L'altra giustifica migliaia di crimini ed accetta di ricavarne onori" ...
Faustino dovrebbe aver letto Marx, oltre che San Paolo. E sapere che non si fa politica ... innocentemente. E invece il poverino, di fronte alla verità di chi lo definiva assassino e buffone, irridendolo per il suo impegno "pacifista" fatto di spillette attaccate al bavero, non ha saputo replicare altro che: «Buffone? Buffone sei tu se dici così. Chiedetemi scusa».
Però, a ben pensarci, non ha replicato all'accusa di assassino. Bensì a quella di buffone!
Si vede che, forse, è consapevole, il rifondarolo!

Insurrezione!



Un libro. Niente di più che un libro. Niente di meno che un libro. Scritto oltre vent'anni fa, in carcere. Anzi, fra un carcere speciale e l'altro. Racconta un piccolo spaccato del settantasette milanese. Quello del corteo armato che assaltò l'Assolombarda. Racconta di "quei pazzi di 'Rosso'". Lo ha scritto Paolo Pozzi. Lo pubblica DeriveApprodi.

" Il corteo imbocca un tratto di strada che fa angolo con Corso Monforte. Quelli di Romana-Vittoria sfoderano le pistole e le puntano contro la polizia. Un attimo dopo vedo Puccio che si catapulta in avanti insieme a Coz e quelli di Lc. Mi avvicino e sento frasi concitate e furiose.
- Assaltiamo la Prefettura - dice Dentone - Lc ci copre.
- Ma voi siete matti, ci sono i carabinieri sui tetti coi mitra - urla Coz.
- Anche Senza Tregua ci sta - dice Ricciolino con una pistola in mano.
- Ma che cazzo ci sta Lc? - grida Puccio - e anche se ci sta a noi non ce ne frega un cazzo.
- Noi di Romana ci buttiamo dentro
- Via, via, via - comincia a sloganare il servizio d'ordine di Lc e si mette in mezzo anche un omone di mezza età sopraggiunto di corsa.
- Andiamo all'Assalombarda - propone uno della Magneti Marelli - che noi abbiamo la vertenza aperta.
Il servizio d'ordine di Lc comincia a dirigersi verso Largo Augusto, per la cinta dei Navigli. Vedo Coz che risale il corteo e quelli di Romana-Vittoria rioccupare la testa. Poi imbuchiamo via Larga e si arriva quasi di corsa al Lirico. Il corteo prosegue verso piazza Missori, ma un gruppo di quelli di Senza Tregua si butta di corsa per via Pantano. Molti sfoderano le armi e le tengono in alto, in vista. Allora la parte di testa del corteo gira su se stessa e corre verso via Pantano, dietro a quelli di Senza Tregua. Dentone apre una valigetta e in un attimo monta un winchester. Arrivano da dietro anche Puccio e Coz. L'omone con la barba invece sbraita e fa cenno al corteo di proseguire. Si sente un gran rumore di colpi di arma da fuoco. Decine e decine di pistole in mano a ragazzi con i fazzoletti a coprire il viso sparano contro i vetri dell'Assolombarda. Dentone spara col winchester. Poi si sente un gran rumore di vetri rotti. Lampi e fumo, e si capisce che sono state tirate le molotov. Li vediamo ritornare di corsa e rinfilarsi nel corteo. La manifestazione si scioglie a piazza Missori. Coz e Puccio girano tra le gente in piazza tutti contenti. Sento Coz che dice - Quei testa di cazzo di Romana-Vittoria volevano sparare ai carabinieri. Per fortuna siamo riusciti a portarli sotto l'Assolombarda, così abbiamo sparato ai vetri. "

Paolo Pozzi - da "Insurrezione" -

venerdì 23 marzo 2007

La supponenza di Fulvio Abbate!



Non conosco Fulvio Abbate, se non per aver letto un suo libro a proposito di Garcia Oliver, "Il ministro anarchico". So che ha anche scritto "teleDurruti", sempre usando di "anarchici spagnoli". Frugando in rete, si può venire a sapere che tiene una rubrica su l'Unità, cosa che, ovviamente, non gli impedisce di collaborare a riviste come A-Rivista anarchica, ecc. E fin qui... Poi, facendo il mio solito giro su "Carmilla", mi trovo trascinato su un blog dove campeggia un suo articolo, scritto su l'Unità del 21 marzo 2007, a sostenere ..."la supponenza di Cesare Battisti"!!!
Vale la pena leggerselo l'articolo, come vale la pena anche guardarsi, e riguardarsi, la foto scelta dagli estensori del blog, per raffigurare Battisti in sembianze.
Cosa che nemmeno Emilio Fede con le foto di Prodi ....
Ma quali sarebbero gli argomenti di Fulvio Abbate? Semplice, no:

"Battisti in breve, a meno che mi sia sfuggito qualche dettaglio, non ama porsi su un piano di parità. Nonostante le sue indubbie responsabilità penali."

Indiscutibilmente, un argomento principe che, nel mentre che viene espresso, serve a rimarcare anche le "responsabilità penali" di Cesare Battisti. Indubbie, per l'anarchicheggiante e ineffabile Abbate. Del resto, in nomen ....
Ma cos'è che poi dà veramente noia al "durrutiano" Abbate? Semplice! Battisti è pubblicato "dalla prestigiosa casa editrice Gallimard, la stessa di Sartre e Camus". E invece Abbate ciccia!

Certo che, sulla scorta di quanto sopra, deve essere difficile per chiunque porsi su un piano di parità con Fulvio Abbate.
Soprattutto dopo averne rimirato la faccia (sì è lui, quello della foto qui sopra!!!).

Una Rapina in Banca!



"Signore e signori. Ecco davanti a voi, in procinto di scomparire, il rappresentante di una categoria che va anch'essa scomparendo. Noi piccoli artigiani borghesi, noi che lealmente affrontiamo, col piede di porco alla mano, le casse di nichel delle bottegucce, noi veniamo ingoiati dai grandi imprenditori, dietro i quali stanno le banche. Che cos'è un grimaldello di fronte a un titolo azionario? Che cos'è l'effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una banca? Che cos'è l'omicidio di un uomo di fronte ad una vita a salario?"
- Così Brecht, faceva parlare Macheath (Mackie Messer), nell'Opera Da Tre Soldi.
Non senza ironia.
Parimenti, e non senza ironia, Guy Clark e David Allan Coe hanno scritto a quattro mani, e cantato, questa canzone.
Tagliente come un rasoio, veloce come un film in bianco e nero.
Concisa ed efficace, come una rapina in banca!


Amo Rapinare Banche
di Guy Clark & David Allan Coe

Tu lascia il motore acceso, non ci vorrà molto tempo
Per quando la polizia sarà arrivata, noi saremo già lontani
La faremo girare a vuoto, non lasceremo traccia alcuna
Prenderemo solo i soldi e ce ne andremo
Oddio quanto amo rapinare banche, Signore io amo rapinare le banche
L'ho sempre detto al cassiere che grazie al cielo amo rapinare banche.

Mi piace urlare "tutti le mani in alto" quando entro
Quando si rendono conto che le loro cassette di sicurezza non sono poi così sicure
Mi piace guardare le loro facce quando mostro loro la pistola e poi prendo i soldi e scappo
Oddio quanto amo rapinare banche, Signore io amo rapinare le banche
L'ho sempre detto al cassiere che grazie al cielo amo rapinare banche.

Scommetto i miei cinque dollari contro i tuoi che lei premerà l'allarme
Scommetto i miei dieci dollari che ti farai vent'anni di lavori forzati
Per prima cosa li faccio stendere tutti sul pavimento, poi prendo i soldi e scappo
Oddio quanto amo rapinare banche, Signore io amo rapinare le banche
L'ho sempre detto al cassiere che grazie al cielo amo rapinare banche.

giovedì 22 marzo 2007

Viva Pancho Villa!



VIVA PANCHO VILLA
di Hoyt Axton

In una vecchia cantina giù in Messico
Un pugno di sognatori beveva e pensava ad alta voce
Panama Red ha detto alla regina del Brasile
Ooh io ti amo ti ho amato fin da quando ero un marinaio
Bene ce ne andremo a Rio e rapineremo una banca
E poi salperemo per Parigi e vivremo nel lusso hey saremo degli splendidi scialacquatori

Dissoluti e soli erano propensi a cacciarsi nei guai per soldi
Nei loro sogni da bettola provavano la scena
E ogni volta la riscrivevano a tutto loro vantaggio

Minnie l'impicciona disse a Hokomo Joe ooh io mi annoio e mi sono rotta
Ed ho finito l'whiskey e la dolcezza
Ma Red è a conoscenza di una banca, a Rio, che è matura
Dove possiamo riempirci le tasche di soldi
Hey saremo degli splendidi spendaccioni

Dissoluti e soli...

Madame Kazoo ha detto a St Louis Lou
Ooh vai a dire a Panama Red che questo è l'ultimo treno per Rio
Topeka Kid ha un buco nel cappello
Loro dicono che una volta cavalcava con Pancho Villa
Quando Pancho era uno splendido scialacquatore

Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa
Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa
Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa
Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa

Non lo vorresti sapere ma loro non sono mai andati
Ooh hanno continuato a bere e non hanno mai lasciato la cantina
E il presidente della Banca del Brasile non ha mai perso un centesimo
Hey, lui è ancora uno splendido spendaccione

Dissoluto e solo...

Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa
Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa
Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa
Viva Villa Viva Pancho Villa Viva Villa Viva Pancho Villa

mercoledì 21 marzo 2007

La parte da cui stare ...



"Un'esistenza simile genera naturalmente degli scompensi, ma questi non interferiscono nell'ordine del sociale, resta una questione puramente mentale e, soprattutto, presonale. Quando un esiliato si mette a parlare, un sacco di gente sta ad ascoltare, attratti come sono dallo straordinario disordine del suo discorso. Lui parla di fatti accaduti secoli addietro o di altri che stanno per accadere, riducendo il ruolo del tempo ad una semplice questione di puntuazione (sic). E' il suo "statuto di assente" a farlo comportare così: il tempo non c'è più, se l'è bevuto la rivolta. E allora lui appende gli anni a una virgola e le distanze le copre con un ultimo e interminabile respiro. Nell'intorpidimento del corpo, l'esiliato si racconta e si lascia raccontare in un andirivieni costante. L'ultima volta che s'è visto, era in una casa in mezzo ai campi, con menta e basilico, due vecchi e dodici galline. Adesso ne rimanevano undici, una era morta. No, si stava confondendo, non era la gallina a morire ma sua madre. Se n'era andata via senza dire niente a nessuno, discreta, come sempre. Le aveva scritto una volta, ma lei non poteva rispondere. Lui non aveva messo il mittente, e comunque il servizio postale sulla Sierra Madre era scarso. Era una bella lettera, l'aveva affidata ad un marinaio che da Vera Cruz salpava per l'Europa. Ma non era un tipo affidabile, probabilmente l'aveva smarrita a Rotterdam, sotto una pinta di birra. Qualche tempo dopo si fa notare a San Antonio, Texas. Stava attraversando un prato urbano, così verde e piatto che si sarebbe detto artificiale, quando si accorse che un tipo grasso gli correva dietro. Gli venne in mente che avrebbe potuto sparargli, ma non ne fece niente perché non portava mai un'arma. Il tipo grasso si rivelò giornalista, suo ex compagno di scuola, che non avrebbe detto niente a nessuno di quell'incontro. Ma lui, il fuggitivo, sapeva che sua madre era morta e che si era costituito un comitato per far ottenere la pensione a suo padre? E che il Governo in Italia era ormai socialista e la Mafia anche? No, non ne sapeva niente e gli sembrò tutto molto strano. C'erano troppe coincidenze in quella storia, meglio starsene alla larga. Al giornalista grasso ed ex-compagno di scuola disse che stava per partire verso l'Antartide, gli avevano offerto un impiego importante: cacciatore di tempeste.
Sarà di nuovo a Parigi. Gli avevano detto che mettersi a ballare la notte sotto la torre Eiffel l'avrebbe proiettato nello spazio. Ma non era tornato per questo, benché la voglia di sparire fosse tanta. Torna solo perché non c'è altro posto al mondo disposto a riconoscergli il diritto all'esistenza."

Cesare Battisti

martedì 20 marzo 2007

Non lo andate a raccontare a Cristoforo Colombo!



"Don't tell Columbus", è il nuovo disco di Graham Parker. E, con ogni probabilità, rischia di essere il disco dell'anno. Anche se l'anno è appena cominciato! Più "dylaniato" che mai, Graham Parker ha costruito un "concept disk", amaro e bellissimo, contro il suo paese adottivo. Dodici canzoni da non far sapere a Colombo, circa cosa sono diventati gli Stati Uniti d'America. I testi meritebbero, tutti, una traduzione. E, volendo, si può scaricare il pdf direttamente dal suo sito.
Il disco comincia con "I discovered America", e sembra di risentire il Bob Dylan dei tempi migliori, sorretto da una voce ed una vitalità che, forse, Dylan non ha più.
Intima e sofferta, "England's Lastest Clown", quasi un lamento del cantautore che, in fondo, non viene mai preso troppo sul serio. "Ambiguous" suona quasi come un rock'n'roll anni sessanta, con un "vogliamo tutto" tradotto in un "io voglio solo che il mio pane sia imburrato da entrambi i lati"!
"The other side of Reservoir" parla delle differenze di classe in America, e lo fa con una canzone vestita di una melodia bellissima e notturna, liquida nel suo incedere.
"Suspension Bridge" parla del lavoro, quello che schianta e uccide, quel lavoro che ha costruito l'America, ponti e grattacieli. Nativi americani e ispanici e immigrati. E la musica si muove fra il reggae e lo "spagnoleggiante", indugiando senza pudore ad un ritmo latino, con una chitarra spagnola in bell'evidenza.
"Love and Delusion" parte tirata e stringente, quasi a levarti il fiato, per poi soffermarsi a farti respirare in spazii più ampi, come fossero piazze, dopo le strade strette del rock'n'roll. Ma non bisogna scegliere, fra le strade e le piazze. Fra l'amore e la delusione.
E il rock continua, in "Total Eclipse of the Moon". Un rock'n'roll della più bell'acqua.
Poi, con "Stick to the Plan", arriva Katrina e New Orleans. Arriva al ritmo di un riff trascinante che non ti permette di lasciare fermi i piedi e la testa. A segnare il tempo. A cantare un atto d'accusa, contro la stupidità, e la grettezza di chi governa, che non ammette repliche.
Ed è poi una ballata folk, bella e struggente, "Somebody saved me". Ti prende per mano e ti da quasi l'illusione di poter volare. Per rimetterti con i pedi per terra e dire che "Non ho bisogno di pietà, non ho bisogno di compassione, non mi serve né la fede né il credo, non so che farmene di dio o di qualsiasi altra illusione, non sono morto e non sono stanco, ho solo bisogno di qualcuno che mi salvi, e mi riporti su questa terra".
"The hard side of the rain", incede al blues ed è un omaggio, un tributo, fin dal titolo, a Bob Dylan.
"Bullett of Redemption" apre ad un country rock malinconico, gentile ed insinuante. La voce sembra quasi accarezzare, mentre la chitarra incalza. Mentre canta. Canta anche la propria inutilità, Graham Parker, la propria incapacità da menestrello a fermare questa follia delle "pallottole di redenzione", che cresce tutt'intorno a noi.
"All being well" chiude il disco, con ironia. Lenta e ipnotica, quasi che la canzone voglia davvero convincere che sta andando tutto bene, mentre lo ripete. Quasi ossessivamente.
Non so, forse sarebbe bene, invece, che qualcuno glielo andasse a dire, a Colombo!

Pallottola di Redenzione
di Graham Parker

Quella pallottola di redenzione
Non mi ha colpito troppo bene
Altri vengono lasciati a sanguinare
Altre persone cadono
Quella piccola sfera di metallo
Continua a viaggiare, veloce e a lungo
Comincia ad avvitarsi nella camera di scoppio
E premere il grilletto di questa canzone
Lo sai, non potrà mai liberartene
Continuo a vederne tutto intorno
Non ne sparisce nessuna
Nemmeno quando si pianta nel terreno
Quella pallottola di redenzione
Non si estingue mai del tutto
Davvero, non funziona in quel modo
Se capisci quel che voglio dire
Sai che si muove ad una velocità tale
Più veloce del suono
Però come se fossero pallettoni
Si sparge e si allarga tutt'intorno
Possiamo seguire la sua traiettoria
Come una freccia avvelenata
Continua a viaggiare
Ed ora si è conficcata nel mio cuore
Spero così di riuscire a conoscerla meglio
Invece di sviarla
Vorrei poterle dire qualcosa
Ma non c'è niente che io possa dire
Quella pallottola di redenzione
Lo sai, ha mancato il bersaglio
Potrebbe uccidere una persona
Ma non può uccidere la sua anima
Perché quella è come un angelo
Che si libra nell'aria
Si posa sulla mia spalla
Con un suono sussurrante
Soppesa la mia coscienza
Come fosse un pezzo di piombo
Strappando via la mia corteccia
E parlando dentro la mia testa
Quella pallottola di redenzione
La puoi sentire rimbalzare
Perché non svanisce mai davvero
Continua solo a colpirmi.

lunedì 19 marzo 2007

ammazzare il tempo!



Sbuca dalla stazione della metro di Castro Pretorio, da sottoterra, con il suo "trolley", lo zaino sulle spalle ed una grossa busta, di quelle da supermercato, piena di giornali. Forse quelli importanti da rileggere, frammischiati a quelli che non ha ancora avuto il tempo di leggere. L'immancabile e l'inconfondibile cappello. E' in ritardo. Il tempo. Giusto il tempo di caricare i bagagli. Ché siamo in ritardo. Maledetto tempo! Anche se scopriremo, di lì a poco, che eravamo in ritardo solo per l'introduzione. Un ritardo che poteva essere rischiato. E perduto. A cuor leggero. Come tantissimi altri ritardi che ogni giorno ci troviamo costretti a sfidare.
La "lezione" di Tronti non è ancora incominciata. Così ci rimane tempo. Il tempo per trovare un posto dove mettersi a sedere, da qualche parte nella sala gremita. Il tempo per disporsi ad ascoltare. E il tempo passa, mentre ciascuno ascolta. A modo suo. Poi è tempo di fare le domande. E il tempo è poco. Quanto tempo per ciascuna domanda? Ché poi va moltiplicato, il tempo di ogni domanda, per il numero delle domande! E, alla fine, il tempo ottenuto (ottenuto?!?) va sommato al tempo della risposta. Ma, forse, bisognerebbe sottrarlo. Il tempo? Che sia davvero il solo nemico? Sì, il tempo è il solo nemico! Era il titolo di un romanzo di fantascienza che ho letto tanto tempo fa, e di cui non ricordo più l'autore. Ma era anche l'assunto che armò la mano dei comunardi parigini quando fecero fuoco sugli orologi. Tempo fa. Quanto tempo fa? Quanto tempo è passato da allora? Tutto il tempo della "Lotta di Classe"! Così credo abbia risposto Mario Tronti a questa mia domanda non formulata. Dove quel "tutto" si riferisce al fatto che ha affermato non esserci più, la classe. Ci sarebbe rimasta solo la lotta!
Un modo di sparigliare le carte, forse. Perché se "la lotta" rimane, anche senza "Classe", allora tocca continuare a lottare!
E, magari, lottare continua ad avere a che fare, adesso più che mai, con lo sparare sugli orologi.
Certo, oggi, molto più di allora, sono davvero tanti gli orologi. Troppi, sono dappertutto!
E sono perfettamente in grado di riprodursi, di fabbricarsi da soli, proprio come in un romanzo di fantascienza. Anche dentro la nostra testa.

venerdì 16 marzo 2007

un chiaroveggente ... irregolare



Jan Waclaw Makhaïski. Rivoluzionario polacco (1866-1926), Makhaïski, sulla base di una lunga frequentazione dei bagni penali zaristi, e degli ambienti rivoluzionari russi, pervenne ad una conclusione estrema: il socialismo non è altro che l'ideologia degli intellettuali, che questi ultimi fanno valere nei confronti degli operai al fine di imporsi come nuova classe dominante.
Mal conosciuto e poco commentato, per Makhaïski, la storia sarebbe una lotta permanente degli operai per continuare la battaglia rivoluzionaria, non per abbattere lo stato ma per fare pressione al fine di ottenere migliori condizioni di vita.
La crescita della società capitalista è impensabile senza la crescita della società colta e dell'intellighenzia, l'esercito dei lavoratori intellettuali. Anche coloro i quali hanno interesse a considerare tale classe come non-possidente - come un proletariato "istruito" - non possono negare che l'intellighenzia assomiglia, per il suo tenore di vita, alla borghesia.
Makhaïski denuncia così il carattere mistificatorio di un socialismo "legale", che riproduce gli schemi dell'ordine sociale esistente. Liquidato come "anarchico" dai comunisti, e considerato un adepto del marxismo dagli anarchici, Makhaïski, operaista ante-litteram, ha denunciato tutte le "deviazioni", a cominciare da quelle di Marx, che accusa di privilegiare il lavoro complesso, a scapito del lavoro semplice, e di essere il profeta di una nuova classe dominante.

Nel 1899, comincia a studiare il marxismo ed il socialismo sotto tutte le loro forme. Utilizza allora come riferimento storico le giornate di giugno 1848, quando la Repubblica democratica fece bersagliare il fior fiore del proletariato parigino, per dimostrare che i proletari avevano assai più nemici di quelli che il Manifesto comunista di Karl Marx aveva conteggiato. Questi nemici non sono solamente i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione, ma anche tutta una frazione della borghesia, sedicente democratica, acquistata in apparenza alla causa operaia, ma che difende in realtà degli interessi economici e storici molto distinti da quelli degli operai.
Questo componente "democratico" della borghesia corrisponde per Makhaïski ad un fenomeno socio-economico legato all'evoluzione industriale della società. Lo sviluppo formidabile della meccanizzazione provoca la nascita e lo sviluppo di un nuovo strato di lavoratori qualificati e competenti poi: tecnici, ingegneri, scientifici, gestori ed amministratori che, unendosi ai notabili già al posto di comando, avvocati, giornalisti, professori ed altre persone , controllano e gestiscono sempre la vita sociale ed economica, senza però disporre delle leve di comando detenute dall'oligarchia industriale e finanziaria.
La posizione di questa nuova classe è vulnerabile. Sebbene partecipi ed approfitti dello sfruttamento capitalista resta alla mercé dell'arbitrarietà dei capitalisti; per cui tende ad avvicinarsi ai proletari e, allo stesso tempo, in apparenza, a difendere la loro causa. Ciò gli permette da un lato di svincolarsi dal ruolo che gioca nel loro sfruttamento, e dall'altra parte di vendere meglio i suoi servizi ai suoi datori di lavoro, pur coltivandoil progetto di sostituirsi a loro.
L'espressione politica di questa classe è, secondo Makhaïski, il socialismo che "nei suoi attacchi contro l'industria non tocca per niente lo stipendio del direttore e dell'ingegnere" e "considera inviolabili tutti i redditi dei colletti bianchi in quanto stipendi dei lavoratori intellettuali" Makhaïski ne deduce che «Il socialismo del XIX secolo non è, come affermano i suoi sostenitori, un attacco contro i fondamenti del regime dispotico, che esiste dai secoli in ogni società civilizzata sotto l'aspetto dello stato. E' l'attacco ad una sola forma di questo regime: la dominazione dei capitalisti. Anche in caso di vittoria, questo socialismo non eliminerebbe lo sfruttamento secolare, eliminerebbe soltanto la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione, della terra e delle fabbriche...»
Pertanto continua: "L'espropriazione della classe dei capitalisti non significa affatto l'espropriazione di tutta la società borghese." Con la soppressione dei capitalisti privati, la classe operaia moderna - gli schiavi contemporanei - non cesserà di essere condannata ad un lavoro manuale per tutta la propria vita; di conseguenza, la plusvalenza nazionale creata da loro non scompare, ma passa nelle mani dello Stato democratico, come fondo di mantenimento per l'esistenza parassitaria di tutti gli sfruttatori, di tutta la società borghese. Quest'ultima, dopo la soppressione dei capitalisti, continua ad essere una classe dominante, come prima, quella dei dirigenti e governatori; resta la proprietaria del profitto nazionale che si distribuisce sotto la stessa forma: onorari dei lavoratori intellettuali; quindi grazie alla proprietà familiare ed al suo modo di vita, questo sistema si conserva e si riproduce di generazione in generazione."

giovedì 15 marzo 2007

mare e vento



C'è un faro, a fare da sfondo alla pagina di questo blog. Ce l'ho messo io, ovviamente, e se ce l'ho messo un motivo ci dovrà pur essere! Attiene al mio rapporto col mare. Il mare, da dove vengo e dove vado ogni volta che posso. Ci sono nato sul mare, nella vecchia Ortygia, in fondo a via della Maestranza, a pochi metri dal belvedere San Giacomo (anche se nessuno l'ha mai chiamato così: è sempre stata "facci e' rispirati", in omaggio a chi l'aveva fatta finita schiantandosi sugli scogli una decina di metri più sotto), alto sul mare. Col mare, e con suo fratello il vento, ho cominciato assai presto a giocarci, nei pomeriggi d'inverno quando lo jonio ruggiva fuori da quel porto che aveva visto, in altri tempi, la disfatta delle navi ateniesi e che, più tardi, aveva dovuto arrendersi al console Marcello. Le onde avevano gioco facile a spazzare la strada, dieci metri più in alto, infischiandosene dei frangi-flutti. E avevano buon gioco anche a sommergere d'acqua quattro ragazzetti che avevano la presunzione di voler cercare di prendersi gioco dell'unica cosa che, su questa terra, non invecchia mai. Il mare. E sul mare è facile incontrare e trovare fratelli che parlano, in qualche modo la tua stessa lingua. Anche su sponde lontane, come quelle di Camden, Maine. Dov'è nato Gordon Bok. Un uomo navigato, come si suol dire! E navigando ha imparato canzoni e ballate. Di mare. Barche, pesci e pescatori. E strane creature marine. Da tutti e due i lati dell'oceano. Nei suoi concerti, quando canta, racconta anche le origini, e il "contorno", delle storie che narra. Come in questa "Peter Kagan e il vento". Bella e perfetta, come una favola, come un film!
Sì, è facile incontrare fratelli sul mare, sui mari. Anche sulle sponde di un mare lontano. Un oceano. Ma il mare, per quanto lontano sia, è sempre uno stesso mare. E il mare non divide, lo sapevano bene i greci. Il mare unisce!



"Si dice che le sirene abbiano l'abilità di assumere forma umana. Il popolo delle sirene, sebbene ami vivere vicino al mare, non osa mai tornarci dentro, altrimenti riprenderebbe le sembianze originali, e perderebbe per sempre l'abilità di assumere di nuovo forma umana." ***

Peter Kagan ed il vento
di Gordon Bok (1977)

Peter Kagan era un uomo solitario, nel fiore dei suoi anni
Un giorno, stanco di vivere da solo, decise di andarsene,
lontano verso est. E quando ritornò aveva una moglie,
era strana, ma era gentile e piacque alla gente del luogo.
Era la donna giusta per Kagan. Gli teneva compagnia,
le stagioni passavano ed erano felici.

Kagan aveva una piccola barca, con una vela. Era solito
andare al largo, per tre, anche quattro, giorni per volta,
a pesca. Oh, allora sua moglie diventava triste. Non le
piaceva vederlo uscire in mare.
A volte andava in riva all'oceano e lo chiamava:

Kagan, Kagan, Kagan,
Riporta la barca a casa
Il vento e il mare ti inseguono
E gli scogli ti stanno chiamando.

Lui aveva detto che avrebbe potuto sentirla chiamare da venti miglia,
e quando l'avesse udita, sarebbe tornato a casa, anche a mani vuote.

Lei era senza dubbio una sirena, tutti lo sapevano. Anche Kagan.
Lui lo sapeva, anche se nessuno glielo aveva mai detto.

Poi, un giorno, era autunno, Kagan disse: "Ora devo andare
Vado al largo a pescare." Ma sua moglie rispose,
"No, ti prego, non andare!" E cominciò a piangere.
"Sta per alzarsi vento forte, e nevicherà."

Kagan, Kagan, Kagan,
Non uscire in mare
Verrà una tempesta, e anche la neve
E io ho paura per te.

Ma Kagan non aveva paura della neve, che sarebbe stata precoce quest'anno.
Così si mise ai remi e uscì in mare aperto. Kagan navigò in mezzo agli scogli.
Il vento soffiò da ovest per tutto il giorno e il pesce fu abbondante.
Kagan leggeva nell'acqua e nel cielo.
Vide che la foschia era molto alta sopra le nuvole e disse,
"Va tutto bene, per essere autunno -
è solo il vento che cambia. Non ho paura del vento."

Ma Kagan aveva letto male, questa volta.
Il vento calò, e poi si alzò di nuovo, da Sud-Ovest.
E la nebbia lo avvolse.

Kagan disse, "Sarà bene andare, ora.
Cercherò la boa che segnala le secche,
e da lì troverò la strada migliore per tornare a casa."
Perciò Kagan alzò la vela e si diresse verso Nord, in cerca della boa.

Ma il vento lo stava osservando.

Il vento girò ancora e si mise a soffiare da Est, contro di lui.
Navigò per un tempo che gli parve senza fine, la vela tesa.
Alla fine il vento fu talmente forte che strappò la vela,
e Kagan la tirò giù, e la barca cominciò ad andare alla deriva.

Pensò che poteva riuscire a trovare la boa.
Non doveva essere troppo lontana.

Kagan, Kagan, Kagan,
Riporta la barca a casa
Il vento e il mare ti inseguono
E gli scogli ti stanno chiamando.

Ma la barca andava alla deriva,e la boa si allontanò.
Kagan disse: "Bene, allora."
E si mise ai remi e cominciò a remare in direzione della boa.

Ma il vento lo stava osservando.
E ricominciò a soffiare da Nord-Ovest , facendo ribollire l'acqua.
E sembrava dicesse: "Ascolta! Ho qualcosa da raccontarti."

Kagan continuava a remare, "Non voglio starti a sentire."

Il vento allora si impennò,
e remare, per Kagan, divenne sempre più difficile.
Alla fine le onde erano così alte che Kagan
si rese conto che non stava andando da nessuna parte.
Cosicché tirò su i remi e, di nuovo, la barcò andò alla deriva...

Kagan disse, "Bene, allora. Adesso ho qualcosa da mostrarti."
Tirò fuori un ago di legno , ci infilò un filo
e cucì una vela più piccola -- facendo un rammendo.

Il vento disse, "Cosa stai facendo?"

Kagan rispose, "Tu continua a guardare."

Così Kagan tirò di nuovo su una vela
e si diresse ancora a Nord, in cerca della boa.

Ma il vento lo stava osservando.

Il vento si mise a soffiare da Nord-Nord-Est.
Kagan non poteva più mantenere la sua rotta.
Kagan disse, "Bene." Cambiò rotta.
Ora si dirigeva verso Est.

"Stai andando verso il mare aperto."

"Non ho paura dell'acqua.
Riporterò indietro la barca quando saprò come arrivare alla boa."

"Ti farò girare in tondo; soffierò da Est."

"Tu fallo e io riprenderò la rotta."

"Ti rimanderò indietro."

"Tu soffia troppo forte e farai tornare il bel tempo.
Lo sai. Sono in vantaggio su di te."

"Tu puoi essere più furbo, ma io sono più forte."
Il vento cominciò a crescere e a soffiare più forte.
Alla fine il vento fu così violento che la Vela disse,
"Non posso farcela, Kagan!" E Kagan rispose, "Lo so. Grazie."

Così Kagan tolse di nuovo la vela, e la barca andò alla deriva.

Kagan levò la vela dal pennone e se la mise addosso.
"Vela, tienimi caldo!"

"La vela non può scaldarti."

Il vento scartò a Nord, da Est. "Io ti congelerò."

"Non mi fa paura il freddo!"

Ma Kagan aveva paura. Non sapeva cosa fare.
E il vento stava lavorando duro, adesso.
Portò ghiaccio e neve.
Il vento soffiava, teso e scuro.

Kagan disse, "Sto morendo, Vela, scaldami!"
e la vela rispose, "non posso farlo Kagan."

Kagan moriva, e il vento soffiava.

Kagan, Kagan, Kagan,
torna adesso da me.
Gira le spalle al vento
E a tutti i mari ventosi

Kagan, Kagan, Kagan,
sdraiati e dormi
Perché io verrò a darti sollievo
e proteggerò il tuo amato corpo.

Ora Kagan giace sul fondo della barca, e cerca di non aver paura della morte, e sogna di lei, sua moglie. Sogna che sta venendo da lui, e sente il suo richiamo lontano, e si alza, e la vede. Attraverso il mare nebbioso in tempesta. Scavalca il parapetto della barca. Ridendo fra le sue braccia.
E mentre tutti erano addormentati in quella notte di tempesta, il vento cessò, e la tempesta cessò, e al mattino lo trovarono ...
...addormentato, coperto dalla vela. E c'era un sirena, stesa accanto a lui, abbracciata sopra di lui, avvolta a lui come una coperta, e sulla schiena della sirena c'era la neve.

Kagan, Kagan, Kagan,
Riporta la barca a casa
Il vento e il mare ti inseguono
E gli scogli ti stanno chiamando.

*** Sul popolo delle "Sirene" (in originale "Seals", che si potrebbe tradurre, più o meno, con "Foche") di cui parla Bok, che si differenzia dalle "nostre" Sirene, credo che sia imperdibile il film, bello e struggente, di John Sayles, "Il Segreto dell'Isola di Roan".

mercoledì 14 marzo 2007

soldati di fortuna



Un vero e proprio capolavoro, "Mercenary Song" di Steve Earle, contenuta nell'album "Train A Comin'". Un country boogie pieno di foga segna il ritmo di una storia tagliata col coltello, a raccontare di un tempo in cui perfino le vite dei soldati di fortuna (suona meglio che "mercenario", in questa canzone) cercavano un senso, fra la vita e la morte.
Come se tutto fosse...questione di vita o di morte. E il compenso in oro, sventolato come una bandiera, serve solo a coprire un segreto. A mantenere il segreto. Il bisogno di avere qualcosa per cui battersi. Quello che si sa fare meglio. Quello in cui si riesce a dare il meglio.
C'è un bel libro di James Lee Burke, "Two for Texas". Ne è stato tratto, anche, un buon film per la tv, "La libertà è in Texas" con Kris Kristofferson e Peter Coyote. Racconta la storia di due detenuti che evadono da un penitenziario in Louisiana, "fra paludi e zanzare". E' il 1836. L'anno della dichiarazione di indipendenza del Texas, e del massacro di Alamo. I due troveranno la loro causa, insieme alla libertà, e si uniranno al generale Sam Houston.
Alamo, Pancho Villa, o forse la guerra civile spagnola. Chissà.
Purché sia una causa. Una buona causa.


Canzone del Mercenario
di Steve Earle

Billy ed io veniamo entrambi dalla Georgia
Abbiamo incontrato Hank da qualche parte in Nuovo Messico
Siamo diretti a Durango, per unirci alle truppe di Pancho Villa
Abbiamo sentito dire che lui paga in oro
E sono convinto che un uomo deve fare quel che sa fare meglio
E finora non ho trovato niente di meglio da fare
Ci chiamano mercenari, ci chiamano senza-patria
Siamo solo soldati in cerca di una guerra

CORO:
Ci stiamo dirigendo verso il confine
Siamo soldati di fortuna
Non combattiamo per nessuna patria, ma moriamo per una buona paga
Sotto la bandiera verde del dollaro
O per i pesos, laggiù in Messico

Quando questa guerra sarà finita può darsi che torni in Georgia
E mi sistemi da qualche parte
Ma assai più probabilmente farò i bagagli e me ne andrò in Cile
Ho sentito dire che c'è un po' di rivoluzione anche laggiù.

lunedì 12 marzo 2007

prevedibilità

"Mi viene in mente un personaggio di un romanzo di John Barth. Aveva giurato di essere sempre imprevedibile nel proprio comportamento. Poi si rende conto di un paradosso: l'imprevedibilità totale è uno schema prevedibile! Quindi decide di violare la regola dell'imprevedibilità in una sola categoria: ciò che mangia a colazione. Mangerà tutti i giorni la stessa cosa. In questo modo, quel bruscolo di prevedibilità, nel suo mare di imprevedibilità, impedirà alla casualità del suo stile di vita di essere prevedibilmente imprevedibile."

Paul Di Filippo

venerdì 9 marzo 2007

un'altra ballata di morte



Il cantautore John Perrault sentì per la prima volta la storia di Louis Wagner e degli omicidi di Smuttynose, nei primi anni settanta, da Rosamond, nipote di Celia Thaxter. La "Ballata di Louis Wagner" apparve per la prima volta nel 1981 sul disco di Perrault, "New Hampshire".

Ballata di Louis Wagner
di John Perrault

La nebbia penetra le finestre, si allunga sotto i lampioni
Si affaccia agli usci, allacciata stretta alll'umidità
Scivola dentro le case, le stanze, i letti pieni di sonno e di sogni
Rotola loro sopra, portandoli fuori, nelle strade che avvolge come in un lenzuolo.

Sognatori, ascoltate il fiume mentre strofina i moli
Cammineremo nella solitudine fumosa di Ceres Street
Qualcuno ci aspetta nel luogo dove i criminali sono segregati
Il suo nome è Louis Wagner e sta aspetttando lì, stanotte.

Laggiù dove ci sono i magazzini, un'ombra come una macchia
Un uomo, e intorno al suo collo, guarda! Una catena d'argento.
Ci sta indicando e ci rivolge una risata
Shh.., sta per parlare, Dio, guarda i suoi occhi.

"In una notte così, proprio come questa, in un freddo Marzo
John Hontvet e Ivan Christensen erano venuti qui dalle secche
per vendere quel che avevano pescato e comprarsi un po' di esca e fare un po' di soldi
Oh quei pazzi avevano lasciato le loro mogli da sole, sulle isole.

E volevano che mi unissi a loro per andare a pescare a strascico
Ma io avevo in mente l'argento luccicante cui avevano accennato
la scorsa estate quando ero ospite di Ivan a Smuttynose
Allora lo avevo sentito sussurrare alla moglie di nascondere l'argento nel baule.

Perciò li lasciai nel pub, e preso da un impulso
afferrai l'ascia, spinsi in acqua la mia barca e mi misi a remare
Remai nella notte per dodici miglia di mare
Dodici miglia per andare e dodici per tornare, mi sembrò un'eternità.

Vidi gli alberi dell'isola di Gerrish spuntare dalla costa
Le onde si gonfiavano sotto di me ed io remavo come se stessi scavando
Una falce di luna tagliò il cielo alle mie spalle, da est
Più fredda della lama dell'ascia che giaceva ai miei piedi.

Le tenebre oscuravano Appledore, le tenebre oscuravano Star
Tenebre sopra Smuttynose, che facevano martellare il cuore
E quelle donne laggiù stavano aspettando. Anethe, Anethe e Marie
E Karen, la sorella di Ivan, che mi piaceva tanto.

L'isola di Lunging alla mia sinistra, e Malagar alla mia destra
L'isola di Smuttynose giaceva morta davanti a me, ne cominciavo a vedere le luci
E il ritmo del mio remare si faceva ora più veloce
A poppa gli scogli semisommersi e a prua la morte."

RITORNELLO:
Louis, Louis Wagner, che remi nella notte
Louis, Louis Wagner, il capestro ti terrà stretto
Una catena d'argento attorno al collo, argento nei tuoi occhi
Argento nella tua anima di Giuda, che non morirà mai.

"Bene, il vento che ora mi sferzava da ovest non avrebbe addomesticato le onde
L'oceano che si levava ruggendo non avrebbe cambiato le mie intenzioni
Questa barca avrà il suo porto, questo mare avrà la sua tempesta
Queste mani avranno il loro argento, e il diavolo avrà il suo sangue.

Un lume alla finestra, un segnale attraverso il gelo
Un approdo sicuro dove riposare, un rifugio sicuro per la notte
Sollievo per il marinaio che ha fatto naufragio
Terrore per quelle persone perbene di cui un tempo ero amico.

Stavo entrando nella baia di Haley e non c'era un'anima in vista
Prendo la mia ascia e mi arrampico sugli scogli
La neve mi succhia gli stivali e il ghiaccio mi morde le mani
Ma il sangue bolle nelle mie vene; il sangue, capisci?

Irrompo nella villetta, facendo roteare selvaggiamente la mia ascia
Anethe si sveglia di soprassalto e i suoi occhi sono quelli di un bambino
Urla 'Dio, John, Dio!" correndo via dalla stanza
L'afferro sull'uscio, l'ascia balugina alla luce della luna.

Il fuoco nel mio cervello, esplode attraverso i miei occhi
Anethe giace sul pavimento e Karen sta urlando: 'perché?'
L'ascia, il sangue, il cielo, la luna, il martellare del mare
l'urlo folle del vento, nel vento o dentro di me?"

RITORNELLO:
Louis, Louis Wagner, che remi nella notte
Louis, Louis Wagner, il capestro ti terrà stretto
Una catena d'argento attorno al collo, argento nei tuoi occhi
Argento nella tua anima di Giuda, che non morirà mai.

"Anethe, Anethe Christensen, i suoi incantevoli capelli d'oro
Tutti sporchi di sangue, tutto spruzzato col sangue oh dio, era dovunque
E Karen, la dolce Karen, voleva solo essere mia amica
Mi aveva curato quando stavo male, il suo sangue su queste mie mani.

Marie, Marie, lei andò via, corse a piedi nudi nella neve
Seguii le sue tracce per gli scogli scoscesi ma la luna cominciava a tramontare
Non riuscii a trovarla e tornai indietro da dove ero venuto
Ma nel baule trovai solo questa catena d'argento.

Oh questo gelido pezzo d'argento, e non c'era nient'altro
Scagliai il baule contro la parete e feci a pezzi la porta della camera da letto
strappai a brandelli le lenzuola ancora calde, frugai in ogni dove
Maledii l'intero universo e poi maledii me stesso.

Incespicai fino alla barca e vi gettai dentro l'ascia
Spinsi la barca lontano dalla riva, combattendo contro il tempo e il vento
Un'alba rossa stava insanguinando il cielo quando arrivai remando alla riva
Mi lasciai cadere sulla spiaggia e afferrai fra le mani la mia testa e piansi.

Scappai a Boston, ma niente fu più come prima
ed ogni donna che incontravo sussurrava i loro nomi
Anethe, Anethe e Karen, erano sempre con me, per tutto il tempo
E così mi catturarono a Kittery, dove ho avuto il mio processo.

Il giudice fumava sullo scranno e la giuria era di dodici persone
Mille occhi dentro quella stanza hanno condannato la mia anima all'inferno
Ero seduto sl banco degli imputati, Maria stava in piedi
E proprio dietro di me, non potevo vederli, gli occhi di John e Ivan.

Il giudice guardò verso la porta, e la giuria uscì
E in quell'aula rotolò il silenzio, come fosse nebbia sul molo
E il giudice picchiò il suo martello e la giuria prese posto
E il capo della giuria si alzò, si rivolse a me e disse: 'colpevole di omicidio di primo grado!'

Oh il sole non era ancora sorto, la luna era ancora in cielo
Mi portarono via dalla prigione mentre avevo ancora gli occhi pieni di sonno
E il chiardiluna sul patibolo faceva risplendere il cappio come una catena d'argento
Quando caddi sentii Karen supplicare: "Louis vuoi essere mio amico?"

RITORNELLO:
Louis, Louis Wagner, che remi nella notte
Louis, Louis Wagner, il capestro ti terrà stretto
Una catena d'argento attorno al collo, argento nei tuoi occhi
Argento nella tua anima di Giuda, che non morirà mai.

La domanda di Karen non ebbe risposta, perché il vento cominciò a soffiare
E la nebbia sta rotolando sul fiume, guarda il crescere della marea
Ed ora una luna, una falce, sta sorgendo al largo
E sopra il suono dei rimorchiatori, puoi sentire i remi che si immergono.

Sognatore -- a Marzo nel porto di Portsmouth, quando la notte indossa la sua maschera
E la nebbia si aggira furtiva per le strade bagnate puoi sentire una strana risata
Puoi sentire un dito insanguinato conficcarsi nella tua anima
Perché Louis Wagner sta per rivivere quel che è accaduto sulle isole della secca.

giovedì 8 marzo 2007

Il gatto Buddy viaggia ancora



"Hoover era uno stronzo, un pagliaccio come quelli che stanno in questo momento al governo da noi. Un vigliacco ed un infingardo. Una persona bieca che cercava di rovinare gli altri per il gusto di rovinarli. Lui è sempre stato contrario ai movimenti popolari, ma non voleva neppure le canzoni. Ha cercato di rovinare Pete Seeger e Woody Guthrie, si è accanito dove poteva e con ogni mezzo. Contro Seeger ha fatto tutto e di più, ha cercato di processarlo, di impedirgli di cantare, e solo perché lui cercava di portare in giro il suo messaggio. Non faceva altro che cantare e dire quello che pensava. Gente come Hoover è la rovina della società, d'altronde basta guardarsi intorno adesso per capire dove stiamo andando. Hoover era contrario al fatto che la gente si unisse, che avesse un'idea comune, che cercasse di rivendicare i propri diritti. La storia del disco è questa: Buddy ed i suoi amici si uniscono perché hanno uno scopo comune, si uniscono ai lavoratori, fanno sciopero, vengono messi in prigione. Questo disco è anche per i bambini, perché imparino un po' di storia, attraverso la musica, perché si rendano conto di cosa era l'America e di cosa è adesso, perché capiscano che oggi non è molto diverso da ieri. Io spero che imparino qualche cosa, non so se ci sono riuscito o meno, ma questa era la mia idea di partenza. Ho usato gli animali perché come personaggi sono perfetti per una storia: parlano poco, hanno molta forza di comunicazione, sono diretti e poco complicati."

Ry Cooder

nota: J: Edgar Hoover è stato il direttore dell'FBI dalla fine degli anni venti sino all'inizio dei settanta.

mercoledì 7 marzo 2007

Eric ... gone Barbados



Eric Von Schmidt se n'è andato. E' morto, a 75 anni, nella sua casa in Connecticut, il 5 febbraio scorso. Grande protagonista della rinascita del folk, all'inizio degli anni sessanta, fu ispiratore, fra gli altri, di Joan Baez, Tom Rush, Jack Elliott e Bob Dylan. Quest'ultimo, che di Eric interpretò nel suo primo album "Baby let me follow you down", mise nella copertina di "Bringing it all back home" del 1965, tra i vari dischi che appaiono intorno a Dylan, "The folk blues of Eric Von Schmidt".
Nelle note introduttive dell'album "2nd Right 3rd Row" di Eric Von Schmidt, del 1972, Dylan scrive:

SECONDO A DESTRA TERZA FILA
di Bob Dylan

Eric Von Schmidt Naturalmente, abbiamo sentito parlare di Eric Von Schmidt per molti anni. Il nome stesso è diventato una parola d'ordine. Finalmente, dopo essere rimasto in piedi in fila per incontrarlo, eccolo lì -- l'ingresso della sua porta, un giorno di pioggia, e lui saluta i suoi visitatori invitandoli ad entrare. Gli avevano detto quanto essi amassero Grizzly Bear e allora Eric invitò tutto il gruppo al club, dove stava per esibirsi e cantarla dal vivo. "Venite con me al club", disse - "La canterò dal vivo". Accettammo l'invito. Ed ecco quel che il suo disco è. Un invito. Un invito alla contentezza, insensatezza, tristezza, al pungente, eccitante, terrorizzante, sgarbato, allietato, illuminato, coinvolgente, sconvolgente mondo di Eric Von Schmidt. Perchè egli è un uomo che può cantare dal filo l'uccellino e l'uomo ed il bambino. Che può separare la gomma dalla ruota e il rumore dalla nota. La briglia dalla sella e la mucca dalla vitella. Può suonare della luna luminosa la canzone melodiosa. Al cielo togliere il velo e dal mare l'agitare. Lo può.

Bob Dylan



Joshua è andato alle Barbados
di Eric Von schmidt

La canna da zucchero rimane nei campi a seccare
A Georgetown c'è tanta miseria da farti desiderare la morte
Joshua ha detto al capo del governo che ci sarà uno sciopero per ottenere paghe migliori
I tagliatori di canna sono scesi in sciopero ma Joshua è andato via
Joshua se n'è andato alle Barbados in un grande albergo
La gente di St.Vincent ha molte storie tristi da raccontare
I padroni delle raffinerie hanno detto agli scioperanti che non hanno bisogno di loro per tagliare la canna
Portatemi un carico di braccianti e il vostro sciopero sarà stato invano
Prendete un bel po' di tipi forti, prendeteli a Zion Hill
Portateli con un autobus a Georgetown, qualcuno potrebbe cercare di ucciderli
Sunny Child, il caposquadra, è un gran pezzo di ignorante
cammina per i campi di canna da zucchero impugnando la pistola
Joshua se n'è andato alle Barbados perché non sa che la gente sull'isola non ha un posto dove andare
La polizia da' protezione ai nuovi braccianti venuti a tagliare la canna
Gli scioperanti non possono fare niente e lo sciopero sarà stato del tutto invano
Sunny Child impreca contro gli scioperanti agitando la sua pistola
E loro aggrediscono Sunny, coi machete, e lo sbattono per terra
C'è un bel po' di miseria a Georgetown, puoi sentire i pianti delle donne
Joshua se n'è andato alle Barbados, lui se ne frega di tutto questo
La canna da zucchero rimane nei campi a seccare
Sunny Child è all'ospedale, la pistola sul suo letto
Mi piacerebbe andarmene a Trinidad o a Curacao
La gente sull'isola non ha un posto dove andare
Joshua se n'è andato alle Barbados in un grande albergo
La gente di St.Vincent ha molte storie tristi da raccontare

martedì 6 marzo 2007

autonomi



E' uscito, per i tipi di DeriveApprodi, a cura di Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti, il primo volume sull'area dell'autonomia degli anni settanta.

"«Estremisti», «violenti», «provocatori», «mestatori», «prevaricatori», «squadristi», «diciannovisti», «fiancheggiatori», «terroristi». Questi sono solo alcuni degli epiteti coniati nel corso degli anni Settanta da illustri opinionisti, intellettuali, dirigenti di partito e di sindacato per definire gli autonomi, una variegata area di rivoluzionari attivi in quegli anni nel nostro paese.
Il giorno 7 aprile 1979 un’imponente iniziativa giudiziaria imputò a decine di dirigenti e militanti autonomi di essere a capo di tutte le organizzazioni armate attive in Italia e il cervello organizzativo di «un progetto di insurrezione armata contro i poteri dello Stato». L’accusa, dimostratasi col tempo del tutto infondata, fece da iniziale supporto a ulteriori arresti di massa, detenzioni preventive nei carceri speciali, processi durati anni e condanne a lunghe pene."

Questo l'indice del libro, che si avvale di due introduzioni da parte dei curatori (qui quella di Lanfranco Caminiti, dal titolo "il fattore A" ).

Indice:

- L’ultima rivoluzione (con appunti per la prossima) di Pino Tripodi

- Operai contro la metropoli di Guido Borio

- Percorsi di autonomia nella Valle di Susa di Marco Scavino

- L’autonomia a Genova di Giorgio Moroni

- Ma l’amor mio non muore di Primo Moroni

- L’Autonomia a Milano di Giovanni Giovannelli

- «Il comunismo è giovane e nuovo». Rosso e l’Autonomia operaia milanese di Chicco Funaro

- L’assalto alla casa dei padroni di Paolo Pozzi

- Ti devo dire una cosa importante molto importante importantissima di Sergio Bianchi

- La mia libertà di Maria Rosa Belloli

- L’Assemblea autonoma di Porto Marghera di Gianni Sbrogiò

- Fuochi di Autonomia a nordest. I Collettivi politici veneti per il potere operaio di Marcello Tarì

- Ci chiamavano «i soliti autonomi» di Valerio Monteventi

- La specificità desiderante nel movimento dell’autonomia di Franco Berardi (Bifo)

- Leggermente ribelli di Franco Berardi (Bifo)

- La rapa di Valerio Guizzardi

- Siamo gli autonomi, siamo i più duri... di Valerio Evangelisti

- Autonomi a Firenze di Massimo Cervelli e Bruno Paladini

- Comitati autonomi operai di via dei Volsci di Vincenzo Miliucci, Sirio Paccino, Daniele Pifano

- 12 marzo di Davide Germani

- Il treno di Napoli di Raffaele Paura

- Collisioni di Chiara Vozza

- I lucani erano i più dinamici di Daniele Adamo e Antimo De Santis

- Bari: laboratorio meridionale del centro di una periferia di Nicola Latorre

- Mo’ basta! di Francesco Cirillo

- Dilettanti di Lanfranco Caminiti

- Il movimento autonomo palermitano. Ovvero la rivolta sociale giovanile di Antonio Casano

lunedì 5 marzo 2007

Passanante e il succo di arancia rossa



Vecchioni ce l'ha sempre un po' avuta con quelli che "tu che sei tanto bravo, che alzi il pugno e fai l'anarchico". L'ha voluta rifilare perfino a De André, a suo dire, la stilettata: in "le belle compagnie" interroga lo specchio circa chi sia il più anarchico del reame. Non so se avesse ragione o meno, Vecchioni, ma mi sono tornate in mente le sue due canzoni quando mi sono soffermato a leggere, sabato sul Manifesto, il diario "sanremese" di Andrea Satta (dei Tetes de Bois). L'ho letto lamentarsi, "guccinescamente", del fatto che "gli anarchici li han sempre bastonati". E magari era un'assunzione di responsabilità la loro, condannati in partenza a non vincere un festival cui hanno partecipato. Poi, però, mi sono subito ricordato che questi stessi anarchici, ogni domenica, fanno da supporter musicali ad una certa trasmissione televisiva su La7 che si chiama "Niente di Personale" e che è condotta da un certo Antonello Piroso. Di Antonello Piroso, riesco a dire solo una cosa che mi ha colpito, e che ho visto durante una puntata della sua trasmissione in cui aveva invitato Toni Negri, in video da Parigi. Dopo che il suddetto Peroso aveva ascoltato, senza capirci una sega, alcuni concetti esposti a proposito del diritto e della sua genesi, e subito aveva intravvisto una qualche violenta pericolosità sovversiva, non aveva trovato di meglio da fare che ergersi in tutto il suo maschio coraggio e sfidare Negri ad una trasmissione/contraddittorio. L'aspetto con ansia una simile trasmissione! Ecco, i Tetes de Bois tutte le domeniche vanno da quell'individuo e gli forniscono le loro belle cover/marchette a base di quello che il giornalista richiede. Chessoio, la cura di Battiato! Essì, gli anarchici ...
Ma in fondo credo che debba essere proprio così. Fra nani e ballerine. Sanremo e Piroso. I matti al posto dei poliziotti di "minchia, signor tenente", il generale Dalla Chiesa santificato nella stessa canzone insieme a Peppino Impastato! E Pippo Baudo? Cazzo, Pippo Baudo è il prossimo candidato della sinistra a premier! Non lo sapevate? Andate a leggervi Norma Rangeri, e se non ne convenite siete dei vecchi struzzi malati di conformismo! E' così. Lo dice anche la Rossanda, la ragazza del secolo scorso! Se canti devi andare a Sanremo, così come se vuoi fare politica devi andare in parlamento. Se non sei solo uno struzzo, anzi un pazzo. Così finisci in una brutta canzone. E a Sanremo (o in parlamento, tanto è la stessa cosa) ti ci portano lo stesso, tuo malgrado, con la camicia di forza!

O Sergio, non ho tempo di scriverti ...



Leggo sul newsgroup ifmg, che continuo a frequentare, un post di Sergio Gayol da Oviedo, Asturie, il quale mi "avverte", letteralmente, di aver "linkato", e "recensito", questo mio blog. Lo ha fatto sul suo blog. Titiritero de palabras. Non nego affatto di esserne compiaciuto e lusingato, ma mi sento anche spinto a fare qualche considerazione su come, in questi anni (oramai sono otto e più) l'utilizzo e il rapportarsi con, e per mezzo di, questa strana cosa che chiamiamo "Internet" abbia seguito un tracciato per molti versi assai simile ai tracciati che altri mezzi di comunicazione hanno segnato. Come la televisione, che ben presto avrebbe perso il suo "carattere sociale", dopo un periodo che risaliva ai suoi albori, almeno in Italia, in cui serviva da collante sociale (le persone si riunivano, al bar o a casa del parente, o dell'amico, che poteva permettersi l'acquisto di un apparecchio televisivo). Così, diversamente e similmente, sulla rete, si è passato da utilizzo di newsgroup, mailing list e chatroom, visti e vissuti quasi come una piazza, alla creazione di questi spazi che chiamiamo "blog" dove lo "spendersi" forse riesce ad acquistare un maggior senso. Forse.
Se si ritiene di avere qualcosa da dire, da condividere, perché mai andare a dirlo in luoghi affollati e potenzialmente rissosi? Meglio andarlo a scrivere su un posto proprio, di cui si possa avere il controllo. Niente "trolls" e niente "flames"!
Però così abbiamo perso qualcosa, o forse siamo solo invecchiati. E non andiamo più nelle piazze, restiamo a casa la sera!

venerdì 2 marzo 2007

Marcella, au revoire!



World without end. Mondo senza fine. Un disco come una ... seduta spiritica. E ad ogni canzone arriva un fantasma. Di modo che, così, ogni canzone comincia a gocciolare sangue. I fantasmi si dispongono a raccontare, ciascuno la propria storia. A cominciare fin dal titolo che reca il nome dell'assassino, o dell'assassinato, e la data del misfatto.
Certo non sono mai mancate le "murder ballads" nella produzione americana, ma questa volta le canzoni sono tutte nuove. Scritte, composte ed eseguite da un duo inedito. Bob Frank, 62 anni da Memphis, e John Murry, 27 anni da Tupelo. Hanno frugato gli angoli più bui e più nascosti della storia americana per mettere insieme questi dieci "pezzi" di omicidi, suicidi e morte. Storie, per lo più, da tempo dimenticate. Dall'assassinio della sedicenne Madeline, uccisa e murata nel camino di una taverna, fino al racconto della macabra eredità di Joaquin Murietta, il Robin Hood messicano. Il disco, uscito appropriatamente, il giorno dei morti dello scorso anno, è uno spiraglio aperto nell'armadio pieno di scheletri del nuovo mondo. Una lezione di storia dell'America violenta, dove a volte si intravvede pentimento e a volte tracotanza. C'è il dettato della vendetta: "se fai del male alla mia famiglia, non solo ti darò la caccia, ma dopo averti ucciso farò strame del tuo corpo!", e c'è il dettato passionale: "se mi togli l'amore di mio marito, verrai murata nella canna fumaria del camino, con un coltello dal manico ingioiellato piantato nel petto!".
La tradizione orale americana guarda, e ha sempre guardato, ammirata ai criminali, così sta dalla parte del fuorilegge impenitente che si suicida, di modo che lo sceriffo non possa vantarsi di averlo ucciso. E applaude al condannato che dice: "apri la botola. Non ho niente da dire!".
In "Bubba Rose", la più dolce delle dieci canzoni, Bubba, un lavoratore portuale, una mattina si alza, va a lavorare e spara al suo capo. E il coro dichiara: "Nessuno sa perché Bubba Rose abbia sparato al suo capo". Ma tutti sanno perché ha sparato al capo. Lo ha fatto semplicemente perché tutti vorrebbero sparare al proprio capo!
Ogni canzone sembra che voglia ricordarci come, in ogni momento, potremmo uccidere. Per amore o per animosità, o per un qualche affronto subìto. E i fantasmi di "world without end" vengono a metterci in guardia, contro noi stessi. Il passato viene a metterci in guardia per il futuro. Lo fa con con chitarre, banjo e lap steel. A volte si aggiungono piano ed organo. E, perfino, glockenspiel (una sorta di xilofono) e accordion. Come nella "ghost track" (per l'appunto) che raggiunge il tono più alto, su un tessuto musicale che è quasi un gospel nero, proprio perché riesce ad andare al fondo. All'anima più nascosta di ciascuno.

BOB FRANK & JOHN MURRY - World Without End

1. Little Wiley Harpe, 1803
2. Joaquin Murietta, 1853
3. Tupelo, Mississippi, 1936
4. Bubba Rose, 1961
5. Madeline, 1796
6. John Willis, 1804
7. Jesse Washington, 1916
8. Kid Curry, 1904
9. Boss Weatherford, 1933
10. Doc Cunningham, 1868

giovedì 1 marzo 2007

inediti



Celebrazioni! Anche se, a volte, il termine sembra - come dire - un po' sconveniente. Si celebrano i trent'anni del "1977", e ci sono i soliti che si scandalizzano perché qualcuno celebra (e qui ci sta, il celebrare!) la ricorrenza della cacciata di Lama dalla "Sapienza". Mentre, da un'altra parte, leggo che si stanno "celebrando" i venticinque anni dalla morte di Philip K. Dick!! E del resto non c'è di che stupirsene. In un'epoca in cui si applaudono i cadaveri ai funerali, strappando il commento di Montalbano che chiosa "e si vede che sono contenti, che il morto si sia levato dai cabasisi!", non c'è proprio di che stupirsene. Certo, però, che è un grosso sculo essere morti. Questi ti celebrano, ti fanno a pezzetti, per venderti meglio. E poi, trovano sempre qualche inedito! Ma dove cazzo li prendono tutti questi inediti? Secondo me, li carpiscono al defunto quando è ancora in vita. Avvantagiandosene. Ce la vedo Dori Ghezzi che rubava nastri e partiture, magari quando Fabrizio De André era un po' alticcio. Che non si sa mai, potranno far comodo un giorno! Oppure - come si chiama l'esecutore testamentario di Dick? Ah già! - Paul Williams che nottetempo andava a casa del suo protetto, magari quando era sotto l'effetto di una o due pasticche di troppo, e frugava nei cassetti alla ricerca di qualche vecchio manoscritto dimenticato, o messo via perché l'autore s'era reso conto di aver scritto un troiao. Ed ecco che, puff, come per incanto, appena arriva il giorno della "celebrazione", ecco che spuntano fuori. Manoscritti inediti, registrazioni di concerti, vecchie ballate incise su nastri a due piste. E sì, c'è proprio di che celebrare! Per qualcuno.