martedì 27 settembre 2016

Nessuna Pietà!

MICHELANGELO

Del dominio matriarcale
Il potere della Madre nel godimento della Pietà
- di Jean-Luc Debry-

«Non c'è forza ideologica controrivoluzionaria più grande del cristianesimo in tutte le sue forme, compreso l'Islam!»
- Guy Debord, Correspondance, volume 3, 1965-1968, p.40 -

L'impossibile rivolta contro la madre
La rivolta contro il Padre - la denuncia del suo potere - è diventata una sorta di luogo comune volgarizzato dalla psicoanalisi. Infatti, si assume che questa rivolta sia salvifica e necessaria allo sviluppo dell'individuo, e che sul piano storico essa partecipi di un movimento di liberazione che svolge un'evidente funzione di spingere un processo di decostruzione dell'ordine stabilito.
Come si sa, il patriarcato ha dato vita ad una modalità di potere in cui l'esercizio dell'autorità avviene in maniera brutale e violente. Esso giustifica il suo dominio nel nome della legge. La madre, al contrario, fonda il suo dominio sulla bontà materna amorevole e devota, e su un debito di vita che non può essere rimborsato sul piano simbolico. Ora, è curioso che il potere della Madre che opera in seno al potere politico del Padre, sia stato così poco studiato. Gli psicoanalisti lo sanno e lo dicono, questa dimensione non è senza importanza, tutt'altro. Assai spesso l'analizzato inciampa nella questione della madre, a volte per lunghi anni essa diventa il soggetto centrale dell'analisi. La Madre è al centro della nevrosi. È il luogo dove il potere resiste meglio al suo essere messo in discussione. È anche, e soprattutto, il luogo in cui l'intimità carnale fra il potere e la morte è, in maniera estremamente ipocrita, immediata e vivente. Non è perciò stravagante interrogarsi su questa struttura di dominio usando di una griglia in cui vengono messi il potere e la morte [*1] in quanto legati sul piano simbolico e reale. In quanto il potere della madre, mascherato e difficilmente denunciabile (enunciabile), trova la sua giustificazione nell'atto di donare la vita e, di conseguenza, quindi è in parte legato con la morte. Il debito che ogni essere vivente contrae con la madre non può essere rimborsato con una qualche dono che, per così dire, azzeri il conto. Nella simbologia cristiana, messa in scena nella sua propaganda iconografica, offrire alla madre il proprio corpo morto e permetterle di farne uso, dopo tanti sacrifici da lei fatti, è il mezzo per istituire il potere della Madre. Di modo che lei protegga il nuovo-nato, lo nutra, lo curi e lo educhi nel rispetto della sottomissione alla legge del Padre. La madre o l'impossibile potlatch! Così, il desiderio di emancipazione si trasforma in senso di colpa e rinchiude l'impulso alla vita nella sua prigione. Se liberarsi dal proprio padre è relativamente facile e comune, liberarsi dal potere della madre si rivela cosa notevolmente più complessa in quanto viziata da un sentimento colpevolizzante. Il cristianesimo in quanto ideologia della sottomissione ha utilizzato a tal proposito la figura della Vergine.

Da la Madre a La madre
La figura della Vergine, in tutte le sue forme, ha un posto particolare nell'iconografia cristiana. La natura ideologica della sua immagine e del suo culto merita di essere considerata con cura, in quanto, indubbiamente, la sua risonanza nell'inconscio occidentale è notevole. Dalla Vergine col Bambino alla Pietà è stata tessuta, nel quadro di una rappresentazione codificata e normalizzata, la trama di un discorso che parla del potere singolare della bontà come modalità di servitù volontaria, desiderabile e desiderata. Non si può ignorarne la natura simbolica è pertanto sottolinearne l'efficienza. Portare il corpo morto di chi era fuggito, il figlio, il corpo di chi è stato la causa della sua sottomissione ad un ordine di cose che è stato altro che quello del Padre, segna un ultimo passo verso la deificazione della Madre di Dio e rappresenta una sorta di vendetta che riecheggia nei ritratti dolciastri e ambigui delle giovani donne che appena raggiunta la pubertà vengono definitivamente recluse nel loro ruolo di madre. Dalla gravità ieratica della Vergine con il Bambino emerge una sorta di tristezza rassegnata della quale Giovanni Bellini (1430-1516), fra gli altri, ci ha trasmesso l'espressione tragica e delicata. Philippe Borgeaud [*2] sottolinea il fatto che «la Madre degli dei è anche la Madre degli uomini» e che lei sorveglia, protegge e rende permanente la legittimità del potere del Padre. Il suo culto, come spiega l'autore, trova le sue radici e trae la sua vitalità dai miti ancestrali. Ma la specificità della Madre di Dio risiede nella natura profondamente perversa del suo atteggiamento amorevole e protettivo visto insieme alla vendetta realizzata dal corpo del figlio morto, disteso sulle sue ginocchia, come viene rappresentato nelle Pietà. Il potere della Madre si appoggia su un'ideale di bontà che la mette al riparo dagli attacchi che ne potrebbero denunciare l'estrema perversità. Bisogna ricordare che, nel mito cristiano, il padre reale, Giuseppe, era un debole, un poveraccio [*3] sottomesso che lavorava come un matto (homo faber) e non aveva diritto a niente? In alcune rappresentazioni [*4], è buono soltanto a servire da leggio per gli angeli musicanti mentre Maria e Gesù dormono profondamente. Il Padre idealizzato è stato per Maria incestuoso. Non si tratta di una banale tragedia greca della quale Racine ai suoi tempi avrebbe fatto una bella storia di lotta fra il Desiderio ed il Potere. Ma si tratta piuttosto di un struttura ideologica che organizza il sociale da un punto di vista ideologica e, senza dubbio, penetra l'intimità del soggetto sottomesso al potere più banale della Madre nella banalità di una schema nevrotico esplicito. Lo spostamento della maiuscola non è una semplice pedanteria. Non sarà sfuggito al lettore che da la Madre a La madre, il cambiamento di registro sottolinea uno spostamento simbolico che, per riprendere la formula di Freud [*5], estratto «dall'inventario psichico di una civiltà», ci permette di mostrare come l'alienazione sociale avviene per mezzo di una sottomissione psicologica.

La bontà o il potere incontestabile della madre
Hannah Arendt sottolinea che il cristianesimo ha sostituito all'ideale della saggezza, presente nella dottrina di Socrate, un ideale di bontà [*6]. Così, forte di questo spostamento sentimentale, la comunità viene chiamata a regolare i suoi affari in termini di bontà. Questa dottrina ormai rinchiude la sfera pubblica dentro una relazione personale fra uomo e uomo [*7]. La politica viene ad essere basata su un'intimità ristretta, all'interno della quale prospera, sotto la copertura di una cultura dei buoni sentimenti, la cattiva coscienza del soggetto che blocca le relazioni di potere e di dipendenza in maniera stretta e inestricabile. Fumo nevrotico che verrà esplorato dagli psicoanalisti con la pertinenza che conosciamo. Questo ideale rinchiude il soggetto in un progetto politico e sociale che rafforza il principio di dominio basato sulla sottomissione ad un ordine di cose ormai impensabile (nel senso letterario del termine), un ordine dominato dall'emozione e di cui sarà la bontà la chiave di volta. Il potere è buono, protettivo e caritatevole, ed inscrive la sua legittimità in un livello di sentimentalismo che lo mette fuori portata dall'essere messo in discussione, salvo ovviamente dover assumere, per chi si arrischia a farlo in maniera impudente, una cattiva coscienza devastatrice. Il potere della Chiesa, sotto l'impulso dei suoi ideologhi, San Paolo e Sant'Agostino, si costruirà proprio sul principio di cattiva coscienza. Paradigma dalle molteplici declinazioni che essi stabiliranno come dogma. «Così la dottrina religiosa ci dice la verità storica, sebbene sotto una forma trasformata e mascherata» [*8], ci ricorda Sigmund Freud, riprendendo la questione sollevata da Nietschze a proposito dei misfatti del risentimento. Questa struttura della relazione con sé stessi e con il mondo verrà presentata per secoli dalla propaganda cristiana come il solo mezzo possibile per vivere in pace con sé stessi (quindi con l'ordine sociale dominante). Questa visione penetra nelle profondità delle coscienze e rende ogni desiderio di emancipazione un'apostasia, suscettibile di giustificare il rogo. Ma fortunatamente, il suo corollario, il pentimento - il perdono da parte di un potere intriso di un'inalterabile bontà strutturale - poteva sistemare le cose in una sorta di diluvio di lacrime e contrizioni. Lo spettacolo della penitenza individuale o collettiva ritualizza questo necessario ritorno all'ordine. Ognuno viene così rimesso al suo posto e il gioco può continuare, indefinitamente. Come effetto della bontà, il perdono e la redenzione articolano questo macchinario tutto sommato assai semplice, per non dire semplicistico, ma terribilmente efficace. Il potere ecclesiastico che controlla la continuità di un ordine sociale del quale, per bontà d'animo, aveva accettato il controllo, riesce a convivere le sue vittime che in fondo meritano la sorte cui erano state condannate per le loro irragionevoli ambizioni. In altre parole, l'ordine sociale confinato nella struttura ideologica del cristianesimo si fonda sull'impossibilità strutturale di sfuggire al senso di colpa, dal momento che colui che è vittima dei misfatti della bontà è anche quello che non sarà mai abbastanza riconoscente dei suoi benefici. È per il tuo bene figlio mio che ti faccio del male e la tua ribellione, che mi fa tanto male, non ti fa alcun bene, di conseguenza desidera il male che ti faccio, desiderale per te, per i tuoi figli e per i figli di questi figli. Amen! Schema che lo stalinismo, al contrario del nazismo, ha saputo esplorare con una certa abilità. Ed anche il fascismo santificato dal Vaticano!

L'arte della manipolazione dei sentimenti e delle opinioni trova nell'ideologia della bontà materiale una consacrazione attraverso la messinscena della famiglia. Questa immagine della Sacra Famiglia accomunata da un desiderio comune di pace mortifera è diventata una figura della propaganda universale e riunisce in un comune utilizzo politici democratici e dittatori. Edward Bernays [*9] considera che prendere un bambino sule ginocchia, davanti a dei fotografi, e coccolarlo ha senso ed efficacia, in termini di manipolazione, solo a condizione che questo sia il significante di un progetto politico basato sui valori della famiglia e, pertanto, dell'ideologia della bontà soave in quanto che essa rappresenta l'alfa e l'omega di un ordine sociale fondato sulla sottomissione all'immagine di un amore grondante buoni sentimenti. Colui che esercita il suo potere all'interno di una relazione rinchiusa nel sentimentalismo di un'emotività primaria, lo esercita, consensualmente, nel nome dell'amore, della protezione e per il bene di chi e è l'oggetto. Schiacciare il prossimo con la propria bontà è in effetti un buon modo di prendere il potere. Il mito de «l'amore gratuito della madre» giustifica da sé solo il fatto che ci si prosterni davanti alla sua figura emblematica. Per il fatto che viene presentata come l'immagine della fede, è impossibile non ricollegare il suo culto ad un progetto più vasto. Perciò non sorprende che il culto della Madre appaia e si sviluppo ad ogni tappa della ripresa in mano del potere da parte della Chiesa cattolica su una società che malgrado tutto gli resiste. Così, il Concilio Lateranense nel 649 proclama la verginità perpetua di Maria. Ora, in quell'epoca il potere ecclesiastico romano si trovava per l'appunto in piena crisi. Era attraversato da polemiche dogmatiche con ripercussioni geopolitiche che laceravano l'Oriente e l'Occidente e minacciavano direttamente la sua legittimità politica. Per rispondere agli attacchi di Lutero e Calvino, qualche secolo più tardi, l'interminabile Concilio di Trento (1545-1563) organizzerà la Controriforma ed i suoi canoni barocchi. Appare evidente che il culto mariano, nei suoi dogmi e nelle sue rappresentazioni, sia, alla luce della storia, un tema simbolico intorno al quale si cristallizza la realizzazione della sottomissione che i fedeli devono stabilire rispetto ai loro padroni grazie all'intercessione della Vergine, fino a dentro l'intimità della loro vita quotidiana.

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Il culto mariano, o l'esaltazione della sottomissione desiderabile
La dipendenza emotiva della vittima riguardo al suo torturatore come base di un ordine totalitario, ha trovato nella Vergine la sua rappresentazione più pertinente e più efficace. Non è certamente senza importanza sottolineare che tutti i regimi totalitari di destra (alleanza della spada e dell'aspersorio) si sono impadroniti del culto mariano con un'isteria ed un giubilo la cui efficienza è stata confermata in tutto il mondo cristiano (Spagna, Italia, Portogallo, America Latina, ecc.). Nel 1987, il reazionario Giovanni Paolo II pubblica, nel quadro di un'operazione di restaurazione ideologica, la sua enciclica in cui rilancia il culto mariano e sviluppa un attivismo quasi militante in materia. Per cancellare gli effetti nefasti del Concilio Vaticano II, cerca innanzitutto di rimettere, ancora una volta, il potere romano sui binari di una tradizione strutturata ideologicamente da papa Pio IX (1792-1878). D'altra parte è nel 1854, in un contesto storico nel quale dappertutto in Europa avanzano gli ideali laici e rivoluzionari (la data quindi non è senza importanza) che viene proclamato da Pio IX il dogma dell'Immacolata Concezione. A questo seguirà tutta una serie di apparizioni miracolose [*10] a conforto della dottrina in una sorta di delirio mistico che potrebbe essere definito adatto alla circostanza. E, nel 1870, sotto gli auspici della Vergine, viene proclamato il dogma dell'infallibilità papale. In questo modo, in maniera evidente, il papa organizza, sotto il segno della Vergine, la riconquista della Chiesa in un'Europa in cui il movimento operaio si organizza e guadagna ogni giorno sempre più forza. L'arma della riconquista è Maria, che riveste il significato del riarmo morale del cristianesimo, ogni qual volta che i suoi fondamenti politici vengono scossi. Nella Parigi operaia decristianizzata [*11] della fine del Secondo Impero, questa riconquista sarà l'obiettivo prefissato delle congregazioni. L'odio che la Chiesa riserverà alla Comune va compreso anche a partire dalla natura ideologica di un'istituzione che rabbrividisce all'idea che la società possa rinunciare a considerarla come un'organizzazione legittima e necessaria al mantenimento dell'ordine, ordine che poggia sulla gerarchia immutabile degli uomini e delle classi.

Pio IX ha agito in termini di potere, è evidente. Intendeva rilanciare la fede popolare, usando il culto mariano come leva. Questo si inscriveva in una tradizione culturale che era stata già collaudata nel XVI secolo, allorché il protestantesimo era stato sul punto di scuotere il cattolicesimo. Si tratta di sacralizzare la sottomissione della Vergine spingendo i fedeli ad imitare un modello di bontà e rassegnazione. Pio IX è stato un vero e proprio "papa re", il cui regno è durato dal 1846 al 1878. Verrà beatifico da Giovanni Paolo II il 3 settembre del 2000. Era sempre stato un feroce nemico delle idee provenienti dai Lumi, e quindi di tutte le forme di liberalismo politico (l'enciclica del 1864). D'altra parte, passerà ai posteri per l'esecuzione dei patrioti italiani. Il 22 settembre 1870, le truppe francesi si ritiravano dall'ultimo territorio ancora controllato dalle forze militari del papa e, il 2 ottobre, i soldati del giovane Stato italiano entravano a Roma. La città venne proclamata capitale del regno. Finiva definitivamente lo Stato pontificio. Per un papa che aveva innalzato l'infallibilità papale al rango di dogma, il colpo era stato duro. Da allora, si considererà prigioniero nel Vaticano, da dove continuerà ad inveire e ad agire attraverso la sua potente "rete di influenza" contro il vento di riforme che soffiava sull'Europa. Si consideri soltanto, di passaggio, che bisognerà aspettare i Patti Lateranensi, l'11 febbraio 1929, perché sia ristabilito lo Stato della Città del Vaticano. Grazie a Mussolini... Nel 1875, Pio IX lancia anche un movimento di devozione al Sacro Cuore che nello stesso anno darà inizio alla costruzione - per espiare i crimini della Comune - di una basilica monumentale a Montmatre che ne è il simbolo più opprimente, e senza dubbio il più spregevole.

Il culto mariano è quindi un'operazione di mobilitazione popolare semplice ed efficace nella misura in cui gioca unicamente sul registro emozionale ed affettivo che non richiede alcuna esegesi, e dispensa i fedeli da un apprendistato lungo e fastidioso. È un culto da consumare sul posto in mezzo ad una folla di fedeli isterici. Questo culto è indirizzato ai popoli e agli oppressi vittime di un sistema sociale iniquo (servi) o alle vittime del colonialismo. Così nel 1531, a Guadalupe, al culmine dei crimini coloniali spagnoli in Messico, «un piccolo indio, povero e di modeste condizioni», sulla collina di Tepeyac vedrà apparire la Vergine, che gli dirà:«Sono la madre amorevole, tua e dei tuoi simili» [*12]. Del resto, sarà il maresciallo Pétain a istituire la festa della mamma. E un buon figlio va con sua madre alla messa, ad ascoltare le prediche reazionarie di un clero fascisteggiante, antisemita, omofoba, sessista e anticomunista! La madre idealizzata apre le porte dell'intolleranza dogmatica con così tanta dolcezza che le grida dei supplici somigliano al canto degli angeli. È nei sotterranei delle caserme cilene ed uruguayane che il cattolicesimo ha trovato un luogo degno del suo ideale totalitario.

L'icona della madre e la perversità del potere
Torniamo all'icona della Vergine con il Bambino ed al valore simbolico della sua evocazione nella riproduzione della Pietà [*13]. La sconfitta di questa donna molto giovane si consuma nel momento in cui rinuncia al suo desiderio di vivere una vita da donna e si arrende al desiderio del Padre per diventare una Madre. D'ora in poi, dotata di un oggetto dipendente dalle sue cure e dal suo "amore", la sua rivincita sarà strettamente legata al destino dell'oggetto simbolo della perdita (della libertà). Iscritto nel registro della perdita, il debito contratto dal bambino-oggetto verrà riscattato con la sua morte che vedrà il trionfo di sua madre. Non è stato così per Antigone? Ne aveva l'età. Da Sofocle a Henry Bachau [*14]. abbiamo infatti materiale per riflettere su queste donne che conquistando la loro libertà liberano il mondo da un debito d'amore abusivo, e permettono ai loro discendenti di costruire una storia in cui il soggetto diventa attore della sua propria vita. Diventando donne con un destino singolare, diventano umane, vale a dire uguali agli uomini, e danno così una possibilità alla loro discendenza di costituirsi nel quadro di uno scambio possibile, nell'alterità. Non siamo troppo lontani da Georges Bataille, dal momento che Antigone parla anche di un tempo in cui la funzione non si confondeva con l'esistenza. Al contrario, quando la funzione materna diventa il senso dell'esistenza, il culto mortifero della Pietà diventa una giustificazione spettacolare del sacrificio.

Nei testi degli autori tragici, si parla dell'umano e dell'inumano, della libertà conquistata, dello scontro mortale delle coscienze, in breve si parla di un luogo in cui l'altro sarebbe una sorta di parassita assoluto, ma in nessun caso un oggetto, simbolo di un debito d'amore e, pertanto, di un dominio da cui non c'è altra via d'uscita se non la morte del figlio, per ottenere la soddisfazione della madre, come simbolizzato dalla Pietà. Il bambino fra le braccia della madre esprime questo destino esangue per le due figure (la giovane donna e il suo bambino). Parlare della donna, della ragazza, senza celebrare e istituire la madre ed il suo strascico di perversioni è impossibile nel quadro dell'iconografia studiata. Con il cristianesimo istituzionale, il tragico è diventato un'operazione di manipolazione delle coscienze nel quadro di un progetto politico che mira alla totalità nella sua formulazione del soggetto e nel suo rapporto con il potere.

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Il potere manipolatore della madre si fonda sul suo sacrificio così bene illustrato dalle rappresentazioni della Vergine con il Bambino di Giovanni Bellini e, soprattutto, di Piero di Cosimo (1461-1522) nel suo dipinto esposto al Museo del Louvre a Parigi, intitolato Madonna della Colomba. È il simbolo delle giovani donne sacrificate alla maternità. Si trova così ad essere sacralizzata insieme alla sua legittima infelicità, l'infelicità che, in cambio, dispenserà a coloro che ama e che l'amano. L'iconografia della Pietà, in una sorta di soddisfazione che proviene dal ribaltamento della situazione, ce la mostra mentre gode della sua sventura. In questo consiste ciò che c'è di più tragico nella funzione materna; la madre gioisce di tutto ciò che sacrifica, ma in maniera così contorta, così ambigua che questo ne diviene un segno caratteristico, un sintomo: un modo per dominare, e soprattutto un'arte nevrotica di inoculare il suo virus all'oggetto del suo dominio. Con una maestria che deve molto all'isteria, si fa pagare ad alto prezzo, ma in modo insidioso, in attesa del suo momento. Ritrova nelle sue lacrime la posa di mater dolorosa e soprattutto, perfettamente isterica, ritrova nell'adorazione che suscita il mezzo per godere alla fine del suo desiderio sacrificato, schiacciato dalla volontà del Padre. A proposito dell'Estasi di Santa Teresa, del Bernini [*15], Jacques Lacan afferma che «lei gode, su questo non c'è alcun dubbio» [*16]. E aggiunge: «Queste giaculatorie mistiche non sono né chiacchiere né sproloquio, sono fondamentalmente ciò che di meglio si può leggere» [*17]. E come non equiparare, in questo registro, la Pietà di Michelangelo (1498-1499), esposta nella Basilica di San Pietro, in Vaticano? La Vergine eternamente giovane e desiderabile con il suo sguardo equivoco tiene sulle ginocchia il corpo flessibile e abbandonato del bambino morto recentemente.

Le Pietà barocche riecheggiano la Vergine con il Bambino. Sottolineano il trionfo della madre in quanto rappresenta la consacrazione nevrotica delle passioni triste (Spinoza). Il tema iconografico della Pietà appare nella pittura italiana della metà del XVI secolo. È costituita da due figure centrali: quella della Vergine seduta e quella del Cristo morto disteso sulle sue ginocchia. Quest'immagine si è formata nel quadro di un culto mortifero. Prima di questa svolta ideologica, i fedeli adoravano la croce vuota e il Cristo in Gloria. Da allora in poi, quello che contempleranno sarà un corpo sofferente e torturato a morte. Quindi, nell'iconografia cristiana il tema è tardivo. Le rappresentazioni ci mostrano la Vergine sublime nel suo dolore che raccoglie fra le sue braccia il torturato appena sceso dal patibolo. «Ci troviamo in qualche modo di fronte ad un bambino cui la madre si appresta a riservare le sue cure, o che lei si sente in dovere di consolare» [*18]. L'oggetto ridiventa oggetto.

Il potere della madre, simbolo del compimento mortifero di ogni potere
Blaise Cendrars vede nella madre (nell'accezione simbolica del termine) una manifestazione di masochismo eretto a sistema. In Moravagine, scrive: «Più la donna partorisce, più genera la morte! Piuttosto che del generare, la madre è il simbolo della distruzione, e chi è quella che non preferirebbe uccidere e divorare i suoi figli, se potesse essere sicura così facendo di legarsi al maschio, di tenerselo, di compenetrarsene, di assorbirlo dal basso, di digerirlo, di farlo macerare dentro di lei, ridotto allo stato fetale, e di portarlo così per tutta la vita sul suo seno» [*19]. Come la Pietà, alla fine premiata per suo desiderio sacrificato... Se è la rivincita della donna sacrificata, il regno della madre è senza dubbio altrettanto atroce, altrettanto distruttivo e alla fine altrettanto terribile del dominio patriarcale. Con il sovrappiù della perversità. Il dono della vita, per la donna ridotta allo stato funzionale, si accompagna ad una perdita. Il dono della vita restituito è quello del bambino morto fra le sue braccia e, nella posizione di partenza, sulle sue ginocchia. Quando la madre gode, il figlio è morto. Quando la donna accetta di essere solo una madre per la società, il figlio è già morto. Questo potere fondato sulla bontà nasconde così tanto dolore che la Madre, schierandosi dalla parte del potere del Padre, fornisce al fascismo ordinario una garanzia senza uguali. La forza del padre per vincere, l'amore sacrificale della madre per convincere, ovvero l'alleanza delle falangi fasciste e del clero cattolico.

- Jean-Luc Debry - 2008 -

NOTE:

[1] Questo studio è originalmente apparso sul numéro 6-7 (2008) della rivista Mortibus, il cui tema era: « Il potere o la morte! ».– [NDÉ.]

[2] Philippe Borgeaud, La Mère des dieux. De Cybèle à la Vierge Marie, Paris, Éditions du Seuil, 1996, p. 51.

[3] Jean Duvignaud – Rire et après. Essai sur le comique, Paris, Desclée de Brouwer, 1999 – cite, page 87, le cas des mystères allemands (et ailleurs dans les Flandres) joués sur le parvis des cathédrales dans lesquels Saint-Joseph cocu fait rire la foule des fidèles.

[4] Le Repos pendant la fuite en Égypte du Caravage (1596), Rome, Galleria Doria Pamphili.

[5] Sigmund Freud, L’Avenir d’une illusion, Paris, PUF, 1971, p. 19.

[6] Hannah Arendt, La Politique a-t-elle encore un sens ? Paris, L’Herne, 2007, p. 52.

[7] Ibid., p. 54.

[8] Sigmund Freud, L’Avenir d’une illusion, op. cit., p. 60.

[9] Edward Bernays, Propaganda. Comment manipuler l’opinion en démocratie, Paris, Zones, 2007, p. 98.

[10] 1858, Lourdes ; 1871, Pontmain ; 1879, Knock ; 1917, Fatima ; etc.

[11] Jacques-Olivier Boudon, Paris capitale religieuse sous le Second Empire, Paris, Éditions du Cerf, 2001, p. 210.

[12] Lors de son voyage en Amérique en 1970, le fondateur de l’Opus Dei rendra hommage, dans la capitale aztèque, à cette figure de l’acculturation coloniale.

[13] Cosme Tura (1480), Pietà de Villeneuve-lès-Avignon ; Quarton (1455), Paris, Musée du Louvre ; Pietà de Piero di Cosimo (1480), Pérouse, Galleria Nazionale dell’Umbria.

[14] Henry Bauchau, Œdipe sur la route et Antigone, Arles, Actes Sud, 1990 et 1997.

[15] La Chapelle Cornaro, à Rome.

[16] Jacques Lacan, Séminaire, livre XX, Encore, Paris, Éditions du Seuil, 1975, p. 70.

[17] Ibid., p. 71.

[18] Yves-Pascal Castel, « Les Pietà du Finistère », revue Minihy-Levenez, n° 69, juillet-août 2001.

[19] Blaise Cendrars, Moravagine, Paris, Grasset, 1998, p. 62.


fonte: A Contretemps

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